GENITORIALITA
GENITORIALITÀ. – Genitorialità e lessico giuridico. Genitorialità e riforma della filiazione. Genitorialità e biotecnologie. Bibliografia
Genitorialità e lessico giuridico. – Nel lessico giuridico la parola genitorialità è sostituita in generale da filiazione tanto che tale voce non è contemplata da alcuna enciclopedia giuridica italiana. È piuttosto un termine in uso nel linguaggio psicologico per indicare «le interiorizzazioni che accompagnano la funzione biologica dell’essere genitori» (G.C. Zavattini, Genitorialità, in Universo del corpo, Istituto della Enciclopedia Italiana, 3° vol., 1999, p. 726). Nel diritto ricorre invece l’aggettivo genitoriale che connota quel la che fino a poco tempo fa era chiamata potestà genitoriale e che, a seguito della riforma del 2012-13, viene denominata responsabilità genitoriale. Inoltre, con l’introduzione nel 2006 dell’affidamento condiviso, si parla di principio della bigenitorialità, che implica il diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori anche in caso di separazione di questi (art. 337 ter c.c.).
Nel rapporto genitori-figli, il termine filiazione, invero, sembra riflettere più precisamente la centralità del figlio e la finalità dei doveri di cura genitoriali, secondo la linea evolutiva del diritto in questa materia, per cui si parla addirittura di paidocentrismo (Palazzo 2007, 20132, p. 547). Lungo questa linea evolutiva è emerso infatti il superiore interesse del figlio (best interests of the child) come criterio fondamentale intorno al quale orientare la disciplina della filiazione. La g. può quindi essere assunta giuridicamente come categoria riassuntiva dello status genitoriale con le funzioni che le sono proprie. Nella Costituzione italiana la funzione genitoriale è espressa nell’art. 30, collocato nella parte I sotto il titolo Rapporti etico-sociali: «è dovere e diritto dei genitori mantenere istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio». Il significato evidente è che la procreazione, indipendentemente se sia avvenuta nel matrimonio o fuori di esso, costituisce la ragione della responsabilità genitoriale che la Costituzione qualifica in pari tempo «dovere» e «diritto»: dovere nei confronti dei figli e diritto nei confronti di ogni imposizione esterna, avendo a mente soprattutto quelle gravi ingerenze dello Stato di cui si è fatta esperienza nei regimi totalitari. Naturalmente, l’attribuzione costituzionale della funzione genitoriale a coloro che hanno procreato il figlio individua anche il criterio fondamentale di attribuzione dello status genitoriale.
Genitorialità e riforma della filiazione. – Nella linea del primato dell’interesse del figlio, si pone anche la direttiva di equiparazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori di esso contenuta nell’art. 30 Cost., il quale segna la fine della discriminazione contro i cd. illegittimi. In Italia, l’equiparazione è andata maturando progressivamente durante la seconda metà del Novecento per giungere a compimento con la riforma del 2012-13. La distinzione tra figli legittimi e naturali è stata cancellata, e il nuovo art. 315 bis c.c. prevede che tutti i figli abbiano lo stesso stato giuridico, cioè godano degli stessi diritti e vadano soggetti agli stessi obblighi nei confronti dei propri genitori. La disciplina della responsabilità genitoriale è unica pure con riferimento ai casi di separazione, divorzio, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio. Lo status di figlio implica ora il riconoscimento del legame di parentela con i parenti dei genitori anche nel caso della filiazione fuori dal matrimonio. L’equiparazione non ha però eliminato alcune delle prerogative del (nascere nel) matrimonio, il quale unisce in un unico rapporto i coniugi e i figli. Non sono state eliminate, per es., né la presunzione di paternità in favore del marito della madre né la considerazione degli obblighi verso i figli come obblighi coniugali.
Senza poter entrare nei dettagli della riforma, due profili vanno segnalati. Uno è il rafforzamento del principio del rispetto della persona del figlio come principio cardi ne del rapporto genitori-figli: la nuova formula dell’art. 147 c.c., ripresa dall’art. 315 bis c.c., nel prevedere l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, dispone non più che i genitori «tengano conto» soltanto, ma pure che «rispettino» le loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. La dimensione relazionale, intersoggettiva, del rapporto viene quindi ulteriormente valorizzata, donde anche il diritto del minore di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano (art. 315 bis c.c.).
