Gentile organizzatore di cultura
Il 26 novembre 1911, nel discorso che inaugurava un ciclo di conferenze alla Biblioteca filosofica di Palermo (Il programma della Biblioteca filosofica di Palermo, «Annuario della Biblioteca filosofica», 1912, 1, pp. 7-12), Gentile evidenziava come l’attività di questo circolo – e di altri, sorti in diverse parti d’Italia – fosse espressione di un nuovo modo di porsi della filosofia e testimonianza della «grande trasformazione» che essa aveva subito nell’ultimo decennio. Uscita «dalla umbratile erudizione delle scuole semideserte, dall’ozio muto delle accademie, dall’irto tecnicismo dei contributi scientifici», la filosofia si era mescolata «alla vita, alle passioni, alle discussioni, alle lotte di tutti gli spiriti colti» e i filosofi, a loro volta, erano andati «in mezzo al pubblico», avevano creato società filosofiche che non erano «segreti cenacoli, ma focolari di cultura e centri di coordinazione spirituale» (in Frammenti di filosofia, a cura di H.A. Cavallera, 1994, pp. 29 e 31).
Una concezione, la sua, che già da ora lo contrapponeva al «filosofo amico». Proprio su queste parole, infatti, Croce ebbe l’anno dopo a polemizzare esplicitamente, non ritenendo che fosse utile chiamare a discutere di filosofia «gl’incompetenti e i dilettanti», «gli estranei svogliati e malamente curiosi», coinvolgendoli in «società, circoli, conferenze, discussioni, congressi», essendo egli convinto che il «risvegliamento di coscienza» si sarebbe potuto realizzare solo attraverso «un processo interiore» (Circoli, convegni e discussioni filosofiche, «La Voce», 19 dicembre 1912, poi in Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, 1914, 19553, rist. 1993 a cura di M.A. Frangipani, p. 132).
A differenza di Croce, il filosofo siciliano riteneva che la filosofia non dovesse rimanere «nelle nuvole e nell’astratto» e individuava nelle istituzioni universitarie extra-accademiche lo strumento perché essa divenisse «una causa comune e un comune interesse per tutti gli uomini» (Il programma della Biblioteca filosofica di Palermo, in Frammenti, cit., pp. 30 e 31). Con l’avvento della guerra, Gentile potenziava la sua polemica contro il «saggio lucreziano lieto di potersi godere dalla spiaggia sicura lo spettacolo della tempesta» (La filosofia della guerra: conferenza tenuta alla Biblioteca filosofica in Palermo l’11 ottobre 1914, 1914, in Guerra e fede, 1919, 3a ed. riv. e ampliata a cura di H.A. Cavallera, 1989, p. 10) e ancor più nel dopoguerra e con l’avvento del fascismo al potere, quando l’unità tra attività teoretica e attività pratica si definiva come unità fra politica e cultura. A quel punto la battaglia – che era una battaglia del fascismo, come affermava il 30 marzo 1925 a Bologna in Il fascismo nella cultura, discorso di chiusura al I Convegno per la cultura fascista (meglio noto come I Convegno degli intellettuali aderenti al fascismo) – era esplicitamente rivolta contro l’«intellettualismo», «malattia dello spirito»,
per cui l’uomo a poco per volta si dimentica di partecipare anche lui, sempre e in tutti i modi, alla vita, con le sue gioie, co’ suoi dolori e con tutte le sue responsabilità, e finisce col credere di esserne un semplice spettatore, e collocato perciò al di là del bene e del male (in Che cosa è il fascismo. Discorsi e polemiche, 1925, poi in Politica e cultura, a cura di H.A. Cavallera, 1° vol., 1990, p. 91).
Esempio primo di quegli «intellettuali italiani vecchio stile alla finestra» (L’Istituto nazionale fascista di cultura. Discorso inaugurale letto in Campidoglio il 19 dicembre 1925 dal presidente, «Educazione politica», 1925, 10, poi in Politica e cultura, 1° vol., cit., p. 266) era per Gentile proprio Croce, particolarmente dopo la pubblicazione («Il Mondo», 1° maggio 1925) di uno scritto intitolato Una risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani al manifesto degli intellettuali fascisti (ma meglio noto come Manifesto degli intellettuali antifascisti), che segnò la definitiva rottura tra loro. Croce vi aveva, infatti, ribadito che il dovere dei «cultori della scienza e dell’arte», in quanto intellettuali, era quello di «attendere, con l’opera dell’indagine e della critica e le creazioni dell’arte, a innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale» e aveva definito un «errore» «varcare questi limiti dell’ufficio a loro assegnato, contaminare politica e letteratura, politica e scienza» (cit. in Papa 1974, p. 212). Per Gentile, invece, nel momento dell’adesione a un partito e a un regime politico, motivato all’interno di una precisa rilettura della storia d’Italia («Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano, intimamente connesso alla storia della Nazione italiana», era infatti l’incipit del Manifesto degli intellettuali italiani fascisti agli intellettuali di tutte le Nazioni, «Il Popolo d’Italia», 21 aprile 1925, poi in Politica e cultura, 2° vol., 1991, p. 5), ancor più diveniva inaccettabile la divisione fra l’essere e l’agire e si imponeva una netta scelta di campo.
