Genetica. Consulenza genetica
La consulenza genetica rappresenta un momento di fondamentale importanza nella pratica della genetica medica. La complessità e la problematicità del processo richiedono un esame approfondito di tutte le fasi in cui esso si articola. Tuttavia, tale processo non è ancora stato studiato e descritto in maniera adeguata. Alla base della consulenza genetica vi è uno scambio di informazioni tra un professionista nel campo sanitario e chi richiede la consulenza stessa. Le modalità con cui questo scambio viene messo in opera sono fondamentali per la buona riuscita del processo. Inoltre, dal punto di vista etico la consulenza solleva problematiche di grande complessità, in particolare legate all'effettuazione degli accertamenti genetici. Le questioni di etica pratica che la consulenza pone sono importanti sia per il consulente sia per il paziente.
L'atteggiamento che il consulente deve tenere nel corso del suo intervento varia a seconda dei casi affrontati. Mantenere un comportamento 'non direttivo' è fondamentale per evitare di cadere nell'abuso delle tecnologie genetiche disponibili. L'insistenza da parte dei consulenti genetici sull'importanza della 'consulenza non direttiva' è comprensibile per molti motivi. Nel professionalizzare il proprio ambito di lavoro, i consulenti genetici vollero ‒ e vogliono tuttora ‒ prendere le distanze dalla 'eugenica' di stampo nazista. In quello stesso periodo, nel campo dell'etica medica, almeno nel mondo anglosassone, si impose il principio di autonomia, molto in sintonia con la tendenza all'individualismo evidente in campo politico, sociale ed economico nella seconda metà del XX secolo. I consulenti genetici vogliono che sia ben chiaro che essi non dicono cosa fare a chi li interpella; chi si rivolge a loro deve mantenere la responsabilità delle proprie decisioni e delle proprie azioni ed essi fanno di tutto per evitare di dare suggerimenti sulle scelte più opportune da adottare. Anche quando risulta perfettamente chiara dal contesto quella che il consulente pensa sia la linea di condotta migliore, egli fornirà l'informazione presentandola in modo da evitare che un qualsiasi suggerimento possa sembrare un consiglio. Il bravo consulente, cioè quello non direttivo, lascerà a chi lo interpella la possibilità di fare una scelta autonoma.
Secondo il genetista statunitense Clarke F. Fraser, la consulenza genetica "è un processo di comunicazione che affronta i problemi umani associati al verificarsi di, o al rischio che si verifichi, una malattia genetica all'interno di una famiglia. Questo processo implica il tentativo, da parte di una o più persone opportunamente preparate, di aiutare l'individuo o la famiglia a: (a) comprendere gli aspetti medici, e cioè la diagnosi, il probabile decorso della malattia e le cure disponibili; (b) rendersi conto del modo in cui l'ereditarietà contribuisce alla malattia e del rischio di ricorrenza in determinati parenti; (c) capire quali possibilità esistono per evitare il rischio di ricorrenza; (d) scegliere la linea d'azione che sembra più appropriata in base al tipo di rischio e alle aspirazioni della famiglia, e agire di conseguenza; (e) trovare i rimedi più efficaci ai problemi dell'individuo affetto o al rischio di ricorrenza" (Fraser 1974). Questa definizione è ancora ampiamente utilizzata.
