GAUGELLI (Gangelli), Gaugello (Gangello)
Nacque agli inizi del XV secolo, probabilmente a Pergola, allora soggetta ai Montefeltro signori di Urbino, da ser Travaglino, proveniente da una famiglia originaria di Gubbio. Già nel 1325 si ha notizia di un Francesco Gaugelli podestà di Pergola, ma è probabile che il padre del G. fosse il primo a trasferire la famiglia stabilmente da Gubbio a Pergola.
Il G. riconobbe Pergola come propria patria: nello statuto di San Lorenzo in Campo, da lui pubblicato nel 1451, egli si qualificava infatti: "olim de Eugubio et nunc de Pergula" (Giannini, p. 26). Il G. dovette compiere studi di diritto, ma non è noto dove. Nel 1461, infatti, secondo la sua testimonianza, fu giudice del "danno dato" a Urbino. La sua morte si deve collocare certamente dopo il 1472, data in cui egli scrisse l'ultimo componimento poetico documentato.
Unico testimone degli scritti letterari del G. è il ms. Urb. lat. 692 conservato presso la Bibl. apost. Vaticana. Nell'explicit del codice si trova la dedica a Federico da Montefeltro (non ancora investito del titolo ducale) del quale il G. fu probabilmente alle dipendenze, oltre a esserne grande ammiratore. Il manoscritto, un pergamenaceo di 190 fogli, si presenta come tipico prodotto del gusto umanistico, con una copertina in cuoio verde sulla quale compare, ornato da un elegante fregio, lo stemma dei Montefeltro. I titoli delle opere racchiuse nel volume sono tutti elencati nella carta iniziale, ordinati entro disegni ovali disposti simmetricamente, dalle tinte rosso, verde, turchino e oro.
I testi poetici, composti tra il 1445 e il 1472, sono stati inseriti nel manoscritto secondo una sequenza che non rispetta l'ordine cronologico di composizione. La prima composizione trascritta è il poemetto Il pellegrino (il G. lo intitola così all'inizio del testo, ma nella miniatura in cui elenca le altre sue opere lo indica come Viagio de Sam Iacomo de Gallicia), risalente al 1464, e posto all'inizio del codice in quanto rappresenta probabilmente la sua opera più impegnativa.
Il Pellegrino è un poemetto dalla struttura di compilazione dottrinale ed enciclopedica, il cui vero scopo è quello di cantare le gesta del conte di Urbino, alla corte del quale il G. visse e dovette essere accetto, figura minore fra i numerosi cortigiani dei Montefeltro. Il poemetto, composto di trentatré capitoli, ognuno di cento versi, racconta di un pellegrinaggio compiuto verso il santuario di San Giacomo di Compostella, in Galizia. Alla lettura si notano le numerose assonanze dantesche e una certa mancanza di naturalezza. Sono presenti comunque momenti di autentica ispirazione, come negli ultimi due capitoli, dove si descrive la morte del vecchio pellegrino greco a Pergola, ospite dell'autore che aveva riconosciuto in questo straniero, incontrato lungo la strada del suo pellegrinaggio, un amico e un padre spirituale. La figura del vegliardo ricorda indubbiamente il Catone dantesco nell'aspetto esteriore e Virgilio nella funzione di guida, ma non si può escludere che, al di là dell'invenzione o dell'imitazione letteraria, si possa rinvenire in questa figura un uomo realmente conosciuto dal G., magari proprio nella stessa Pergola, che era luogo di passaggio per i pellegrini essendo vicina al monastero di Fonte Avellana.
Il Pellegrino non si può considerare un vero diario di viaggio, paragonabile al resto della letteratura odeporica del XV secolo, ma è certo che il G. dimostra di conoscere molto bene gli itinerari di viaggio che portavano a San Giacomo di Compostella. Diretto all'ambiente colto di una corte raffinata, il poemetto è ricco di richiami al mondo classico e riporta diverse problematiche di ordine teologico e filosofico proprie di quel periodo. Il testo si rivela inoltre interessante in quanto testimonianza di tradizioni, usanze e feste in uso presso la corte di Urbino. L'opera è stata edita con il titolo Viagio de Sam Iacomo de Gallicia, a cura di A. Sulai Capponi, Napoli 1991.
