GIONA, Gasparo
Figlio di Girolamo, nacque a Verona nel 1563.
La data di nascita del G. si desume dal necrologio pubblicato da Puppi (in Gualdo, p. 73 n. 3), e precede di cinque anni quella fornita da Tommasini, primo e più importante biografo dell'artista; alcune fonti (Rossetti; Brandolese) lo dicono nativo di Padova; ma la sua origine veronese è confermata da un documento del 1619 (Puppi, in Gualdo, p. 74 n. 3) in cui il G. è definito "veronensis" e dal testamento in cui l'artista predispone che se il nipote non avesse avuto eredi i suoi beni sarebbero dovuti passare ai parenti residenti a Verona (Caburlotto, 1994, p. 125).
Secondo Tommasini, il G. compì la propria formazione artistica "in Germania" accanto al pittore veronese Giovanni Battista Fontana morto a Innsbruck nel 1587. È probabile che il G. abbia fatto ritorno in Italia poco dopo questa data e si sia trasferito nello stesso periodo a Padova (Fantelli, 1989). Nel 1589 nacque la figlia Girolama (Sartori, p. 404).
La prima opera del G. di cui si ha notizia è la pala, perduta, per l'altare maggiore della Confraternita dei Ss. Sebastiano e Marco a Padova (Caburlotto, 1994, p. 118), eseguita nel 1601. Il 2 genn. 1605 "Gaspare depentore" fu pagato per gli affreschi nella cappella maggiore e per un quadro con la Natività della Vergine nella chiesa di S. Pietro; anche queste opere sono andate perdute (Sartori, p. 404). Il 15 luglio 1607 al G. vennero riconosciuti "mercede e colori per havere depinto la salla et loza nova nel palazzo dell'illmo Sign.r Capitano Malipiero", ovvero la camera delle udienze nel palazzo del Capitanio, oggi sala delle edicole della facoltà di magistero (Bresciani Alvarez, p. 149). Di questi affreschi rimangono oggi alcune figure allegoriche che costituiscono una delle poche opere documentate riferibili all'artista. Nel medesimo periodo è possibile che il G. decorasse all'interno dello stesso palazzo, anche la volta della scala dei Giganti, come ricordato da Tommasini. Il 20 luglio del 1608 il pittore Giambattista Bissoni contribuì a far eleggere il G. gastaldo della Confraternita dello Spirito Santo (Caburlotto, 1993, p. 224). Il G. lavorò in seguito più volte accanto a Bissoni, tanto che Gualdo definisce quest'ultimo "dissepolo" del Giona. In realtà Bissoni era probabilmente un artista già formato quando entrò in contatto con il G. e infatti Tommasini non lo nomina tra i suoi allievi. Nel 1610 il G. fu pagato per il restauro della lunetta di A. Mantegna raffigurante i Ss. Antonio da Padova e Bernardino da Siena che presentano il monogramma di Cristo, già sopra il portale maggiore della basilica del Santo e ora nel Museo Antoniano (Caburlotto, 1994, pp. 118 s.).
L'opera più rappresentativa del G. è l'affresco con la Vergine in trono con s. Bernardino e il popolo che accorre a un banco del Monte nel sottoportico del palazzo del Monte di pietà, per il quale l'artista ricevette due pagamenti nel marzo del 1618 (Rigoni, p. 492 n. 1; Bresciani Alvarez, p. 158 n. 64). Il dipinto, ricordato solo da Gualdo, dipende in maniera evidente dal prototipo tizianesco della pala Pesaro e rivela come il G. fosse, ancora alla fine del secondo decennio, stilisticamente vicino al linguaggio di Domenico Campagnola, che aveva già lavorato in precedenza nello stesso sottoportico e i cui affreschi vennero restaurati, sempre nel 1618, da Bissoni. Non è un caso, quindi, che l'affresco sia stato a lungo riferito allo stesso Campagnola e che si sia ipotizzato che il G. avesse utilizzato un cartone di questo maestro (Grossato, p. 196).