Il processo di consulenza genetica comincia quando un paziente, o un suo familiare, viene indirizzato a un servizio di genetica clinica. Solitamente, la lettera di presentazione da parte del medico di famiglia o di uno specialista ospedaliero spiega la natura del problema del soggetto che necessita della consulenza, insieme alla diagnosi presunta. In questa comunicazione può anche essere chiarito se è il paziente, o la sua famiglia, a richiedere la consulenza o se è stato lo stesso medico ad aver fornito questo tipo di suggerimento. Il paziente e la sua famiglia possono richiedere maggiori informazioni sul tipo di patologia che colpisce uno o più membri della famiglia. In particolare essi possono desiderare: una diagnosi precisa della malattia, qualora non sia già stata stabilita; una spiegazione su ciò che si è verificato nella famiglia; sapere cosa riserva il futuro agli individui affetti, compresi il rischio di complicazioni specifiche, le possibilità di prevenzione e quelle di cura; comprendere il meccanismo con cui si eredita la patologia; conoscere le probabilità che qualcun altro nella famiglia risulti malato, cioè se qualcuno attualmente sano possa in seguito sviluppare la malattia, o se possa nascere un bambino ammalato; sapere come si può evitare la nascita di un altro figlio con la stessa patologia; conoscere le misure da adottare per prevenire, o tenere sotto controllo, le complicanze della malattia.
Chi fa ricorso alla consulenza genetica può anche essere interessato a eventuali indagini genetiche. In taluni casi, mediante la cosiddetta 'indagine genetica predittiva', è infatti possibile identificare gli individui che hanno probabilità di sviluppare in futuro una malattia. Oppure, con l' si può identificare un feto che avrà, o è probabile che possa avere, una malattia genetica specifica se la gravidanza verrà portata a termine. In queste situazioni, chi ricorre alla consulenza genetica spesso vuole conoscere quali siano i rischi della situazione che si va profilando, le possibilità offerte dai test (cioè quanto essi siano sensibili e specifici) e cosa comportino, in pratica, questi procedimenti d'indagine. I medici curanti possono avere ragioni proprie per indirizzare una famiglia verso un accertamento e una consulenza genetici. Tuttavia è possibile che nella diagnosi vi sia una incertezza, che il medico preferirebbe veder risolta al di là del proprio ambito professionale, anche se il paziente non attribuisce molta importanza alla precisa definizione utilizzata per descrivere la patologia presente nella sua famiglia. Il medico curante può inoltre desiderare che i membri della famiglia si attengano alle sue raccomandazioni riguardanti gli accertamenti genetici predittivi e prenatali o la pianificazione familiare. Può esserci da parte sua la volontà che la famiglia faccia i passi necessari per assicurarsi che non nascano altri bambini ammalati; tuttavia, la famiglia può condividere o meno questo punto di vista.
Una volta che a un servizio di consulenza genetica giunge una richiesta, viene fissato un primo incontro con il gruppo di lavoro che svolge questo tipo di attività. In questa fase l'obiettivo principale è quello di ascoltare coloro che ricorrono alla consulenza genetica e capire quali siano le loro aspettative; cosa già sanno, o sospettano; se vogliono maggiori informazioni sulla patologia e come vi faranno fronte; se è richiesta una diagnosi più precisa e se vengono presi in considerazione test genetici predittivi o prenatali. In questa fase è anche utile raccogliere le informazioni sulla famiglia in questione e sul problema genetico all'interno della famiglia. Se chi ricorre al servizio di genetica non è affetto da quella particolare patologia, può essere necessario esaminare la documentazione medica relativa ai parenti ammalati, richiedendone il permesso e valutando i loro precedenti clinici, prima di poter rispondere in maniera adeguata alle domande che sono state poste.
La fase di ascolto è un processo attivo, forse l'aspetto centrale e più importante perché si instauri una buona comunicazione: i consulenti genetici devono utilizzare tecniche specifiche al riguardo. Talvolta i richiedenti hanno difficoltà nell'esprimere le proprie aspettative e, perciò, può essere necessaria una grande sensibilità per aiutarli a spiegare i loro quesiti e le loro preoccupazioni. Altri non si aspettano nulla di particolare e sono stati indirizzati al servizio su indicazione del proprio medico. In questi casi il consulente deve considerare la possibilità di rispondere in modo costruttivo al medico richiedente senza creare o accentuare problemi al paziente. Arrivare alla definizione di una diagnosi costituisce una priorità importante dal punto di vista di molti medici, ma ciò può essere non appropriato se il processo di definizione corre il rischio di danneggiare il fragile equilibrio emotivo di una famiglia o qualora la definizione della patologia non apporti alcun beneficio terapeutico.
