GENNARO (Ianuarius)
Ignoriamo luogo e data di nascita di G., vescovo di Cagliari tra la fine del sec. VI e gli inizi del sec. VII. Le notizie a lui relative giunte sino a noi derivano dalle numerose lettere che gli indirizzò il pontefice Gregorio I Magno in un arco di tempo che va dal luglio 591 al settembre 603. Esse affrontano varie questioni di ordine religioso, disciplinare e morale: ci consentono perciò di conoscere alcuni aspetti dell'organizzazione ecclesiastica in Sardegna in quel periodo e ci informano circa l'attività pastorale e di governo svolta da Gennaro. Esse testimoniano inoltre l'impegno del papa nell'esortare i vescovi dell'isola a combattere le ultime persistenze del paganesimo e a riordinare la disciplina ecclesiastica e i costumi civili e religiosi.
Nelle prime quattro lettere, risalenti all'estate del 591, il pontefice si rivolgeva a G. con il titolo di "archiepiscopo Caralis Sardiniae" e lo definiva "metropoleos Caralis frater et coepiscopus noster" in una missiva del giugno 591 diretta al diacono Onorato "responsali Costantinopolitano". Con queste locuzioni il papa riconosceva l'autorità metropolitica che G. esercitava sugli altri vescovi dell'isola, autorità che il pontefice ebbe in seguito a ribadire più volte, dal momento che molti vescovi - in seguito al comportamento di G., talvolta poco rispettoso delle loro prerogative - non vollero più prestare giuramento di obbedienza, o, se lo facevano a fior di labbra (Besta), non lo rispettavano. Dal contenuto di queste prime epistole si evince inoltre che il papa fu costretto a intervenire in questioni relative alla disciplina religiosa in diocesi di Cagliari. Negli anni successivi il tono delle sue lettere divenne più severo. In una missiva dell'agosto 592, ad esempio, il papa avvisò G. di avere inviato a Cagliari un notaio della Sede apostolica, Giovanni, con l'incarico di risolvere la vertenza sorta in seguito alla scomunica e all'anatema che il vescovo aveva lanciato contro il "vir excellentissimus" Isidoro, "pro nulla alia causa nisi pro eo, quod te iniuriaverat". Se questa era stata la ragione del provvedimento del presule - prosegue il pontefice - esso era da considerarsi ingiustificato e non conforme alle norme canoniche. La vertenza, tuttavia, non si era ancora risolta nel maggio dell'anno successivo, quando il papa avocò a sé la causa e scrisse a Savino, "defensor Sardiniae", perché mettesse in grado di giungere a Roma sia G. sia Isidoro sia lo stesso notaio Giovanni, convocati dinnanzi al suo tribunale. Questo fu il secondo viaggio, a noi noto, di G. a Roma. Una prima volta si era recato dal pontefice per riferire sulle tristi condizioni in cui versavano le popolazioni dell'isola, gravate dall'opprimente fiscalità dei magistrati di Bisanzio, come risulta dalla citata lettera del giugno del 591 al diacono Onorato.
Il ruolo preminente di G. rispetto agli altri vescovi dell'isola è dimostrato anche dal fatto che a lui spettava la fondazione dei monasteri e il controllo della conformità della loro vita alle esigenze della regola monastica. Nel settembre 593 Gregorio I, infatti, lo invitò a sollecitare Teodosia, "honesta femina", a fondare il monastero voluto dal suo defunto marito Stefano; in due lettere, l'una del settembre di questo stesso anno, l'altra del maggio 594, lo esortava - tra l'altro - a riportare in alcuni monasteri femminili l'osservanza piena della vita religiosa. È certo, in ogni modo, che G. dovette incontrare ostacoli non indifferenti nella sua azione riformatrice. Ancora nel luglio 599, in una lunga lettera, in cui si rivolgeva a lui come "episcopo Sardiniae", il papa lo esortava pressantemente a ristabilire l'osservanza delle norme canoniche nella vita degli ecclesiastici, ricercando e costringendo al rientro in sede i "clerici contumaces"; a curare la reintegrazione del monastero di S. Giuliano nel possesso dei suoi beni; a promuovere soprattutto l'evangelizzazione delle campagne lottando contro le pratiche magiche e il paganesimo, perdurante in alcune parti dell'isola, come, ad esempio, in Gallura; a punire i vescovi che avessero permesso la presenza di pagani nelle loro diocesi.