In base al confronto con l'affresco del Monte di pietà, Grossato ha attribuito al G. un affresco staccato raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Carlo Borromeo e Antonio da Padova (Padova, Museo civico). L'opera, posteriore al 1610, anno della canonizzazione di s. Carlo Borromeo, rivela una scioltezza pittorica e una gamma cromatica che possono essere ricondotte all'influenza di Paolo Veronese. A quest'opera è stata accostata una pala d'altare nella chiesa di S. Francesco a Curtarolo, raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Antonio e Francesco (Fantelli, 1982), compositivamente legata a soluzioni cinquecentesche.
La tradizione che voleva il G. allievo di Campagnola risale a Brandolese (p. 13), che attribuisce al G. gli affreschi della cappella del Collegio dei notai nel palazzo del Podestà, attuale municipio, riferiti da Rossetti (p. 272) allo stesso Campagnola, autore anche della pala d'altare. Il ritrovamento di un documento che attribuisce gli affreschi della cappella, eseguiti per conto del podestà Battista Nani (1618-19), a Pietro Damini (Fantelli, 1985), ha escluso la presenza del G. in questo ambiente indicandolo, al contrario, come autore di dipinti nella "camera o corridore" vicino a tale cappella. Per questo motivo, benché non sia possibile indicare con precisione l'ambiente in questione, alcuni affreschi con figure allegoriche presenti in ambienti minori del municipio sono stati riferiti alla mano del G., grazie anche al confronto con gli affreschi nella sala delle Edicole (ibid.). I lavori del G. nel palazzo del Podestà costituiscono una delle numerose opere commissionate all'artista dalla famiglia Nani; Tommasini ricorda infatti la "Madonna a Ca Nani al ponte di Legno, e ivi in casa molte fatture", e le pitture nella villa della famiglia a Monselice.
Nel 1620 Gualdo ricevette in dono da Bissone "l'effige di uno schermitore", opera del pittore; tra il luglio del 1621 e il marzo del 1622, si scalano i tre mandati di pagamento al G. per i perduti affreschi del salone dell'Accademia Delia (Caburlotto, 1993, p. 233 n. 49; 1994, p. 120 n. 13). Le fonti (Brandolese, p. 150; Rossetti, p. 300) indicano il G. come autore delle quadrature e riferiscono a Bissoni le figure. Accanto a loro, però, aveva forse lavorato anche Giuseppe Viola Zanini che, descrivendo nel suo trattato di architettura del 1629 il salone dell'Accademia, si attribuiva la paternità dello sfondato illusionistico, assegnando al G. "il resto di sotto dal volto".
Tra la fine del terzo decennio e l'inizio del successivo è probabile che il G., Bissone e Zanini abbiano lavorato contemporaneamente per la Confraternita dello Spirito Santo (Caburlotto, 1994, pp. 120-123); il 28 maggio 1631 è attestato infatti un pagamento a Zanini per gli affreschi del soffitto nell'oratorio della scuola della Confraternita, ricordati anche da Tommasini; mentre Bissone risulta essere stato pagato, nel medesimo anno, per alcuni teleri. Non è escluso si tratti di una delle ultime imprese del G. poco prima della morte.
Tommasini nomina molte altre opere del G. andate perdute, realizzate per privati quali i Capodilista, i Foscarini, i Dondi dall'Orologio, i Trento; per questi ultimi, in particolare, ricorda i lavori per una cappella nella chiesa, oggi demolita, di S. Agostino. Tali dipinti sono menzionati anche da Brandolese (p. 154) e da Rossetti (p. 5) il quale attribuisce al G. anche la volta di un'altra cappella in S. Agostino.
Il G. morì a Padova il 12 giugno 1631 (Puppi, in Gualdo, p. 74 n. 3).