Un punto importante per il consulente genetico è capire perché il ricorso alla consulenza si è verificato in quel dato momento, piuttosto che l'anno prima o l'anno dopo. A volte le ragioni possono essere ovvie, come nel caso di una gravidanza ad alto rischio o di una recente individuazione di anomalie nello sviluppo di un bambino, ma sovente la molla che ha portato a richiedere la consulenza non è immediatamente evidente. I fattori che possono aver condotto alla consulenza emergono nel colloquio iniziale con la famiglia che, talvolta, può essere svolto a domicilio da personale paramedico specializzato. Queste informazioni possono essere molto utili per poter condurre la successiva consulenza clinica nel modo più proficuo e appropriato. Ciò è particolarmente vero se i diversi membri di una famiglia adottano ciascuno approcci differenti alla 'propria' malattia genetica (o alla propria condizione di rischio potenziale). Essi possono avere aspettative diverse dal consulto o possono esservi interessati in modo differente; una valutazione esatta in proposito permette al gruppo di consulenti di rimanere neutrale rispetto a possibili discordanze in ambito familiare.
Prima che il consulente genetico possa rispondere alle domande e alle preoccupazioni di chi richiede la consulenza, è necessario stabilire quali siano le basi mediche di tali preoccupazioni. Questo processo può essere breve e semplice oppure complesso e richiedere molto tempo. Sostanzialmente deve essere confermata la diagnosi della patologia nei vari membri della famiglia; se non è stata fatta alcuna diagnosi, può essere necessario esaminare gli individui ammalati e prendere in considerazione indagini opportune. In molti casi non si perverrà a una diagnosi precisa anche dopo un accertamento approfondito e allora sarà più difficile rispondere alle domande della famiglia con sicurezza e autorevolezza.
L'incertezza diagnostica è particolarmente frequente in presenza di un bambino con anomalie fisiche multiple e ritardo nello sviluppo. In circa la metà dei bambini con questi problemi si riesce a formulare una diagnosi come spiegazione della causa di tali problemi, mentre nell'altra metà ciò è impossibile. In tal caso, ci si chiederà se le insolite caratteristiche fisiche e le difficoltà nello sviluppo siano insorte per caso oppure abbiano una singola causa comune riconducibile a una patologia precisa. Se le preoccupazioni della famiglia riguardano possibili rischi (per es., che chi richiede la consulenza sviluppi un tumore o una malattia degenerativa, o che un figlio futuro sia affetto da una particolare patologia), per rispondere il consulente genetico può avere la necessità di effettuare calcoli complessi ed è bene che sia consapevole della validità limitata di alcune stime di rischio, basate su un'esigua quantità di dati pubblicati in letteratura. Anche se non sussistono problemi di complessità di calcolo, il consulente può dover verificare la letteratura medica o le banche dati genetiche per poter rispondere in maniera adeguata alle domande, oppure può ritenere necessario discutere i particolari di una patologia familiare con altri colleghi prima di essere sicuro di fornire la migliore informazione disponibile.
