GAUCHO (sp.: pron. gáucio)
È parola di uso comune nelle repubbliche del Plata - per lo meno a datare da un secolo e mezzo - il cui senso ha variato in guisa, col volgere del tempo e il mutare delle condizioni di vita, che un'esatta comprensione non può ottenersi senza tener conto della successione storica delle sue varie applicazioni. Inoltre oggi stesso è molto diverso il valore che si dà al concetto del gaucho e del gauchesco, a seconda che la persona che lo evoca è un agricoltore, uno storico, un folklorista o un letterato. I descrittori di costumi e di viaggi, stranieri e platensi, lo considerano talora dal punto di vista puramente raziale e tal'altra sotto l'aspetto della cultura, o esclusivamente psicologico; così v'ha chi disse che si tratta di una razza "mista", di un conglomerato di "uomini di colore", dell'omologo del cow-boy nordamericano, ecc., e taluna di queste definizioni è contenuta anche nei dizionarî.
Riguardo al fattore della razza è chiaro che, sebbene la gran maggioranza degl'individui detti gauchos durante l'ultimo periodo della vita coloniale fossero meticci ispano-indiani, e, perciò stesso, uomini di colore, è tuttavia da scartare l'idea che il contenuto essenziale del concetto di gaucho consistesse nella constatazione di tale incrocio. Non è la razza che distinse il gaucho, ma il suo particolare genere di vita. Il gaucho può essere creolo come aindiado, e anche figlio di puri immigrati europei. Vi sono gauchos brunetti, mulatti e biondi; il numero di questi ultimi è andato sempre accrescendosi col raffittirsi dell'immigrazione. Tuttavia il gaucho di origine meticcia da Spagnoli si ritenne come il più genuino, anche come formatore diretto della modalità gauchesca nella lingua ed espressione.
Il complesso delle costumanze che caratterizzano il gaucho non si generò tutto d'un tratto, né cominciò insieme con la parola che lo definisce. Vi sono documenti atti a provare che il tipo gauchesco si trovava già formato nell'Argentina circa un secolo prima che si cominciasse a distinguerlo nell'Uruguay. Invece la parola gaucho è posteriore; cominciò a usarsi sulla frontiera dell'Argentina, Brasile e Uruguay, il che rende possibile l'ipotesi di una origine lusitana. In opere stampate appare per la prima volta nel Diario de la Demarcación di J. F. de Aguirre (scritto nel 1782, pubblicato nel 1905). Le etimologie proposte per la parola sono numerosissime, e in maggioranza fantastiche (dal latino, arabo, francese, portoghese, zingaresco e lingue indigene: quechua, araucano), in tutto circa trenta. Ciò che pare assodato è che la parola gauderio precedette l'altra gaucho fino ai primi anni dell'800, in cui fu definitivamente sostituita nell'uso corrente.
Rispetto alle determinanti dello speciale adattamento geografico-economico-etnico che finì per produrre la vita del gaucho, non si deve dimenticare, oltre la Pampa semidesertica e sconfinata, aperta alle lunghe errabonde cavalcate, anche la monotonia, la solitudine forzata, la tristezza sentimentale che da essa derivano, e poi la sete di ventura, l'ingegnosità di adattamento, quasi sempre passivo, e soprattutto l'invicibile profonda infingardaggine propria dei meticci indo-spagnoli, la cui inettitudine al lavoro agricolo si protrasse fino all'epoca dei primi grossi scaglioni d'immigrazione piemontese, lombarda e svizzera (ultimo terzo del sec. XIX) che iniziarono la messa in valore della ricchezza cerealifera delle terre del Plata. La vita economica di quel lungo periodo, basata esclusivamente sull'allevamento del bestiame e l'industria delle carni salate e delle lane, dette il tono peculiare alla vita delle campagne e, quindi, disegnò le attività del gaucho, inteso nel senso più comprensivo, di "uomo adatto alle fatiche campestri". A cominciare da quei primi tempi, il gaucho si caratterizzò per il suo genere di vita a cavallo. Può dirsi che dall'alba fino al tramonto il gaucho rimanesse montato sul suo cavallo, il quale fu anche il suo compagno più fedele, il suo maggior diletto e unica ricchezza. Tutti i lavori dell'allevatore si compiono a cavallo: così condurre, prendere al laccio (lazo) e domare puledri selvaggi, guidar pecore, ecc. Quando, dunque, si tengono presenti le tradizionali attività del gaucho, ci si spiega il disprezzo che egli sente, per istinto, verso l'uomo della zappa e dell'aratro, che non sa domare i puledri, né prende parte alle gare di corsa a cavallo (carreras), divertimento che lo entusiasma fino al delirio e che ha lasciato nello spirito delle attuali nazioni platensi un sedimento incancellabile.
Fornirono, sì, i nuovi venuti, nuova materia e sangue al contingente gauchesco, ma rimase pur sempre vivo l'antagonismo fra i due diversi sistemi e concezioni della vita: quella avventurosa, sfrenata, insofferente di leggi e costumi, ma anche in un certo senso stoica, pittoresca e agguerrita dei cavalieri della Pampa e l'altra paziente, laboriosa, sobria degl'immigrati, dediti al lavoro della terra (trabajos de a pié). Non fanno bella figura, nelle composizioni della letteratura gauchesca, quei gringos "che non sanno neppure insellare, né servono a macellare": anche nella letteratura contemporanea sono sopravvissuti curiosi riflessi delle idee estetiche e delle predilezioni del gaucho.
