BARZIZZA, Gasperino (Gasparinus Barzizius; G. Bergomensis o Pergamensis)
Era figlio di un Pietrobono, notaio, oriundo di Barzizza, paesello della Val Seriana presso Bergamo, dove la famiglia aveva proprietà terriere. Nacque, probabilmente a Bergamo, intorno al 1360; in un documento del 1386 è ricordato come terzo dopo i fratelli Giacomo e Antonio.
Molto credito ha avuto presso antichi e moderni, come data di nascita, il 1370, che sembra meglio accordarsi con l'età in cui il B. ha compiuto i suoi studi; ma la data del 1360 (1359 nel Quattrocegto del Rossi), preferita dal Sabbadini (1930), è confermata da una lettera del B. stesso (Bertalot, 1929, n. 43), diretta ai figli Guiniforte e Giovanni Agostino quando erano insieme a Padova dopo l'ottobre 1422, in cui egli dice di avere 63 anni compiuti.
Non si hanno notizie dei suoi primi anni; nel gennaio 1390 era a Pavia, scolaro di Giovanni Travesi e condiscepolo di Antonio Loschi, e ivi, il, 13 luglio 1392, superò il "conventus in gramatica et rhetorica" (il dottorato in arti fu conseguito, più tardi a Padova). A Bergamo tenne privatamente il suo primo insegnamento di grammatica, forse già per sopperire alle necessità della vita, a cui più non bastava il patrimonio avito, assottigliatosi per varie vicende e dal 1393 diviso con i fratelli. Verso la fine del secolo prese in moglie la nobile Lucrezia Agliardi di Bergamo, e al principio del Quattrocento si recò a Milano presso Giangaleazzo Visconti. Alla morte di questo (1402) si trasferì a Pavia, nel cui Studio fu per quattro anni (1403-1407) professore di grammatica e di retorica. A Pavia nel 1406 gli nacque il figlio prediletto Guiniforte; altri figli, Niccolò e Giovanni Agostino, gli erano nati prima. Poco sappiamo intorno all'insegnamento pavese di quegli anni. Ritornato a Pavia Giovanni Travesi, il 22 ag. 1406 il Comune supplicò il duca di volerlo restituire nella sua cattedra. Ci resta il verbale di una seduta, in cui il Travesi e il B. comparvero insieme di fronte ai sapienti del Consiglio di provvisione, e il B., non senza amarezza, rinunciò all'insegnamento in favore del maestro; lo stipendio gli fu pagato fino a tutto il febbraio 1407. Entro il marzo si trasferì a Venezia dove fu ospite dei Barbaro (marzo-settembre 1407) e iniziò allo studio del latino, come precettore privato, Francesco Barbaro (da una lettera di questo sappiamo che lessero insieme Marziale) e Andrea Giuliano, quest'ultimo già avanti negli anni.
Il periodo più proficuo della sua attività di studioso e di maestro, e il più noto a noi per le notizie forniteci dall'epistolario, fu quello di Padova (1407-1421), al cui Studio il B. fu assunto dal Senato veneto con il duplice incarico di retorica e filosofia morale. Accanto all'insegnamento pubblico tenne una specie di convitto privato, ospitando nella sua casa giovani facoltosi, che guidava negli studi e da cui riceveva una retta di 40 scudi annui. In questa sua attività di educatore, nella quale portò uno spirito nuovo di comprensione e cordialità, sta molto del suo merito; e il suo esempio influì sugli analoghi centri scolastici tenuti dai suoi due amici, Guarino e Vittorino da Feltre. Numerosi scolari affluirono alla sua scuola pubblica e privata, tra cui di nuovo Andrea Giuliano e, pare, anche Leon Battista Alberti. Nella prima metà del 1408 giunse a Venezia, dove era ancora la famiglia del B., il fratello maggiore di lui Giacomo, esule da Bergamo per motivi politici con la moglie e otto figli (il maggiore di nome Giovanni). Per l'interessamento di Andrea Giuliano e Daniele Vettori, a cui il B. lo aveva raccomandato, ottenne un impiego, ma nell'agosto del 1410 morì in Valcamonica (Furietti, p. 100), lasciando i figli se non completamente a carico