gente [sost.; plur. anche gente]
Sostantivo ad altissima frequenza; ricorre in tutte le opere volgari di Dante. Il plurale, nelle edizioni oggi normalmente seguite, è di solito ‛ genti '; ‛ gente ' compare solo in due luoghi del Fiore: CI 7 gente regolate, e CX 7 gente umane. È da rilevare, comunque, che, relativamente alla Commedia, la tradizione manoscritta presenta frequenti oscillazioni tra ‛ genti ' e ‛ gente '; ma, sostiene il Petrocchi (Introduzione 459), " osservando nel complesso i codici, si può uniformare a genti ". Il singolare, data la sua natura di nome collettivo, è spesso concordato a senso con predicati plurali, com'era normale nel francese antico e nel provenzale. Altra forma di concordanza a senso è quella dell'aggettivo maschile plurale, in funzione di predicato nominale, con il singolare (If IV 44 gente di molto valore / ...'n quel limbo eran sospesi; Pg III 37 State contenti, umana gente, al quia; Fiore CXIII 9 gentil gente discacciata, / che non son costumati a lavorare, / ma son vivuti sol di lor entrata) e con ‛ genti ' (Pg XII 35 le genti / che 'n Sennaàr con lui [Nembrot] superbi fuoro). Frequente, inoltre, l'accordo di pronomi personali e aggettivi possessivi plurali con il singolare ‛ gente '.
Il vocabolo entra a costituire alcuni sintagmi di carattere semantico generico e indeterminato, che andranno preliminarmente considerati: in unione con l'aggettivo ‛ umano ' indica " l'umanità intera ", tutti i viventi in generale: Or puoi, figliuol, veder la corta buffa / d'i ben che son commessi a la fortuna, / per che l'umana gente si rabuffa (If VII 63); State contenti, umana gente, al quia (Pg III 37); o gente umana, per volar sù nata, / perché a poco vento così cadi? (XII 95); o gente umana, perché poni 'l core / là 'v'è mestier di consorte divieto? (XIV 86); O luce, o gloria de la gente umana, / che acqua è questa che qui si dispiega / da un principio e sé da sé lontana? (XXXIII 115); strettamente connesso con i casi precedenti, è la futura gente di Pd XXXIII 72, che designa, rispetto a D., i posteri.
Nello stesso senso sono da intendere le espressioni tutte le genti (Cv III VII 15) e ogni gente (II XIV 16; ogne gente, in Fiore L 8 e CXXX 14, ma con senso più attenuato). Un caso particolare rappresenta il tutta gente (che vale " tutti ", " ognuno ") di Rime CIV 11 Ciascuna par dolente e sbigottita, / come persona discacciata e stanca, / cui tutta gente manca, 94 lo dolce pome a tutta gente niega, e CVI 4 s'io dico / parole quasi contra a tutta gente, per il quale il Contini richiama il provenzale tota gen o l'antico francese tote gent. Hanno ovviamente il valore negativo di " nessuno " le espressioni nessuna gente (Fiore CLXXIII 11) e nulla gente (CCXXII 14), mentre la più gente di Cv IV VIII 6 e 7 vale " i più ", " la maggior parte degli uomini ".
Negli altri luoghi ricorre solitamente col senso di " persone ", " esseri umani "; spesso con connotazioni contestuali, implicite o esplicite, che ne danno una più precisa determinazione quantitativa o qualitativa; in numerosi passi della Commedia designa gruppi, schiere di dannati, anime penitenti, beati.