Il già citato discorso pronunciato da Gentile (alla presenza di Benito Mussolini) in occasione dell’inaugurazione dell’Istituto nazionale fascista di cultura (INFC), di cui era presidente, costituisce una summa del suo pensiero in merito all’organizzazione della cultura, ora che c’era un regime politico intenzionato a costituire strutture finalizzate al consenso degli intellettuali e a porre la loro attività al servizio della nazione. Infatti il nuovo Istituto, sottolineava Gentile, nasceva proprio grazie al Partito nazionale fascista (PNF), che affidava agli uomini di cultura il compito di contribuire alla grandezza della nuova Italia fascista. Questo Istituto, come «le accademie tradizionali», doveva infatti coordinare «dal punto di vista fascista» i più eminenti studiosi, ma, a differenza di quelle, doveva stimolare le energie intellettuali «a non rinchiudersi in astratte speculazioni remote da ogni azione sulla vita nazionale economica, morale e politica» e, in positivo, a «illuminare e formare la coscienza della nuova Italia». L’Istituto era quindi «battezzato fascista» proprio per distinguersi da quelle vecchie accademie italiane «umbratili, apolitiche, agnostiche, intellettualistiche», già denigrate nel citato discorso del 1911 alla Biblioteca filosofica, e perché costituiva il luogo nel quale gli studiosi, gli artisti, gli scrittori, assieme alle associazioni che vi aderivano, potevano «contribuire al progresso intellettuale, morale ed economico del popolo italiano» e compiere «un’opera nazionale di solidarietà fascista: opera illuminatrice dei maggiori problemi nazionali presenti, formatrice della nuova coscienza politica italiana» (L’Istituto nazionale fascista di cultura, cit., pp. 257 e 271). Era l’organismo a essere definito dall’aggettivo fascista, non la cultura, per le convinzioni gentiliane che si distaccavano considerevolmente dal fascismo intransigente. Il fascismo, uscito «vittorioso» dalla battaglia, doveva far propria la cultura che l’aveva preceduto, non farne tabula rasa: «A quelle pietre – perché non dirlo? – non possiamo, non vogliamo rinunciare», quando quella cultura poteva essere adoperata «come valido strumento alla grande opera di costruzione, che è la missione del fascismo» (pp. 267-68).
Lo stesso discorso era all’origine dell’impianto dell’Enciclopedia Italiana, che, grazie alla collaborazione dei maggiori esperti nei diversi campi del sapere, indipendentemente se fossero iscritti o meno al PNF, sarebbe stata «una delle opere più splendide della nuova Italia: dell’Italia fascista» (L’Enciclopedia Italiana e il fascismo, «La Tribuna», 28 aprile 1926, in Politica e cultura, 1° vol., cit., p. 300). Così scriveva Gentile al direttore del quotidiano romano «La Tribuna», Roberto Forges Davanzati, il quale aveva riprodotto un brano dell’attacco sferrato da Telesio Interlandi sul quotidiano fascista «Il Tevere» (Considerazioni sopra un elenco di Enciclopedici, 25 aprile), dopo che, in marzo, l’Istituto della Enciclopedia Italiana aveva pubblicato un Primo elenco dei collaboratori, tra i cui 1410 nomi si trovavano quelli di circa novanta firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti. Nella distinzione della «politica dalla tecnica» – ribadiva Gentile – era la premessa per la realizzazione di un’opera che aveva l’ambizione di essere un «gran monumento nazionale» e che, una volta finita, avrebbe ricordato,
come nessun’opera mai fece per l’innanzi, che cosa il mondo civile in ogni campo del pensiero, in ogni arte, in ogni specie di lavoro, in ogni forma di umanità deve al popolo italiano,
e «di che vasta e salda organizzazione scientifica, ossia di quanta forza di disciplina superiore sia oggi capace questo popolo rianimato dal Fascismo» (L’Enciclopedia, cit., p. 300). Questo era il fascismo per Gentile:
quel fascismo che può affermare con giusto orgoglio: io non sono Partito, ma sono l’Italia. È il fascismo che può e deve chiamare a raccolta per ogni impresa nazionale tutti gl’Italiani, anche quelli dell’antimanifesto. I quali, se risponderanno all’appello, non verranno (stia pur tranquillo Interlandi) per fare dell’antifascismo: verranno, almeno nell’Enciclopedia, a portare il contributo della loro competenza (p. 301).
