MORONE, Gaspare
– Nacque probabilmente a Milano nel 1603, da Girolamo, registrato come orafo nella stessa città dal 1605 al 1612 (Le matricole degli orefici …, 1977), e da Prudenzia Mola.
La sua prima formazione dovette avvenire nella bottega paterna (per quanto nessuna notizia sia pervenuta sino a oggi di una sua giovanile produzione orafa), forse proseguita sotto l’egida del medaglista Gaspare Mola, fratello della madre, che nel 1631 designò il nipote quale unico erede degli strumenti conservati nella propria bottega romana (Bertolotti, 1877A, pp. 264s.). In data non nota si trasferì a Mantova, dove presso i Gonzaga lavorò come medaglista e incisore di conii monetali almeno dal 1627 e dove probabilmente conobbe il pittore cremonese Pietro Martire Neri, futuro marito della sorella Isabella (Dondi, 1994, p. 223).
Entro l’aprile del 1627 realizzò una delle due varianti del ducatone d’argento con il cane in guardia emesse dalla Zecca mantovana, variante iterata nei sottomultipli del mezzo e del quarto (Superti Furga, 1969) e riproposta lo stesso anno in una medaglia coniata e firmata al diritto, sotto il busto di Vincenzo II Gonzaga (Rossi, 1995, pp. 435 s.). Tra il 1628 e il 1629 per il successore Carlo I coniò due medaglie di diverso modulo, entrambe firmate, datate e con al rovescio il Sole sormontante lo Zodiaco (Johnson, 1990, pp. 289 s.): lo stesso rovescio era stato adoperato nel ducatone d’argento battuto nel 1628, già attribuitogli per quanto non firmato (Superti Furga, 1971, p. 198). Apprezzato a corte, nel gennaio del 1629 venne invitato, forse senza successo, da Alessandro I Pico a lavorare per la Zecca di Mirandola (Ghidoni, 2005). In mancanza di ulteriori confronti con la medaglistica è difficile riferire a Morone altri conii monetali prodotti per la Zecca gonzaghesca fino al settembre del 1633, quando è ancora attestata la sua presenza a Mantova (Barelli, 1877).
La guerra di successione per il Monferrato che sconvolse la città lombarda determinò una battuta d’arresto nelle commissioni gonzaghesche, inducendolo a trasferirsi a Roma, forte delle raccomandazioni in suo favore della duchessa Maria presso il papa (Magnaguti, 1921, p. 168).
I suoi contatti con la corte mantovana rimasero però costanti anche dopo aver lasciato la città, e in particolare con la duchessa, a cui nel 1640 fece comunicare la presenza presso S. Carlo al Corso a Roma di un ritratto di Margherita di Savoia, sottratto alle collezioni ducali (Morselli, 2000). Dalla città papale continuò a incidere conii su commissione di Maria, come quelli per la medaglia siglata «GM» che la rappresenta al diritto con il figlio Carlo II (Vannel - Toderi, 2005, p. 48) e altri devozionali oggi noti solo per via documentaria (D’Arco, 1859). Ogni anno inoltre era solito inviarle in dono un esemplare delle medaglie papali che aveva confezionato (Magnaguti, 1921, pp. 168 s.).
Morone arrivò a Roma prima del 19 giugno 1636, giorno in cui gli venne concessa la licenza d’orefice sotto la garanzia di Gaspare Mola (Bulgari, 1959, p. 182), che l’anno successivo lo fece entrare per un quinto in una società da lui stipulata con altri per fare medaglie (Bertolotti, 1877B, p. 310). Dall’inizio del suo soggiorno romano venne ospitato nella casa dello zio, situata davanti alla chiesa dei Ss. Celso e Giuliano, che ereditò alla morte della vedova di Mola nel 1649 e dove dal 1648 visse anche insieme alla sorella Isabella e al cognato (Melasecchi, 1990), trasferitisi definitivamente a Roma.
Alla morte di Mola, nel gennaio del 1640, Morone ne ereditò la bottega ai Banchi. Entrò così in possesso dei conii pontifici che lo zio aveva acquistato da altri incisori o personalmente inciso durante il regno di Urbano VIII, materiale che adoperò gestendo fino alla morte un rigoglioso commercio di medaglie papali (Simonato, 2008, p. 138; Missere Fontana, 2009), al quale affiancò in seguito forse un più ampio mercato di opere d’arte, come suggerisce la licenza concessagli nel novembre del 1661 per esportare a Livorno alcune statue antiche (Bertolotti 1877B, p. 334). Nella bottega ai Banchi produsse anche sigilli, tanto per privati (Magnaguti, 1921, p. 169) quanto per la corte pontificia (Bulgari, 1959, p. 182), e piccole opere di oreficeria, come la patena in oro realizzata nel 1663 per Mario Chigi (Montagu, 1996, p. 74). Ebbe tra i suoi più assidui committenti il cardinale Francesco Barberini che nel 1642 pagò un artista limosino perché insegnasse a Morone la tecnica dello smalto pittorico (Simonato, 2008, pp. 44 s.). A questa produzione extramedaglistica, nota oggi solo grazie a testimonianze indirette, è stata ascritta una placchetta bronzea sagomata con il profilo di Urbano VIII (Ruggero, 2005).
