MERULA, Gaudenzio
– Nacque nel 1500 a Borgolavezzaro, villaggio della campagna novarese, da «humilissimi parenti che tutto il giorno lavoravano la terra» (Dal Pozzo, in Butti, p. 382).
Il M. vanta nei suoi scritti la discendenza da una gens consolare romana e afferma di essere imparentato con il celebre umanista di Alessandria Giorgio Merloni (Giorgio Merula), «consanguineus meus» (Memorabilium libri, Lugduni 1556, c. 272). La famiglia, comunque, non doveva essere del tutto disagiata, se il M. racconta di avere atteso alla stesura della sua opera maggiore durante un soggiorno «in fundo avito» in Borgolavezzaro (ibid., c. A4r).
Dopo avere compiuto i primi studi sotto la guida dell’umanista Domizio Calciato, grazie all’aiuto generoso di alcuni compaesani, tra i quali Carlo Barbavara da Gravellona, il cui fratello Scipione era senatore di Milano, il M. poté recarsi a Milano per perfezionare la sua formazione. Nel 1524, anno in cui Borgolavezzaro fu distrutta dalle truppe francesi, il M. si trovava a Milano, dove infuriava la peste da cui si salvò, come egli stesso ricorda, grazie a una pozione da lui approntata. Vi si trattenne a lungo, riuscendo a inserirsi nei circoli umanistici della città e stringendo legami con molti letterati, tra i quali Scipione Vegio. Dal 1530 cominciò a lavorare, tra Milano e Borgolavezzaro, alla redazione dei Memorabilium libri. Nel 1534 compose la commedia Gelastinus, dedicandola a Girolamo Mattia, presule della chiesa di S. Maria alla Scala di Milano.
La commedia, tramandata da un codice autografo donato nel 1714 alla Biblioteca Ambrosiana dall’erudito Lazzaro Agostino Cotta (Z.180.Sup.) e pubblicato nel 1989 a cura di P. Ariatta, è redatta in latino e narra in cinque atti gli amori, gli inganni, i piccoli espedienti di un parassita, di una cortigiana, del suo giovane amante e dell’anziano e ricco spasimante, cui viene giustapposta la storia di una coppia di giovani innamorati, lei povera e meretrice, lui di famiglia agiata. L’opera, scritta più per un’esercitazione che in vista di una rappresentazione, non è percorsa da alcuna forza drammatica e appare come un concentrato di scelte linguistiche, caratteri tipologici, spunti narrativi derivati dal modello plautino e dal suo archetipo aristofanesco. Malgrado la mancanza di originalità, essa serba un certo interesse nell’ambito della fortuna di Plauto in età umanistica. L’argumentum, recitato in apertura dal personaggio principale, Gelastinus, ricalca temi e forme del prologo redatto da A. Ambrogini detto il Poliziano per una recita dei Menecmi di Plauto, tenutasi a Firenze il 12 maggio 1488 alla presenza di Lorenzo il Magnifico. Esso contiene un’invettiva contro i frati e contro le loro opere. Oltre al biasimo nei confronti di quanti si oppongono al genere della commedia, il M. torna su un’antica querelle umanistica contro coloro che, a dispetto degli autori classici, propugnavano una lingua e una cultura fondate sui testi medievali. Una polemica che il M. ebbe modo di ricordare anche in un’opera più tarda, intitolata Terentianus dialogus, stampata nel 1543 a Borgolavezzaro (B. Tortelius), in cui descriveva i termini della disputa svoltasi a Milano tra i fautori di Terenzio e Cicerone, da una parte, e i loro strenui oppositori, dall’altra. Da questi e da altri interventi negli scritti del M., appare evidente l’interesse suscitato, anche presso gli umanisti lombardi, dalla controversia accesasi in seguito alla pubblicazione, nel 1528, del Ciceronianus di Erasmo da Rotterdam, intorno ai temi della imitatio e dell’oratoria erasmiana. Al M. viene attribuita anche la stesura di un’opera in risposta alle tesi avanzate dal pensatore olandese, sinora non rinvenuta, e che alcuni studiosi identificano con un testo dato alle stampe a Milano o con il Bellum civile inter Ciceronianos et Erasmicos, entrambi menzionati dallo stesso Erasmo nel suo epistolario (Opus epistolarum, nn. 1288 e 1279). La posizione del M. non dovette, però, essere univocamente antierasmiana o, per lo meno, cambiò nel tempo, dal momento che nel proemio del Terentianus dialogus un amico del M., Bartolomeo Draghetti, lo esorta a prendere le distanze da Erasmo. Non è chiaro se l’allusione fosse a un’eventuale influenza religiosa o solamente letteraria. Tuttavia, nella commedia Gelastinus è presente un brano in cui il protagonista, nel corso di un farneticante soliloquio, si fa beffe di teologi e filosofi, e chiama in ballo, a pochi anni dall’esplosione della protesta luterana, concetti come fato, predestinazione e libero arbitrio, tutti ridotti a mera materia culinaria.