del fratello, come sembrerebbe dalle sue lamentele, certo affidati alle sue cure. Le difficoltà finanziarie dovettero accrescersi nel 1411 a causa dell'invasione ungherese, sicché nel febbraio di quell'anno il B. si trovò costretto a trasferire parte della famiglia a Ferrara, dove la vita costava meno, raccomandandola all'amicizia di Lodovico Sambonifacio che era al servizio di Niccolò d'Este. Il B. non interruppe il suo insegnamento e da Padova si allontanò soltanto per qualche breve visita a Ferrara, dov'era anche Francesco Barbaro. Tale stato di cose durò fino al 7 maggio 1412, quando l'orizzonte politico sembrò rischiararsi; ma le difficoltà economiche non erano superate, se il B. si trovò costretto a vendere parte dei suoi libri, come risulta da una lettera al cardinal Zabarella (Furietti, pp. 155-159). Tra il 1411 e il 1412 fu in trattative per passare all'università di Bologna, dove nel luglio 1412 mandò come insegnante di retorica, il primogenito Niccolò; ma le trattative, condotte in suo nome da Giovanni di Giacomo da Visso, fallirono per l'opposizione del Senato veneto e perché le condizioni non apparivano sufficientemente vantaggiose (Furietti, pp. 125-128); i Bolognesi tuttavia ripeterono l'invito nel 1413. Nel 1412 il B. fu riconfermato a Padova con regolare condotta, il 16 sett. 1413 vi conseguì il dottorato in arti; della considerazione in cui era tenuto fanno fede alcune orazioni di cui fu pubblicamente incaricato intorno a quegli anni. Il 13 ag. 1414 fu nominato segretario apostolico da Giovanni XXIII, probabilmente per i buoni uffici dello Zabarella; e il 21 agosto nominò i procuratori che dovevano accettare l'ufficio in suo nome. Nel 1416 gli fu conferita la cittadinanza padovana, il 6 giugno 1417 la veneziana. Nel 1417 fu per qualche tempo al concilio di Costanza come segretario del papa Martino V (lo supplì nell'insegnamento il suo alunno Francesco Filelfo). Forse già prima di giungere a Costanza ebbe notizia della scoperta del codice integro di Quintiliano, una copia del quale gli fu inviata a Padova dal cardinal Branda di Castiglione.
Dal 1417 è occupato a Padova anche il figlio Niccolò. Nel 1418 gli morì di parto gemellare la moglie Lucrezia, dalla quale aveva avuto nel frattempo altri due figli, Giovanni Lorenzo e Giovanni Paolo: ci è rimasta una consolatoria di Guarino. Il 19 ag. 1420 gli fu riconfermata la condotta per cinque anni, quando già pensava di trasferirsi a Milano, chiamatovi da Filippo Maria Visconti. Sappiamo, da una lettera a Gian Francesco Gallina dell'agosto 1420, che aveva chiesto al doge il permesso di partire e che questi glielo aveva negato. Comunque, il 27 ottobre 1421 è già a Milano, dove dà inizio ai corsi.
Proprio in quell'anno il vescovo Gerardo Landriani scoprì nella cattedrale di Lodi il famoso manoscritto di Cicerone che conservava complete le opere retoriche, e l'inviò al B., per il tramite di Giovanni Omodeo; il B. ne fece fare un primo apografo dall'alunno Cosma Raimondi da Cremona. Alle opere retoriche di Cicerone egli aveva già dedicato molte cure, cercando di mettere ordine nella tradizione lacunosa ed incerta: l'incontro con il codice laudense fu senza dubbio l'episodio più emozionante nella sua vita di umanista, anche se, come racconta il Panormita, egli dovette "arrossire" confrontando il testo autentico con i suoi tentativi d'integrazione. Nel marzo 1422 il figlio Guiniforte si laureò in arti a Pavia, e nell'ottobre seguente raggiunse a Padova il fratello Giovanni Agostino. I due giovani avevano quivi in consegna i libri del padre (tra cui un Dante postillato di sua mano), e ad essi egli scrisse ripetutamente per riaverli, rivolgendosi a Guiniforte con parole amare nei riguardi di Giovanni Agostino.
