Gentile e l’Istituto della Enciclopedia Italiana
Dei molti istituti ideati, presieduti, riformati da Giovanni Gentile a partire dal 1925, che gli conferirono il ruolo di intellettuale organizzatore della cultura, l’Istituto della Enciclopedia Italiana rappresentò il banco di prova. Come direttore scientifico del progetto della Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti all’Istituto Giovanni Treccani, il filosofo di Castelvetrano vi restò legato fin oltre il compimento dell’opera – che ebbe termine con la pubblicazione del trentacinquesimo volume nel 1937, completo di un trentaseiesimo di Indici pubblicato nel 1939, e con il primo di Appendici nel 1938 –, finché nell’estate del 1943, all’indomani della caduta di Benito Mussolini e del fascismo, assente Gentile (che si trovava a Firenze e poi a Troghi) e ignaro della imminente decisione, il governo di Salò decise il commissariamento straordinario dell’Istituto della Enciclopedia Italiana (con la nomina di Guido Mancini che ne assunse la direzione) e il suo smantellamento e trasferimento a Bergamo (nel mese di ottobre), nella terra della Repubblica sociale italiana. La storia della Enciclopedia Italiana in quel suo epilogo sembrò mostrare, in un quadro altrettanto drammatico della storia nazionale, che l’auspicio degli inizi si era volto nel suo risultato contrario: l’Italia era stata spezzata in due e gli italiani si trovavano divisi e in guerra tra loro. In quei frangenti, nei quali si espressero le ultime e più crude convulsioni del fascismo, Gentile, sollecitato da Carlo Scorza (ultimo segretario del Partito nazionale fascista), era tornato a esporsi pubblicamente con un avventuroso Discorso agli italiani in Campidoglio (24 giugno 1943), nel quale il fascismo – ormai scomposto e sfaldato nel suo gruppo dirigente e divenuto motivo di forte disillusione e contrapposizione per molti italiani – era chiamato, al di fuori di ogni realistica attualità, a restaurare un orizzonte comune di concordia nazionale.
Come conseguenza di tanta inattualità, Gentile si ritrovò isolato, turbato e impotente al centro di attacchi mossi contro di lui da ogni direzione, ma ciò non gli impedì di ribadire ancora una volta la scelta in favore del fascismo ricostituito a Salò e di accettare la presidenza dell’Accademia d’Italia (dal 1° dicembre 1943). Gli fu vicino in quei momenti l’amico Fortunato Pintor, bibliotecario del Senato e responsabile della sezione biblioteca, e che affiancò Stefano La Colla presso quella raccolta all’Istituto Giovanni Treccani, dal 1929 caporedattore con la cura dell’Ufficio schedario destinato al progetto di un grande Dizionario biografico degli Italiani, già avviato con l’Enciclopedia Italiana, ma rimasto in sospeso negli anni del secondo conflitto mondiale e il cui primo volume vide la luce soltanto nel 1960. Fu lui a registrare, nella corrispondenza dei mesi che vanno da luglio 1943 a gennaio 1944, il tono sentimentale di quel giro di avvenimenti, l’amarezza di fronte al crollo «degli uomini e delle cose in cui [Gentile aveva] avuto fede», il clima di incertezza e di sconcerto subentrato a palazzo Canonici Mattei di Paganica, la decisione di portare sacchi di documentazione della direzione scientifica a casa Gentile, il rischio di perdere con lo smembramento dell’Istituto il frutto e il futuro di un lavoro di mole enorme, l’intervento che riportò in sede un vagone già partito di carte, la constatazione di un buco di bilancio di circa dieci milioni di lire spariti dalle casse dell’amministrazione, fino, anche, al rifiuto cortese ma fermo di seguire Gentile come segretario all’Accademia d’Italia, perché in un clima di guerra civile era un compito che richiedeva «una fondamentale conformità di idee e di sentimenti» (Carteggio. 1895-1944. Gentile-Pintor, a cura di E. Campochiaro, 1993, pp. 416-34). Né ebbero maggior successo gli ultimi avvertimenti fraterni di Giuseppe Lombardo-Radice, che fin dal 1922 aveva espresso le sue «preoccupazioni rispetto al fascismo» e nel 1925 aveva chiuso con fermezza ogni possibilità alla sua partecipazione alla Enciclopedia Italiana (Lombardo-Radice a Gentile, Catania, 31 ott. 1922; Quercianella, 5 sett. 1925; Roma, 8 apr. 1925, Archivio della Fondazione Giovanni Gentile, Fondo Giovanni Gentile, serie 1, sottoserie 1).
In quelle estreme circostanze Gentile ripeté la sua presa di posizione, che era per sé coerente con l’adesione al fascismo di vent’anni prima, ma che in quel momento – venti anni dopo e in un Paese dilaniato e occupato – era anche espressione della volontà di sottrarre a quella posizione il suo carattere fazioso e di parte. In questo senso la ‘ricostruzione’ (G. Gentile, Ricostruire, «Corriere della sera», 28 dic. 1943, poi in Id., Politica e cultura, a cura di H.A. Cavallera, 2° vol., 1991, pp. 209-12) che faceva appello a tutti gli italiani, la pacificazione stretta nell’equazione di popolo italiano e fascismo, non poté che apparire quel che effettivamente fu: non l’anticipazione di una possibile conciliazione postfascista, ma una provocazione che dirigendosi verso il conflitto delle parti era gesto di offesa aperta al campo degli antifascisti e che tanto meno riusciva a vincere l’immagine del carattere cruento, vessatorio, uscito da ogni controllo, delle azioni militari tedesche, dei fascisti repubblicani, delle bande e dei singoli che in quell’ombra cupa agivano ciascuno come arbitro di sé. Il registro ambivalente fu infine fatale a Gentile, che venne ucciso sulla soglia della sua dimora fiorentina da un commando dei Gruppi di azione patriottica (GAP) il 15 aprile 1944.