Un’opera culturale, quindi, che non si basava sulle tessere, ma che poteva essere realizzata grazie al «nuovo spirito esploso con l’avvento del Fascismo», come scriveva nella prefazione al primo volume, uscito nel 1929 (p. XII, poi in Politica e cultura, 2° vol., cit., p. 356).
In termini simili Gentile si era espresso nella lettera inviata l’8 aprile 1925 agli studiosi, per invitarli a collaborare a
un’opera di carattere nazionale che intende a raccogliere, al di sopra di tutti i partiti politici o indirizzi scientifici, tutte le energie intellettuali del paese, in una costruzione che onori gli studi italiani e degnamente li rappresenti nel mondo, mentre le rivolga all’incremento della stessa cultura nazionale (cit. in Belardelli, in 1925-1995. La Treccani compie 70 anni, 1995, p. 81).
Molti risposero all’invito e tra essi, come accennato, non pochi dei firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti – tra essi non vi fu Croce, che a Gioacchino Volpe il 7 aprile 1925 scriveva: «come volete che io collabori a un’Enciclopedia diretta da chi ha pur testé, a Bologna, osato proclamare che la cultura deve essere fascista?» (p. 92) – così come vi collaborarono molti altri antifascisti e, anche dopo le leggi razziali, numerosi studiosi ebrei. L’opera, seppure di alta cultura, rimaneva un’opera del regime, e lo stesso Gentile era il garante delle tendenze politiche dei collaboratori, come rassicurava Mussolini in una lettera dell’8 luglio 1933, scrivendo che sarebbero stati «scarta[ti] tutti gli antifascisti» e che tutti gli articoli sarebbero stati da lui sottoposti a «rigorosa revisione» (cit. in Turi 2002, p. 78).
Si trattava di due istituzioni molto lontane tra loro, accomunate dalle finalità che Gentile attribuiva alle funzioni degli intellettuali e dall’impegno concreto che essi dovevano avere nella vita politica e culturale della nazione, un impegno che non doveva consistere in riduttive azioni di propaganda politica.
Nel caso dell’INFC, la collaborazione degli studiosi – e dei protagonisti della politica – per il rafforzamento culturale del regime, si attuava attraverso conferenze, corsi di lezioni, volumi pubblicati nelle sue collane, articoli sulla rivista che vi faceva capo («Educazione politica», dal 1927 «Educazione fascista» e dal 1934 «Civiltà fascista»), nonché attraverso la partecipazione all’attività dei numerosi Istituti fascisti di cultura sorti a livello locale. In undici anni, come ricordava Gentile a Mussolini in un’udienza del 20 agosto 1936, gli istituti erano divenuti 147 – per un totale di oltre 105.000 soci, di cui 12.500 per il solo Istituto nazionale – e avevano promosso più di 20.000 manifestazioni culturali e pubblicato 220 volumi (cfr. Le direttive del Duce per l’attività degli Istituti Fascisti di Cultura, «Civiltà fascista», 1936, 9, p. 545). Al tempo stesso, l’INFC aveva svolto un’opera di accentramento di istituzioni preesistenti, che erano state inglobate al suo interno (nel 1925 la Fondazione Leonardo per la cultura italiana e nel 1930 l’Ente nazionale “L’Italica”, che divenne la sezione per i rapporti con l’estero) o che, nei primi anni Trenta, erano state poste sotto il suo controllo (l’Istituto nazionale del dramma antico, l’Istituto italiano di studi germanici, il Centro italiano di studi per le scienze amministrative, lo Studio di diritto e politica internazionale); operazione che fu ripetuta a livello locale dagli Istituti fascisti di cultura (Vittoria 1985, pp. 127-28).