Tra gli scolari che il B. ebbe a Milano fu anche Angelo Decembrio, il fratello di Pier Candido. Nell'anno 1428-29 e nel successivo tornò ad insegnare a Pavia, ma sappiamo che il 5 sett. 1430 si chiedeva che fosse chiamato a quella cattedra Tommaso Seneca da Camerino. Il B. era ormai vecchio e stanco: affranto dagli anni e dalla malattia lo descrive il Panormita intorno all'aprile del 1430; morì a metà circa del febbraio 1431 e gli succedette nella cattedra Antonio da Rho. Dei cinque figli gli erano morti prematuramente l'ultimogenito Giovanni Paolo e poi, nel 1424, il primogenito Niccolò, che era stato eletto nel 1423 podestà di Trento (Furietti, pp. 186-188). Gli sopravvissero Giovanni Lorenzo, Guiniforte e Giovanni Agostino, che si addottorò a Padova il 31 luglio 1444 (Zonta-Brotto, Acta graduum..., n. 1861).
Nella storia dell'umanesimo il B. ebbe una parte notevolissima, che si valuta soprattutto dal numero e dal nome dei suoi scolari. Alla scuola egli dedicò infatti la sua migliore attività.
Sappiamo che nel 1408 tenne a Padova un corso sulle Epistolae di Seneca; nel 1412 lesse le orazioni di Cicerone, giovandosi tra l'altro di un commento di Antonio Loschi; e un'altra volta le lesse nel 1420, quando seguì le sue lezioni Giovanni Tremonti (che ne lasciò ricordo nel cod. 2137 della Bibl. Angelica di Roma). Di un commento al De Officiis dà notizia egli stesso nella sua Orthographia. Prima della scoperta del codice laudense, curò un'edizione delle opere retoriche di Cicerone, secondo la tradizione mutila, cercando d'integrarle con periodi di collegamento segnati cautamente nel margine (cod. della Nazionale di Napoli IV. A. 43; un cod. del De oratore curato dal B. per il patrizio veneto Giovanni Comer è l'Ambrosiano E 127 sup.); della parte avuta nella lettura e nella diffusione del manoscritto di Lodi si è già detto. Una testimonianza dell'attività didattica ci è conservata in un'esercitazione scolastica, compiuta sotto la sua guida circa il 1410 da Nicola Contarini e Francesco Barbaro, in forma di libera disputa fra scolari e maestro, e trasmessaci attraverso appunti di ascoltatori in tre codici (cfr. P. Gothein, Fr. Barbaro..., p. 30); ne risulta il carattere umanistico, più retorico che dialettico, dell'insegnamento.
E tutta la sua attività letteraria gravita intorno alla scuola. Il De compositione, edito parzialmente dal Furietti, per intero da R. Sonkowsky (Diss., Chapel Hill 1959), fu composto circa il 1420: illustra principî di retorica e di stilistica, tratti soprattutto da Quintiliano e da Cicerone. Cominciava così la tradizione ciceroniana, che si continuò nella Rhetorica di Giorgio da Trebisonda e nel De imitatione latinae linguae di Antonio da Rho, e culminò con le Elegantiae del Valla. Importante, nello stesso senso, è il trattato della Orthographia, trasmessoci secondo il Sabbadini in due redazioni: una prima composta a Padova per invito di Domenico e Pietro Vettori, figli di Daniele, dopo il 1417 (vi è citato infatti il Quintiliano "repertus nuper in Germania"), e una seconda del periodo milanese, posteriore alla scoperta del codice laudense di Cicerone (1421), che vi è citato. È divisa, come dice il B. stesso nella prefazione, in quattro parti: nella prima, in cui si trattano questioni d'ordine generale, è interessante soprattutto (e nuovo nella tradizione di opere consimili) il capitolo dedicato alla grafia di parole greche, per il quale il B. si valse degli Erotemata delCrisolora nella traduzione latina di Guarino; la seconda parte contiene un ampio elenco alfabetico di parole di dubbia grafia; la terza, che si trova solo in pochi manoscritti, un lessico di parole con dittongo iniziale o centrale (anche qui un notevole passo innanzi nella conoscenza della lingua latina); la quarta parte, ancora più rara, un'ars punctandi. La stampa (del sec. XV: Hain 2681) contiene solo le prime due parti.
