GATTI
Famiglia di ceramisti originaria di Casteldurante, ora Urbania (presso Urbino), attiva dalla fine del XV a tutto il XVI secolo.
Solo negli ultimi decenni sono state effettuate, in concomitanza con la ripresa degli studi della storia della ceramica, riflessioni critiche fondate sullo spoglio dei documenti e degli atti notarili conservati negli archivi locali (La maiolica di Casteldurante. Lo stato degli studi, Atti del Convegno… Urbania 1998, in corso di stampa).
Non si conoscono le date di nascita di Camillo e di Battista, nati dal matrimonio tra Guido, sarto e cimatore, e Lodovica Schippe celebrato in Casteldurante intorno al 1511 (Negroni, pp. 14 s.). Dall'unione, oltre a Camillo e Battista, nacquero altri tre figli: Ugolino, Camilla e Michelangelo, benedettino olivetano della badia di Gaifa. Camillo, la cui presenza insieme con il fratello Ugolino è documentata in Urbino già nel 1539, si sposò nel 1544 ed ebbe un solo figlio, Guido che morì nel 1601. Una lettera datata giugno 1550, scritta da Pietro Aretino a Battista Franco, offre una testimonianza diretta sui rapporti di Camillo con la comunità artistica contemporanea (Campori, 1871; Camesasca).
Mallet (p. 294) sostiene che tutto un gruppo di prestigiosi manufatti già attribuiti da B. Rackham (The maiolica painter Guido Durantino, in The Burlington Magazine, LXXVII [1940], pp. 182-188) a Camillo Fontana sia invece da ascrivere alla mano di Camillo G.; questi avrebbe effettuato la decorazione pittorica di alcune maioliche (su disegni realizzati espressamente per lui da Battista Franco) durante un suo soggiorno presso la bottega dello zio Guido Fontana a Urbino, prima di recarsi a lavorare a Ferrara. Si tratta di un piatto con Le Muse e le Pieridi, conservato al Fitzwilliam Museum di Cambridge, di un frammento della collezione Wallace di Londra, di un vaso esagonale del Victoria and Albert Museum, oltre che di un piccolo vaso di porcellana del British Museum, sempre di Londra.
La storiografia ufficiale lega il nome dei due fratelli Camillo e Battista alle prime sperimentazioni effettuate in Italia per la fabbricazione della porcellana tenera.
Da quando infatti erano giunte in Europa le prime porcellane provenienti dall'Oriente, era iniziata quasi una gara per produrre manufatti della preziosa pasta bianca che, con la sua trasparenza e leggerezza, aveva conquistato il gusto dei massimi sovrani. A tal fine ognuno di loro aveva assoldato le migliori maestranze col compito di indagare il segreto chimico degli impasti, la composizione delle vernici e l'uso dei colori.
Camillo nel 1557 aveva soggiornato a Venezia dove aveva fatto esperienza lavorativa presso le locali officine vetrarie; non è escluso che proprio nella città lagunare avesse imparato i procedimenti per la lavorazione della porcellana (Cora - Fanfani).
Risulta che sia Cosimo I de' Medici sia Alfonso II d'Este si rivolsero a Camillo chiamandolo presso le rispettive corti per valorizzare l'arte della maiolica e produrre la porcellana a imitazione di quella orientale. Le poche notizie a nostra disposizione non spiegano le ragioni per cui Camillo decise di andare a lavorare a Ferrara presso le officine estensi piuttosto che a Firenze: le cronache (Campori, 1871, p. 44) riferiscono solo la notizia che in data 1° genn. 1561 egli prese servizio alle dipendenze del duca di Ferrara con uno stipendio di 6 ducati d'oro corrispondenti a lire marchesane 22.2 (che poi raddoppiarono), oltre alla pigione della casa. Lo stesso duca fa riferimento a Camillo definendolo "pittore che abbiamo preso al nostro servizio" in una lettera inviata, qualche tempo dopo, a Girolamo Falletti, suo ambasciatore a Venezia.
Nell'ottobre 1562 per la prima volta compare, nei libri dell'amministrazione estense, anche il fratello Battista, citato prima come lavorante avventizio del duca, poi come stipendiato ordinario con assegno mensile di lire 11.11 (Campori, 1871, p. 45).
