BALBI, Gasparo
Figlio di Giovanni, nacque probabilmente a Venezia intorno alla metà del Cinquecento. Mercante e gioielliere, il 21 luglio 1576 si associò con Camillo Olivi e con Girolamo Brugnera per il commercio delle pietre preziose in Siria e prese quindi imbarco sulla nave Balanzera, patron Piero Solta, con un capitale di poco più di 1000 ducati in panni di seta, di lana e smeraldi. Per molto tempo non diede alcuna notizia di sé ai suoi soci, che lo fecero infine ricercare da un altro mercante veneziano, Marino Agudi, perché rendesse i conti. Il 1° nov. 1579 scriveva da Aleppo per spiegare le ragioni del cattivo esito del suo viaggio e comunicava di esser prossimo a partire per l'India insieme con Giovanni Rossello e col milanese Giovan Antonio Boron, coi quali aveva costituito una compagnia con 12.000 ducati di capitale, affidati da diversi amici: sperava "in termine di doi anni tornare con allegrezze", essendo interessato alla metà dell'utile.
Iniziava il suo viaggio il 13 dic. 1579 da Aleppo, con una carovana di muli e di cammelli diretta ad al-Bīr (la moderna Bīrecik), sulla riva sinistra dell'Eufrate, che raggiunse dopo tre giorni. La navigazione fluviale fino a Falluja richiese poco più di quaranta giorni ed altri due il cammino via terra per Baghdād, la favolosa Babilonia Nuova dalle cupole delle moschee smaltate di turchino. Il 13 marzo 1580, su di una barca di particolare robustezza, cominciava la discesa del Tigri, un fiume più tranquillo e sicuro dell'Eufrate, che gli richiamò il sentore familiare del canale da Venezia a Marghera; il 21 prendeva terra a Bassora, donde ripartiva il 9 aprile alla volta di Hurmū´z. Qui sostò dal 10 maggio al 29 settembre, interessandosi vivamente alla pesca delle perle, che formava la ricchezza delle isole vicine. S'imbarcava poi per Goa e toccava il 28 ottobre Diu, dove rimase soltanto due giorni a causa del clima malsano, e quindi Chaul, donde ripartiva il 4 novembre; il 10 era in vista delle verdi colline di Goa capitale dell'India. Il viaggio fu pieno di emozioni per la presenza di pesci "grandi come navi", per lo spettacolo di infuocati vapori celesti e la continua minaccia degli assalti dei Malavari, pirati audacissimi che usavano gettarsi nel combattimento ebbri di droga.
A Goa restò a lungo e solo l'8 apr. 1582 s'imbarcò con diverse mercanzie sulla nave San Bastian. Superò Cannanore, Cochin e Ceylon - l'isola della cannella - e passando per Negapatam, centro della produzione del riso, San Tomè, la punta di Negrais, Cosmin e Dalla (oggi sobborgo di Rangoon), arrivò il 6 nov. 1583 a Meccao, porto dei Pegù. L'ultima parte della rotta fu percorsa in "parò" per l'intricato delta dell'Irrawaddy. Raggiunta poi su un caratteristico veicolo locale la città di Pegù, vi dimorò per molto tempo, raccogliendo ampie informazioni sulla religione, sugli ordini militari, sui costumi, sulla vita economica. Fu ricevuto benevolmente dal dispotico monarca del luogo, e ne provocò la meraviglia e l'ilarità descrivendogli la forma repubblicana con la quale si governava Venezia.
Il 5 genn. 1586 si mise sulla via dei ritorno.
Il 12 era a Martaban, per prendere imbarco circa un mese dopo per Cochin, che raggiungeva in trentanove giorni di non facile navigazione, sulla rotta delle Nicobare, di Ceylon, di Capo Comorin. A Cochin dovette aspettare sette mesi un passaggio per Hurmū´z, dove finalmente arrivò alla vigilia di Natale. Si fermò fino all'11 luglio 1587, quando - malato di dissenteria - fu indotto a cambiar aria. Durante il viaggio per Bassora ebbe una grave ricaduta del male e fu per morire, ma riuscì a rimettersi ed a sbarcare il 2 agosto. Dopo diciotto giorni ripartiva per Baghdād e vi giungeva il 23 novembre, risalendo il Tigri "con grandissimo timor d'esser robati da ladri e grandissimo pericolo di naufragarci".
Rivedeva Venezia nel 1589. L'8 febbraio di quell'anno, presente anche Cesare Federici, fece registrare il testamento dettato due anni prima ad Hurmū´z da uno dei suoi compagni, il milanese Boron, in cui si disponeva un legato a favore di una Maria Balbi "Costa Malabar", che il B. aveva tenuta a battesimo a San Tomè e condotta seco. Nel 159o diede alle stampe, presso Camillo Borgominieri, una relazione del suo viaggio nelle Indie Orientali, dalla partenza da Aleppo nel 1579 fino al ritorno a Baghdād nel 1587, dedicata al nobile veneziano Teodoro Balbi, suo benefattore. Ma era rimasto in debito verso i suoi vecchi soci Olivi e Brugnera di poco più di 400 ducati, e i loro eredi cominciarono a perseguitarlo; il 25 maggio la questione venne rimessa a due arbitri, che probabilmente diedero torto al B., il quale fu costretto a sottoscrivere, nel giugno 1590, due promesse di pagamento a brevissima scadenza. Tentò ancora qualche espediente, ma i creditori accelerarono i tempi quando ebbero la sensazione che egli - avendo "comprato veri et robbe pertinenti al viaggio delle Indie" - si disponesse ad abbandonare clandestinamente Venezia, e l'11 luglio lo fecero gettare in carcere, per mandato dei Signori di Notte al Civil. Fu liberato il 19 luglio 1590, essendo stata la sentenza cassata per incompetenza del giudice. Da questo momento si perde ogni sua notizia (né può riferirsi al B. un testamento del 25 apr. 1621, not. Zoppini, di un Gasparo Balbi del fu Tranquillo, imbarcato sulla galera del capitano della Guardia di Candia).