Dal febbraio del 1640 Morone subentrò a Mola nella Zecca romana con l’incarico di «maestro de’ ferri» (Bertolotti, 1877B, p. 333). Da questo momento nei documenti dell’epoca il medaglista è abitualmente indicato con il doppio cognome «Morone Mola». Nel giugno del 1640 firmò la sua prima medaglia papale per la festa dei Ss. Pietro e Paolo, con al diritto Urbano VIII e al rovescio il Palazzo del Quirinale, nota in due varianti (Firenze, Museo nazionale del Bargello e Bologna, Museo civico archeologico). Incontrato il favore del Barberini, il 12 settembre 1643 il suo incarico presso la Zecca gli venne trasformato in vitalizio tramite chirografo pontificio (Simonato, 2008, pp. 39 s.).
Responsabile per quasi un trentennio delle monete papali, che siglò «GM» solo durante il pontificato di Urbano VIII, autore di medaglie giubilari e della Lavanda, e incisore di ‘tenaglie’ per agnusdei (ibid., pp. 41-43), Morone venne pagato fino all’anno della morte per le medaglie fatte coniare da Innocenzo X, Alessandro VII e Clemente IX per la festa dei Ss. Pietro e Paolo (Bartolotti, 1967), gli acciai sopravvissuti delle quali sono oggi nel Museo della Zecca di Roma (Simonato, 2008, pp. 138-144). D’altra parte, notizie preoccupanti sulla sua salute a partire dal 1664 (Barocchi - Gaeta Bertelà, 2005) lasciano intendere che nell’ultimo quinquennio di vita si avvalse decisamente di collaboratori, anche prima di ottenere, nel gennaio del 1668, che venisse assunto in Zecca come suo aiutante Girolamo Lucenti (Bertolotti, 1877B, p. 335), scelto da lui stesso tra i diversi medaglisti con i quali lavorava ormai da anni: Alberto Hamerani, Gioacchino Francesco Travani e Giovan Battista Guglielmada.
Apprezzato anche fuori Roma, come dimostra il proposito di Francesco I d’Este (poi sfumato) di commissionargli una medaglia (Boccolari, 1987), Morone riuscì a essere nella vivezza dei ritratti (aggiornati sulla coeva ritrattistica marmorea) e nei potenti effetti prospettici (già intuibili nel ducatone del 1627) estremamente duttile nel tradurre in medaglia il linguaggio della nuova architettura barocca e le invenzioni dei contemporanei artisti romani. Amico di Alessandro Algardi, tanto da esserne ricordato nel testamento, si dimostrò sensibile alle qualità stilistiche dello scultore nei rovesci di due medaglie annuali coniate per Innocenzo X nel 1649 e nel 1651 (Montagu, 1985), mentre sotto Alessandro VII lavorò spesso a partire da abbozzi grafici di Gian Lorenzo Bernini tanto per medaglie, come in quella annuale del 1657 (Londra, British Museum), quanto per monete, come nello scudo d’argento del 1658 (Montagu, 1996, pp. 79 s.). Anche in questi casi però modellò in autonomia le cere, in parte ancora oggi conservate presso il British Museum di Londra (Hill, 1917).
Durante il pontificato chigiano coniò alcune delle sue migliori medaglie (per es. quelle con al rovescio la Scala Regia e la Cattedra di S. Pietro) e realizzò medaglioni fusi tanto per il papa, come nel 1657 con l’immagine del Colonnato di S. Pietro (Firenze, Museo nazionale del Bargello), quanto per privati (Pollard, 1966). Inoltre, venne scelto nel 1661 come principe dell’Accademia di S. Luca e camerlengo dell’Università degli Orafi (Bulgari, 1959, p. 182). Dal 1660 collaborò all’allestimento della nuova Zecca in Belvedere voluta da Alessandro VII, per la quale ideò un ordigno ad acqua, ricordato tra i suoi maggiori meriti nell’epigrafe della sua tomba ancora oggi in S. Maria del Suffragio a Roma.
Proprietario di un ingente patrimonio e attento collezionista tanto di pittura quanto di grafica, Morone ospitò a casa sua dal 1667 il nipote di Mola, Gaspare II (ibid., p. 160), al quale però, forse perché troppo giovane, non lasciò in eredità la bottega. Nel testamento redatto il 31 luglio del 1669, «indisposto del corpo da molto tempo in qua» (Arch. di Stato di Roma, Notai A.C., Testamenti, 58, c. 295r), elesse come erede universale la sorella Isabella (Simonato, 2008, pp. 138-140).
Morì a Roma nella propria dimora il 18 agosto 1669.
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