Nel 1536 fu edito a Lione il De Gallorum Cisalpinorum antiquitate et origine (S. Gryphius). Negli anni successivi il M. lavorò a Milano alla seconda edizione dell’opera che, pubblicata nel 1538 presso lo stesso tipografo della princeps, conteneva una nuova dedica – Querela apologetica – a Ippolito Majno, uno dei suoi benefattori.
Il De Gallorum Cisalpinorum…, destinato a una certa fortuna editoriale protrattasi fino alla fine del XVII secolo con l’edizione parmense del 1692, consta di tre libri, che si dipanano in altrettanti dialoghi. Gli argomenti delle conversazioni spaziano dalla storia alla geografia, dalla mitologia all’etimologia, alla descrizione dei confini, delle tradizioni, delle città della Gallia Cisalpina e della sua capitale Milano. I personaggi dei dialoghi delineano l’ampio quadro delle relazioni intellettuali intessute dal M. – Bonaventura e Nicola Castiglioni, Benedetto Giovio, Battista Landolfo, Blasio Fileto, i giovani discepoli di Andrea Alciato, Ortensio Appiani, L. Annibale Della Croce, Pietro Francesco Busca, I. Majno, Gualterio Corbetta, Bernardo Feliciano, Adriano Cribello – o dei modelli di riferimento, come nel caso del redivivo umanista quattrocentesco Pier Candido Decembrio, al quale il M. fa pronunciare l’elogio di Milano e di Carlo V, artefice dell’impresa di Tunisi.
Al 1538 risale molto probabilmente anche la composizione dell’Europa, forse facente parte di una Cosmographia, andata perduta e di cui è rimasta una citazione settecentesca che la data al 21 marzo 1545.
Pubblicata per la prima volta nel 1963 (L’Europa di Gaudenzio Merula. Un’opera geografica inedita del Cinquecento, a cura di A. Zappa, Torino), l’opera è articolata in 63 capitoli, preceduti da una breve quanto efficace premessa programmatica. Non vi si trovano elementi astronomici o fisico-descrittivi, come ci si aspetterebbe da un testo di cosmografia, ma un misto di erudizione storica e di curiosità più o meno verosimili. L’ultima parte è interamente dedicata all’Italia: in essa la geografia cede il passo alla storia, a quella gloriosa del passato più che a quella del presente, infarcita di citazioni latine, da Strabone a Plinio, da Cesare a Virgilio e a Ovidio.
Nel 1543 il M. si trovava ancora a Milano, come ricorda in una nota a margine nell’edizione lionese dei Memorabilium un suo allievo, Pomponio Castalio (p. 131). Probabilmente in questi anni lavorò alla sua unica opera storica, il cui proemio è datato 1° giugno 1540, intitolata Suae aetatis rerum gestarum, rimasta manoscritta fino al 1876, quando fu pubblicata nella Bibliotheca historica Italica (Milano, I, pp. 81-106).
Il testo, presentato dall’autore come la continuazione della più nota Historia rerum in Insubribus gestarum sub Gallorum dominio e delle Effemeridi di Scipione Vegio, morto nel 1535, racconta gli avvenimenti degli anni 1523-25, dalla morte di Prospero Colonna sino all’esito fallimentare della congiura del cancelliere ducale Girolamo Morone. La storia, che financo nelle scelte linguistiche intende stabilire una continuità con quella di Vegio, esprime un profondo senso di smarrimento, comune a tanti letterati del tempo, dinanzi al conflitto tra Francia e Spagna. Nella narrazione del M., Morone tenta di persuadere il marchese di Pescara, Alfonso d’Avalos, ad aderire al complotto antimperiale, esortandolo a farsi «liberator Italiae et Neapolis rex et universi exercitus itali imperator» contro la «tirannide» di Carlo V (p. 101). All’esaltazione dei preparativi della cospirazione subentra, dopo il tradimento di Alfonso d’Avalos, l’angoscia per la sorte dei congiurati e dell’intero Ducato. A questo punto il racconto si interrompe con l’arrivo del marchese di Pescara a Milano. Le ultime parole del manoscritto riportano un amaro presagio sui destini dello Stato lombardo che sembra dare voce, all’incirca quindici anni dopo, al giudizio del M. su quella vicenda: «Quo Caesariani tendant, cernimus; dominio, libertate, vita ipsa et honore nos privare contendunt» (p. 106).
