MARCUCCI, Gaspare
MARCUCCI (Marcucio, Maruccio), Gaspare. – Nacque a Nozzano, nei pressi di Lucca, intorno al 1585-90 secondo quanto si desume dal curriculum degli studi, da Antonio e da Laura Sinibaldi. Ebbe almeno una sorella, Giuditta, sposata con P. Vecoli, medico in Lucca.
La famiglia Marcucci, originaria di Norcia, non poteva vantare origini nobili, ma aveva conosciuto diverse generazioni di medici. Tale fu anche il padre del M. che morì prematuramente.
Il M. conseguì la laurea in medicina il 10 febbr. 1610 presso l’Università di Bologna, dove ebbe come maestro, tra gli altri, G.C. Claudini. Del successivo ventennio non si hanno notizie, a eccezione di due anni trascorsi come medico a Guastalla, alla corte del conte (duca dal 1621) Ferrante II Gonzaga; la considerazione di cui il M. godette anche da parte della contessa Vittoria Doria fa presumere che la permanenza a corte precedesse il 1618, anno di morte della nobildonna.
Segno del legame che stringeva il M. ai Gonzaga è la dedica della sua prima opera a Cesare, figlio dei duchi. Si tratta del De ieiunio et usu piscium in vere disputatiuncula adversus clarissimum medicum Leonarthum Fuchsium (Venezia 1624), nella quale sollevò obiezioni su alcune opinioni del botanico e medico tedesco L. Fuchs in merito a questioni dietologiche.
Se è con quest’opera che il M. si fece conoscere, tuttavia si trova testimonianza successiva della sua attività solo nel 1630, allorché fu tra i primi medici ad affrontare il contagio della peste a Lucca.
Pur non essendo univoca l’opinione che si trattasse effettivamente di peste, il 26 ott. 1630 si cominciarono a chiudere le prime case tra San Concordio e Pontetetto, due località fuori Lucca; il 27 ottobre fu ingiunto al M., sotto pena di 500 scudi se si fosse rifiutato, di recarvisi d’urgenza con l’obbligo di stabilirvisi per 15 giorni in qualità di medico del lazzaretto nel frattempo allestito a San Concordio.
Il M., al pari di altri, considerava la peste come effetto di putredine – una corruzione di umori nella teoria medica dell’epoca –, collocata nelle parti solide del cuore. Nello stesso 1630, come altri medici contemporanei, si era cimentato sui possibili rimedi contro il morbo scrivendo Delle virtù dello scordio, dedicato a G.V. Malpigli, nel quale aveva raccolto notizie sulla pianta di scordio, dallo stelo villoso e a foglie dentate, di cui esaltava le potenzialità profilattiche. Tuttavia, quando a novembre si trovò ad affrontare direttamente il morbo, il M. si dovette rendere conto che le decantate virtù della pianta nulla potevano contro le devastazioni della malattia. Durante il successivo periodo di quarantena, che trascorse a Massa Pisana, scrisse l’opuscolo Breve esperimento per curare gl’infetti dal contagio pestilente (Lucca 1630), rendiconto dei rimedi utilizzati e di considerazioni sulla profilassi e cura della malattia, in cui sostanzialmente taceva dello scordio e si limitava a consigliare il sale (da usare peraltro solo con i poveri).
Durante l’inverno si ebbe l’impressione che il contagio fosse superato, ma nel marzo 1631 il numero di infezioni ricominciò a crescere. Il 12 aprile i Conservatori di sanità procedettero di nuovo alla coscrizione dei medici mediante estrazione a sorte. Malgrado le sanzioni severissime cui sarebbero incorsi (esclusione dall’esercizio della professione per 5 anni e un’ammenda di 500 scudi), molti medici rifiutarono di prestare la loro opera. Il M. al contrario si offrì volontario e fu quindi eletto medico esposto per la seconda settimana di maggio. Il M. giunse alla convinzione che il morbo si propagasse anche attraverso l’aria; i Conservatori, assecondandolo, provvidero a far bruciare una grandissima quantità di carta dai campanili della città nel tentativo di purificarla. Con il 1632 il contagio si concluse; tuttavia i Conservatori non cessarono di rimanere all’erta: non appena giungeva notizia di casi sospetti, anche fuori Lucca, si premuravano di inviare i loro funzionari di sanità a raccogliere notizie dettagliate e a eseguire delle visite ai malati. Così nel 1634 il M. fu incaricato di raggiungere F. Elici a Pisa; nel 1637 fu inviato insieme con S. Pissini e S. Pardini a effettuare consulti su mali di gola che presentavano, a volte, decorso fatale, e che da tempo affliggevano soprattutto i bambini di alcune località delle Sei Miglia. Nello stesso 1637 il M. venne creato nobile come riconoscimento per l’opera prestata durante il periodo della peste.