Al Pellegrino seguono i cosiddetti Lamenti di Pergola, composti tra il 1445 e il '46, che ricordano l'uno (Flebis lamentatio terre Pergule) il saccheggio subito da Pergola il 22 ag. 1445 da parte di Francesco Sforza, che volle così punire i Pergolesi per la resistenza che gli opposero, l'altro (Lamentatione facta quando el campo de la Chiesa venne ad alloggiare in Greffoglietta villa del la Pergola con diece milia persone et stecte octo giorni et tolse tucte le biade) l'assedio che questa subì il 26 luglio 1446 da parte di Sigismondo Malatesta. Entrambi i componimenti sono stati editi da A. Medin e L. Frati fra i Lamenti storici dei sec. XIV, XV e XVI (IV, Verona-Padova 1894, pp. 142-168). Errori di trascrizione presenti in questa edizione furono segnalati da G. Zannoni (p. 9).
Ai Lamenti segue una canzone in terza rima scritta in occasione della morte di Battista Sforza, figlia di Alessandro signore di Pesaro e seconda moglie di Federico da Montefeltro, avvenuta nel 1472: De vita et morte illustriss. d. Baptistae Sfortiae comitissae Urbini. La canzone è stata edita da A. Cinquini (in Nozze E. Cinquini - L. Miotti, Roma 1905, pp.13-37).
Ancora in terza rima è il poemetto successivo, in cinque capitoli, composto nel 1462 e dedicato all'amico Giovanni Battista di maestro Andrea di Pergola. Qui il G. finge che parli la stessa Pergola: De situ et qualitate terrae Pergulae liber (edito da G. Zannoni, pp. 19-29).
Del 1456 è la Responsio facta domino magistro Paulo Pergulano secundo de morte magistri Pauli, philosophi de Pergula Venetiis commorantis: et Pergula loquitur; del 1458 l'Oratio: Principum victor sit nobis mundi redemptor ad eximium doctorem et poetam magistrum Paulum Pergulanum secundum: due sirventesi nei quali si deride la figura e l'opera del poeta Paolo Godi.
In ultimo troviamo nel codice un componimento, ancora in forma di sirventese, scritto in occasione di una delle molte trame che Sigismondo Malatesta ordì ai danni di Federico da Montefeltro: Die XXIIII augusti 1461 unus de popolo loquitur ad terram Pergulae unito alla Resposta de la Pergula a chi ha parlato.
L'episodio che ne determinò la composizione è ricordato in nota nella penultima carta del codice: "Al tempo che fo discoperto quello tractato che certi cactivi dovevano dare una porta al s. Gismondo per guastar questa terra, et quelli forono castigati cum iustitia etc. Et io essendo in Urbino a l'offitio del dapno dato et passando un dì per pian di Mercato sentii una voce de quelle boctighe che dixe: quelli traditori de la Pergola, quella parola me punse con tamanta iniuria che subito in manco de tre hore io compusi questa pichola fantasia la quale fo lecta in quelle boctighe de pian de Mercato; et ciascuno stecte poi queto". Il componimento è stato edito dallo Zannoni.
L'interesse della critica per il G. si deve al fatto che egli fu anche un appassionato studioso dell'opera di Dante tanto che possedette un importante codice illustrato della Commedia, fatto trascrivere per suo conto dal conterraneo Luca Peri della Pergola, e oggi conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma (ms. 392, già D.IV.2). Il codice presenta annotazioni e richiami, e sull'antiporta si leggono pensieri morali estratti dalle opere di Lattanzio nonché l'epitaffio di Dante.
Fonti e Bibl.: E. Giannini, Memorie istoriche di Pergola e degli uomini illustri di essa, Urbino 1732, p. 26; G. Zannoni, Le rime storiche di G. G., I, Le lodi di Pergola, Urbino 1897; G. Vitaletti, Per la fortuna di Dante nel secolo XV. "Il pellegrino" di G. G.(cod. Vat. Urbin. 692), in Giornale dantesco, XXIV (1921), pp. 216-226; L. Michelini Tocci, Il Dante urbinate della Biblioteca Vaticana, I, Roma 1965, pp. 26, 29; M. Roddewig, Dante Alighieri, Die göttliche Komödie. Vergleichende Bestandsaufnahme der Commedia Handschriften, Stuttgart 1984, pp. 308 s.; Federico di Montefeltro…, La cultura, a cura di di G. Cerboni Baiardi - G. Chittolini - P. Floriani, Roma 1986, ad ind.; Rep. fontium hist. Medii Aevi, s.v.; Enc. dantesca, s.v. Gangelli, Gangello.