L’espansione e il controllo attuati dall’Istituto centrale e da quelli periferici nei confronti di altri organismi si fecero più marcati nel corso degli anni Trenta, finendo per snaturare il carattere elitario che Gentile intendeva attribuirgli. Contemporaneamente al venir meno dell’egemonia filosofica gentiliana all’indomani del Concordato (1929), e nel contesto di accelerazione del processo di totalitarizzazione della società a opera del PNF negli anni della segreteria di Achille Starace (1931-39), anche l’INFC divenne soprattutto un organismo di propaganda, limitando sempre più i temi della sua attività a quelli politici, corporativi e della conquista coloniale.
Le trasformazioni furono sancite nel 1937, quando l’Istituto prese la denominazione di Istituto nazionale di cultura fascista (INCF) – respinta invece fin dalle origini da Gentile – e fu sottomesso al PNF. Gentile, che pure negli anni precedenti aveva tentato un rinnovamento dell’Istituto per evitare il sopravvento di Starace, si dimise, come scrisse a Mussolini il 7 marzo, avendo appreso dai giornali i nomi dei componenti del nuovo Consiglio direttivo, che invece dovevano esser formulati su sua proposta (Vittoria 1985, pp. 193-94). Presidente divenne Pietro De Francisci, al quale nel 1940 successe Camillo Pellizzi. Secondo il nuovo statuto, l’INCF era sottoposto «all’alta vigilanza del Duce» (come già era nello statuto del 1926) ed era «alle dirette dipendenze del Direttorio Nazionale del P.N.F.» (formula invece prima inesistente); gli si attribuivano inoltre gli obiettivi di «promuovere e coordinare gli studi sul Fascismo», di «tutelare e diffondere all’interno e all’estero, le idealità, la dottrina del Fascismo e la cultura nazionale», e di «promuovere e disciplinare la cultura corporativa» (Vita dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista, «Civiltà fascista», 1937, 1-2, pp. 102-04).
Il segretario del PNF aveva quindi vinto la sua battaglia nei confronti di Gentile, ed era riuscito a fare dell’Istituto, come scriveva il filosofo al suo ex allievo Vito Fazio-Allmayer il 17 marzo 1937,
uno strumento del Partito stesso, spogliandolo di quel po’ d’autonomia che io ne avevo sempre difeso per conservare un qualche valore a quel tanto di apporto ideale che esso dà al Partito» (cit. in Longo 2000, p. 162).
Questa amara conclusione, tuttavia, non modificava – proseguiva – «menomamente il mio modo di pensare sul fascismo» (p. 163).
Diversa la vicenda dell’Enciclopedia, la cui nascita testimoniava quanto si stesse allargando la presenza di Gentile nell’editoria e negli organismi culturali fin dall’inizio degli anni Venti.
La prima idea di una Grande enciclopedia italica era stata formulata nel 1919 dall’ex ministro della Pubblica Istruzione Ferdinando Martini e dallo storico Mario Menghini, e la sua realizzazione, attraverso un consorzio di editori e librai, era stata affidata nel 1922 alla già citata Fondazione Leonardo, nata a Roma nel 1921 a opera dell’editore modenese Angelo Fortunato Formiggini, che ne era presidente. Nel febbraio del 1923 intervenne Gentile, allora ministro della Pubblica Istruzione, che, manipolando l’assemblea dei soci della Fondazione – come accusò Formiggini nel suo pamphlet La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo: libro edificante e sollazzevole (1923) –, rovesciò il consiglio direttivo, che venne ristrutturato sotto la sua presidenza. Mentre l’ente culturale fu, come si è detto, assorbito dall’INFC (rimase solo la rivista fondata da Gentile, «Leonardo», che sarà poi diretta dal figlio Federico), il progetto enciclopedico di Martini fu ripreso dal filosofo siciliano, che lo realizzò grazie all’aiuto economico dell’imprenditore tessile e senatore Giovanni Treccani. Nel febbraio del 1925 fu quindi costituito l’Istituto Giovanni Treccani, ente privato, per la pubblicazione di un’opera enciclopedica e di eventuali integrazioni.
Nell’atto di costituzione dell’Istituto erano ribaditi gli stessi intenti culturali che Gentile attribuiva all’impresa: a questa, infatti, il senatore Treccani si accingeva
nel desiderio di servire la Patria procurando alla cultura italiana uno strumento di cui essa da lungo tempo aveva bisogno per il suo stesso incremento e per la diffusione di una esatta nozione e di un giusto giudizio del contributo che l’Italia ha in ogni tempo arrecato ed arreca al patrimonio spirituale dell’umanità (Atto costitutivo ente privato Istituto Giovanni Treccani, cit. in Crasta, in 1925-1995, 1995, p. 60).
