GENERE (dal lat. genus, -eris; fr. genre; sp. género; ted. Genus, Geschlecht; ingl. gender)
Categoria grammaticale propria del nome (v. nome; morfologia) di origine non astratta come quella del numero (v.), ma empirica. Il genere come espressione grammaticale risale, attraverso il latino genus, al greco γένος, già da Protagora adoperato con questo valore e distinto in ἄρρην (lat. masculinum) ϑῆλυς (lat. femininum) e σκεῦος (letteralmente "strumento"). Le espressioni più recenti sono αρρενικόν, ϑηυτικόν e, per il neutro, dapprima τό μεταξύ "l'intermedio" (Aristotele), poi οὐδέτερον (lat. neutrum). Già i grammatici latini tengono distinto genus, il genere grammaticale, da sexus, il genere naturale. Il genere grammaticale è, in sostanza, la trasformazione e regolarizzazione di una differenza originaria fra la categoria dell'animato e dell'inanimato.
Nella fase antica delle lingue indoeuropee i sostantivi di genere animato distinguono formalmente il nominativo dall'accusativo e hanno un sistema parallelo di singolare e di plurale: lupus, lupum "il lupo" lupi, lupos "i singoli lupi". I sostantivi di genere inanimato non distinguono i due casi e invece di un plurale parallelo hanno un collettivo (iugum "il giogo", iuga "raccolta di gioghi"), collettivo che in origine era considerato come singolare.
I suffissi che costituiscono i diversi temi nominali non hanno in origine valore ai fini della categoria del genere: una coppia di sesso diverso era indicata con due radici diverse, p. es. pater e mater, vir e mulier, o per insistere sul valore femminile, si usava, di fronte a lupus (specie animale e lupo maschio) lupus femina.
La categoria degli aggettivi e dei pronomi era messa però in relazione con esseri di genere naturale diverso, non distinguibile senza la ripetizione del sostantivo. Il rapporto egli, ella senza una differenziazione formale avrebbe bisogno della ripetizione di uomo, donna e così via. A questo fine le lingue indoeuropee non hanno creato una categoria nuova di genere naturale ma, all'interno di quella animata (tema dimostrativo in s- in confronto di quello inanimato t-) hanno ricorso alla flessione in -o, quindi a *so- (greco ó) per indicare il maschile, a quelli in -ā, quindi *sā (greco ἡ) per il femminile. Su questo schema gli aggettivi hanno avuto modo, in buona parte, di raddoppiare la propria flessione e si è creata la cosiddetta "mozione": bonus, bona.
Stabilita la concordanza pater bonus, mater bona che riposano sopra una differenza di genere naturale, il legame formale ha provveduto a stringere i rapporti fra parole, concepite genericamente come animate, ma prive di genere naturale, e le forme corrispondenti dell'aggettivo: i nomi in -us hanno ricevuto il genere grammaticale maschile, quelli in -ā il genere femminile, senza che nella sostanza ci sia alcun punto di riferimento. E più in là anche i nomi con finale diversa da -us e da -ā hanno dovuto decidersi a scegliere una delle due forme dell'aggettivo, attribuendosi così, per un'esigenza negativa, né sostanziale né formale, un genere: manus dextera, pes dexter, concepiti come forme di genere animato, hanno dovuto specializzarsi ulteriormente, a differenza degl'inanimati cor, iecur, rimasti nello stato primitivo.
Il sistema del genere si è completato, estendendosi al neutro, dando ad esso un plurale normale, sopprimendo il confine che lo separava un tempo dagli altri generi. Ma contro questo sistema triplice, che tutte le lingue indoeuropee hanno in un certo momento posseduto, hanno lavorato ben presto fattori avversi. Certe categorie di concetti, indipendentemente dalla forma, hanno costituito una categoria omogenea di genere: per cui di fronte ai nomi di frutti concepiti come neutri, i nomi di piante sono stati considerati come femminili. Così, nonostante la desinenza, si dice in latino populus alba. I concetti astratti hanno genere femminile: ma come attributo di una funzione, denotano individui di genere, anzi di sesso diverso, e conducono a sconcordanze fra il sesso e il genere come essa (la guardia) proibisce. I diminutivi tedeschi sono neutri, anche applicati a concetti, inscindibili dalla nozione, logica e affettiva, del genere naturale, come Fräulein.
Ancor più gravi sono gli ostacoli formali alla categoria del genere, quando certe innovazioni linguistiche non sono frenate da una lingua letteraria: la caduta delle finali, togliendo un elemento formale caratteristico, svaluta anche la categoria del genere.
Nelle lingue romanze il neutro singolare si lega ben presto al maschile, il neutro plurale al femminile. Il cambiamento di genere si lega al cambiamento di numero, nelle forme come il dito, le dita; il tempo, le tempora. Propria dei tempi moderni è poi la difficoltà di mantenere una differenza formale a nomi d'agente che si riferiscono a funzioni ugualmente accessibili a uomini e donne: dottore, professore, ecc., che hanno in italiano un femminile avviato alla decadenza, mentre in francese non lo possiedono affatto.
La decadenza del genere grammaticale, che in inglese è giunto all'annullamento, in tedesco non è più segnalato quando si tratti della concordanza del predicato col soggetto, può essere dovuta a fattori esterni, ad ambienti linguistici refrattarî alla distinzione del genere, come è avvenuto p. es. in armeno.
Delle lingue estranee all'indoeuropeo, solo quelle camito-semitiche si trovano a una stessa fase rispetto alla categoria del genere. Nell'etrusco si hanno esempi di "mozione" impropria, cioè di distinzione dal femminile per mezzo dell'aggiunta (non dalla sostituzione) di un suffisso, per di più facoltativa: p. es. la coppia di Ade e Persefone, Eita e Phersipnai, di fronte a suffisso maschile o indifferenziato -na. Le lingue uralo-altaiche ignorano la categoria del genere. Fra le lingue caucasiche settentrionali si ha invece una classificazione assai complessa del nome, nel Ceceno ad es. in sei classi, due di genere inanimato, due di genere inanimato o animato non provvisto di ragione, una di esseri animati ragionevoli maschili, una degli stessi femminili. Le lingue dravidiche distinguono classi di persone e di cose e in seconda linea genere maschile e femminile. Animato e inanimato si ritrova nelle lingue Mon-Khmer in Asia, e nelle lingue americane.
Bibl.: A. Meillet, Linguistique historique et linguistique générale, 2ª ed., Parigi 1926, pp. 199-229; W. Schmidt, Die Sprachfamilien und Sprachenkreise der Erde, Heidelberg 1926 pp. 334-357; G. Royen, Die nominalen Klassifikationssysteme in den Sprachen der Erde, Vienna 1929; J. Lohmann, Genus und Sexus, Gottinga 1932; J. Wackernagel, Vorlesungen über Syntax, II, p. 6 segg.; Stolz-Schmalz-Leumann-Hoffmann, Lat. Grammatik, Monaco 1928, pp. 364-369; A. Meillet, in Bull. Soc. Ling., XXXI, pp. 1-28.