La relazione del viaggio nelle Indie Orientali si sviluppa per quarantacinque capitolì, con un'appendice sul calendario delle partenze delle navi ed una tariffa delle monete, con relative tavole di riduzione. Una parte molto ampia è riservata ai ragguagli sui pesi, le misure, le monete, i dazi dei più importanti centri commerciali che il B. visitò, integrati spesso dalle equivalenze con le unità di Venezia e di Aleppo, sullo schema tradizionale dei manuali di mercanzia. I nomi geografici dei paesi percorsi sono annotati con straordinaria diligenza e precisione, così che l'olandese W. J. Blaeu e i suoi successori poterono valersene per le loro carte. Solo da Bīrecik a Bassora i toponimi sono centotrentacinque (contro i tre del Federici), ventuno i nomi dei porti del Golfo Persico, quarantaquattro quelli dei centri perliferi nei paraggi di Hurmū´z. La loro identificazione è stata nella maggior parte dei casi possibile, mentre molte oscurità - soprattutto lungo il corso del Tigri e nel delta dell'Irrawaddy - possono essere giustamente attribuite a mutamenti di configurazione. Le informazioni sulla navigazione mesopotamica sono assai particolareggiate; non altrettanto quelle sull'India, che appaiono talvolta di seconda mano e non scevre da elementi fantastici; molto ricche, invece, e assolutamente originali quelle sulla Birmania. Qualche passo risulta letteralmente ripreso dal Viaggio di Cesare Federici, che era stato pubblicato tre anni prima, ma a questa fonte il B. fece ricorso soltanto quando - come osserva O. Pinto - volendo diffondersi in notizie storiche ed archeologiche sentì l'insufficienza delle sue cognizioni. Quasi sempre, però, il suo racconto, sostenuto da uno spirito d'osservazione vigile ed acuto, è aderente alla realtà e procede col taglio d'un diario. Certe pagine sui costumi del Pegù sono di una vivacità che non è dato spesso di incontrare nei resoconti dei viaggiatori. Di grande interesse sono anche le notazioni sulla tecnica della navigazione e sull'arte delle costruzioni navali, che rivelano nel B. una conoscenza sicura, maturata forse attraverso una esperienza giovanile nella flotta veneziana.
Abbastanza conosciuta ed apprezzata, la relazione del B. venne tradotta in tedesco, in latino, in olandese, e il viaggiatore inglese Ralph Fitch, che alcuni anni dopo visitava anch'egli il Pegù, non trascurò di attingervi per qualche descrizione.
Edizioni: Viaggio dell'Indie Orientali, di G. B. Gioielliero Venetiano, nel quale si contiene quanto egli in detto viaggio ha veduto per lo spatio di 9 Anni consumati in esso dal 1579 fino al 1588, Venezia 1590 (la notizia di una seconda edizione del 1600,data dal Mazzuchelli e quindi dallo Zurla, dall'Amat di San Filippo e dal Donazzolo, appare infondata); Viaggi di C. Federici e G. B. alle Indie Orientali, a cura di O. Pinto, Roma 1962. Il Viaggio, che fu tradotto in tedesco (J. Th. e J. Isr. De Bry, Siebender Theil der Orientalischen Indien, Frankfurt 1605), in latino (Indiae Orientalis Navigationes, Pars VII, Francofurti 1606, pp. 43-126), in olandese (Naakeurige Versameling der gedenkwaartigste Zee-en Land - Reysen na Oost-en West-Indien, vol. 64, Leyden 1706, e Zee - en Landreizen der Portugeezen, Deel 8, Leyden 1727), era stato inoltre riassunto in S. Purchas, Hakluyt's Posthums, London 1625, parte 2, pp. 1722-1729.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria de Comun, Misc. Pen., b. 199 (con una lettera autografa da Aleppo); Arch. Notarile, Atti Brinis,1576, 21 luglio; 1589, 8 febbr., 25 maggio e 13 luglio; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1 Brescia 1758, p. 81; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, III, Milano 1833, p. 410; P. Zurla, Di Marco Polo e degli altri viaggiatori veneziani più illustri, II, Venezia 1818, pp. 258-264; P. A. Amat di San Filippo, Studi biografici e bibliografici sulla storia della geografia in Italia, I, Roma 1882, pp. 324-336; J. Charpentier, Cesare di Federici and G. B., in Geografiska Annaler, II(1920), pp. 146-161; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma 1927, pp. 159-161; O. Pinto, Il veneziano G. B. ed il suo viaggio in Mesopotamia, in Rendiconti d. Accad. Naz. d. Lincei, classe di scienze morali, s. 6, VIII (1932), pp. 665-734; Id., La Birmania nei viaggiatori italiani del XV e XVI secolo, in Asiatica, VIII(1942), pp. 199-206; Id., Viaggi di Cesare Federici e G. B. in Oriente nel sec. XVI, in Boll. d. Soc. geogr. ital.,s. 7, XI (1946), pp. 1-5; Id., Ancora il viaggiatore veneziano G. B. a proposito della ristampa italiana di una carta dell'Asia di W. J. Blaev, in Rendiconti d. Accademia Nazionale dei Lincei, classe di scienze morali, s. 8, III (1948), pp. 465-471.