Carattere più strettamente lessicale ha il Vocabularium breve, che fu composto forse nel 1417-18 ed ebbe numerose edizioni (la prima: Venezia 1509): è un'illustrazione etimologica e storica di molte parole latine, divise secondo categorie relativamente al significato e seguita, in alcuni codici, dalla traduzione in volgare bergamasco (questa parte, che è naturalmente la più interessante dal punto di vista linguistico, potrebbe anche non essere del Barzizza). È possibile che risalga al B. anche una raccolta di sinonimi che si conserva in alcuni codici anonima o sotto altro nome (per es. nel già citato cod. 2137 dell'Angelica di Roma).
Connessi con l'attività scolastica sono: il breve Epilogus de magistratibus romanis, presente in alcuni codici e edito da A. Azzoni (Ricerche barzizziane, pp. 24 s.); un Epilogus ac summa praeceptorum (editoda R. Sonkowsky, in Studies in honour of B. L. Ullman, II, Roma 1964, pp. 268-276), che tratta in succinto alcuni argomenti del De compositione; alcuni Excerpta da Plauto e Terenzio sono conservati sotto il nome del B. in un codice Ambrosiano (Z 55); falsa l'attribuzione al B. di una Epitome Titi Livi (M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, p. 502), su cui cfr. A. Azzoni, op. cit., pp. 15-17.
Gli Exordia, di cui si ebbe un'edizione a Padova nel 1483, sono modelli di composizione oratoria scritti anch'essi per la scuola. In più codici sono conservate le Orationes (edite dal Furietti), che furono pronunciate dal B. stesso o da altri in varie occasioni, connesse con la vita universitaria o cittadina; in complesso l'interesse storico di esse è piuttosto scarso.
Più interessanti sono le lettere familiari, edite incompletamente dal Furietti e dal Bertalot (1929). Secondo gli studi di quest'ultimo, che ne preparava l'edizione critica, una raccolta di esse fu fatta nel 1424a Padova, mentre il B. era a Milano, e se ne ha una copia diretta del 1425, di mano di Damiano da Pola, nel cod. 132del collegio Balliol di Oxford. Il maggior numero di esse si riferisce al periodo 1407-21(la data di alcune si precisa meglio per la presenza di esse in codici più antichi, quale ad es. il Vat. Lat. 5223, curato probabilmente da Donato degli Albanzani). Esse illustrano l'onestà e l'affabilità del B., i suoi affetti familiari, le sue numerose amicizie (F. Zabarella, D. Vettori, A. Giuliano, P. P. Vergerio, Antonio Fantasello, il medico Pietro Tommasi, Francesco e Zaccaria Barbaro, ecc.), il fervore dei suoi studi. Alle esercitazioni scolastiche si riconducono invece le Epistolae ad exercitationem accomodatae, raccolta curata dal B. stesso per offrire modelli di scrittura epistolare (le lettere senza nome di destinatario e senza data si seguono a due a due, proposta e risposta); essa fu usata come libro di testo anche fuori d'Italia (cfr. l'ed. di Giovanni Lapidano, Parigi 1470) ed ebbe molte edizioni fino all'ultima del Furietti; ma una raccolta più cospicua della vulgata fu riconosciuta dal Bertalot nel cod. 519 della Iagellonica di Cracovia.