A breve distanza dalla pubblicazione di uno scritto sulla melanconia del giovane medico lucchese S. Bendinelli, il M. scrisse l’opera che lo rende ancor oggi noto: il Quadripartitum melancholicum… quo variae questiones de melancholiae morbo, essentia, differentiis, causis, prognosi, curatione habentur (Roma 1644). Il lavoro fu accolto con favore: in particolare il protomedico generale pontificio D. Guidarelli lo ritenne opera non solo di piacevole lettura ma anche strumento scientificamente fondato e utile per la pratica medica; tuttavia non ebbe in seguito grande fortuna. Pregio dell’opera, che pure è ancora legata a concezioni della medicina di natura magica, è essenzialmente l’aver trattato il tema, peraltro affrontato in precedenza dal suo maestro Claudini, in maniera sistematica e, come mettono in evidenza studi recenti, su alcuni aspetti in modo originale. Molto spazio è dedicato al problema dell’origine della melanconia: il M. accoglie la tesi che i demoni possano esserne la causa e respinge come semplice superstizione la credenza che si possa originare mediante stregoneria, incantesimi, filtri o pozioni avvelenate. Allo stesso modo rifiuta la possibile influenza esercitata dagli astri o da immagini e amuleti. Diversi capitoli occupa la questione se essa possa essere trasmessa dagli animali; tratta dell’ipocondria, s’interroga sul perché i melanconici risultino essere così dipendenti dallo studio, e si chiede infine se sia veritiera la credenza che essi siano in grado di predire il futuro. Nel terzo e nel quarto libro il M. dedica attenzione alle possibilità di cura della melanconia.
Le ultime date certe relative al M. sono il 1647, anno di registrazione di un contratto per l’acquisto di un immobile in Nozzano, e il 1648, allorché viene menzionato da F.M. Fiorentini tra quanti assistettero alle dissezioni di cadaveri per l’epidemia di febbre petecchiale che si era abbattuta sulla città.
Fonti e Bibl.: Inventario del R. Arch. di Stato in Lucca, VIII, Archivi gentilizi, a cura di L. Busti - S. Nelli, Lucca 2000, p. 264; J.J. Manget, Bibliotheca scriptorum medicorum veterum et recentiorum, II, Genevae 1731; H.N. Rotermund, Fortsetzung und Ergänzungen zu C.G. Jöcher Allgemeinem Gelehrten-Lexicon…, IV, Leipzig 1813, p. 156; C. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese, in Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, X, Lucca 1831, p. 120; G. Sforza, F.M. Fiorentini ed i suoi contemporanei lucchesi. Saggio di storia letteraria del secolo XVII, Firenze 1879, pp. 47-49, 78, 88, 189 s., 194-196 s., 202 s.; L. Thorndyke, A history of magic and experimental science, VIII, New York 1958, pp. 511-513; Notitia doctorum sive Catalogus doctorum qui in Collegiis philosophiae et medicinae Bononiae laureati fuerunt ab anno 1480 ad annum 1800, a cura di G. Bronzino, Milano 1962, p. 115; R. Mazzei, La società lucchese del Seicento, Lucca 1977, p. 5 n.; W. Schleiner, Melancholy, genius, and utopia in the Renaissance, Wiesbaden 1991, pp. 29, 54-56, 340; R. Berti, La peste a Lucca (1630-1631), Lucca 2005, pp. 13, 50, 58, 65.