Nel 1924, quando prese in mano il progetto di una grande enciclopedia nazionale, nel quale era coinvolto Giovani Treccani, Gentile era ministro dimissionario della Pubblica Istruzione nel primo gabinetto Mussolini e autore di una contrastata riforma della scuola. Nel concludere, senza più rinnovarla, la sua carriera strettamente politica, ebbe ben chiaro quale dovesse essere la posta in gioco, nell’immediato e di più lunga prospettiva. Poche pagine autografe, redatte sul verso di carta intestata «R. Scuola Normale Superiore/Palazzo dei Cavalieri/Pisa», probabilmente destinate alla composizione di un’autobiografia mai edita, che recano il titolo Introduzione. Esame di coscienza, restituiscono un’essenziale autorappresentazione del modo nel quale Gentile volle stringere in una linea unitaria di svolgimento l’universo degli studi dal quale era provenuto, nel quale aveva affermato il suo originale indirizzo di pensiero dell’idealismo attuale e dove, senza interruzioni, continuò a esercitare la sua funzione di professore (tenne l’ultimo corso di lezioni all’Università di Roma nell’a.a. 1942-43), e l’opera più vasta, di innervare di nuove istituzioni la vita culturale nazionale, che agli studi lo avrebbe in parte certamente sottratto, e nella quale rappresentò anche i termini della propria assunzione di responsabilità nei riguardi della sua militanza politica (Archivio della Fondazione Giovanni Gentile, serie 4, Appunti per volumi).
Gentile ripartì in cinque capitoli la materia del suo sguardo retrospettivo. La stesura dei temi del primo capitolo registra una tendenza a coniugare i due aspetti più caratteristici del suo impegno filosofico e segna in un’unica linea «Riforma della pedagogia – e della filosofia»; nella meditazione sulla filosofia di Bertrando Spaventa individua il nerbo per la ricostruzione di una tradizione filosofica italiana («Il mio Spaventa e la filosofia italiana»); e dopo aver tracciato due linee per «Filos.[ofia] politica [vita]» e per «Attualismo e rif.[orma della] dial.[ettica] hegeliana», la quinta riga antepone l’impegno condotto intorno al concetto della pedagogia come scienza dell’uomo e come filosofia a quello sulla storia della filosofia in Italia, riportando i titoli delle due riviste che quelle esigenze ospitarono, «I Nuovi doveri e la Critica (B. Croce)». Conclude il capitolo un’annotazione più discorsiva, che individua il bisogno ancora oscuro sul quale si era radicata l’esigenza di una migliore chiarificazione concettuale: «Mia educaz.[ione] religiosa, e bisogni critici». In questi appunti – composti intorno al 1937 – Gentile dispose in primo piano l’interesse pedagogico come un punto di concentrazione e di irradiamento del suo più spiccato interesse filosofico, e che, tuttavia, soltanto in relazione con un più ampio esercizio di critica filosofica aveva potuto occupare, con originalità, quel centro.
I capitoli seguenti, dal secondo al quarto, sono concepiti come uno svolgimento delle opere che in quello spirito Gentile intese realizzare: nell’ordine, la riforma scolastica del 1923, il fascismo, l’iniziativa culturale. Il fulcro di questi capitoli è nell’esperienza decisiva di ministro. Per concludere in un quinto capitolo di bilancio, dove accanto a motivi più spiccatamente autobiografici, i titoli del terzo rigo danno prova di qualche considerazione che distacca l’esperienza dell’io nella posizione di un sé investito di significati ulteriori: «Il pubblico, la fama, la sopramondanità». Un ultimo rigo, preceduto dalla considerazione delle asprezze, dei nemici, dei profittatori, dei piaggiatori termina l’intero capitolato con «La pazienza del filosofo».
Il bilancio dell’esperienza di ministro – che, benché circoscritta nel tempo, non fu una parentesi bensì il punto di slancio del suo nuovo impegno nella cultura – fu controverso. Nel fascismo Gentile firmava la prima riforma scolastica che in Italia assegnava un profilo organico e unitario all’assetto degli studi di ogni grado, ma lo spirito del fascismo non si accordava con quello della legislazione appena decretata. Osservatore di una ideologia confusamente patriottica nella quale convergevano schegge di irredentismo, militarismo, spiritualismo, attivismo, nazionalismo, antintellettualismo, in una futuristica esaltazione del nuovo che nel luogo politico del governo e del parlamento, e non più soltanto nell’ombra di spedizioni serali extraistituzionali, si tingeva delle tinte fosche e violente che avevano portato nel 1924 all’omicidio del deputato Giacomo Matteotti, anche Gentile collocò nel nuovo, e cioè nel fascismo, la sua posizione di un «fascismo della cultura» (G. Gentile, Discorso inaugurale dell’Istituto nazionale fascista di cultura, letto in Campidoglio il 19 dic. 1925, pubblicato con il titolo Il fascismo nella cultura, in Id., Politica e cultura, a cura di H.A. Cavallera, 1° vol., 1990, p. 96). Legò il suo nome alla realizzazione di due opere: la riforma scolastica e la prima grande Enciclopedia Italiana, la cui esigenza e gestazione provenivano da lontano e che avevano messo in luce il carattere ristretto ed elitario della cultura politica dello Stato liberale uscito dal Risorgimento italiano. E se furono opere, anche, del fascismo, non riuscirono tuttavia come opere soltanto fasciste – i socialisti e i comunisti vi videro opere borghesi o classiste – e furono, in realtà, come una coperta tirata da molti lati.
