PASQUARIELLO, Gennaro
– Nacque a Napoli l’8 settembre 1869 da Giuseppe, sarto e commerciante di stoffe; assenti le notizie sulla madre.
Trascorse l’infanzia e l’adolescenza nel quartiere del Pendino, lo stesso in cui crebbe la grande cantante Elvira Donnarumma (nata nel 1883), che di Pasquariello fu poi intima amica ed eterna rivale nelle battaglie canore sui carri floreali allestiti nelle feste per la Madonna di Piedigrotta o sulle tavole dei cafés chantants, dove si affermarono come i più originali e apprezzati interpreti della stagione d’oro del teatro di varietà e della canzone napoletana.
Frequentato per qualche mese l’Istituto di belle arti, Gennaro Pasquariello era destinato a imparare il mestiere paterno nella bottega di famiglia. Gli scarsi risultati ottenuti come sarto e le frequenti incursioni clandestine – già a tredici-quattordici anni – in un teatrino di via dei Tribunali, dove ebbero luogo le sue prime improvvisate esibizioni canore e teatrali, indussero il padre a desistere dall’intento. Pasquariello cominciò a frequentare con assiduità i luoghi di ritrovo di capocomici e impresari e a corteggiarli per essere scritturato. Da autodidatta, nel 1883 si unì a un gruppo girovago di dilettanti con cui si esibì a Sarno in numeri di varietà e semplici farse; ottenne poi saltuariamente piccole parti da caratterista in una compagnia raccogliticcia di prosa di cui facevano parte il Pulcinella Giuseppe De Martino, Davide Petito (fratello del più famoso Antonio) e il caratterista Raffaele De Crescenzo; nel 1887 fece le prime comparse come macchiettista al caffè Allocca di via Foria (noto anche come teatro Carlo Allocco). Il debutto ufficiale come cantante fu, sempre a Napoli, nel 1889 al caffè Scotto-Jonno nella galleria Principe, dove presentò il numero ’O scatobbio (in dialetto: il gobbetto).
Determinato a dedicarsi alla canzone napoletana, e quindi ad abbandonare i numeri da macchiettista, Gennaro Pasquariello si vide costretto a lasciare la città natale, dove gli ingaggi non gli davano da vivere; soprattutto gli era precluso l’accesso ai locali più ambiti, primo fra tutti il Salone Margherita della galleria Umberto I, dove l’incontrastato beniamino del pubblico, il creatore della macchietta caricaturale e satirica Nicola Maldacea, trionfava al fianco di vedettes internazionali, prima fra tutte, la danzatrice francese Cléo de Mérode.
Fu a Milano che Pasquariello raggiunse il successo, una volta vinte le resistenze dei committenti e del pubblico nei confronti di un repertorio in lingua napoletana. A dispetto degli scarsi studi, si rivelò non solo un cantante di eccelsa bravura e finezza, ma anche un innovatore. Inaugurò uno stile interpretativo originale e personalissimo che fece di lui l’equivalente di un ‘caposcuola’ senza maestri e senza allievi. Costruì, attorno all’unicità di un timbro vocale fuori da ogni schema e attorno a un fisico non granché affascinante, un repertorio canoro teatralizzato di grande versatilità. Per lui vennero coniati termini nuovi come 'la mezza voce', 'il dolcemente sussurrato', 'il baritonello napoletano' (del Bosco, 1981). Da Milano, la parabola ascendente lo portò a Torino, Firenze, Roma e di nuovo a Napoli, dove debuttò infine trionfalmente al Salone Margherita nel 1903. Fu l’avvio di una seconda, fulgida fase della carriera, che lo vide in auge fino alle soglie della seconda guerra mondiale, quando anche la canzone napoletana d’autore cominciò a declinare.