Dopo una serie di passaggi editoriali, con il d.l. 24 giugno 1933 nr. 669 (convertito nella l. 11 gennaio 1934 nr. 68), fu costituito un nuovo organismo a carattere pubblico, l’Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, che fu finanziato da cinque enti parastatali (Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Istituto nazionale delle assicurazioni e Istituto poligrafico dello Stato). Treccani lasciò la carica di presidente a Guglielmo Marconi e divenne vicepresidente, assieme a Gentile.
Tra il 1929 e il 1937 uscirono, sotto la direzione scientifica di Gentile, 35 volumi dell’Enciclopedia Italiana e, nel 1938, la prima Appendice, cui seguì il lavoro redazionale finalizzato al progetto di un Dizionario biografico degli Italiani e di un’Enciclopedia minore. Per disposizione di Starace, l’Istituto stampò il Dizionario di politica, uscito nel 1940 a cura del PNF, che riusciva anche in questo caso a penetrare in un’organizzazione culturale.
Più del condizionamento politico sull’opera – che anzi poté contare sul sostegno di Mussolini, autore, all’interno della voce collettiva Fascismo (14° vol., 1932), di La dottrina politica e sociale, seconda parte della sezione Dottrina, la cui prima parte, Le idee fondamentali, affidò a Gentile – si fece sempre più pressante quello ecclesiastico. Nel febbraio del 1925 fu lo stesso Gentile a incontrare il preposito generale della Compagnia di Gesù, il polacco Włodzimierz Ledóchowski, che autorizzò i membri della Compagnia a collaborare all’opera per quanto riguardava la storia dell’Ordine. Pochi mesi dopo, alla prima riunione dell’Istituto, Treccani, sottolineando che l’Enciclopedia doveva «corrispondere ai sentimenti tradizionali degli Italiani» e quindi «essere non solo patriottica, ma anche bene accetta dalla Chiesa», comunicò che a questo fine c’era stato «un accordo» in base al quale padre Pietro Tacchi Venturi della Compagnia di Gesù avrebbe diretto la sezione dedicata alle materie ecclesiastiche (cit. in G. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani: come e da chi è stata fatta, 1947, pp. 46-47), anche se la chiamata ufficiale avverrà solo nell’aprile 1926 (Nisticò 1991, p. 121).
La presenza cattolica nell’opera (anche padre Agostino Gemelli aveva offerto la propria collaborazione) cominciò a farsi sentire in maniera sempre più significativa, particolarmente dopo il Concordato.
Il ruolo di Gentile nel campo dell’organizzazione culturale e dell’editoria, nonostante la perdita di egemonia all’interno del regime fascista negli anni Trenta, rimase tuttavia molto rilevante, con numerose cariche accumulate a partire al decennio precedente, tanto che ci furono frequenti segnalazioni anonime nei suoi confronti a Mussolini.
Gentile fu, infatti, presidente di centri finalizzati alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano (già esistenti, come la Commissione vinciana, o creati dal fascismo, come il Centro nazionale di studi manzoniani e la Domus galileiana), di organismi quali l’Istituto interuniversitario italiano, fondato nel 1923 per la diffusione della cultura italiana fra gli stranieri venuti nel Paese, e di istituzioni nate nel contesto dei mutamenti che si stavano avviando a livello internazionale e dei rapporti dell’Italia con altri Paesi. Tra queste istituzioni, l’Istituto italiano di studi germanici di Roma, dipendente dall’INFC e il cui presidente doveva essere il medesimo di quello, mentre ne era direttore il titolare della cattedra di letteratura tedesca all’Università di Roma, Giuseppe Gabetti. Collegato a un analogo organismo tedesco a Colonia, nasceva con l’obiettivo di far conoscere la cultura tedesca in Italia; così affermava Gentile all’inaugurazione dell’Istituto, il 3 aprile 1932:
Oggi è la volta dei popoli germanici, dei quali la lingua, la poesia, il pensiero già sempre studiammo; ma vogliamo conoscerne compiutamente ogni scienza ed arte, e la storia e gli uomini che oggi onorano questi popoli (L’Istituto italiano di studi germanici, «Educazione fascista», 1932, 4, poi in Politica e cultura, 2° vol., cit., p. 417).
Un altro importante istituto da lui presieduto – che come quello per gli studi germanici avrebbe proseguito la propria attività negli anni del dopoguerra – fu l’Istituto italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, nato a Roma nel 1933 per promuovere i rapporti culturali con i Paesi asiatici.