Le poche opere rimaste non sono sufficienti a restituirci l'immagine di un artista che fu con ogni probabilità una delle figure più significative della pittura a Padova tra la fine del Cinquecento e la prima metà del secolo successivo, in un delicato momento di transizione tra la tradizione stilistica di Campagnola e "un decorativismo più aperto di derivazione neoveronesiana" (Fantelli, 1985, pp. 95 s.). Le fonti ricordano soprattutto opere ad affresco, alcune delle quali, probabilmente, di carattere illusionistico, come il soffitto del salone dell'Accademia Delia e la decorazione della scala dei Giganti definita da Rossetti "di maniera paolesca" (pp. 290 s.). Di questo tipo di decorazione non è purtroppo rimasto nulla; ma è probabile che l'artista fosse famoso e richiesto nella sua città d'adozione proprio per questo genere di dipinti. Ciò trova conferma nelle parole di Brandolese (p. 279) il quale afferma che l'artista "nelle figure non riuscì gran fatto, ma nella quadratura fu in molta estimazione a' suoi tempi"; la stessa fonte (p. 177) definisce "non ispregevole" la volta della scala dei Giganti. Secondo Gualdo, invece il G., "preggiato pittore", aveva lavorato soprattutto come ritrattista. Una prova significativa del suo notevole successo è fornita dal testamento, datato 8 giugno 1631, in cui il pittore lasciò al nipote Pietro Antonio un patrimonio definito da lui stesso "abondante", costituito da oltre 2000 ducati, due case e alcuni appezzamenti di terreno (Caburlotto, 1994, pp. 124-128). Anche Tommasini ricorda che il G. aveva guadagnato moltissimo con il suo mestiere; e si può ipotizzare che per portare avanti i suoi numerosi lavori ad affresco, l'artista avesse messo in piedi una bottega ben organizzata. Tommasini menziona almeno cinque allievi del G.: Rinaldo "che sta a Roma, e dai Paesi celebratissimo", Bernardo Sardegna, Batista Bertoldo e Alvise e Andrea Picaglia. A quest'ultimo il maestro lasciò i suoi cartoni, le stampe, i disegni e i pennelli (ibid., p. 126).
Fonti e Bibl.: G. Viola Zanini, Dell'architettura libri due, Padova 1629, p. 34; Padova, Biblioteca dei Musei civici agli Eremitani, ms. B.P. 1464/VI: F. Tommasini, Memoria della peste occorsa ne la città di Padova l'anno 1631 con la minuta di tutti i cittadini e persone civili che in questa mancarono, c. 11rv (edito in Moschini, 1826; Fantelli, 1985, p. 95 n. 20; Gualdo, p. 74 n. 3); G. Gualdo iunior, 1650. Giardino di chà Gualdo, a cura di L. Puppi, Firenze 1972, pp. 73 s.; G.B. Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture ed architetture di Padova, Padova 1765, pp. 5, 272, 290 s., 300; P. Brandolese, Pitture, sculture e architetture di Padova nuovamente descritte, Padova 1795, pp. 13, 150, 154, 177, 279; G.A. Moschini, Guida per la città di Padova, Venezia 1817, pp. 269 s.; Id., Delle origini e delle vicende della pittura in Padova, Padova 1826, pp. 94 s.; D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi, Verona 1891, pp. 258 s.; E. Rigoni, Un rilievo di Silvio Cosini sulla facciata del Monte di pietà di Padova, in Rivista d'arte, XII (1930), pp. 491 s. n. 1; L. Grossato, Affreschi del Cinquecento in Padova, Milano 1966, pp. 189, 196, 198 n. 65; C. Donzelli - G.M. Pilo, I pittori del Seicento veneto, Firenze 1967, p. 198; A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, Vicenza 1976, pp. 404, 415; G. Bresciani Alvarez, L'architettura civile del barocco a Padova, in Padova. Case e palazzi, Vicenza 1977, pp. 149, 151, 158 n. 64; P.L. Fantelli, Schede Antoniane, in Padova e la sua provincia, XXVIII (1982), 4, pp. 7 s.; Id., Gli affreschi della chiesetta dei Nodari nel municipio di Padova, in Boll. del Museo civico di Padova, LXXIV (1985), pp. 94-98; Id., in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, p. 765; L. Caburlotto, G.B. Bissoni: l'attività artistica con documentazione inedita, in Boll. del Museo civico di Padova, LXXXII (1993), pp. 224, 233; Id., Il testamento ed altri documenti inediti di G. G., con alcune note su Giulio e Giuseppe Viola Zanini, ibid., LXXXIII (1994), pp. 117-128; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 73.