Nel 1925 Gentile ordinò la sua attività in tre principali direzioni. Costituito l’Istituto Giovanni Treccani, partecipò al progetto della Enciclopedia Italiana, che del suo fondatore e presidente prese il nome, e che era diretta a compiere «opera nazionale». Assunse inoltre la presidenza dell’Istituto nazionale fascista di cultura e nel suo già menzionato discorso di presentazione espose le ragioni che collocavano l’ispirazione e il centro della nuova istituzione in un contesto esterno all’adesione organica a un contenuto o ideologia o programma di una cultura fascista preesistente – provando così a guadagnare margini di libertà nei confronti dell’identificazione del fascismo con il partito fascista –, ferme restando tuttavia la condivisione di un’idea e la convinzione di essere chiamati a vivificare di opere lo stesso spirito del tempo dal quale questa idea era scaturita. Che era anche il modo nel quale Gentile concepì nel fascismo l’orizzonte storico e ideale in cui sarebbero dovute convenire tutte le fedi e le tradizioni culturali che nell’adesione del presente consumavano il disvalore del loro passato. Del liberalismo, della democrazia, del socialismo, il fascismo doveva rappresentare non la negazione, ma la Aufhebung e la rifondazione (G. Gentile, Politica e cultura, 1° vol., cit., pp. 256-72).
Era la ragione di quel difficile argomento per il quale non era la cultura a dover essere fascista, ma gli intellettuali, sì, dovevano dirsi fascisti. Infine, nel gennaio dello stesso anno Gentile istituì all’Università di Roma la Scuola di filosofia. Alle accuse di chiusura, di accademismo e «chiesucola», di costume «professorale» e interesse praticistico, che Croce rivolgeva al suo attualismo (B. Croce, Filosofia e accademismo, «La Critica», 1924, 22, pp. 317-20), Gentile oppose la considerazione che la sua filosofia non era il patronimico di una discendenza più o meno allargata di neofiti (intervenne in sua difesa, sviluppando il tema, Adolfo Omodeo, «Giornale critico della filosofia italiana», 1924, 5, pp. 447-52). Con queste opere egli intese dare struttura e promuovere un allargamento di prospettiva che sempre erano mancati nell’atteggiamento intellettuale italiano, che di opere collettive non aveva potuto concepire il valore; che ai fascisti chiedeva di non essere setta di tesserati ma italiani; che della Scuola faceva un punto di raccordo e di organizzazione di varie discipline, non soltanto filosofiche.
L’idea di una grande enciclopedia nazionale non era nuova e questo, nel 1925, rappresentò la sua forza. Era vissuta negli intenti di inizio secolo degli editori Emilio Treves, Domenico De Marsico e Pietro Barbera. Nel primo dopoguerra fu ripresa dal deputato liberale interventista Ferdinando Martini e dallo storico Mario Menghini, che ne tentarono la realizzazione coinvolgendovi la Società italiana per il progresso delle scienze, presieduta da Vito Volterra e amministrata dal direttore della Banca d’Italia Bonaldo Stringher. Tra forti difficoltà finanziarie, si registrarono la rinunzia e il ritiro dell’editore Bemporad e il compito venne ereditato da Angelo Fortunato Formiggini, editore in Roma, ideatore versatile e attento alla diffusione dell’informazione libraria, che nel 1922 prese le redini del progetto della Grande enciclopedia italica, intorno al quale registrò la convergenza di mille tra editori, librai e periodici disponibili a diventare azionisti del costituendo Consorzio italiano editori e librai.
Gentile era l’inevitabile osservatore e interlocutore di un progetto che mirava, per la prima volta e in forte ritardo rispetto a pressoché tutte le nazioni europee, e ormai del mondo, a offrire in una enciclopedia nazionale uno strumento di orientamento, all’interno e all’esterno, «di quel che in Italia e pel mondo [era] italiano» (prefazione alla Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti, 1° vol., 1929, p. XIV; poi in Politica e cultura, 2° vol., cit., p. 359). Avvertì tuttavia nelle titubanze degli editori che vi si erano provati, per il gravoso impegno economico di un’impresa che di molto tempo avrebbe dovuto disporre prima di raccogliere il suo frutto, un’altrettanto forte esitazione a definirne il carattere. Intuì che lo sforzo generoso profuso da Formiggini non era pari all’idea di un’opera che, per conseguire un successo che la ponesse nel novero dei più affermati e imitati Larousse, Brockhaus e Meyers Konversations-Lexikon, Encyclopaedia britannica, dovesse possedere una sua fisionomia. Anche Croce, interpellato da Formiggini, aveva messo in guardia dal rischio di fare un’opera eclettica e sottolineato l’importanza della componente strettamente ideativa del progetto perché «una Enciclopedia [doveva] avere un’anima sua, una sua coerenza», e Gentile non pensava diversamente (A.F. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo, 1923, pp. 161 e 179-212).
Nella sua posizione di ministro Gentile tolse ogni indugio, accentuò una sua più diretta influenza sulla Fondazione Leonardo, che dell’impresa enciclopedica avrebbe dovuto essere il propugnatore finanziario, prima vi introdusse Martini, in seguito avallò l’estromissione di Formiggini; contemporaneamente promosse la costituzione dell’Istituto nazionale di cultura, che sarà da lui presieduto. È probabile che Gentile presentisse e intendesse armonizzare d’anticipo un dissidio, inevitabile, tra l’opera che doveva essere espressione della cultura nazionale e l’opera di politica culturale del Partito fascista e che i due incarichi autorizzassero in lui un duplice ruolo, nel direttore scientifico dell’Enciclopedia anche quello di arbitrato politico che la carica di presidente dell’Istituto gli conferiva, ponendo l’opera al riparo di altra ingerenza diretta di partito.