Una volta formulata la diagnosi clinica, diventa possibile rispondere alle domande di chi è ricorso alla consulenza. Il modo con cui ciò viene fatto dipende in gran parte dal giudizio formatosi nel gruppo dei consulenti genetici (il medico e i suoi collaboratori) riguardante il livello culturale del richiedente e degli altri membri della famiglia, nonché la loro disposizione emotiva. L'informazione comunicata a chi ha richiesto la consulenza può essere recepita come una 'notizia buona' o come una 'notizia cattiva'; individui diversi potrebbero anche interpretare quella che apparentemente sembra la stessa informazione in modo completamente opposto. Quando occorre fornire informazioni riguardanti possibili rischi, il modo in cui questi vengono presentati dovrà considerare (per essere adeguato), oltre al livello culturale generale del richiedente, anche la sua competenza matematica e la sua familiarità con i numeri. Può essere utile presentare sia la probabilità che un evento si verifichi (X), sia la probabilità che non si verifichi (non-X). Inoltre può succedere che le varie probabilità debbano essere presentate in più forme differenti, cioè come frazione, come decimale, percentuale o rapporto di probabilità. Per esempio, la probabilità che si verifichi (X) può essere data come 1/4, 0,25, 25%, oppure 1:3; la probabilità (non-X) sarà perciò 3/4, 0,75, 75% o 3:1. Se la probabilità di un evento è ridotta, saranno utili rappresentazioni grafiche. Le descrizioni verbali relative ai gradi di rischio possono influire in maniera significativa nel determinare la reazione di ciascun individuo di fronte all'informazione sui rischi che corre, per cui i consulenti spesso cercano di evitare descrizioni valutative del tipo 'alto rischio' o 'basso rischio'. Quando è probabile che l'informazione da comunicare causi angoscia, è necessario fare particolarmente attenzione al modo con cui questa viene trasmessa. Un'organizzazione corretta prevede che venga deciso chi deve essere presente durante la consultazione: il richiedente con il proprio partner, o un genitore, o un amico, e in assenza di studenti o di personale non necessario. L'ambiente in cui si svolge il colloquio dovrebbe essere un luogo riservato, per evitare interruzioni. Informazioni sgradevoli dovrebbero essere comunicate con schiettezza e in modo diretto da qualcuno che trasmetta calore e comprensione. Il richiedente dovrebbe avere l'opportunità di rivedere il consulente in incontri successivi per porre i propri quesiti e dovrebbe avere a disposizione tempi e modi per valutare le proprie sensazioni.
Nell'ambito delle patologie maligne si adotta frequentemente l'espediente di 'dosare' le informazioni, procedimento che può essere suddiviso in sei fasi: introdurre l'argomento; scoprire il grado di conoscenza del paziente; capire quanto egli desideri sapere; instradarlo nelle informazioni che riceve con spirito educativo; rispondere alle sue reazioni; pianificare l'informazione e portarla a termine. Molte di queste strategie sono applicabili nell'ambito della genetica clinica e della consulenza genetica. È da tenere in particolare considerazione che a chi richiede la consulenza può essere più utile ricevere le informazioni per gradi, verificando ciò che egli già conosce e ciò che desidera venire a sapere in quel dato momento. Fornendogli quella porzione di informazione, il consulente gli consente di ritornare per ulteriori spiegazioni dopo alcuni giorni, o settimane o mesi, dandogli modo di assimilare le cattive notizie in maniera graduale. Dare agli interessati il controllo sui tempi in cui verranno fornite loro le informazioni riveste un'importanza cruciale e richiede una sensibilità particolare.
Il ruolo centrale del modo in cui si dà l'informazione mette in risalto un aspetto importante su cui la consulenza genetica differisce dalla consulenza più comunemente e generalmente intesa. La consulenza generica è stata definita in molti modi; la British Association for Counselling (1984) asserisce che "il compito della consulenza è quello di dare a chi la richiede l'opportunità di esplorare, scoprire e chiarire modi di vivere più soddisfacenti e proficui". La finalità della consulenza è quella di essere un processo di supporto mediante il quale il paziente è aiutato nella sua crescita personale e nel suo sviluppo. Per tale motivo, di solito, la consulenza è un processo centrato sul paziente, durante il quale si comunicano sostegno e spunti di riflessione.
La consulenza genetica si differenzia da quella medica generalmente intesa in quanto il consulente possiede un corpo di conoscenze riguardanti la genetica umana, sulle quali deve basarsi per rispondere con autorità alle domande che gli vengono poste. Il consulente genetico, perciò, spesso parla con un'autorità che non sarebbe appropriata in altri tipi di consulenza; la consulenza genetica è inevitabilmente autorevole, benché auspicabilmente non autoritaria.