Un settore dove il ruolo di Gentile si manifestò attivamente fu quello della riorganizzazione degli istituti di studi storici. Nel marzo 1932 fu nominato presidente del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento, le cui funzioni furono in parte trasferite alla Società nazionale per la storia del Risorgimento, che aveva subito un processo di fascistizzazione con l’espulsione degli esponenti liberali e la presidenza di Cesare Maria De Vecchi. Il Comitato nazionale, al quale era annessa dal 1925 la Scuola di storia moderna e contemporanea diretta da Volpe, fu trasformato in Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, di cui Gentile divenne commissario nell’ottobre 1934. Anche in questo caso si trattò, come affermò nel febbraio 1935 in una relazione indirizzata al ministro dell’Educazione nazionale, De Vecchi, di trasformare una vecchia istituzione in
un Istituto vivo, che, oltre custodire, ravvivasse la storia recente di questa nostra Italia risorta col Fascismo a più alta coscienza di sé e del suo passato; e per ravvivarla studiasse metodicamente, scientificamente, nell’ampio quadro dell’età moderna la storia del Risorgimento (Dal Comitato Nazionale per la storia del Risorgimento al R. Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea, relazione a S.E. il Ministro della Educazione Nazionale, poi in Politica e cultura, 2° vol., cit., p. 424).
Con lo stesso spirito Gentile assumeva la presidenza o la direzione di organismi che avevano lo scopo di rivalutare la tradizione italiana, portata nuovamente in primo piano grazie al regime fascista e al sostegno nei confronti di organismi e iniziative culturali. Oltre a essere direttore di edizioni nazionali (epistolario di Vincenzo Gioberti, scritti di Giuseppe Mazzini, opere di Ruggiero Bonghi e di Francesco Petrarca), assunse la direzione di numerose riviste (da quella dell’INFC agli «Annali della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa»), che riteneva anch’esse strumento fondamentale per la politica culturale del fascismo e della battaglia sul piano filosofico sua e dei suoi allievi, come fu in particolare il «Giornale critico della filosofia italiana», di cui era redattore Ugo Spirito. In precedenza, aveva collaborato con Croce alla direzione della «Critica», dal 1903 – quando era stata fondata – fino al 1923.
La presenza di Gentile nel campo editoriale risaliva alla prima fase della sua attività e della stretta collaborazione con Croce. In primo luogo nella casa editrice Laterza di Bari, per la quale diresse, con Croce, le collane Classici della filosofia moderna e Scrittori d’Italia, e, da solo, Filosofi antichi e medievali. Nel 1920, presso l’editore barese fu avviata la stampa della collana Scritti filosofici di Giovanni Gentile. Gentile e i suoi allievi furono legati anche ad altre case editrici, in particolare alla Sandron di Palermo, che pubblicò diversi testi del filosofo siciliano relativi alle questioni pedagogiche e alle polemiche sulla scuola di inizio secolo e del periodo in cui sarà ministro della Pubblica Istruzione.
Nel dopoguerra, i rapporti di Gentile con la Laterza si logorarono progressivamente, a causa delle divergenti posizioni politiche con Croce di fronte al fascismo, tanto che nel 1923 venne interrotta la pubblicazione della citata collana sui suoi Scritti filosofici. L’occasione della rottura definitiva fu causata, nel 1928, dalla pubblicazione della Storia d’Italia dal 1871 al 1915: Gentile non accettò che in quest’opera Croce affermasse che «il cosiddetto idealismo attuale» si era svelato sempre più apertamente «come un complesso di equivoche generalità e un non limpido consigliere pratico» (2004, a cura di G. Talamo, A. Scotti, p. 244). La giudicò «una frase equivoca, che è una vera insinuazione maligna e spregevole contro di me», e che non poteva esser lasciata passare «sotto silenzio» (lettera a Giovanni Laterza, 27 gennaio 1928, in Laterza: un secolo di libri, 1885-1985, 1989, p. 28); pose quindi il problema all’editore, che tentò una mediazione con Croce perché modificasse la frase incriminata in una ristampa, ma senza successo. Il 30 gennaio Gentile rispose allora a Laterza di non poter
ammetter che un editore mio amico pubblichi un libro in cui si fa strazio del mio onore insinuandosi che la mia dottrina non è limpida consigliera pratica, come se io avessi commesso scorrettezze fuorviato dalla mia falsa filosofia (p. 28).
Il filosofo mise fine così alla propria collaborazione con la casa editrice.