La morte di Camillo dovette avvenire a Ferrara nell'ottobre 1567; Battista continuò a lavorare per gli Este fino al 1568-69 come "maestro della porcellana". Non si conosce la data di morte di quest'ultimo: da una memoria riportata da Cittadella (p. 678) si sa tuttavia che nel 1578 venne concessa a "Lucrezia, figlia di Battista Gatti Maestro della porcellana di Sua Altezza", un'elemosina dotale da pagarsi con i denari della nobile famiglia Sacrati.
Campori ipotizza che il duca Alfonso decidesse di chiudere la fabbrica e di far demolire le fornaci in seguito e a causa della morte di Battista; ciò anche in concomitanza con i gravi disagi connessi ai continui terremoti verificatisi a Ferrara dal novembre 1570 fino al 1574.
Altri maiolicari probabilmente della stessa famiglia risultano attivi nel corso del XVI secolo.
Nel 1550 Cipriano Piccolpasso menziona i maiolicari Giovanni, Teseo e Lucio "frategli e figliuoli di un Alessandro Gatti della Terra di Durante" a proposito di alcuni lavori in ceramica da loro eseguiti a Corfù, dove si erano trasferiti intorno al 1530. Leonardi (1982) riporta il nome di un Cecco, attivo alla metà del XV secolo; un'altra testimonianza (G. Raffaelli, in Vanzolini, p. 140), riguarda un Giovanni che nel 1540, reduce da Corfù, sposò Giovanna, figlia del vasaio Guido Bernacchia ed entrò in società con lui. Un Costantino vasaio è citato in una causa nel 1563, così il figlio Pompilio, entrato in possesso dell'eredità paterna nel 1580; Leonardi (1997) menziona inoltre Teseo, nel 1573 vasaio con una bottega in Casteldurante, morto nel 1580. Il figlio di Teseo, Federico, ventunenne nel 1587, tre anni dopo ipotecò la fornace situata nel quartiere S. Cristoforo, per un debito contratto per acquistare piombo e stagno.
Fonti e Bibl.: C. Piccolpasso, Li tre libri dell'arte del vasaio (1550), a cura di G. Conti, Firenze 1976, p. 36; G. Campori, Notizie della manifattura estense della maiolica e della porcellana nel XVI secolo, Modena 1863, pp. 17-25; L.N. Cittadella, Notizie relative a Ferrara, Ferrara 1864, pp. 674-678; G. Campori, Notizie storiche ed artistiche della maiolica e porcellana di Ferrara nei secoli XV e XVI, Modena 1871 (s.v.Battista e Camillo da Urbino); G. Vanzolini, Istorie delle fabbriche delle majoliche metaurensi e delle attinenti ad esse, Pesaro 1879, I, pp. 49, 140 e passim; A. Genolini, Maioliche italiane marche e monogrammi, Milano 1881, p. 97; R. Erculei, Arte ceramica e vetraria, Roma 1889, pp. 78 s.; G. Guasti, Di Cafaggiolo e d'altre fabbriche di ceramiche in Toscana, Firenze 1902, pp. 394-396; L. De Mauri, L'amatore di maioliche e porcellane, Milano 1924, p. 284; G. Morazzoni, Le porcellane italiane, Milano-Roma 1935, pp. 8-10; G. Liverani, Catalogo delle porcellane dei Medici, Faenza 1936, p. 7; P. Aretino, Lettere sull'arte, a cura di E. Camesasca, Milano 1960, II, pp. 335 s.; III, 2, pp. 306-308; C. Leonardi, Il pavimento in maiolica della cappella dei conti Oliva, in Il convento di Montefiorentino, Studi Montefeltrani, Atti dei Convegni…, II, San Leo 1982, pp. 160-167; Id., La ceramica rinascimentale metaurense (catal.), Urbania 1982, p. 17; F. Negroni, Nicolò Pellipario: ceramista fantasma, in Notizie da palazzo Albani, XIV (1985), 1, pp. 13-20; G. Cora - A. Fanfani, La porcellana dei Medici, Milano 1986 pp. 11-15; J.V.G. Mallet, In botega di maestro Guido Durantino in Urbino, in The Burlington Magazine, CXXIX (1987), pp. 284-298; C. Leonardi, Margherita Panezia e il suo ritratto dipinto da Domenico Peruzzini in S. Chiara di Urbania, in Restauri per Domenico Peruzzini (catal.), a cura di B. Cleri, Urbania 1997, p. 84; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, p. 250; Enc. biogr. e bibl. "Italiana", A. Minghetti, Ceramisti, pp. 55, 96 s., 209.