Il lungo soggiorno del M. a Milano fu inframezzato da viaggi e visite in altri luoghi della penisola. Si recò a Lucca, come si legge nelle Forcianae quaestiones di Ortensio Lando (Lovanio 1550, c. C3r), un dialogo che si immagina svolto negli anni 1533-35, in cui il M. compare in una nutrita brigata di amici, tra i quali Pomponio Trivulzio, Paolo Sadoleto e Girolamo Seripando. Benedetto Giovio lo ospitò a Como (Memorabilium libri, 1556, c. 164) e Ippolito Majno a Bassignana, vicino Alessandria (L’Europa, p. 114), ma nelle sue opere compaiono riferimenti personali anche ad altre località lombarde come Belgioioso e Cremona.
Nel corso del 1543 il M. si trasferì a Novara, dove si dedicò all’insegnamento e alla scrittura. In quello stesso anno diede alle stampe il Terentianus dialogus, in cui ricordava l’attribuzione della cittadinanza novarese e il dono di 46 iugeri di terreno nel borgo natio da parte del mecenate Giovanni Battista Ploto, della cui famiglia il M. tesseva gli elogi nella Cronica de claris antiquissimisque Italorum aliarumque gentium familiis, opera rimasta manoscritta, priva di data, ma posteriore al 1545 (Milano, Biblioteca naz. Braidense, AF.X.1).
Nel 1544 soggiornò a Borgolavezzaro, come attesta la dedica a Renato Birago, governatore di Pinerolo, nell’edizione lionese dei Memorabilium libri (c. A3r). Qui, nel 1546, il M. pubblicò i Memorabilium libri. Di questa eventuale edizione, già rara negli anni immediatamente successivi alla sua composizione, come afferma il M. nella dedicatoria a Birago (ibid., c. A4v), non è pervenuta alcuna copia, tanto che alcuni la ritengono dubbia (Ariatta, 1989, p. 9).
I Memorabilium libri affrontano in cinque libri argomenti molto vari: filosofia, astronomia, astrologia, mitologia, cosmografia, architettura, scultura, pittura, chimica, botanica. L’opera si presenta come un testo enciclopedico, per un pubblico di media cultura, e forma un insieme poco coeso. La prima edizione di cui si conservano copie vide la luce a Venezia (G. Giolito de’ Ferrari) nel 1550; nel 1556 fu pubblicata postuma a Lione un’edizione a cura di P. Castalio. A questo punto, l’opera ricevette le attenzioni della censura a causa di alcuni passi contro il lusso degli ecclesiastici e la simonia di papa Alessandro VI. All’edizione lionese, presente nell’Indice romano del 1596 e censurata in Spagna nel 1584, seguì una traduzione in volgare, dal titolo Nuova selva di varia lettione, data alle stampe a Venezia (G.A. Valvassori) nel 1559 e autorizzata dallo zelante inquisitore Felice Peretti, il futuro Sisto V, da cui i passi contestati risultano espunti. Nella premessa della versione in volgare il M. faceva pubblica ammenda dinanzi ai lettori (c. b1v). L’opera, fatta oggetto di molte richieste, fu ristampata a Venezia, presso lo stesso tipografo, nel 1562 e nel 1573.
Nel 1545, forse dopo un breve soggiorno ad Abbiategrasso, il M. si spostò a Vigevano dove lavorò come maestro e, nel 1546, assistette alla morte di Alfonso d’Avalos, in memoria del quale scrisse dei versi latini. A Vigevano rimase fino al 1550, quando il 6 settembre, nonostante il M. godesse di grande stima presso la città, di cui aveva ricevuto la cittadinanza onoraria, il Comune gli sospese, per problemi economici, lo stipendio. Il M. si recò allora a Torino dove si trattenne per quattro anni. A questo periodo risale, presumibilmente, la composizione della Syllabarum exactissima dimensio, poche carte stampate a Torino e conservate in una miscellanea della Biblioteca Ambrosiana (S.M.B.II.17 [2]).
