Gentucca
La singolarità di questo nome di donna, che Bonagiunta mormora in modo non chiaramente intelligibile (Pg XXIV 37), sollecitò commentatori antichi e moderni a proporre letture e interpretazioni diverse da quelle che per contro prevalsero nelle edizioni più accreditate. L'Ottimo intese gentucca come " gentuccia " o " gente bassa " (gli avversari politici che costrinsero D. all'esilio) e identificò la femmina del v. 43 sia allegoricamente con la Parte bianca di Firenze, sia, in senso letterale, con Alagia Fieschi (Pg XIX 142) la quale, sposa di Moroello Malaspina, che ebbe in Lucca grande autorità, avrebbe in certo modo potuto far piacere al poeta la città di Bonagiunta. Benvenuto invece, come l'Ottimo, intendendo gentucca come " gentucula ", vede nella femmina quella " Pargoletta de qua auctor facit mentionem infra c. XXXI, cuius amore captus est dum tempore exilii sui venisset Lucam ". E sempre " gentuccia " intendono il Lana e l'Anonimo, con riferimento al gruppo dei penitenti radunati sotto l'albero, divorati dal desiderio dei frutti e dell'acqua. Così, fra i moderni, il Torraca propose la lettura gente ucca (" sebbene la gente ucca la mia città ", cioè la rimproveri, dal provenzale uchar). Ma pur se l'antroponimo G. sia potuto parere insueto o difficilmente ammissibile a interpreti antichi e moderni, è ben vero che vari documenti d'archivio ne attestano l'uso, in Lucca, proprio ai tempi di D., e che un commentatore come il Buti, cui Lucca e gli usi lucchesi dovevano essere più familiari che ad altri, se non altro per motivi di prossimità geografica, annota: " Finge l'autore ch'ei nol sapesse intendere, perché secondo la sua finzione non era anche stato quello ch'elli predicea e annunziava, cioè ch'elli dovea essere confinato di Firenze a Lucca, e qui si dovea inamorare di una gentildonna che si sarebbe nomata Gentucca ". Il che non significa, con probabilità, che al Buti fosse noto un qualsiasi rapporto del poeta con G. e neppure chi fosse in realtà la gentildonna, ma solo che l'esistenza di una G. lucchese era circostanza del tutto verisimile e tale da non provocare perplessità di sorta.
Un'identificazione precisa della donna propose per primo C. Troya il quale, reputando possibile una dimora lucchese del poeta solo durante la signoria di Uguccione della Faggiola (fra il 1315 e il 1316), ritenne di poter individuare colei che " disacerbò " gli sdegni di D. contro la città nido di baratteria, in " Gentucca, già moglie di Bernardo Morla degli Antelminelli Allucinghi " (Del Veltro allegorico di D., p. 87). Ma l'ipotesi dello storico napoletano parve, se non da respingersi con sicurezza, almeno meno valida di altra, successivamente avanzata da C. Minutoli nel 1865. Certa è l'esistenza della Gentucca Morla proposta dal Troya (ma mai i Morla-Allucinghi, pur grandi e ghibellini, furono parenti o consorti degli Antelminelli) dal momento che, in data 11 marzo 1316, con atto rogato dal notaio ser Rabbito Torringhelli, Bernardo di Nerio Morla " pro se ipso et procuratorio nomine pro domina Gentucca uxore sua et filia Cinelli Cannavecchia de Fatinellis ", ecc., nomina un procuratore. Inoltre la medesima G. e un figlio di lei figurano come contraenti in un atto riguardante la vendita di una casa rogato da ser Opizo di ser Bindo da Coreglia nel 1325, e il suo nome è annoverato in un repertorio riferentesi ai beni dotali di numerose donne lucchesi. Parve peraltro al Minutoli che se la G. nata Fatinelli e moglie di Bernardo Morla era madre di un figlio che nel 1325 godeva della capacità giuridica di stipulare, non facilmente potesse essere stata ancora fanciulla (priva di quella benda, nera o bianca, che denotava la qualità di maritata o di vedova) nel 1300, quando cioè D. immagina che Bonagiunta enunci la sua profezia. E la difficoltà gli parve accresciuta dal fatto (ma si tratta invero di un argomento assai debole) che una Pieruccia