Un fatto certo è che, dalle origini fino ai primi anni dell'indipendenza, la parola gaucho non comprendeva affatto la gente della campagna in generale, ma possedeva un significato specifico, abbastanza sinistro. Se si esaminano i processi criminali dell'epoca si legge che l'accusato tende sempre a difendersi, negando d'essere gaucho, contro l'affermazione del giudice, che lo accusa di esserlo. In tutto l'interno dell'Argentina la parola gaucho evoca ancor oggi l'idea del bandito (bandolero, matón) e gauchear equivale a forzare donne e provocar disordini nelle osterie del campo (pulperias) e nei ranchos indifesi. Solamente più tardi, con la pubblicazione dei popolari romanzi d'avventure bonaerensi, che fecero furore sulla metà del sec. XIX, cominciò a nobilitarsi in Buenos Aires il tipo del gaucho, il quale, come rappresentante dell'uomo del campo e vero Argentino, in opposizione al gringo o europeo, si vide ben presto adornato con gl'innumerevoli sentimenti di nobiltà e le virtuose gesta che sono proprie, in ogni tempo, degli eroi popolari. Fu necessario stabilire una differenza di nomenclatura per quei gauchos che si dedicavano a rubar cavalli e vacche, rifuggendo i luoghi abitati, e sempre in lotta con la giustizia, e questi furono detti gauchos alzados o matreros. Il gaucho originario fu un prodotto di adattamento alla pianura detta pampa, che comprende parte del territorio argentino, tutto l'Uruguay e lo stato di Rio Grande del Sud nel Brasile (dove si pronuncia gaúcho). Non si ebbero gauchos nelle regioni montagnose, e la parola vi si diffuse quando divenne sinonimo di "gente del campo", applicandosi oggi dalla Terra del Fuoco fino ai confini con la Bolivia.
Le armi più caratteristiche del gaucho possono considerarsi il coltellaccio (facón), il lazo e le boleadoras. Nel sec. XIX soleva portare un grosso e antiquato fucile (trabuco), che cadde in disuso. Il lazo gli serve ad accalappiare gli animali, anche alla distanza di 20 metri. Le boleadoras, ossia due o tre palle unite con corde o corregge di un metro di lunghezza, si lanciano attorno al collo dei guanachi o alle zampe dei cavalli, producendone la caduta. I finimenti del cavallo, fabbricati ancor oggi secondo le antiche tradizioni, ricordano le forme dei secoli XVI e XVII. Il gaucho ha una vera ambizione per gli ornamenti di argento: l'arcione, le staffe, le redini, il cinto, la frusta ne sono profusamente coperti. Gli speroni erano nel passato di dimensioni enormi, utili solamente a far rumore, camminando, e a richiamar l'attenzione dei presenti, specie delle donne, la cui ammirazione era l'ambito premio del gaucho. Il mate è stata sempre la sua bevanda favorita e insieme con le gallette e la carne (arrostita o bollita) costituisce la sua alimentazione. La taba (astragalo di vacca che, lanciato, deve cadere in una data guisa), le carte da giuoco, le corse di cavalli e i combattimenti di galli sono i passatempi favoriti del gaucho. Il duello creolo suole dirimere le liti; consiste in una lotta a coltello (facón): al grido "Abran cancha" i presenti invitano a lasciar campo libero ai contendenti, e si dispongono a cerchio, alcuni in silenzio, altri profferendo esclamazioni, mentre i protagonisti si lanciano l'uno sull'altro con il facón nella destra e il poncho attorcigliato alla sinistra, a parare i colpi. Quando uno dei due cade, l'altro fugge per la pampa o si rifugia sul monte, divenendo un gaucho alzado, cimarrón o matrero.
La psicologia del gaucho è rispecchiata nel poema gauchesco di José Hernández, Martín Fierro (1872), seguito da altre composizioni poetiche popolari di Estanislao del Campo e Ascasubi. Ma anche altre opere maggiori della letteratura, se non parlano sempre direttamente del gaucho, ne tessono indirettamente la vita: così il Facundo di Sarmiento (v. argentina: Letteratura).
La religione del gaucho si riduce per lo più a una conoscenza elementare delle pratiche cattoliche, alterata da superstizioni senza fine. La sua intelligenza non si distingue per maturità o profondità di pensiero, ma piuttosto per quella che si chiama viveza criolla, ossia una certa sottigliezza e vivacità mentale, sorta da perpetua diffidenza e dall'abito di burlarsi degli altri, specie del pueblero o uomo della città (forse per il timore che questi si prenda prima burla di lui), e di rimbeccarsi nelle payadas de contrapunto, che son gare d'improvvisazione sulla chitarra, dialogate, le quali durano fino a che uno degli avversarî, non sapendo più ribattere, rimane vinto e condannato al ridicolo. È proverbiale l'ospitalità che il gaucho offre al forestiere.
Nella lingua corrente, la parola gaucho ha dato origine al verbo gauchear (agire come un gaucho), al collettivo gauchaje (l'insieme dei gauchos), all'aggettivo gauchesco (proprio del gaucho).
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