Nel corso del ventennio fascista, Gentile non solo ebbe rapporti con numerosi editori, ma acquisì anche proprietà e controlli finanziari. Nel mondo editoriale fiorentino, sul quale – come scrisse Adolfo Omodeo a Ernesto Codignola il 6 marzo 1932 – estese «il suo trust» «come una piovra da romanzo salgariano» (cit. in Turi 1995, p. 452), fu protagonista di un complesso movimento economico-finanziario, che lo portò a essere presente nel 1934-36 contemporaneamente nei consigli di amministrazione delle case editrici Sansoni, Bemporad e Le Monnier, fin quando, nel 1937, con la sua famiglia acquisì la totalità delle azioni della Sansoni. Qui un ruolo significativo lo ebbero i figli Federico e Fortunato, quest’ultimo responsabile della filiale aperta a Roma.
Nel corso degli anni Trenta la casa editrice Sansoni – pur mantenendo la sua fisionomia – divenne uno dei settori cardine dell’attività di Gentile, uno strumento per la diffusione del pensiero filosofico della sua scuola e per la trasmissione della sua interpretazione della cultura e della storia d’Italia. Al tempo stesso fu sostenuta una politica editoriale atta a garantire la casa editrice dal punto di vista commerciale. Oltre al mercato dei libri scolastici, dove già la Sansoni era presente, furono avviate numerose pubblicazioni promosse in collaborazione con enti e istituti che le avrebbero sovvenzionate, o che avrebbero potuto ottenere finanziamenti ministeriali. La Sansoni divenne la casa editrice delle istituzioni dirette o presiedute da Gentile, di istituti di carattere politico o universitario di vecchia data o di nuova formazione, come l’Istituto superiore di scienze sociali e politiche Cesare Alfieri di Firenze e la Scuola di scienze corporative dell’Università di Pisa. Differentemente dal passato, nel catalogo apparvero testi e collane a carattere divulgativo e legati a questioni politiche attuali.
Gentile aumentò il numero dei testi di filosofia, anche con l’acquisizione del «Giornale critico della filosofia», e varò la nuova collana Civiltà europea che, sulla base di un modello enciclopedico, prevedeva la pubblicazione in 30 volumi di «una storia della civiltà europea scritta in Italia da italiani»:
La storia patria – scriveva – se vuole aggiornarsi, deve ormai salire a più alto punto di vista, e senza cessare di essere italiana, anzi, per essere più veramente italiana, deve diventare storia europea (Catalogo del 1932 postillato da Giovanni Gentile, in Testimonianze per un centenario, 1° vol., Contributi a una storia della cultura italiana 1873-1973, 1974, p. 254).
La casa editrice infine prese in carico l’edizione delle sue Opere complete.
Il ruolo di Gentile nelle istituzioni culturali e nel settore editoriale sarebbe, dunque, rimasto significativo nonostante le profonde differenziazioni con alcuni settori del PNF. La sua posizione di fedeltà al regime e a Mussolini, costruttore dello Stato totalitario, peraltro non venne mai meno. Come ebbe a scrivere:
Lo Stato di Mussolini è forza; ma è forza perché è idea. È concetto dell’uomo e del mondo, e quindi programma totalitario di vita, così pel singolo come per la nazione (Parole preliminari, «Civiltà fascista», 1934, 1, poi in Politica e cultura, 2° vol., cit., p. 288).
La sua adesione convinta non venne meno neppure dopo l’entrata dell’Italia in guerra, né quando per le potenze dell’Asse cominciò a profilarsi sempre più netta la sconfitta. Anzi, sarà proprio la drammatica situazione del Paese a spingerlo a esigere che la popolazione si stringesse nuovamente attorno al regime e ai suoi alleati: nel Discorso agli italiani, tenuto in Campidoglio il 24 giugno 1943, Gentile, nel nome della «fede nella Patria immortale», rivolse un appello a tutti gli italiani perché fossero
fedeli alla madre antica; disciplinati, concordi, memori della responsabilità che viene a voi dall’onore di essere Italiani; risoluti di resistere, di combattere, di non smobilitare gli animi finché il nemico vi minacci, e dubiti della vostra fede e del vostro carattere (p. 208).