Le informazioni riguardanti la costituzione genetica di chi ha richiesto la consulenza possono avere implicazioni di vasta portata sia per il diretto interessato sia per altri membri della sua famiglia. Molte delle aspettative che abbiamo riguardo al nostro avvenire si basano sul presupposto che in futuro avremo probabilmente una buona salute, una certa durata di vita e probabili obblighi di assistenza ai genitori, ai compagni o ai figli. Sia che queste assunzioni siano implicite, sia che siano esplicite, può essere estremamente penoso vederle messe in discussione da un esperto in biomedicina.
Coloro che si trovano a rischio di sviluppare una malattia genetica nell'età adulta possono costruire il proprio progetto di vita sull'assunto che manifesteranno la malattia di famiglia diventando disabili o morendo in un'età relativamente precoce, per cui possono decidere di non sposarsi o di non avere figli; costoro possono essere definiti 'pianificatori prudenti'. Altri individui, in una simile posizione, possono rifiutare e reprimere qualunque pensiero riguardante il proprio rischio di ammalarsi, senza neanche riuscire a seguire le precauzioni raccomandate loro per minimizzare possibili problemi di salute, la cosiddetta 'posizione di rifiuto dello struzzo'. Se entrambe queste categorie di persone scoprono che i presupposti su cui hanno costruito le loro esistenze erano falsi, si possono sentire angosciate e provare rammarico per decisioni pratiche prese riguardo alla propria vita e che a quel punto appaiono inappropriate. Il pianificatore prudente che decide di non sposarsi e in seguito scopre che, dopo tutto, non è a rischio di ammalarsi, può rammaricarsi di aver buttato via la propria occasione di essere felice assieme alla persona amata. Lo 'struzzo', quando scopre che sta sviluppando la malattia ricorrente nella sua famiglia, si può sentire avvilito magari per aver trasmesso la patologia ai propri figli o per non aver fatto le scelte suggeritegli per minimizzare l'impatto della malattia sulla sua salute fisica.
Anche coloro che vengono identificati come persone a rischio di avere un figlio affetto da una patologia genetica possono rispondere in modo diverso a questa informazione: tentare la sorte, magari con la probabilità di 1 su 2 o di 1 su 4 per ogni gravidanza; non avere figli; oppure richiedere la diagnosi prenatale, con l'opzione di interrompere la gravidanza qualora il feto dovesse risultare affetto da tale patologia. Le decisioni che i singoli individui o le coppie prendono probabilmente variano a seconda delle loro esperienze, dei loro valori e anche delle loro credenze. Se una coppia ha avuto un figlio affetto da una malattia grave, o se un membro della coppia ha un fratello o una sorella malati, ciò influirà sicuramente sui loro piani futuri. Anche il tipo di cure richieste da un figlio affetto, se questo è ancora vivo, può influenzare la coppia stessa; i genitori si possono sentire in grado di accudire un figlio affetto, ma non due o tre figli. Le esperienze di diagnosi prenatale in una precedente gravidanza, e soprattutto di interruzione di una gravidanza, possono influenzare la decisione che una donna prenderà in una successiva occasione.
Dove le leggi dello Stato non sono influenzate dalla religione, per cui la diagnosi prenatale e l'interruzione delle gravidanze patologiche sono quantomeno permesse, la formale affiliazione religiosa degli individui sembra avere scarsa influenza sulle loro decisioni riproduttive. Ciò, comunque, non significa che gli aspetti morali non rivestano un ruolo determinante, ma piuttosto che, nel momento di prendere una decisione, gli aspetti morali considerati non sono influenzati così fortemente dalle credenze codificate dalle istituzioni religiose. Lo sono invece dalle esperienze personali, sociali e collettive dei singoli individui, riguardanti la malattia e la condizione di disabile, per non parlare del peso delle reazioni in risposta alla malattia e all'invalidità. Sono importanti sia le reazioni personali sia quelle attese dagli altri, così come la disponibilità di reti familiari di supporto, il tipo di sistemi sanitario e previdenziale e la loro efficienza pratica, oltre alla fiducia in un sostegno sociale più ampio.