Più di frequente al singolare: Vn IX 10 8 per non veder la gente; Cv I XII 7 la consuetudine de la gente; If XVI 85 fa che di noi a la gente favelle, ai " vivi "; XXVI 117 l'esperïenza / ... del mondo sanza gente, cioè dell'emisfero delle acque, che D., in accordo con la scienza del tempo, riteneva privo di " esseri umani ", disabitato; Pg XXI 91 Stazio la gente ancor di là [sulla terra] mi noma; If XII 103 Io vidi gente sotto infino al ciglio, le anime immerse nel fiume di sangue; Vn X 1 troppa gente, XXII 13 4 la figura ne par d'altra gente, " d'un altro, tanto è trasfigurata " (Sapegno); Cv I IX 5 molt'altra nobile gente, II IV 2 la volgare gente (e cfr. X 6, IV III 5, XXV 4); III VI 4 la gente di qua giù gentile; IV XV 5 alcuna gente è da dire nobile e alcuna è da dir vile; XX 1 tanta gente; If III 3 la perduta gente, i dannati (detti anche la morta gente [VIII 85], cioè morti fisicamente e spiritualmente, la gente ria [Pg I 64]); If III 33 che gent'è che par nel duol si vinta? (cfr. VII 38, Vn XXVI 14); If IX 91 O cacciati del ciel, gente dispetta, i diavoli, disprezzati da Dio; XIV 22 Supin giacea in terra alcuna gente, i bestemmiatori; XVI 57 i' mi pensai / che qual voi siete, tal gente venisse, " compresi che voi... dovevate esser persone, quali siete, degne di ogni riguardo " (Scartazzini-Vandelli); XXIX 1 La molta gente (v. anche Pg XIV 114 molta gente; Pd XVII 89, Vn XL 1, Fiore CXLVII 4); If XXXIV 92 la gente grossa, " gl'incolti ", " gl'ignoranti "; Pg II 58 la nova gente, " gli spiriti giunti allora allora " (Casini-Barbi; v. anche XXVI 40); III 58 una gente / d'anime, " moltitudine " (Castelveltro), ovvero " schiera ", " gruppo "; XV 73 quanta gente più, detto degli angeli e dei beati; XXVI 46 l'una gente sen va, l'altra sen vene, cioè le due " schiere " in cui sono divisi i lussuriosi; XXX 59 Quasi ammiraglio che in poppa e in prora / viene a veder la gente che ministra / per li altri legni, " l'equipaggio ", " la ciurma "; XXXIII 107 chi va dinanzi a gente per iscorta, " chi cammina come guida... in testa a una compagnia di persone " (Scartazzini-Vandelli); Pd XI 94 la gente poverella, cioè i seguaci di s. Francesco, la prima comunità francescana; XVII 31 la gente folle, i pagani; XXII 39 la gente ingannata e mal disposta, ancora l'umanità pagana, e 83 la gente che per Dio dimanda, cioè i poveri; XXX 132 poca gente (cfr. Fiore XXXIX 13); Fiore LXXX 14 gente relegiosa, LXXXI 3 gente d'alt'affare, XCI 5 cotal gente, e 9 con tal gente star bene non potrei; XCIV 6 gente seculare, CXXVIII 12 gente armata; Vn VIII 9 10, XIX 5 8, 14 65, XXVI 14; Rime LXXVII 5, LXXXIII 30 e 80, CVI 128, CXVI 2; Cv I I 4, III Amor che ne la mente 24 (ripreso e commentato in VI 7, XIII 3 [due volte], 4 e 6), V 7, VI 8, VIII 5, XI 4 e 11, XIII 7, XV 13, IV I 5 e 9 (due volte), II 14, VI 16 (due volte) e 17, XV 17, XXVII 17, XXIX 1, 2 e 7; If III 56, IV 72 e 112, VI 15, 51 e 109, VII 24, 25 e 118, IX 124, X 7, XI 108, XII 116 e 121, XIII 27, XV 118, XVII 36 e 45, XVIII 30, 103 e 113, XX 7 e 103, XXII 18, XXIII 58 e 70, XXIV 92, XXVIII 7, XXX 85 e 147, XXXI 57, XXXIII 92; Pg II 11, 71 e 115,III 100, V 43, VI 4 e 31, VIII 33 e 63, IX 6 e 129, X 48 e 58, XIII 10, 44 e 85, XVI 100, XVIII 35, 89 e 106, XIX 71, XX 7, XXII 52, XXIII 17, 64 e 113, XXIV 12, 67 e 106, XXVI 29 e 76, XXX 7, XXXII 62; Pd VIII 144, IX 94, XII 16, XIV 117, XVI 2 e 151, XXVI 126, XXX 91, XXXII 58; Fiore XXIII 3, XLV 11, XLVI 10, CXIII 9, CXVII 14, CXXIII 8, CXXVIII 13, CLXI 2, CLXXXIX 13, CXCV 13; Detto 236, 412, 424.