A questo ‘metodo della Enciclopedia’, che nelle istituzioni culturali riteneva di dover far conto su qualità e competenza di coloro che vi chiamava alla guida e alla collaborazione, Gentile si attenne sempre, e in questo poté riuscire per il filo diretto stabilito con Mussolini, il quale nell’ottobre 1928 gli fece anche dono di un ritratto fotografico con dedica «Al Sen. Giovanni Gentile con augurio per le sorti dell’Enciclopedia. Mussolini» (Archivio della Fondazione Giovanni Gentile, Fondo Giovanni Gentile, serie 8, Iconografia). Fu il governo a favorire il corredo cartografico fornito dal Touring Club Italiano. Negli anni segnati dalla crisi economica del 1929, fu ancora il governo ad agevolare un finanziamento della Banca d’Italia, e nel 1931 venne costituita la società editoriale Treves-Treccani-Tumminelli con l’Anonima libraria di Ettore Bocconi, che per due anni, tra il 1931 e il 1933, stampò i volumi della Enciclopedia Italiana. Nel 1931 Gentile sottopose a Mussolini il suo piano di vendite, rivolto a prefetture, enti locali, organizzazioni di partito, per ripianare con diecimila abbonati sicuri il pareggio di bilancio. Le difficoltà finanziarie portarono infine, nel 1933, alla trasformazione dell’Istituto, fin lì privato e di proprietà Treccani, nella società anonima per quote (il fondo di dotazione di 25 milioni di lire, firmato alla presenza di Mussolini a palazzo Venezia il 30 giugno 1933, fu ripartito tra Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena, Istituto nazionale delle assicurazioni, Istituto poligrafico dello Stato), che diede vita all’«Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani» (con decreto 24 giugno 1933 nr. 669, convertito con l. 11 genn. 1934 nr. 68). L’Istituto era presieduto da Guglielmo Marconi, presidente dell’Accademia d’Italia, vicepresidenti Treccani e Gentile, che ne restò anche direttore scientifico, e amministrato da Domenico Bartolini (Turi 2006, pp. 450-51; Cavaterra 2014, pp. 57-60).
L’occasione che aveva propiziato la nascita della Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti e assicurato all’impresa ampiezza, solidità di risorse, caratteristiche tecniche all’altezza delle più moderne esigenze tipografiche e iconografiche, era stato l’incontro di Gentile con Giovanni Treccani degli Alfieri. In un articolo del 1938 destinato alla sezione italiana della rivista del Rotary Club, ripreso in un più lussuoso volume edito l’anno successivo (G. Treccani degli Alfieri, prefazione a Enciclopedia Italiana Treccani. Idea, esecuzione, compimento, 1939), Treccani tornò all’origine, come a porre il suggello di un percorso che era stato lungo ma puntuale, che era iniziato sotto la sua più diretta responsabilità e proprietà e che nel tempo aveva incontrato serie modificazioni di assetto giuridico e amministrativo che però non impedirono che il suo nome rimanesse indissolubilmente legato all’opera. Tornò alla sua motivazione di imprenditore nell’industria tessile, persuaso dalla sua stessa esperienza personale che il destino dell’industria doveva tutto allo sviluppo della scienza, che il capitale dovesse svolgere una funzione sociale e giovare alla cultura e alla scienza, che la vita della fabbrica dovesse svolgersi all’insegna di un certo coinvolgimento degli operai, in una visione armonizzante e filantropica, che tendeva a contenere e depotenziare la politicizzazione del conflitto di classe tra operai e capitale.
Se il primo intento con il quale si era avvicinato al capo del governo, nel 1923, era stato quello di dar vita a una Fondazione Giovanni Treccani per l’incremento degli studi scientifici in Italia, aveva accettato di fare un passo indietro in quel suo proposito e uno in avanti, più dispendioso, per l’acquisto della Bibbia miniata di Borso d’Este, che donò allo Stato e gli valse nell’immediato il plauso di «mecenate», poi la nomina a senatore del Regno (novembre 1924), particolarmente sostenuta da Gentile, il quale ne suggerì la preferibilità rispetto al riconoscimento nobiliare di «conte» (titolo di cui Treccani fu insignito, in ogni caso, nel 1937) ventilata da Gabriele D’Annunzio. Dall’autunno del 1924 Gentile, Treccani e l’editore Calogero Tumminelli studiarono ed emendarono il «Progetto di [Menghini]-Martini-Stringher» fino a definire il quadro completo delle condizioni ideali, materiali, tecniche, operative, la prima rete di collaboratori, e fu avviato il nuovo progetto di una Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti (Treccani a Gentile, Milano, 15 sett. 1924; Milano, 16 apr. 1940, Archivio della Fondazione Giovanni Gentile, Fondo Giovanni Gentile, serie 1, sottoserie 2).