Sebbene il B. esprima talvolta il proponimento di rifarsi all'insegnamento di Aristotele (Bertalot, 1929, n. 19), la sua preparazione retorica è fondata principalmente su Quintiliano e Cicerone; ed egli fu uno dei maggiori. responsabili del "ciceronianismo" umanistico. Tuttavia dall'imitazione di Cicerone egli si sentì più o meno vincolato secondo i casi: le Epistolae ad exercitationem accomodatae sono la scrittura più rigidamente ciceroniana; nelle Orationes d'argomento religioso è evidente l'influsso degli scrittori cristiani; le lettere familiari sono scritte in uno stile più disinvolto, con larghe concessioni ai modi del parlar comune. Nell'attività critica sui testi dei classici il B. continua degnamente la tradizione di rigore scientifico di cui può considerarsi iniziatore il Petrarca.
Alla ricerca dei codici antichi partecipò non direttamente, legato com'era alla scuola e stretto da necessità finanziarie, ma indirettamente. attraverso la fitta rete dei suoi corrispondenti; ebbe una biblioteca cospicua; acquistò un Livio dall'erede di Donato degli Albanzani, Antonio da Fiesso (Bertalot, n. 48); possedette le Periochae liviane già del Petrarca. Alla sua morte la biblioteca passò agli eredi e poi si disperse: alcuni codici sono all'Ambrosiana di Milano (particolarmente interessante l'Ambr. M 5 sup., con un Claudiano in parte di sua mano), altri alla Vaticana (in partic. il Vat. Lat.1773contenente le deciamazioni di Quintiliano e di Seneca, con note autografe); un gruppo cospicuo, comperato a Milano da A. G. Parrasio, è finito alla Nazionale di Napoli.
Fonti e Bibl.: Unica edizione complessiva delle opere del B. resta quella di G. A. Furietti, Gasparini Barzizii et Guiniforti filii opera, Romae 1723; nell'introduzione (pp. xxv-xxxviii) una biografia di Gasparino. In generale: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 498-503; R. Sabbadini, in Encicl. Ital., VI, Roma 1930, p. 262; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1945, pp. 46, 76, 127; D. Magni, Gasparino B.: una figura del primo Umanesimo, in Bergomum, XXXI (1937), pp. 104-118, 143-170, 205-222; F. Sarri, G. B., in Rinascita, I (1938), pp. 144 ss.; E. Garin, La scuola milanese di Gasparino B., in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 570-579; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, II, Bergamo 1959, pp. 416 s., 422 n. 49. Di fondamentale importanza, anche dal punto di vista biografico, sono gli studi dedicati all'epistolario: R. Sabbadini, Lettere e orazioni edite e inedite di G. B., in Arch. stor. lombardo, XIII (1886), pp. 363-378, 563-583, 825-836; L. Bertalot, Eine humanistische Anthologie, Berlin 1908, pp. 40, 82; Id., Die älteste Briefsammlung des G. B., in Beiträge zur Forschung, n. s., II, München 1929, pp. 39-84 (alle pp. 57-82 è dato il testo di 55 lettere, in gran parte inedite); R. Sabbadini, Dalle nuove lettere di G. B., in Rendic. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 2, LXII (1929), pp. 881-890 (recensione al precedente studio del Bertalot, che dà luogo a interessanti precisazioni cronologiche). Purtroppo il Bertalot è morto prima di condurre a termine la promessa edizione; alcune lettere restano inedite, altre sono sparse negli studi qui citati. Per un cod. parigino dell'epistolario, v. R. Cessi, Di alcune relazioni famigliari di G. B., in Scritti vari in onore di Rodolfo Renier, Torino 1912, pp. 737-746; un gruppetto di lettere del B. è contenuto nel cod. Oliveriano 44, su cui v. M. Zicàri, Il piùantico cod. di lettere di P. P. Vergerio il Vecchio, in Studia Oliveriana, II (1954), pp. 33-59.
Per l'attività umanistica in generale, R. Sabbadini, Studi di G. B. su Quintiliano e Cicerone, Livorno 1886; Id., Storia del ciceronianismo, Torino 1885, pp. 13-17; Id., Le scoperte dei codici lat. e greci, I, Firenze 1905, p. 100; Id., Storia e critica di testi latini, Catania 1914, pp. 43, 83-85, 103-145; per il cod. laudense, E. Malcovati, La tradizione del "Brutus" e il nuovo frammento cremonese, in Athenaeum, n. s., XXVI (1958), pp. 80 s.