Senza negare l’asimmetria tra adulto e bambino e quindi il bisogno di cura di quest’ultimo, la funzione genitoriale è impostata secondo un principio di rispetto dell’alterità del figlio (delle sue inclinazioni naturali). Il concetto problematico di natura e naturalità, che peraltro ricorre anche nell’art. 29 Cost., sembra indicare, con riferimento ai figli, l’esistenza di un limite dei poteri genitoriali che risiede nella stessa individualità e unicità della persona del figlio. Non più concepito come naturaliter aliquid patris, quasi un frutto o prodotto di chi l’ha generato, il figlio guadagna la considerazione di persona a pieno titolo da rispettare nella sua natura originaria in conformità del resto al principio costituzionale del libero sviluppo della personalità (art. 3 Cost.). Si rafforza in altre parole quella tendenza che la dottrina italiana contrassegnava con l’espressione «rapporto di filiazione», per indicare la dimensione intersoggettiva e dialogica di quest’ultima (Ferrando 1989). Il secondo rilievo riguarda il nuovo art. 243 bis c.c. che sancisce l’evoluzione della disciplina dell’azione di disconoscimento della paternità a seguito degli sviluppi delle biotecnologie. Dai limiti rigidissimi di matrice ottocentesca, ricollegati anche alla funzione di preservare lo status di padre derivante dalla presunzione di paternità a favore del marito della madre (art. 231 c.c.), nell’ultimo quarto del Novecento e nel primo decennio del Duemila l’operatività del disconoscimento di paternità si è allargata di molto. Decisivo è stato da ultimo il progresso biotecnologico, che ha reso obsoleti i requisiti della prova dell’adulterio o della mancata convivenza nel periodo del concepimento. Ora, l’art. 243 bis c.c., dopo aver stabilito che l’azione può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo, si limita a prevedere che «chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre».
La riforma, in ultima analisi, attua il valore della coincidenza tra g. sociale, o più precisamente legale perché legalmente riconosciuta, e g. biologica, nel senso che l’ordinamento individua come genitori legali – coloro che devono prendersi cura del nato – proprio i genitori biologici, cioè coloro che lo hanno procreato.
Genitorialità e biotecnologie. – D’altro canto, le stesse biotecnologie che sembrano sostenere il nesso tra responsabilità genitoriale e procreazione, aiutando a individuare colui che deve rispondere ai doveri nei confronti di colui o colei che egli stesso ha procreato, si offrono al contempo come strumenti di una diversa concezione della filiazione. Infatti, nelle moderne società industriali si è andata diffondendo una concezione soggettiva della g. che la rappresenta come «uno stato volontario, che è scelto e che può essere evitato, e non più come un evento ineluttabile nel normale ciclo vitale» (G.C. Zavattini, Genitorialità, in Universo del corpo, Istituto della Enciclopedia Italiana, 3° vol., 1999, p. 726). Non si tratta soltanto delle tecniche anticoncezionali e abortive (chirurgiche o farmacologiche) funzionali a evitare o interrompere nella fase prenatale la g., ma altresì della fecondazione artificiale quale mezzo per costruire una nuova g. legale. In particolare, la procreazione medicalmente assistita (v.) di tipo eterologo (detta anche esogama), ossia mediante gameti di persone estranee, è in grado di procurare una g. per scelta, a condizione, però, che la norma giuridica assegni il nato alla coppia o alla persona che abbia espresso tale scelta e al contempo esoneri dalla responsabilità genitoriale il genitore cd. biologico che abbia messo a disposizione i propri gameti. Tale tecnica è anche il presupposto della cd. maternità surrogata (o gestazione per altri), ossia del contratto tra una coppia (o un singolo) e una donna che ha per oggetto la gestazione da parte di quest’ultima e la cessione del nato e dello status genitoriale alla coppia (o al singolo) committente.
Il ritrarsi della filiazione sulla volontà del genitore con l’ausilio della legge e della tecnica si traduce giuridicamente in un abbandono della logica relazionale per adottare, in una certa misura, quella del diritto soggettivo. Proprio in tal senso si parla di autodeterminazione riproduttiva rappresentando la filiazione come una dimensione della personalità, come strumento di autorealizzazione del soggetto genitoriale, e non più come un rapporto nascente in forma di responsabilità.
Sul piano culturale, questo slittamento di senso della filiazione è affermato senza esitazioni nella prospettiva del radicalismo libertario che concentra la ratio essendi dei diritti dell’uomo sull’idea di autoproprietà (self-ownership) del corpo in capo ai soggetti capaci di intendere e di volere. Talora questa posizione sembra tuttavia derivare da un fraintendimento conseguente a un difetto di traduzione della prospettiva psicologica nell’ambito del discorso giuridico. Infatti dal punto di vista psicologico, la g. viene descritta come «una ‘funzione’, che non coincide necessariamente con la maternità e la paternità biologiche, ma si estrinseca nella ‘capacità di prendersi cura’» (G.C. Zavattini, Genitorialità, in Universo del corpo, Istituto della Enciclopedia Italiana, 3° vol., 1999, p. 726). Di qui l’opinione piuttosto diffusa secondo cui la qualifica di genitore dovrebbe dipendere dalla biografia più che dalla biologia, dagli affetti più che dal fatto procreativo. Indubbiamente, le interiorizzazioni che accompagnano la funzione biologica dell’essere genitori possono risolversi in un insuccesso e il rapporto rivelarsi insoddisfacente. La stessa Costituzione lo prevede nell’art. 30, 2° co., dove stabilisce che «nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti». L’adozione trova giustificazione e forma proprio in questo secondo comma, assumendo un inevitabile carattere sussidiario nei confronti della filiazione naturale (biologica) e di solidarietà verso il minore che in mancanza della «propria famiglia» (art. 1, 1° co., l. adoz.) è bisognoso di «crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia» (art. 1, 5° co., l. adoz.).