Il 18 febbraio 1925 fu istituito a Roma l’Istituto Giovanni Treccani. Il suo statuto ne definiva la natura di ente interamente privato, finanziato, amministrato e presieduto dal suo fondatore (artt. 4 e 5), con lo scopo di interesse culturale e nazionale della pubblicazione di una grande Enciclopedia Italiana, scritta dai più competenti in Italia su ogni settore, aperta al contributo straniero su materie specifiche, governata da un alto concetto di quello che era stato ed era il carattere della civiltà italiana nel mondo e dal desiderio che tutte le migliori forze intellettuali della nazione fossero messe a profitto in un’opera che, sotto il riguardo scientifico e nazionale, fosse degna del popolo italiano (art. 2); definiva la complessione dell’opera in 32 volumi in 4° grande di circa 1000 pagine ciascuno, da pubblicare entro il 1934 (artt. 5 e 6) – ma nel 1928 fu deciso il formato in 35 volumi, pubblicati trimestralmente a partire dal primo volume del 1929. Il governo dell’Istituto era affidato (art. 10) a una giunta composta dal presidente, da un direttore scientifico (Gentile) e da un direttore editoriale (Tumminelli) – la prima giunta consultiva comprese anche Gian Alberto Blanc, Alberto De Stefani, Mario Donati, Ugo Ojetti, Vittorio Grassi. Dell’alta direzione morale dell’Istituto era incaricato un consiglio direttivo di non meno di dodici membri oltre il presidente (art. 11) – il primo incluse Pietro Bonfante, Luigi Cadorna, Gaetano De Sanctis, Luigi Einaudi, Federigo Enriques, Francesco Ruffini, Francesco Salata, Ferdinando Martini, Angelo Sraffa, Paolo Thaon Di Revel, Silvio Longhi, Ettore Marchiafava, Vittorio Scialoja. Lo statuto stabiliva che la raccolta dei materiali dell’Enciclopedia competesse al direttore scientifico e a un comitato tecnico, composto dai direttori delle diverse sezioni corrispondenti ai rami principali delle materie da trattare (art. 10) – fu istituito un numero variabile di sezioni, da 48 a 52 o 53 – e definiva l’ispirazione dell’Istituto: «L’Istituto s’ispira bensì alla coscienza del glorioso popolo italiano e degli alti destini a cui esso può e deve aspirare; ma è apolitico nel senso assoluto della parola» (art. 4).
Quest’ultimo articolo desta a ogni rilettura una certa perplessità per il suo forte tenore retorico, attutito nel manifesto di presentazione della Enciclopedia Italiana seguito da una prima lista dei collaboratori in un volumetto a stampa senza data (Enciclopedia Italiana, pubblicata sotto l’alto patronato di S.M. il re d’Italia. Saggio del testo e delle illustrazioni, 1925) e poi nella prefazione all’opera del 1929, dove era rimesso a una più pacata considerazione dell’unico esempio italiano – la grande Enciclopedia popolare di Giuseppe Pomba – che potesse dirsi precursore del nuovo che s’intendeva realizzare. Vi era, dunque, sia traccia dell’interpretazione storiografica di Gentile sulla incompiutezza del Risorgimento sia l’ottimismo che ne consegnava il destino al nuovo spirito del fascismo. Ma vi era anche sublimata quella particolare accezione sul limite civile del carattere della cultura italiana, che si era espresso nel contrasto tra luminosità e altezza della letteratura, delle arti, della scienza, che aveva reso il Rinascimento italiano «un’epoca della storia universale» (G. Gentile, Conferenza tenuta a Firenze, nel Salone dei Cinquecento, l’8 marzo 1925, in Id., Politica e cultura, 1° vol., cit., p. 12), e la fragilità della sua vita civile. Vi era poi la dichiarazione di apoliticità dell’Istituto, il cui fine era culturale e non di propaganda ed era nazionale nel senso che doveva ospitare e rappresentare la molteplicità delle materie, delle tendenze culturali, delle ispirazioni ideali. Era tuttavia anche l’espressione di qualcosa di più tormentato. Perché ‘apolitico’ era un termine nel quale, in quella contingenza che si avviava a consolidare in regime il fascismo – a ridosso del discorso di Mussolini pronunciato in Parlamento il 3 gennaio 1925 –, era implicita la negazione che fosse legittimo prendere posizione contro il fascismo. E vi era nondimeno anche l’idea, alla quale Gentile non poteva essere estraneo, della libertà e autonomia dell’opera culturale e del lavoro intellettuale, che egli avrebbe poi dovuto difendere con l’argomento fragile della loro ‘tecnicità’ e che, intanto, non bastavano a sé stessi e dovevano cadere nella ulteriore giustificazione della loro ‘apoliticità’.
Era un argomento debole perché il tema principale dell’iniziativa di politica culturale che, parallelamente alla nascita dell’Enciclopedia Italiana, Gentile svolse nei mesi di marzo e aprile 1925, era un j’accuse dell’intellettualismo come «malattia mortale degli intellettuali», vizio individualistico e separazione dalla vita, che il fascismo metteva a nudo perché aveva il merito «di obbligare a poco a poco tutti quelli che una volta se ne stavano alla finestra, a scendere in strada: a fare del fascismo magari contro il fascismo», come avrebbe poi dichiarato da presidente dell’Istituto fascista di cultura (Discorso inaugurale, cit., p. 93). Nella risoluzione dell’intelletto nella volontà e della filosofia nella pratica, Gentile espresse il suo affiatamento con lo spirito del fascismo, che si configurava come premessa e come destino, come fatto e come missione, come concezione totalitaria della vita e stato etico, nei quali era la nuova forma mentis a garantire l’identità concreta dell’opera del singolo con l’opera del tutto. E fu in questa ottica – il «prender la vita sul serio» (p. 107) in ogni sua manifestazione – che Gentile concepì la più ampia mobilitazione delle intelligenze disponibili, con quella apertura ai singoli che di quella serietà accettassero di dar prova e contributo, e che nel far ciò mantennero talvolta la loro personale riserva nei riguardi del fascismo. Intelligenze chiamate, come si legge nelle Avvertenze dirette ai collaboratori presentate il 26 giugno 1925, a lavorare con stretto metodo scientifico, non puramente compilativo, che realizzasse ricostruzioni storiche, profili, articoli originali, apparati bibliografici, destinati a offrire un quadro e un bilancio dello stato della cultura italiana.