Su singole questioni e singole opere: R. Sabbadini, Briciole umanistiche. Per la morte della moglie di G. B., in Giorn. stor. d. letterat. ital., XXVII (1896), pp. 331-333; R. Cessi e B. Cestaro, Spigolature barzizziane (Nozze Fumagalli-Guttmann), Padova 1907; A. Mazzi, Nota genealogica sui Barzizza, in Bollett. d. civica bibl. di Bergamo, II (1908), pp. 135-139; B. Calzaferri, La tecnica adottata dagli umanisti bergamaschi G. e Guiniforte B. negli scritti di indole consolatoria, in Convivium, X (1938), pp. 425-438. Sull'Orthographia, R. Sabbadini, Spogli ambrosiani latini, in Studi ital. di filol. classica, XI (1903), pp. 362-376; A. Roncaglia, Note sulla punteggiatura medievale e il segno di parentesi, in Lingua nostra, III (1941), pp. 6-9; A. Campana, Trattati umanistici sulla interpunzione: Angelo da Novilara tra Iacopo da Urbisaglia e G. B., di prossima pubblicazione in Studia Oliveriana. Per l'attribuzione al B. di un'orazione attribuita tradizionalmente al Beccadelli, R. Sabbadini, Briciole umanistiche. L'orazione del Panormita al re Alfonso, in Giorn. stor. d. letterat. ital., XXXI (1898), pp. 246-250; e cfr. G. Resta L'epistolario del Panormita, Messina 1954, p. 86 n. 2. Una nuova orazione è pubblicata da G. Cremaschi, Ignoto discorso politico di G. B. Saluto di commiato al primo Rettore veneto a Bergamo, in Bergomum, L, 4 (1956), pp. 1-10; una prolusione a un corso su Aristotele può leggersi in E. Garin, Prosatori latini del Quattrocento, Milano-Napoli 1952, pp. 306-309; la stessa, e un'altra su Cicerone, in K. Müllner, Reden und Briefen ital. Humanisten, Wien 1899, pp. 56-59. Sul Vocabularium breve, J. E. Lorck, Altbergamaskische Sprachdenkmäler, Halle a. d. S. 1893, p. 93; G. Contini, Reliquie volgari della scuola bergamasca dell'umanesimo, in Italia dialettale, X (1934), p. 225; A. Azzoni, Ricerche barzizziane, in Bergomum, LIV (1960), 2, pp. 15-26 (ivi elencate 3 edizioni antiche).
Per il figlio Giovanni Agostino, v. P. Sambin, Cristoforo B. e i suoi libri, in Boll. del museo civ. di Padova, XLIV (1955), p. 147, n. 14. Pei rapporti con gli Alberti, G. Mancini, Nuovi documenti e notizie sulla vita e sugli scritti di L. B. Alberti, in Arch. stor. ital., s. 4, XIX (1887), pp. 201-205 (ivi pubblicate, dal Riccardiano 779, due lettere del B.); cfr. anche R. Cessi, Il soggiorno di Lorenzo e Leon B. Alberti a Padova, ibid., s. 5, XLII (1909), pp. 351-359. Pei rapporti con Francesco Barbaro e l'insegnamento di Padova Percy Gothein, Fr. Barbaro, Früh-Humanismus und Staatskunst in Venedig, Berlin 1932, pp. 26-32. Con Andrea Giuliano, S. Troilo, A. Giuliano, politico e letterato veneto del Quattrocento, Genève-Firenze 1932, pp. 9-25, 164-171, 193-195 (una lettera di A. Giuliano al B.). Con Guarino, R. Sabbadini, Epistolario di Guarino Veronese, I, Venezia 1915; III, ibid. 1919, passim(ivi sono pubblicate alcune lettere del B. a Guarino). Col Beccadelli, R. Sabbadini, Ottanta lettere inedite del Panormita, Catania 1910, pp. 116, 117-120 (cfr. G. Resta, L'epistolario..., p. 182 n. 243), 136, 143.