Di fronte a una decisione, alcune persone si sforzano di elencare e valutare tutti i possibili motivi per agire nel modo più 'obiettivo' possibile, altre si formano un'opinione immediata, in modo intuitivo, altre ancora considerano nei minimi particolari la gamma dei possibili esiti e poi giungono alla decisione con la quale sentono di poter convivere, magari l'opzione che corrisponde al male minore in circostanze difficili. Un fattore che ha molta influenza su questi processi è la comprensione individuale dell'informazione relativa al rischio che è stata fornita; molti individui rispondono all'informazione sul rischio in modo dicotomico, credendo o che 'si verificherà' o che 'non si verificherà'. Perciò la decisione sarà presa in base alla convinzione su quello che succederà, piuttosto che registrando l'informazione sul rischio di per sé. In questi casi non è ben chiaro il processo con il quale si arriva a una decisione. Talvolta si presume che un calcolo razionale sia il modo migliore per prendere una decisione, ma questo tipo di calcolo prende in considerazione solo un numero limitato di fattori e quindi sarà sempre insoddisfacente.
Il consulente genetico presenta solitamente l'intera gamma di opzioni correlate a ogni decisione che il richiedente si trovi ad affrontare, e cerca di inquadrarle nel modo più neutrale possibile, cioè cercando di non spingerlo a fare una scelta piuttosto che un'altra. Ciò può comportare di dover aiutare il richiedente a prendere in considerazione ciascuna linea di condotta possibile, per dargli l'opportunità di riflettere sulle eventuali implicazioni (per sé e per altri) di ciascuna scelta. Questo modo di procedere è stato definito 'scenario decision counselling' (letteralmente, consulenza con prospettazione di scenari) ed è una procedura utilizzata dal consulente per "aiutare chi ha richiesto la consulenza a giungere a una decisione in modo saggio, piuttosto che a raggiungere una saggia decisione" (Shiloh 1996).
Un ambito in cui sono particolarmente importanti il ricorso e il ruolo della consulenza genetica è quello dei diversi tipi di accertamenti medici che riguardano la costituzione genetica di un individuo. Tali accertamenti non dovrebbero essere presi in considerazione indipendentemente dalla consulenza genetica e andrebbero effettuati solo assicurando un'opportuna consulenza e un'informazione genetica, sia prima di effettuare il test sia dopo. La consulenza fornita in associazione ai test genetici ‒ con particolare riferimento allo scenario decision counselling ‒ , che può essere assai utile poiché permette a chi la riceve di meditare sulle possibili conseguenze personali successive all'accertamento, segue le regole già esposte. Occorre, cioè, considerare quali potrebbero essere le risposte del richiedente e della sua famiglia al verificarsi di uno dei quattro possibili risultati principali: fare l'accertamento e avere un risultato favorevole; fare l'accertamento e avere un risultato sfavorevole; fare l'accertamento e avere un risultato inatteso di significato incerto; non sottoporsi all'accertamento.
Le modalità con cui vengono compiuti gli accertamenti sono generalmente importanti per mitigare gli eventuali sentimenti di angoscia del paziente. È ormai considerata buona norma assicurarsi di aver ottenuto dal paziente un consenso informato scritto (quando è possibile ottenerne uno valido), prima di effettuare alcuni accertamenti genetici a scopo diagnostico per patologie che possono avere profonde implicazioni per altri membri della famiglia. Ciò non per rendere complicata l'acquisizione di tali diagnosi, ma per essere sicuri che le possibili conseguenze per gli altri vengano prese in considerazione subito, piuttosto che essere comprese in seguito. Una volta che sia stata definita la diagnosi di malattia genetica, è inoltre necessario assicurarsi che venga garantita la stessa consulenza anche agli eventuali parenti che possono essere coinvolti.
