gastromania
s. f. (iron.) La passione compulsiva per la preparazione e la degustazione di cibi, pietanze e vini ricercati.
• La «gastromania» dei francesi, secondo «le Figaro», è il segnale di un nuovo sciovinismo che si ritrova nella cultura e anche in politica. Addio alla cucina etnica e alle contaminazioni del gusto. Persino la «nouvelle cuisine» è stata archiviata. La Francia deve riconquistare posizioni nelle classifiche internazionali. Chef stellati come Paul Bocuse, Alain Ducasse, Guy Savoy e Joël Robuchon, vengono spesso superati dallo spagnolo Ferran Adrià, dal danese René Redzepi e persino da un inglese, Heston Blumenthal. I migliori ristoranti nel mondo non sono più francesi e non si trovano a Parigi, ma a Londra e a Tokyo. Davanti a questa globalizzazione dei sapori, il patriottismo culinario può apparire il tentativo di una restaurazione fuori dal tempo. (Anais Ginori, Repubblica, 23 settembre 2011, p. 49) • Il suo [di Gianfranco Marrone] elogio della gastromania intesa come piacere di stare insieme, riscoperta del gusto, condivisione di valori stando seduti attorno al desco, contro «le irritanti sicumere dei tecnocrati», è a tratti commovente e argomentato in modo persuasivo. […] Questo il vero rischio della ossessiva gastromania attuale: abituarci all’idea di un piacere unico, lievemente dispotico, che tende a fare terra bruciata intorno a sé. (Filippo La Porta, Messaggero, 20 ottobre 2014, p. 19, Macro) • Forse ha fretta perché ha un piatto caldo che lo aspetta, e si sa che la gastronomia per lui è tanto importante da trasformarsi addirittura in gastromania: «Meglio comprare un babà o una pastiera che un giornale!». O forse no. (Marco Demarco, Corriere della sera, 16 settembre 2017, p. 22, Cronache).
- Composto mediante la giustapposizione dei confissi gastro- e -mania.