La documentazione relativa alla carriera didattica è abbondante. Per il "conventus in gramatica et rhetorica" del 1392, v. Cod. dipl. dell'univ. di Pavia, I, Pavia 1905, p. 208 n. 406; cfr. anche Z. Volta, Dei gradi accademici conferiti nello studio generale di Pavia sotto il dominio visconteo, in Arch. stor. lombardo, s. 2, XVII (1890), pp. 535-537, 572 s., dove è erroneamente la data 12 anziché 13 luglio; V. Rossi, Un grammatico cremonese a Pavia, in Boll. d. Soc. pavese di storia patria, I (1901), p. 30 (Scritti di critica letter., III, Firenze 1930, p. 19). Per il primo insegnamento a Pavia, Cod. dipl...., II, Pavia 1913, passim: in particolare, per i rapporti col Travesi, pp. 85, 87, 88, 99; cfr. anche V. Rossi, Un grammatico creinonese..., pp. 44 s. (= 20-24); una diversa interpretazione dei fatti (il B. avrebbe volontariamente ceduto la cattedra al Travesi) in A. Corbellini, Appunti sull'umanesimo in Lombardia, in Bollett. d. Soc. pavese di storia patria, XV (1915), pp. 331-41; ma v. poi G. Mainardi, Il Travesio, il Barzizza e l'umanesimo pavese, ibid., LIII (1953), pp. 13-25; Id., Ancora il Travesio, il B. e l'umanesimo pavese, ibid., LVII (1957), pp. 19 ss. Per l'insegnamento tenuto a Padova, v. G. Zonta-G. Brotto, Acta graduum academ. Gymn. Patav...., Padova 1922, passim; in particolare p. 86 n. 302, per il dottorato in arti. Per l'invito a insegnare nell'università di Bologna, Chartularium Studii Bononiensis, II, Bologna 1913, pp. 213 s.; cfr. anche L. Frati, La legazione del card. Lodovico Fieschi a Bologna, in Arch. stor. ital., s. 5, XLI (1908), p. 146. Per l'insegnamento a Milano e il secondo insegnamento pavese, Cod. dipl..., II, pp. 198, 264, 267, 269; per la proposta di chiamare alla cattedra di retorica Tommaso Seneca da Camerino, ibid., II, p. 275; A. Corbellini, Note di vita cittadina e universitaria pavese nel Quattrocento, in Bollett. d. Soc. pavese di storia patria, XXX (1930), pp. 19-23, 146 n. 1. Per la nomina a segretario apostolico (1414), R. Cessi, Nuove ricerche su Ognibene Scola, in Arch. stor. lombardo, XXXVI (1909), pp. III s., 133 s.; ivi anche la notizia di una rivalità tra B. e Ognibene (ma cfr. su ciò L. Bertalot, Die älteste Briefsammlung, p. 45 n. 1).
Per i libri posseduti dal B. è fondamentale G. Mercati, Prolegomena de fatis bibliothecae monasterii S. Columbani Bobiensis, in M. T. Ciceronis De re publica libri e cod. rescripto Vat. lat. 5757 phot. expressi, Città del Vaticano 1934, p. 112 n. s; cfr. anche i citati scritti del Sabbadini; in particolare per il ms. delle Periochae, R. Sabbadini, Le Periochae Livianae del Petrarca possedute dai B., in F. Petrarca e la Lombardia, Milano 1904, pp. 195-201; e ora U. Lepore, Postille petrarchesche o note del Barzizza?, in Giorn. ital. di filol., III (1950), pp. 347-351; per il cod. Ambr. M 5 sup., R. Sabbadini, Spogli ambrosiani latini, pp. 359-361; per il Vat. Lat. 1773, R. Sabbadini, Sui codici delle Declamationes di Quintiliano, in Studi ital. di filologia classica, V (1897), pp. 390-393.