Controversa, nei primi commentatori, l'interpretazione del sintagma prima gente, in Pg I 24 vidi quattro stelle / non viste mai fuor ch'a la prima gente. Secondo il Lana, l'espressione designa gli uomini dell'età di Saturno o dell'oro, che vissero nella piena osservanza delle virtù cardinali, di cui le quattro stelle sono simbolo. Pietro, Buti e l'Anonimo (seguiti poi dal Daniello e, più di recente, dall'Andreoli), scorgono nel sintagma un duplice senso: " Adamo et Eva, mentre stetteno in stato d'innocenzia, perché stetteno in Par. che è nell'altro emisperio, sì che secondo la fizione litterale le [quattro stelle] doveano vedere; ma secondo la fizione poetica e morale la prima età, che fingeno essere stata sotto Saturno, vidde e conobbe queste quattro virtù et osservò, benché non perfettamente " (Buti). Benvenuto, invece, rifacendosi a s. Agostino (Civ. XV), intende " antiqui... sicut antiqui Romani ". Gli altri commentatori, dal Landino, Vellutello, Venturi, Lombardi, Cesari, fino ai moderni in genere, identificano questa prima gente semplicemente con Adamo ed Eva; ed è certamente quest'ultima l'interpretazione più plausibile.
In Pg VI 91 Ahi gente che dovresti esser devota, / e lasciar seder Cesare in la sella, / se bene intendi ciò che Dio ti nota (cfr. Matt. 22, 21 " Reddite... quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo "; Luc. 22, 25-26; Ioann. 18, 36), il termine designa, come chiosano quasi tutti gl'interpreti antichi e moderni, la classe ecclesiastica: " pastores Ecclesiae, qui non permittunt Imperatorem regnare in Italia " (Benvenuto), " la Corte di Roma " (Cesari), " papi e pastori della chiesa in genere " (Scartazzini-Vandelli). Altri, però, intendono " la gente d'Italia " (Vellutello; e già il Lana e l'Ottimo), ovvero " i Guelfi " (Venturi); ma, come nota il Sapegno, " proprio il richiamo ai detti di Gesù... riesce assai più significativo, se lo intendiamo riferito ai chierici, i quali infrangono in maniera più diretta e grave quella prescrizione coll'usurpare il potere civile, malamente confondendo il temporale e lo spirituale ". Quanto, invece, a la gente ch'al mondo più traligna (Pd XVI 58), si registra un pieno accordo fra gli esegeti nell'intendere l'espressione come riferita agli ecclesiastici: papi e chierici.
In Pd XXXI 26 Questo sicuro e gaudioso regno, / frequente in gente antica e in novella, il sostantivo, con i due aggettivi che l'accompagnano, denota, a giudizio della grande maggioranza dei commentatori, le " anime beate... del vecchio e del novo Testamento " (Lana). Accanto a questa interpretazione, però, già Benvenuto, ripreso dal Venturi e anche da qualche più moderno, ne affacciava una seconda, in base alla quale D. avrebbe inteso riferirsi agli angeli (gente antica) e ai beati (novella); ma - obiettano Casini-Barbi - " Dante qui parla di coloro che sono sparsi nel regno sicuro e gaudioso, cioè nella rosa candida, che sono solo i beati ".
Ancora nel senso di " persone ", " esseri umani ", g. ricorre spesso anche al plurale: Vn III 2 mi partio da le genti; Pg V 13 lascia dir le genti; Pd XIII 130 Non sien le genti, ancor, troppo sicure / a giudicar; Fiore XLV 7 l'Amor... / fa le genti vivendo morire; If III 71 vidi genti a la riva d'un gran fiume, le anime che attendono di passare l'Acheronte; I 51 molte genti (cfr. Pg X 101 e XXIV 30); 120 le beate genti, i beati (le genti gloriose, in Pd XXXI 60); If III 17 le genti dolorose, le anime dannate (cfr. XXX 138 le perdute genti); If VII 110 genti fangose, i peccatori immersi nella palude Stige (v. anche VIII 59); Pd XX 126 le genti perverse, i pagani; Fiore CXIII 12 cota' genti. Così pure in Vn XII 1, XX 1, XXVI 1, XXXI 14 53, XL 7; Rime LXI 2, CXVI 67; If IV 112, V 51, IX 124, XXIV 92, XXX 147; Pg V 23, XII 35, XV 106, XXIX 64, 90 e 152; Pd XVII 79, XIX 17; Fiore LXVIII 6, LXXXIX 4 e 10, XCVII 11, CI 7, CV 9, CX 6, CLVII 2.