Il primo Convegno degli istituti fascisti di cultura organizzato a Bologna (29-30 marzo 1925) da Franco Ciarlantini, responsabile dell’Ufficio stampa e propaganda del Partito nazionale fascista, promosse il Manifesto degli intellettuali italiani fascisti agli intellettuali di tutte le nazioni, scritto da Gentile, corretto da Mussolini, pubblicato il 21 aprile sulla stampa nazionale, destinato alla diffusione in Europa e nel mondo dell’idea del fascismo, sottoscritto dagli intellettuali convenuti a Bologna e da molti altri che vi si aggiunsero. L’editore Tumminelli ne procurò nel luglio del 1925 la stampa di un’edizione francese destinata alla più vasta circolazione europea (cfr. Gennaro 2013).
In risposta, fu pubblicato il 1° maggio sul «Mondo» il Manifesto degli intellettuali antifascisti, scritto da Benedetto Croce su invito di Giovanni Amendola e sottoscritto da 41 intellettuali, che raccolse in una decina di giorni un centinaio di adesioni e mise in luce che vi erano anche gli intellettuali antifascisti, i quali rifiutavano l’identificazione di cultura e fascismo. Croce e Gentile, che insieme avevano esercitato la più forte influenza sulla cultura italiana nel primo quarto del secolo, apparvero i capifila della sua più recente lacerazione.
Come direttore scientifico dell’Istituto, Gentile reclutava i collaboratori osservando il principio della più stretta apoliticità dell’Istituto e dell’opera. Come autore del Manifesto, affermava l’identità di cultura e fascismo. L’inconseguenza gli fu denunciata da Lombardo-Radice:
Una enciclopedia che sia cosa di tutti, cioè che rispecchi tutti gli sforzi e tutte le conquiste della cultura italiana, indipendentemente dalla adesione al credo fascista dei collaboratori, contraddirrebbe gravemente al tuo detto di Bologna e non può esser diretta da chi lo ha pronunciato (Lombardo-Radice a Gentile, Roma, 23 apr. 1925, cit.).
Guido De Ruggiero accusò il pericolo di una fascistizzazione della cultura e da allora cadde il gelo nel rapporto con il suo maestro. Quello di Croce fu un caso a sé. Una lettera formale, e piuttosto burocratica, di invito alla collaborazione al progetto della Enciclopedia Italiana la ricevette, firmata da Gioacchino Volpe e datata 5 aprile, e vi rispose opponendo il suo fermo rifiuto alla direzione di Gentile «che [aveva] testé, a Bologna, osato proclamare che la cultura [doveva] essere fascista» (Croce a Volpe, 7 apr. 1925, in Epistolario, 1° vol., Scelta di lettere curate dall’autore. 1914-1935, 1967, p. 108). Non fu né la sua prima né l’ultima parola relativa al suo coinvolgimento, che è improbabile non fosse stato tentato già prima, in una fase precoce di organizzazione dell’impresa. È difficile ritenere che il nome di Croce, del più illustre rappresentante della cultura italiana, non fosse stato avanzato tra i primissimi componenti della direzione dell’Enciclopedia Italiana (cfr. Sasso 2015). Di quell’ultima offerta, tuttavia, in un momento delicatissimo di contese ideali, nel quale il campo delle adesioni era in forte rischio di divisioni e defezioni, l’Enciclopedia Italiana aveva bisogno.
Fu lo stesso Treccani a esigere che fosse certo e accertato il quadro dei collaboratori (Treccani a Gentile, Montecatini, 18 luglio 1925, Archivio della Fondazione Giovanni Gentile, Fondo Giovanni Gentile, serie 1, sottoserie 2), tra i quali vi furono esponenti fascisti e antifascisti firmatari del Manifesto di Croce e Amendola, un folto gruppo di israeliti – ai quali venne affidata la composizione di una voce complessa quale fu Ebrei – Giorgio Levi Della Vida vi portò le sue competenze semitistiche e di lingue comparate; Alberto Pincherle, coinvolto nella responsabilità dell’ufficio schedario, stilò, tra altre, le voci Antisemitismo e Adozionismo; Emilio Servadio, tra i fondatori della psicoanalisi in Italia, fu autore della voce Telepatia, redattore così versatile da vedersi affidata la responsabilità della sezione ‘varie’; Gaetano De Sanctis fu responsabile della sezione di storia e antichità classiche; Ojetti ed Enriques avanzarono le più forti istanze, sulle materie storia dell’arte e matematica e fisica, di ampliamento alla collaborazione degli stranieri. D’altro canto, Alessandro Casati, Ruffini ed Einaudi ritirarono l’adesione degli inizi; Martini già dal 1926 fu assente alle sedute, in Senato e per l’Enciclopedia.