I test genetici predittivi pongono invece altri ordini di problemi, legati soprattutto ai limiti di predizione dei test e ai probabili esiti degli accertamenti. La consulenza in questo caso equivale allo scenario decision counselling e si svolge in almeno due incontri a distanza di alcune settimane. Con le opportune precauzioni si può minimizzare l'impatto emotivo, aumentando l'utilità percepita dell'accertamento. Va inoltre tenuto conto delle differenti patologie. Alcune delle malattie per cui l'accertamento genetico può indicare un alto rischio sono curabili se affrontate precocemente, come numerosi tumori a ricorrenza familiare. Per altre, come la corea di Huntington, non è disponibile alcun intervento terapeutico. La consulenza avrà dunque profili differenti a seconda dei casi affrontati.
L'accertamento prenatale richiede atteggiamenti molto bilanciati da parte del consulente. Quando una donna o una coppia corre il rischio di avere un figlio affetto da gravi malattie genetiche o da malformazioni congenite, le informazioni fornite nel corso della consulenza possono influenzare ‒ insieme a fattori sociali, morali, economici e altri ancora ‒ in maniera decisiva la scelta di intraprendere o no una gravidanza.
Quando le famiglie hanno già un'esperienza diretta e una conoscenza approfondita della malattia per la quale loro o i propri figli sono a rischio, la consulenza genetica e la diagnosi prenatale fanno sorgere relativamente poche difficoltà etiche, a parte la questione generale riguardante l'aborto. Se l'alterazione genetica presente nella famiglia è sufficientemente grave da giustificare l'interruzione di gravidanza, sorge un dilemma etico importante. Solitamente, la risposta a questo problema da parte dei consulenti genetici è quella di ricorrere alla propria neutralità professionale, lasciando la decisione a chi si è rivolto al consulente. Questa risposta ‒ la complicità passiva ‒ non è completamente adeguata, perché ignora la responsabilità del consulente nell'assicurarsi che chi lo ha consultato abbia valutato l'intera gamma delle possibili conseguenze delle proprie decisioni. Inoltre, essa ignora anche le ricadute sociali dei servizi di consulenza e di accertamento genetici e le conseguenze per la collettività della somma delle scelte individuali.
L'atteggiamento 'non direttivo' è particolarmente importante nell'ambito della diagnosi prenatale, ma è un fenomeno complesso e controverso. Non si può infatti scaricare tutta la responsabilità sul paziente. In alcuni casi, la neutralità è difficile da mantenere: può essere arduo anche per un professionista molto esperto nascondere il proprio dissenso dalle decisioni di certe famiglie, specialmente quando la diagnosi prenatale e l'interruzione di una gravidanza vengano richieste per malattie curabili, per patologie banali o che diano adito a problematiche di ordine essenzialmente estetico, perché il feto è del sesso 'sbagliato' (socialmente indesiderabile, solitamente quello femminile) o perché ha un padre 'sbagliato' (socialmente inopportuno). Queste situazioni scivolano rapidamente dal campo della medicina e della genetica medica all'abuso sociale delle tecnologie genetiche. Le possibili risposte includono un immediato rifiuto anche a discutere le questioni, un'analisi approfondita dei motivi per cui la coppia fa questa richiesta, o l'invio a una serie più approfondita di consulenze o alla psicoterapia.
Il rispetto per l'autonomia decisionale e la riservatezza, l'attenersi rigidamente al preventivo consenso informato per qualsiasi procedimento diagnostico o diffusione di informazioni e l'adesione alla consulenza non direttiva formano nell'insieme il nucleo che caratterizza essenzialmente il modo attuale di fornire consulenza genetica.
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