Seppe passare con agio e semplicità dal genere comico al drammatico-sentimentale, accompagnando il canto con una gestualità sobria ed efficace e una sensibilità plastica del volto esibito sempre ‘al naturale’, senza far uso delle trasformazioni procurate con il maquillage. Le sue maggiori innovazioni riguardarono soprattutto il genere comico, nel quale, abbandonata la maniera di Maldacea, inventò l’uso del cambio di giacca per segnare il passaggio dal comico al drammatico. Sostituì ai baffi finti, alle parrucche e ai travestimenti l’utilizzo di cappelli, tubini, giacche e gabbanelle da lui create e adattate per i diversi tipi. Ripudiò i travestimenti, con una sola eccezione, in una tournée all’Hyppodrome di Londra nel 1911, dove si esibì in abiti femminili per la canzone Ninì Tirabusciò musicata da Salvatore Gambardella su versi di Aniello Califano, canzone che grazie a lui conobbe un successo inusitatamente longevo, passando dall’una all’altra interprete per almeno mezzo secolo.
Per quella tournée londinese Pasquariello aveva sconfitto, una volta tanto, una proverbiale paura dei viaggi per mare, a causa della quale aveva sempre rifiutato le numerose offerte di ingaggi provenienti dagli Stati Uniti e dai Paesi del Sudamerica, dove il pubblico degli emigrati italiani prometteva sicuri guadagni.
Si ritirò dalle scene nel 1947 e, in seguito all’inflazione postbellica che svalutò la fortuna acquisita in vita e da lui conservata con parsimonia, visse gli ultimi anni grazie a un sussidio della Società degli autori ed editori (SIAE) e a una sottoscrizione della Presidenza del Consiglio (Vergani, 1990, p. 291). Morì a Napoli il 27 gennaio del 1958.
Tenne in repertorio brani dei massimi autori della musica e della lirica partenopee nella sua stagione d’oro. Molti di loro gli affidarono la prima esecuzione di una loro canzone: nella sua carriera ne ‘battezzò’ più di settanta. Fu questo uno degli indici più alti del riconoscimento delle sue qualità artistiche.
In un genere ‘minore’ com’era il varietà rispetto al teatro drammatico dialettale e in lingua, Pasquariello rappresentò un’eccellenza e un’eccezione. Nella gerarchia del mestiere fu un indiscusso numero uno: per la parsimonia che ne fece una sorta di aristocratico dello spettacolo restio allo sperpero, in un mondo in cui l’esibizione dei guadagni e della fama erano invece segnali del prestigio; e per la fortuna critica e l’apprezzamento raccolto presso un’élite culturale che – da Puccini a Toscanini, da Salvini a Mantegazza, da Ricordi a Tosti – volle ammettere il suo nome e la sua arte nel novero dei ‘grandi’ dedicandogli autografi e scrivendo su di lui (Pasquariello Jr, 1999, pp. 26-40).
Fonti e Bibl.: G. Pasquariello, Parla P., in Scenario, VII (1938), 16-17, pp. 22-24; E. De Mura, Enciclopedia della canzone napoletana, Napoli 1960, pp. 292-295; Enciclopedia dello spettacolo, Roma: II, 1954, s.v. Café-chantant, IV, 1957, s.v. Donnarumma Elvira, VII, 1960, s.v. Maldacea Nicola e P. G., IX, 1962, s.v. Varietà; P. del Bosco, Quasi un editoriale, in Fonografo italiano (1890-1946). Raccolta di incisioni scelte e presentate da Paquito del Bosco, s. 1, 1, G. P., Milano 1981, pp. n.n.; R. De Angelis, Café-chantant. Personaggi e interpreti, a cura di S. De Matteis, Firenze 1984, pp. 55 s.; O. Vergani, Misure del tempo. Diario 1950-1959, a cura di N. Naldini, Milano 1990, pp. 291-294; G. Pasquariello Jr, Mio nonno Gennaro. La vicenda artistica di G. P. nella storia della canzone napoletana, Napoli 1999.