Per tali motivi dopo l’8 settembre aderì alla Repubblica di Salò, accettando la nomina, propostagli da Mussolini, a presidente dell’Accademia d’Italia, «uno dei premi più ambiti che potessero toccare alla mia vita scientifica e politica tutta dedicata al bene della Patria», come gli scriveva il 26 novembre 1943 (cit. in Turi 1995, p. 509). Commemorando il bicentenario vichiano, il 19 marzo 1944, Gentile rivendicò la «resurrezione di Mussolini», grazie alla quale era «risorta l’Italia di Vittorio Veneto» e indicò l’Accademia d’Italia come esempio di un’istituzione che intendeva «sopravvivere all’onta dell’8 settembre» (L’Accademia d’Italia e l’Italia di Mussolini, poi in Politica e cultura, 2° vol., cit., pp. 478-79). Il filosofo ebbe l’incarico di riordinare l’Accademia della Crusca, per l’Accademia d’Italia approntò una riforma, approvata dal governo nel marzo 1944, con la quale fu ripristinata l’Accademia dei Lincei, soppressa nel 1939.
Fu con lo stesso desiderio che ci si raccogliesse attorno alla patria «smarrita» che accettò la direzione della «Nuova Antologia», che, come l’Accademia d’Italia, fu trasferita a Firenze. La cultura e gli strumenti culturali, ancor più in quella fase di guerra e di sconfitta, dovevano svolgere la loro funzione: di fronte alla «discordia che ci dilania» – scriveva nell’articolo inaugurale della nuova fase della rivista – era alla cultura che toccava il compito di divenire lo «strumento di fusione degli spiriti» (Ripresa, 1° genn. 1944, poi in Politica e cultura, 2° vol., cit., pp. 474-75).
In una lettera scritta il 27 novembre 1943 alla figlia Teresa, così aveva motivato le scelte compiute e la presidenza dell’Accademia d’Italia, coerentemente con il proprio passato, nel quale aveva sostenuto il fascismo e al tempo stesso protetto e aiutato gli studiosi e gli allievi antifascisti:
Non accettarla sarebbe stata suprema vigliaccheria e demolizione di tutta la mia vita […]. E poi io profondamente desidero che si vinca; che l’Italia risorga col suo onore; che la mia Sicilia sia alla mia morte la Sicilia italianissima in cui nacqui e in cui sono seppelliti i miei genitori. Aspettare, tappato in casa, che maturino gli eventi è il solo modo che ci sia di compromettersi gravemente. Bisogna marciare come vuole la coscienza. Questo ho predicato tutta la vita. Non posso smentirmi ora che sto per finire (cit. in Turi 1995, p. 511).
E.R. Papa, Fascismo e cultura, Venezia 1974, pp. 174 e segg.
A. Vittoria, Gentile e gli istituti culturali, in Tendenze della filosofia italiana nell’età del fascismo, Atti del Convegno di studi, Livorno 1983, a cura di O. Pompeo Faracovi, Livorno 1985, pp. 115-44.
G. Pedullà, Il mercato delle idee. Giovanni Gentile e la Casa editrice Sansoni, Bologna 1986.
G. Nisticò, Materiali per una storia dell’organizzazione disciplinare dell’Enciclopedia Italiana, «il Veltro», 1991, 1-2, pp. 117-23.
G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze 1995, pp. 202 e segg., 212 e segg., 220 e segg., 368 e segg., 446 e segg.
1925-1995. La Treccani compie 70 anni. Mostra storico-documentaria, catalogo della mostra, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1995 (in partic. G. Paoloni, Il progetto di Enciclopedia Nazionale, pp. 3-27; M. Crasta, L’editoria italiana negli anni Venti, pp. 29-49; M. Crasta, Giovanni Treccani, pp. 51-68; G. Belardelli, L’Enciclopedia Treccani, pp. 69-161; G. Nisticò, Organizzazione scientifico-editoriale, pp. 163-93).
Giovanni Gentile. La filosofia, la politica, l’organizzazione della cultura, Atti del Convegno di studi, Roma, 20-21 maggio 1994, a cura di M.I. Gaeta, Venezia 1995 (in partic. H.A. Cavallera, L’organizzazione del sapere ovvero la prassi come formazione, pp. 92-117; P. Chiarini, Giovanni Gentile e l’Istituto di studi germanici, pp. 150-55; G. Gnoli, Giovanni Gentile fondatore e presidente dell’Ismeo, pp. 165-73).
G. Longo, L’Istituto nazionale fascista di cultura. Da Giovanni Gentile a Camillo Pellizzi (1925-1943). Gli intellettuali tra partito e regime, Roma 2000.
G. Turi, Il mecenate, il filosofo e il gesuita. L’“Enciclopedia Italiana” specchio della nazione, Bologna 2002.
G. Belardelli, Il Ventennio degli intellettuali. Cultura, politica, ideologia nell’Italia fascista, Roma-Bari 2005, pp. 4-26 e 43-48.