Kelly, Gene
Nome d'arte di Eugene Curran Kelly, attore e regista statunitense nato a Pittsburgh (Pennsylvania) il 23 agosto 1912 e morto a Los Angeles il 2 febbraio 1996. Il modo di danzare e il 'passo' di K., con le peculiari caratteristiche di atleticità, vigore, irruenza, furono il veicolo di un innovativo contributo allo stile visivo di un genere, il musical, terreno privilegiato delle sue invenzioni basate su una dinamica cinematografica capace di trasformare il rapporto tra sguardo e movimento. Solo la forza e la robustezza sprigionate dalla danza di K. potevano incarnare allo stesso tempo le visionarie coreografie di Busby Berkeley (per es. in Take me out to the ball game, 1949, Facciamo il tifo insieme), coadiuvare le spinte avanguardiste di George Sidney (che nel suo Anchors aweigh, 1945, Due marinai e una ragazza, fa ballare K. per la prima volta con dei cartoni animati, Tom e Jerry) o sorreggere il peso onirico della molteplicità di piani visivi e coloristici che nel cinema di Vincente Minnelli confluiscono uno nell'altro (è il caso di The pirate, 1948, Il pirata; An American in Paris, 1951, Un americano a Parigi; Brigadoon, 1954). E solo la sua dinamica potenza poteva affiancare la furia inventiva di Stanley Donen con il quale firmò la regia del primo musical metropolitano On the town (1949; Un giorno a New York), del classico e mai superato Singin' in the rain (1952; Cantando sotto la pioggia) e quindi di It's always fair weather (1955; È sempre bel tempo). K., nell'ultima parte della sua carriera quasi esclusivamente dedito alla regia (fase della sua storia artistica fin troppo sottovalutata), diede vita a una dimensione magniloquente e aggressiva, implicitamente più sperimentale della spettacolarità del musical hollywoodiano, imprimendovi una tensione e una velocità mai raggiunte in questo genere cinematografico. Nel 1951 ottenne un Oscar speciale per la sua attività di coreografo, nel 1956 un Orso d'oro al Festival di Berlino per Invitation to the dance (Trittico d'amore) e nel 1985 gli venne conferito un premio Oscar alla carriera.
Fin da bambino iniziato alla danza e appassionato di atletica e di vari sport, K. si iscrisse all'Università di Pittsburgh per studiare economia, laureandosi tuttavia in giornalismo nel 1933. Durante gli anni della depressione economica, abbandonata provvisoriamente l'università per aiutare la famiglia, divenne istruttore di ginnastica e svolse numerosi altri mestieri e successivamente fondò i Gene Kelly Studios of the Dance, fino a quando alla fine degli anni Trenta non trovò un posto come ballerino a Broadway. In pochi anni gli vennero commissionate le coreografie di molti spettacoli (di uno di questi, Pal Joey, fu anche protagonista). Questa esperienza di coreografo gli fu utilissima nei primi anni a Hollywood dove, oltre a esordire come attore (il primo film fu For me and my gal, 1942, di Berkeley), curò ‒ già in coppia con Donen ‒ la messa in scena dei numeri musicali di film come Cover girl (1944; Fascino) di Charles Vidor e dei già citati Take me out to the ball game e Anchors aweigh. Prima dell'esordio alla regia in coppia con Donen, K. apparve inoltre nei musical Thousands cheer (1943; Parata di stelle) di Sidney, Ziegfeld follies (1945) di Minnelli (dove danza in duetto con Fred Astaire, storicamente suo contraltare nello stile di danza, tanto elegante e leggero quanto K. era brillante e acrobatico) e Words and music (1948; Parole e musica) di Norman Taurog (dove per primo nella storia del musical si esibisce in un numero di danza moderna intitolato Slaughter on Tenth Avenue), e nei film di guerra The cross of Lorraine (1943; La croce di Lorena) di Tay Garnett e Pilot no. 5 (1943) di Sidney. Già nel cappa e spada The three musketeers (1948; I tre moschettieri) di Sidney è proprio l'elastica e veemente corsa al duello di K. a dare al film uno stile tutto coreografico, con gli spadaccini trasformati in ballerini all'interno di uno spazio scenografico che funziona come macchina epica dell'avventura. Ma fu con il cinema di Minnelli che K. si affermò come uno dei più grandi talenti di tutti i tempi. Film come The pirate, An American in Paris e Brigadoon sfruttano la sua fisicità, insieme massiccia e dinamica, facendone il motore che sprigiona dimensioni impreviste della realtà inserita in set molteplici, ma sempre immersi in una base pittorica multiforme, tali che movimento, passione, visionarietà del film sembrano generarsi proprio dal corpo dell'attore-ballerino. Nel primo dei tre film K., giocando ironicamente sulla finzione di un saltimbanco che si fa credere un rude pirata, presta il suo atletismo a una schermaglia d'amore e di sogno con una romantica fanciulla (Judy Garland); nel secondo, accanto a Leslie Caron, investe il suo inventivo e rutilante dinamismo nel dare fiabesca materializzazione ai ritmi di George Gershwin; nel terzo la dimensione della favola e della réverie sono riassunte nell'apparizione del villaggio magico dove l'intraprendenza e l'irruenza fisica dell'attore acquisiscono un'inusitata dimensione sognante e aerea.