Ma il criterio biografico non può operare, per definizione, come criterio a priori per attribuire fin dall’inizio lo status genitoriale, dal momento che interiorizzazioni positive, sentimenti e affetti si possono sviluppare solo successivamente, non prima che la relazione sorga: perciò essi non possono assumere il rilievo di un criterio di attribuzione della g. se non, eventualmente, a posteriori (Nicolussi 2014, p. 8). Pertanto, a priori, cioè prima che si possa instaurare una qualsiasi relazione affettiva successiva alla nascita, il criterio del fatto procreativo non può essere messo in concorrenza con quello dell’affettività, ma semmai con un criterio volontaristico che a sua volta presupporrebbe la disponibilità degli status. Tale ultimo criterio, peraltro, operando un’astrazione della filiazione dalla sua base biologica, disincarnandola, per così dire, priverebbe la filiazione di quella caratteristica specifica che la distingue dalle altre relazioni umane; senza contare che tale prospettiva, incentrata sulla volontà dell’adulto, è in controtendenza con il primato dell’interesse del figlio.
Nei primi due decenni del Duemila in Italia l’ambivalenza del rapporto tra filiazione e biotecnologie sembra riflettersi in una sorta di doppio binario tra fonte legale e fonte giurisprudenziale del diritto. Da un lato, la legislazione è parsa rispettosa dei principi costituzionali proseguendo nel solco del principio di attribuzione della g. in funzione del fatto procreativo. Su questa linea si è posta non solo la legge di riforma della filiazione, ma anche in precedenza la l. 19 febbr. 2004 nr. 40 in materia di procreazione medicalmente assistita ammettendo le coppie sterili o infertili alla fecondazione omologa, ossia mediante gameti della coppia, e vietando ogni tipo di eterologa.
Per contro, la giurisprudenza non sempre è rimasta nel solco del modello legale e costituzionale della genitorialità.
Essa ha, invero, dovuto fronteggiare il fenomeno del cd. turismo procreativo, ossia le procreazioni di tipo eterologo realizzate all’estero, sia nella forma della fecondazione con gameti di terzi sia nella forma della cd. maternità surrogata. Di qui la necessità di un giudizio a posteriori, dopo il fatto compiuto, circa la richiesta, proveniente talora anche da singoli o coppie omosessuali, di trascrivere negli atti dello stato civile italiano l’atto di nascita formato all’estero. Da ultimo, questa sorta di competizione fra ordinamenti giuridici sembra avere indotto la Corte costituzionale (sentenza 10 giugno 2014 nr. 162) a dichiarare l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa, nonostante poco prima la Corte europea dei diritti dell’uomo avesse riconosciuto sia la legittimità del divieto in relazione alla CEDU (Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali) sia la discrezionalità degli Stati in questa materia. La Corte costituzionale non cita nemmeno l’art. 30 Cost. e, nel prendere congedo dallo specifico paradigma costituzionale della filiazione come rapporto etico-sociale, dà ingresso al principio di autodeterminazione ‘riproduttiva’ della coppia che estrae dalla generica previsione dei diritti inviolabili contenuta nell’art. 2 della Costituzione. Tale principio, peraltro, secondo la Corte non sarebbe invece sufficiente a eliminare il divieto di maternità surrogata, né a mettere in discussione i criteri di accesso alla procreazione medicalmente assistita che la legge riserva alle coppie, coniugate o non, di sesso diverso.
Bibliografia: G. Ferrando, Rapporto di filiazione, in Enciclopedia giuridica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1989, ad vocem; A. Palazzo, La filiazione, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano 2007, 20132; A. Renda, L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino 2008; F. Bocchini, Diritto di famiglia. Le grandi questioni, Torino 2013; M. Sesta, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, «Famiglia e diritto», 2013, pp. 231-41; La riforma del diritto della filiazione, «Le nuove leggi civili commentate», 2013, pp. 437-650; A. Nicolussi, La filiazione e le sue forme: la prospettiva giuridica, in Allargare lo spazio familiare, a cura di E. Scabini, G. Rossi, Milano 2014, pp. 3-21; La nuova disciplina della filiazione, Santarcangelo di Romagna 2015; La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova 2015.