La prima lista dei collaboratori fu resa pubblica ad aprile 1926. Tra molti altri incluse Ugo La Malfa, Gioele Solari, Tullio Levi-Civita, Rodolfo Mondolfo. Nello stesso anno fu costituito il gruppo dei redattori: caporedattori furono Antonino Pagliaro, poi Bruno Migliorini e Umberto Bosco; Ugo Spirito accompagnò ogni passo della direzione scientifica; Treccani provvide fin dal 1925 all’acquisto di un fondo librario presso il bibliofilo Aldo Santi che dotò l’Enciclopedia di un formidabile strumento di lavoro enciclopedico e assicurò all’impresa la sua sede stabile. Dal 1928 la sede dell’Istituto Giovanni Treccani fu trasferita al palazzo Canonici Mattei di piazza Paganica (le prime riunioni ebbero luogo a palazzo Antici Mattei, poco distante, nella sede dell’Istituto di storia moderna). Prese avvio la più forte iniziativa editoriale italiana, con sede tipografica a Milano, editore Rizzoli, e una sede redazionale in piazza Carlo Erba, nr. 6.
Ma il vulnus provocato nella cultura italiana dal Manifesto di Bologna, e non interamente calcolato nelle sue conseguenze – perché strinse gli intellettuali non allineati con il regime in un fronte visibile per quanto differenziato al suo interno –, costituì per Gentile un rovello che nell’immediato e per il futuro lo obbligava a difendere un’opera che, non senza ragione, i fascisti intransigenti Telesio Interlandi (Considerazioni sopra un elenco di enciclopedici, «Il Tevere», 24-25 apr. 1926) e Roberto Forges Davanzati (Passaggi a livello, «La Tribuna», 25 apr. 1926) accusarono di non essere fascista. Essi ribadirono che la cultura fascista era quel che era e non aveva bisogno di intellettuali arruolati secondo il criterio della «imparzialità». Un criterio, quest’ultimo, nel quale il direttore scientifico si prestava a riabilitare l’idea «intellettualistica», «anazionale», liberale «della cultura fine a sé stessa» (Considerazioni sopra un elenco di enciclopedici, cit., p. 1) , che il fascismo aveva inteso negare. In effetti l’antintellettualismo di Gentile era il risultato di un fortissimo impegno di pensiero, di bilancio storiografico, era cultura e non poteva consonare con il vento attuale dell’anticultura. Gentile rispose richiamando il suo fascismo. Come Vincenzo Gioberti aveva argomentato nei riguardi del cattolicesimo, anche il fascismo era da intendersi come forma e come poligono, e tutti i lati concorrevano alla pari a formarne l’obiettività (Politica e cultura, 1° vol., cit., p. 8). Vi rispose accusando la forza e il limite della sua posizione, che iscriveva l’opera di cultura nell’orizzonte del fascismo e che tuttavia doveva far uso di strumenti suoi – gli intellettuali – se voleva essere opera propriamente culturale (G. Gentile, Lettera al Direttore [Forges Davanzati], «La Tribuna», 28 apr. 1926, in Id., Politica e cultura, 1° vol., cit., pp. 298-301). Il fascismo gli suggeriva il bisogno e gli offriva lo spirito, ma non poteva dargli la materia, il contenuto, una cultura. Anche Croce, che Gentile ritenne di aver comunque condotto a condividere, almeno per un momento, la sua posizione antintellettualistica, dovette mostrare quella inconseguenza che interrompeva l’immediata identità gentiliana di filosofia e politica, dichiarando che all’interno di «una certa “Enciclopedia”» una differenza tra il fascismo e la cultura era pur dovuta riemergere (cfr. la recensione di Croce a V. Arangio Ruiz, L’individuo e lo Stato, «Giornale critico della filosofia italiana», 1926, 7, pp. 132-52, comparsa sulla «Critica», 1926, 24, pp. 182-83, poi in B. Croce, Conversazioni critiche, serie IV, 1932, pp. 204-05). Furono le uniche considerazioni espresse da Croce, che nei suoi scritti mai più tornò a parlarne.
Quel dissidio con i fascisti intransigenti fu un nodo mai sciolto, che indusse Gentile a promuovere l’obbligo di giuramento dei professori universitari al regime (1931). Vi agì l’idea che, spostando sul terreno formale dello Stato la delineazione del perimetro fascista delle opere, quell’antitesi di fascismo e antifascismo che lui stesso aveva prodotta sarebbe stata essenzialmente vanificata. Fu quel passo la realizzazione del consenso degli intellettuali al regime? Furono dodici a non giurare. Tra essi, De Sanctis, Levi Della Vida, Ernesto Buonaiuti, Lionello Venturi, tutti presenti, direttamente e indirettamente, nell’impresa enciclopedica e ai quali Gentile assicurò la prosecuzione della loro collaborazione. Fu, piuttosto, quel modo caratteristico nel quale Gentile autorizzò una specie di protestantica scissione tra l’ufficio, che come cittadini dello Stato essi erano chiamati a garantire rispettandone lo spirito, e il personale convincimento che, anch’esso in interiore homine, fascistico o meno che fosse, aveva ragione della sua libertà nell’ambito della stessa autorità dello Stato. Forse per queste ragioni dialettiche, e per molte altre che provenivano dalla sua naturale stima degli ingegni, Gentile costruì nella Enciclopedia Italiana un luogo di intensa collaborazione intellettuale, che tale fu riconosciuto da Guido Calogero, Spirito, Volpe, Pincherle, Francesco Gabrieli. Gli unici a tirarsi completamente fuori furono i comunisti; il Partito comunista italiano d’altronde reputava elitario, non attuale, borghese e fiancheggiatore il progetto di Gentile e Treccani (Nel mondo della cultura borghese. Una Enciclopedia, firmato Risp., «l’Unità», 20 maggio 1925).