Nel 1554 lasciò Torino su istanza della moglie che lo temeva «contagiato» dalla «perfidia lotherana» (Dal Pozzo, in Butti, p. 383) e tornò a Borgolavezzaro, dove fu denunciato all’Inquisizione da un frate domenicano, forse per avere espresso pubblicamente giudizi contro il clero. Il processo, tenutosi nella diocesi di Novara guidata dal vescovo Giovanni Morone, si concluse con un’assoluzione. Poco tempo dopo il M. dovette affrontare un secondo processo, a Milano, ancora per motivi religiosi. Anche in quel caso, però, grazie all’aiuto dell’amico Bonaventura Castiglioni, fu assolto. Ad aggravare la posizione religiosa del M., almeno agli occhi del biografo suo contemporaneo Dal Pozzo, era la corrispondenza con Sebastian Münster, il cosmografo tedesco entrato nell’Ordine francescano e poi passato alla Riforma, della quale non è rimasta traccia.
Preso da «grave sdegno di tal colpa [che] gli era imputata» (Dal Pozzo, in Butti, p. 384), il M. si ammalò e il 22 marzo 1555 morì a Borgolavezzaro.
Al M. sono state attribuite nel tempo le seguenti opere sinora non rinvenute: Commentariorum libri XXV; Annotationes ad Heroides Ovidii; Iovio Virgiliana; Elucubrationes in Vitruvii De architectura libros; Laudativi generis formulae ex M.T. Cicerone; De claris antiquissimisque Italorum aliarumque gentium facetiis.
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., I.36.Sup.; S.C.F.III. 30; S.C.X.1.17; IV Hie - DD; S.M.B. II 17; Ibid., Biblioteca naz. Braidense, Mss., AF.X.1; Misc. XX.4; 25. 16. B.4.1; VV 37; Novara, Biblioteca civica, Mss., N.IV. D.30; N.VI. B.24; N.I. B.34; XC-B.9; 25.14.M.5; 8.30 C.16; Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., Y.XII.107; R.I.V. 1873; R.I.V.85; R.Gen. Storia V.491; O.VIII-9; Torino, Biblioteca reale, Mss., G.2-58; R.9.35; Roma, Biblioteca nazionale, Mss., 43, 3, C. 7/1, dep. 120; A. Butti, Vita e scritti di G. M., in Archivio storico lombardo, XXVI (1899), pp. 125-167, 333-392, alle pp. 382-384 la biografia del M. scritta da S. Dal Pozzo; Erasmo da Rotterdam, Opus epistolarum, a cura di P.S. Allen, Oxonii 1906-58, nn. 1279, 1288; L.A. Cotta, Museo novarese, Milano 1701, pp. 133 s.; G. Gimma, Della storia naturale delle gemme, delle pietre, e di tutti i minerali, ovvero della fisica sotterranea, Napoli 1730, ad ind.; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium…, Mediolani 1745, II, coll. 2132-2134; N. Colombo, Alla ricerca delle origini del nome di Vigevano, Novara 1899, pp. 163-166; C. Ramponi, L’umanista G. M. di Borgolavezzaro e la Controriforma cattolica, in Bollettino della sezione di Novara, Regia Deputazione subalpina di storia patria, XXXII (1938), pp. 61-96; Id., Il principe degli umanisti novaresi G. M. (nel IV centenario della morte), in Bollettino storico per la provincia di Novara, XLVI (1955), 2, pp. 189-196; A. Zappa, G. M. e le sue opere letterarie e geografiche, ibid., XLIX (1958), pp. 169-218; P. Ariatta, Un inedito autografo di G. M. La commedia «Gelastino», ibid., LXXX (1989), 1, pp. 5-68; L. d’Ascia, Erasmo e l’umanesimo romano, Firenze 1991, p. 27; J.M. De Bujanda, Index des livres interdits, IX, Index de Rome 1590, 1593, 1596, Genève 1994, p. 566; P. Ariatta, Il «Prologus in Plauti Menaechmos» nell’imitazione di G. M., in Poliziano nel suo tempo. Atti del VI Convegno internazionale, Chianciano-Montepulciano… 1994, a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze 1996, pp. 333-341; A. Renaudet, Erasme et l’Italie, Genève 1998, p. 397; P.G. Longo, Il cavalier Bayardo, «belli scientissimus» negli scritti di G. M., in De Valle Sicida, X (1999), pp. 365-389; The Italian Reformation of the sixteenth century and the diffusion of Renaissance culture: a bibliography of the secondary literature (ca. 1750-1997), a cura di J. Tedeschi, Ferrara 2000, pp. 344 s.; P.O. Kristeller, Iter Italicum, A cumulative Index to volumes I-VI, ad nomen.
E. Valeri