figlia di Cinello Cannavecchia dei Fatinelli, e quindi sorella di G., risulta, in un documento dotale del 10 novembre 1317, rogato da ser Guido Bonavere, vedova di Cinello di Brunetto del Caro, da lei sposato sin dal giugno del 1297. Cosicché, pur non escludendo la possibilità d'identificare la donna ricordata da Bonagiunta con la moglie di Bernardo Morla, propose d'individuarla piuttosto in una G. figlia di Ciucchino di Guglielmo Morla (cugino di Bernardo), moglie di Buonaccorso di Lazzaro di Fondora, detto Coscio o Cosciorino. Costui difatti, nel suo testamento rogato il 15 dicembre 1317 dal notaio ser Niccolò Moccindenti, affida alla moglie Gentucca e al suocero Ciucchino di Guglielmo Morla i figli in tenera età e lega alle sorelle di G., Moccina e Franceschina, somme di denaro per quando si sarebbero maritate. Se G. Fondora nel 1317 aveva figli in tenera età, essa poteva certamente, e più facilmente della sua omonima, essere ancora una fanciulletta nel 1300. E, secondo il Minutoli, aggiungerebbe credibilità all'ipotesi la circostanza che, sempre nel 1317, la moglie di Buonaccorso avesse ancora due sorelle da maritare. Ma certo, le citate testimonianze documentarie a favore della seconda G. non possono considerarsi determinanti. Anche G. moglie di Bernardo Morla, pur madre di un figlio capace di stipulare validamente nel 1325, poteva benissimo non portare benda nel 1300. Piuttosto sarà da far conto dell'esistenza di due chiose anonime, pure citate dal Minutoli, una nel codice Laurenziano Plut. XL 7 (sec. XIV), c. 130 V, un'altra nel codice II IV 246 (già Magliabechiano VII 959, sec. XV) della Biblioteca Nazionale di Firenze, c. 18 r, nelle quali si afferma rispettivamente che la G. ricordata da Bonagiunta " fue moglie di Coluccio Giari di quegli da Fondora " (cod. Laurenziano) e che " fu una donna lucchese, donna di Coluccio Giari " (cod. Magliabechiano). Coluccio di Giaro (o Lazzaro) da Fondora era appunto il fratello di Buonaccorso, ed è ben ammissibile che sia intervenuto uno scambio. Della moglie di Coluccio si conosce d'altronde il nome, Duccia, come risulta dal suo testamento, rogato da ser Aldobrandino Salani il 19 luglio 1316. Par bene dunque che il tenore delle due chiose, che non ha nulla di fantasioso e fa riferimento a personaggi la cui esistenza storica è sicuramente provata, agevoli l'accoglimento della proposta del Minutoli e rafforzi la candidatura della seconda Gentucca.
Fondora o Morla che fosse, sembra in verità probabile che G. abbia veramente, come parve al Troya, contribuito a disacerbare gli sdegni antilucchesi del poeta (If XVIII 122, XXI 41) e che egli, " in grazia della donna e per lunga dimora piaciutosi della città ", abbia desiderato " espiarli con quel gentile artificio della predizione di Bonagiunta " (loc. cit.). Ma con maggior probabilità che nel periodo indicato dallo storico napoletano - che non reputa possibile un soggiorno lucchese di D. anteriore al 1315-1316 - l'incontro del poeta con la gentile lucchese può ben essere collocato verso il 1307-1308. È tutt'altro che improbabile, difatti, che D. abbia seguito nella città del Serchio Moroello Malaspina, e avvalora la supposizione il noto documento edito da F.P. Luiso nel 1921 che dà presente in Lucca, nel 1308, quel " Iohannes filius Dantis Alagheri de Florentia " che autorevoli biografi moderni non hanno difficoltà a considerare come il più anziano tra i figli del poeta. Un termine oltre il quale non si può andare dovrà per altro essere considerato il 31 marzo 1309, quando il comune di Lucca vietò agli esuli fiorentini il soggiorno nella città. D'altronde, a rigore, potrebbe non essere considerata indispensabile l'ipotesi di un soggiorno lucchese di D., potendo egli aver conosciuto G. in altro luogo: vero è però che par di cogliere nei vv. 44-45 (che ti farà piacere / la mia città) l'eco di una conoscenza diretta di luoghi e di persone.