G. dedicò molta cura all'amministrazione dei beni della Chiesa cagliaritana, anche se nell'esercizio di tale attività cadde talvolta in eccessi. Nell'agosto del 598, infatti, il papa gli vietò di esigere da Nereida, "clarissima femina", la somma di 3 solidi d'oro per la sepoltura di sua figlia. Il pontefice, tuttavia, doveva fidarsi dell'equilibrio di giudizio del presule se gli affidò nel contempo il compito di risolvere, insieme con Redento "defensor noster" da lui all'uopo inviato in Sardegna, le "aliae causae" per le quali la medesima Nereida aveva fatto ricorso presso la Sede apostolica. Poco dopo, però, il papa dovette di nuovo intervenire per mitigare la severità dei sistemi amministrativi di G., più adatta a un imprenditore laico che a un pastore di anime.
In una densa e accorata lettera del settembre di quello stesso anno, Gregorio I rimprovera a G. di aver presieduto, "dominico die, priusquam Missarum sollemnia celebrares", alla falciatura della messi di un suo creditore, il "possessor" Donato, minacciando la confisca del raccolto; e di essere tornato sul luogo, "post Missarum sollemnia", a dirigervi i lavori di sradicamento dei segnali di confine. Il papa dichiara - in considerazione della "simplicitas" e della veneranda età di G. - di non voler prendere quei provvedimenti disciplinari, con cui il presule avrebbe dovuto essere colpito per questi suoi atti. Ben più colpevoli - conclude il pontefice - gli appaiono i consiglieri che gli avevano suggerito un così deprecabile intervento e che in esso lo avevano confermato: consiglieri che ha escluso, in forza della sua autorità apostolica, dalla comunione della Chiesa per due mesi.
In altre circostanze, invece, G. assunse un comportamento degno del ruolo che ricopriva, meritando gli elogi del pontefice: come accadde nel luglio del 599, quando spese parole di biasimo cercando invano di dissuadere Pietro, un ebreo convertitosi al cristianesimo, dall'occupare la sinagoga di Cagliari.
G. non deve essere considerato un uomo debole e avido, come hanno sostenuto molti studiosi. Sulla base dell'epistolario di Gregorio I, infatti, possiamo affermare che egli svolse la sua missione di pastore di anime adeguandosi alle direttive e ai suggerimenti del pontefice, come appare dalle lettere che quest'ultimo gli inviò nel settembre 593, nel maggio e nel giugno 594. In esse il papa, tra l'altro, non solo gli consentiva di concedere ai presbiteri di amministrare il battesimo là dove non vi fossero stati vescovi per farlo, ma gli affidava il compito di promuovere, ordinando nuovi "antistites", l'evangelizzazione di quei popoli della Sardegna che, per assenza del clero ordinario, erano tornati alle pratiche superstiziose del paganesimo o minacciavano di tornarvi. Allo stesso modo, proprio a G. si rivolse il papa nell'ottobre 588, per esortarlo a curare, in previsione di un attacco longobardo contro l'isola, l'approvvigionamento e la difesa di Cagliari.
Non conosciamo la data della morte di G., che deve essere posta, ad ogni modo, dopo il settembre 603, quando Gregorio I, scrivendo a Vitale, "defensor Sardiniae", pur dolendosi di G. che aveva trascurato l'amministrazione degli xenodochi della Sardegna, lo giustificava in considerazione della sua "simplicitas" e, soprattutto, delle debolezze dell'età avanzata che molte volte, durante la messa, lo costringevano a sospendere la celebrazione.
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