Nella sua attività registica K. diede un significativo contributo artistico a tre fondamentali musical: On the town (Oscar per gli arrangiamenti a Roger Edens e Lennie Hayton), che racconta le avventure di tre marinai in permesso durante le frenetiche ventiquattr'ore vissute a New York a caccia di ragazze; Singin' in the rain, tra i più affascinanti esempi del genere, cui la presenza di K., nel ruolo di un cantante ballerino negli anni del passaggio dal cinema muto a quello sonoro, imprime un acrobatico vitalismo, denso di energia ritmica; It's always fair weather, in cui l'ambientazione urbana e il sottile gioco sul tempo e sul montaggio creano una perfetta fusione delle immagini dei set con la fisicità di K., ora esuberante, ora malinconico. I film furono generalmente e giustamente attribuiti soprattutto al genio di Donen, ma devono tuttavia all'apporto di K. l'impianto visivo vitalistico e inebriante, il flusso di immagini energetico e ininterrotto, che ben si amalgama con il sarcasmo funereo (è il caso soprattutto di It's always fair weather) e l'estetica del falso di Donen. K. mostra in queste sue tre prime prove di regia un piglio d'autore maggiormente disincantato rispetto all'idiosincrasia di Donen per qualunque maniera e tradizione. Aspetto questo che divenne nei film diretti successivamente un lucido classicismo, aperto anche a scritture altrui portate sullo schermo come semplice director. Così Invitation to the dance, The happy road (1957; Destinazione Parigi), The tunnel of love (1958; Il tunnel dell'amore) e Gigot (1962; Gigò) contengono una leggerezza e una chiarezza visive che contrastano con lo slancio naturale e debordante del K. attore. Tutto il K. regista mostra di aver compreso la questione filmica del musical legata al corpo e al ritmo che esso produce, grande macchina seduttiva in grado di riconfigurare nell'immaginario collettivo il senso dello spazio, del tempo e della loro percezione. Significativi in questo senso sono i successivi A guide for the married man (1967; Una guida per l'uomo sposato); Hello, Dolly! (1969), probabilmente la sua opera più ispirata, tutta risolta in una teatralità che ricostruisce il clima della belle époque ma dove le avventure amorose di una modista forniscono a K. la via per sciogliere la messinscena in un disegno ritmico di perfetta plasticità; The Cheyenne Social Club (1970; Non svegliate i cowboys che dormono); That's entertainment, Part 2 (1976; Hollywood… Hollywood), film esemplare del gusto e della discrezione di K. nel ripercorrere la storia del musical e insieme costituire il simbolo di un'intera generazione di artisti formatasi attorno a questo genere.K. tuttavia non smise di recitare e più volte nel corso della sua carriera prese parte a film in cui gli vengono resi omaggi espliciti come Les girls (1957) e Let's make love (1960; Facciamo l'amore) di George Cukor, o Les demoiselles de Rochefort (1967; Josephine) di Jacques Demy. Benché spesso confinato negli anni Settanta a qualche sporadica apparizione televisiva, K. nel 1985 ricevette un meritato Oscar alla carriera. Prima di morire stava lavorando con l'aiuto della terza moglie, Patricia Ward, alla propria autobiografia, rimasta incompiuta.
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