Le Norme indirizzate ai collaboratori, illustrate da Gentile nelle primissime sedute del consiglio direttivo e fatte circolare nel 1926, stabilirono stile e metodo della partecipazione. La prefazione all’opera ne dichiarò il carattere, il suo essere libro di libri – di 35.000 pagine. Del libro vi era l’originalità, conseguita nei singoli contributi (e però vi era anche posto un limite all’esclusività del personale punto di vista degli autori). Come opera era il risultato di una «concorde discordia» (prefazione alla Enciclopedia Italiana, cit., p. XIV, poi in Politica e cultura, 2° vol., cit., p. 359). Fu il criterio e il modo nel quale Gentile seppe esprimere il complesso lavoro di articolazione di voci e di necessaria inclusione delle più diverse discipline, perché del sapere universale intese fare il bilancio. Ma fu anche l’espressione dell’intensa iniziativa di diplomazia che egli stesso dovette esercitare. Era ben viva la comprensione che la cultura era il campo di gioco di una contesa nella quale non uno solo, ma più conflitti si esercitavano per primeggiare e imprimere ciascuno il segno della propria egemonia, per le ragioni che lui stesso attribuiva alla personalità degli studiosi e perché l’Italia, se aveva opere di cultura, mancava però di una sua più solida impronta unitaria.
Fin dal 1925, Gentile si trovò a dover contenere l’influenza che, in virtù della sua partecipazione, la cultura cattolica ufficiale riteneva di dover esercitare non soltanto sulla materia specifica ecclesiale ma sull’intero contenuto dell’opera. Una sezione di materie ecclesiastiche fu costituita ad hoc e affidata alla direzione del gesuita Pietro Tacchi Venturi, che si valse della collaborazione dei padri Giuseppe Ricciotti, Nicola Turchi, Enrico Rosa, del biblista Alberto Vaccari; Luigi Gramatica, di formazione domenicana, ebbe la responsabilità della sezione di geografia sacra. Fu un drappello che affiancò l’Enciclopedia Italiana con la pratica assidua della estensione dei confini del proprio intervento. Gentile legò a sé la responsabilità formale della sezione di filosofia e storia del cristianesimo e di quest’ultima materia affidò la cura a Omodeo, il quale nel corso di quella collaborazione, accolta con entusiasmo e nella quale non poco si avvalse del contributo di autori modernisti, dovette avvertire che l’autorevolezza del suo ruolo e il suo metodo di ricostruzione storica e demitizzazione sulle origini cristiane incontravano richieste di moderazione proprio da parte di Gentile. Con quelle cautele Omodeo, che non era temperamento duttile a equivocare tra scienza e agiografia o ortodossia cattolica e che intanto si avviava a nuove ricerche sulla storiografia del Risorgimento e maturava il distacco dal fascismo del suo maestro, non volle venire a patti e cessò nel 1929 la sua collaborazione (Carteggio. Gentile-Omodeo, a cura di S. Giannantoni, 1974, in partic. pp. 336-436).
L’iniziale opposizione e resistenza di papa Pio XI fu vinta soltanto a conclusione dell’opera. Un fascicolo fu aperto presso la Congregazione per la dottrina della fede, intitolato Errori contenuti nella Enciclopedia Italiana (Treccani), relativo agli errori contenuti in alcuni articoli. Ma una più generale contestazione intese intervenire, con espresse revisioni, su ogni caso ritenuto ‘sensibile’, cioè su ogni contenuto e contributo scientifico che non incontrasse l’accordo preventivo con la verità dogmatica. Volpe, Gioacchino Sera, Pincherle, Calogero, Omodeo, Levi Della Vida ricevettero contestazioni che Gentile si provò ad arginare promuovendo una strategia di integrazione, all’interno delle voci da loro redatte e firmate, con aggiunte che ne firmassero anche il controcanto cattolico.
A fine opera Gentile dovette sperimentare che l’età nuova che la Prima guerra mondiale aveva inaugurato, nella quale egli aveva interpretato il segno di un’inedita forza morale, trovava non nella tradizione antica del Risorgimento e dei suoi profeti il suo più profondo nutrimento, ma in quelle tendenze spirituali nuove, del fascismo e della Chiesa cattolica, che più vi erano state estranee e che, negli stessi anni in cui fu direttore scientifico dell’Enciclopedia Italiana, trovarono la misura dell’intesa e dell’accordo. Ne fu prova, all’indomani dei Patti lateranensi, la complessa redazione della voce Fascismo, firmata Mussolini, redatta nella sua prima parte dottrinale da Gentile, ma integrata di una seconda, relativa alle realizzazioni del fascismo, che fece proprio il riconoscimento della specifica forma di religione positiva del cattolicesimo italiano. In quel decorso, nel 1934, anche le opere dell’idealismo, il suo e quello di Croce, furono inserite nell’Indice dei libri proibiti. Nel 1938 «Civiltà fascista», organo dell’Istituto nazionale di cultura fascista, pubblicò l’editoriale di apertura del fascicolo nr. 8 (agosto 1938) dal titolo Coscienza della razza, intesa come «la nuova frontiera della patria», a ridosso della promulgazione della legislazione italiana antiebraica, in aperto contrasto con i contenuti delle voci Antisemitismo ed Ebrei, pubblicate rispettivamente nel 1929 e nel 1932, e anche con l’aggiornamento enciclopedico specifico, di stretta informazione giuridica, privo di revisioni di merito, della voce Razza di Sera, dell’Appendice I, pubblicato nello stesso 1938. Intanto il Partito nazionale fascista ottenne di far ospitare un nucleo di attività redazionale del tutto separato e ininfluente all’interno dell’Istituto della Enciclopedia Italiana e avviò nel 1939 il suo Dizionario di politica, diretto da Mancini, che di Gentile fece a meno richiedendogli non più che un articolo su Gioberti.
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