Discussa l'interpretazione del sostantivo in if IV 19 L'angoscia de le genti / che son qua giù, nel viso mi dipigne / quella pietà che tu per tema senti. A giudizio dei più fra i commentatori antichi e moderni, qui Virgilio alluderebbe soltanto alle anime del Limbo, tra le quali egli stesso è relegato e a cui " anche nel purgatorio (III, 41-45; VII, 28-36; XXII, 100-114) non sa accennare senza turbamento " (D'Ovidio). Altri invece (Grabher, Sapegno, Chimenz) ritengono che g. debba riferirsi a tutti gli abitatori della valle infernale, e sulla base di due argomentazioni invero pertinenti: " L'espressione ‛ le genti che son qua giù ' non è che l'eco della precedente ‛ qua giù nel cieco mondo ' [v. 13], che si riferisce (e in ciò tutti i commentatori sono concordi) a tutto l'Inferno. Inoltre angoscia, con i suoi derivati angoscioso, angosciato, in Dante indica costantemente sofferenza fisica, e non mai spirituale, quale, invece, è esclusivamente questa dei limbicoli (cfr. vv. 26-28 e 41-42) " (Chimenz; cfr. peraltro la voce angoscia).
Più specifico il valore del termine in Pg XXII 109 Quivi [nel Limbo] si veggion de le genti tue / Antigone, Deïfile e Argia, / e Ismene, cioè " i personaggi cantati da te [Stazio] nelle tue opere ".
In due luoghi g. assume il significato di " generazione ": Rime CIV 71 e pur tornerà gente, " tornerà ancora una generazione " (Contini); Pg XVI 134 la gente spenta, " la generazione dell'antica età (v. 122) " (Casini-Barbi).
" Popolo ", " popolazione ": Vn XL 9 3 venite voi da sì lontana gente; Cv I V 9 gente strana, " straniera " (cfr. Fiore CX 6 genti strane); Cv I VII 13 gente d'altra lingua, IV IV 10 la gente latina, 11 la romana gente; If VII 80 di gente in gente; XV 68 gent'è avara, invidiosa e superba, detto dei Fiorentini; XVI 73 La gente nuova, " i nuovi abitanti di Firenze ", cioè la popolazione venuta su dal nulla e priva di tradizioni, e in gran parte immigrata nella città dal contado in epoca recente (e cfr. Pd XVI 53); XX 94 le genti sue, " la popolazione " di Mantova; XXVIII 84 gente argolica, cioè i Greci, e 108 la gente tosca; XXIX 122 Or fu già mai / gente sì vana come la sanese? (cfr. Pg XIII 151 quella gente vana); If XXXIIII 79 le genti / del bel paese là dove 'l sì suona, cioè le " popolazioni " dell'Italia; Pg VI 115 Vieni a veder la gente quanto s'ama, ancora " il popolo ", " gli abitanti " dell'Italia; Pd VI 42 vincendo intorno le genti vicine, " i popoli " confinanti con la Roma del periodo regio; XV 145 quella gente turpa, cioè i musulmani; XXXII 132 la gente ingrata, mobile e retrosa, gli Ebrei. E ancora: Vn XXV 3, Cv I XII 5, III V 12, If VII 82, XXIX 62 e 106, Pg XVIII 134, XXIII 29, Pd VIII 6, IX 48, XI 104.
" Famiglia ", " casato ", " stirpe ": Pg VIII 128 vostra gente, il " casato " dei Malaspina; Pd XVI 118 picciola gente, " famiglia " di umile rango, qual era originariamente quella degli Adimari (L'oltracotata schiatta del v. 115); 148 Con queste genti, e con altre con esse, / vid'io Fiorenza, " famiglie gentilizie " (cfr. il v. 151); quindi anche Rime XCIX 10, Pg XIV 108, Pd XVI 26.
In If XXIV 144 Fiorenza rinova gente e modi, il termine vale " fazione ", " partito politico ", ovvero " uomini al potere " (Mattalia): l'espressione allude al passaggio del governo di Firenze dai Bianchi ai Neri, nel 1301, in seguito all'intervento di Carlo di Valois.
In alcuni luoghi del Fiore, g. assume il significato di " seguito ", " corteggio ": CXXVII 2 t'ho ritenuto di mia gente, CCVII 8 sua [di Schifo] gente, CCXVII 3, CCXXXII 11.