Quella che sembra dover essere esclusa risolutamente è l'ipotesi di una relazione amorosa fra il poeta e G., avanzata da commentatori antichi e moderni. Troppo delicata e casta è la menzione di Bonagiunta per farla ritenere attendibile. Né va dimenticata la circostanza che il poeta lucchese sta profetizzando e che è assente dalle parole di lui, spirito potenzialmente beato, ogni traccia di biasimo. Sì che dovrà piuttosto supporsi un rapporto di devota amicizia fra il poeta sbandito e la gentildonna, in grado di offrire a lui e forse ai suoi familiari, se non ospitalità, protezione e autorevole mediazione presso parenti e consorti, in vista di un soggiorno in una città che, ancor prima del decreto del 1309, non doveva mostrarsi di massima generosa e benigna verso un esule fiorentino di Parte bianca. Che neppure di un'" aura amorosa " in senso stilnovistico, presente nella menzione della femmina lucchese, si possa parlare, e che la vicinanza di G. al citato primo verso della prima canzone della Vita Nuova (vv. 42 e 51) sia " straordinariamente problematica ", sostiene E. Sanguineti (Il c. XXIV del Purgatorio, pp. 909 ss.); il quale segnala il filo tematico che conduce dalla femmina del parlato alle donne della citazione e, come altri critici, richiama la contrapposizione donne-femmine propria di un noto paragrafo del giovanile libello (Vn XIX 1). " Bonagiunta che parla della femmina lucchese " sarebbe così " ancora l'uomo antico, che non intende l'opposizione femmina-donna e che non ha... intelletto d'amore ". Si avrebbe cioè una sorta di raffinato giuoco lessicale mediante il quale si enuncerebbe, oltre che un'" opposizione letteraria ", un'" opposizione morale, o... ideologica, per una piena rivelazione d'amore ", elemento essenziale, che solo rende distinguibile l'uno dall'altro stilo. Il che farebbe di G. " la chiave... dell'episodio di Bonagiunta, e, per questo, dell'intero canto ". Si tratta certo di un'interpretazione acuta e suggestiva, ma che forse la lettera del testo non giustifica compiutamente (d'altronde il Sanguineti è cosciente di tentare una sorta di " romanzo filologico "). È ben vero, d'altra parte, che non sempre il termine femmina è usato da D. in esplicita o sottintesa contrapposizione a donna: femmine sono le donne virtuose antiche (If IV 30), femmina è Eva (Pg XXIX 26), femmina è Maria Vergine (Cv II V 2). Sì che sembra pur possibile considerare la profezia di Bonagiunta relativa a G. come estranea alla problematica stilnovistica propria dei vv. 49-63. La parlata di Bonagiunta si articolerebbe così in due parti: la profezia (vv. 43-48) e la battuta iniziale della discussione poetico-dottrinale che segue. Cioè a dire, sono Lucca e la possibile residenza lucchese di D. e l'amichevole rapporto con la gentildonna i temi della prima parte dell'episodio, tramato di sottili echi affettivi, sostenuto dal dolce ricordo, in forma di profezia ‛ post eventum ', delle singolari virtù femminili che riuscirono a disacerbare gli sdegni antilucchesi del poeta. E la presenza nella prima parte dell'episodio di una tale tematica, in certo modo nostalgica, oltre a rendere più viva e umana la figura di Bonagiunta, visto non solo come intenditore di poetiche e curioso indagatore di fenomenologie stilistiche, ma come cittadino di Lucca e presentatore di una gentile abitatrice della sua città, sembra rispondere a una voluta esigenza di ‛ variatio ' tematica, che conferisce all'intero episodio una più valida dimensione artistica. Accresce poi il fascino del delicato motivo umano assunto nell'episodio dal v. 37 in poi l'aura misteriosa che ne accompagna le fasi: dal mormorio iniziale colto da D. sulle labbra del lucchese, alla scandita enunciazione profetica propria dei vv. 43-45, all'antivedere che permarrà nel ricordo di D., quasi viatico lasciatogli per il futuro dall'Orbicciani, a quelle cose vere che immancabilmente dissiperanno il possibile errore.
Bibl. - C. Troya, Del Veltro allegorico di D., Bari 1932, 86-88; C. Minutoli, G. e gli altri lucchesi nominati nella D.C., Lucca 1865, 32-42 (anche in D. e il suo secolo, Firenze 1865); E. Levi, Piccarda e G., Bologna 1921; F. Novati, Il c. XXIV del Purgatorio, in Lett. dant. 481-497 (già in Freschi e minii del Duecento, Milano 1908); E. Sanguineti, Il c. XXIV del Purgatorio, in Lect. Scaligera II 893-920.