GRIMALDI, Gaspare
Nacque a Genova da Gabriele e da Caterina Zaccaria verso la metà del XIII secolo.
Il padre, figlio di Luca di Ingone, era, con altri consorti, signore di Stella e aveva più volte ricoperto importanti cariche politiche e diplomatiche nel Comune. L'appartenenza alla fazione rampina, cioè guelfa, e la devozione alla casa d'Angiò, se gli erano valsi una pensione dal re Carlo e la nomina a cavaliere, titolo altamente onorifico in una città di mercanti come Genova, gli procurarono anche persecuzioni e, dopo la fallita rivolta del 1272 contro il capitanato di Oberto Doria e Oberto Spinola, l'esilio, forse in Provenza, dove morì intorno al 1274. Dei suoi numerosi figli il G. fu certamente quello che raggiunse maggior fama.
Il nome del G. compare per la prima volta nel 1296, in un elenco di cittadini guelfi espulsi da Genova da Corrado Spinola e Corrado Doria, capitani del Popolo ghibellini; contro di lui, il 19 maggio, era inoltre emanato anche un ordine di confisca dei beni. Il fatto che in quest'ultimo documento egli figuri al primo posto tra i membri della sua famiglia può forse essere interpretato come il segno di una sorta di primato all'interno del suo "albergo", il che spiega, almeno in parte, il ruolo da lui avuto in seguito nella vita politica genovese.
Il bando inferto ai guelfi in quell'occasione era stato accompagnato da misure repressive e vessatorie, soprattutto ai danni del loro patrimonio, mai messe in atto prima. I più colpiti furono proprio i Grimaldi, da sempre i più battaglieri nell'opposizione al regime ghibellino. Esasperati, privati di ogni fonte di reddito, a essi, rifugiatisi in gran numero a Nizza e nei centri vicini, non restò che dedicarsi alla pirateria, cercando così di trovare i mezzi necessari al sostentamento. Per dare maggiore forza alla loro azione, l'8 genn. 1297 gli extrinseci genovesi (tra i quali figurava il G.) si impadronirono di sorpresa di Monaco, fino ad allora occupata dai ghibellini, dando vita a un Comune "di parte", in aperta autonomia tanto da Genova quanto dalla Provenza. Dalla rocca i guelfi si dedicarono ad audaci colpi di mano pirateschi, recando gravissimi danni al commercio genovese e giungendo addirittura ad accordarsi con i Veneziani, allora in guerra con Genova.
La loro presenza finì tuttavia col creare non pochi problemi a Carlo II d'Angiò re di Napoli, desideroso di ottenere l'aiuto genovese per potersi opporre agli attacchi di Federico III d'Aragona, re di Sicilia. I Genovesi reclamavano infatti, come conditio sine qua non per un eventuale accordo con il sovrano angioino, la restituzione di Monaco, cosa che i Grimaldi e gli altri guelfi non apparivano assolutamente disposti a concedere, esacerbati oltre tutto dal fatto che, in loro assenza, gli Spinola si fossero impadroniti delle loro case nella contrada genovese di S. Luca, da sempre oggetto di contesa. A nulla valsero le pressioni del re per farli recedere, così che, il 2 giugno 1300, questi stipulò con i Genovesi la pace e un trattato di alleanza nel quale, fra le altre cose, si impegnò a costringere i guelfi a restituire Monaco al Comune, con la promessa che avrebbero potuto fare ritorno in patria e riavere i propri beni, a eccezione però dei Grimaldi, per i quali erano ribaditi tutti i bandi. Essi reagirono all'esclusione tentando senza fortuna, nel luglio successivo, un colpo di mano contro Genova. Il re, irritato da questa iniziativa che metteva seriamente a repentaglio i rapporti con i Genovesi, minacciò di procedere con le armi alla conquista di Monaco.
Temendo di perdere il favore regio, i guelfi alla fine si piegarono e il 10 apr. 1301, proprio per mano del G., firmarono a Nizza un accordo col quale accettavano di consegnare la rocca di Monaco al re, a condizione però che entro quattro mesi fosse firmata una pace generale, sotto la garanzia del papa. La cessione, avvenuta il 4 maggio, portò, cinque giorni dopo, alla pace e a un perdono generale nei confronti dei guelfi, ma l'ostracismo nei riguardi dei Grimaldi non venne meno, essendo confermati, per loro, il divieto di avvicinarsi a meno di 10 miglia da Genova e dal suo territorio, nonché la validità delle confische subite.
La riconciliazione, voluta soprattutto dal re, era solo apparente e sebbene fin dall'ottobre del 1299 fosse stato abolito il doppio capitanato del Popolo e si fosse tornati all'antico governo podestarile, le leve del potere restavano saldamente nelle mani dei Doria e degli Spinola tra i quali, peraltro, cominciavano ad apparire i primi screzi. Nel gennaio 1306, dopo aspri scontri fra le due famiglie, i popolari, favorevoli agli Spinola, imposero la nomina di due nuovi capitani, che furono Opizzino Spinola e Bernabò Doria, uno dei pochi della sua famiglia a essersi tenuto in disparte nelle recenti contese nella fazione ghibellina. Formalmente, i due avevano uguali poteri e competenze, ma in realtà a comandare era soprattutto Opizzino che coltivava aperte aspirazioni a farsi signore assoluto di Genova; tale situazione non poteva essere accettata dai Doria che infatti, nel giro di poco, si impadronirono di varie località della Riviera di Ponente, subito ricevendo l'aiuto dei Grimaldi, accorsi in gran numero dalla Provenza. Essi speravano forse di coinvolgere dalla loro parte Carlo II d'Angiò ma il sovrano, sempre bisognoso delle galee genovesi nella guerra contro gli Aragonesi, preferì stringere una lega (6 nov. 1307) con i due nuovi capitani del Popolo, anche se ai Grimaldi (almeno a quelli esclusi dal perdono del 1301) fu tuttavia concesso di trattenersi nei domini regi, a condizione però di prestare garanzia di non attaccare in futuro i Genovesi.
L'accordo tolse ai fuorusciti ogni speranza di successo, così, già nel dicembre di quell'anno, una parte degli extrinseci, tra i quali era anche il G., decise di scendere a patti. Essi poterono rientrare a Genova ma già dopo poche settimane riprendevano tra loro e i ghibellini le solite contese. Ad alimentarle erano soprattutto le rivalità tra le due famiglie al potere, tanto che Opizzino Spinola, divenuto sospettoso del collega, nel novembre 1309 lo faceva arrestare e si proclamava capitano generale del Comune. I Doria risposero scatenando la guerra in tutto il Ponente, alla quale diedero il loro contributo anche i Grimaldi e molti altri nobili. Opizzino reagì attaccando e distruggendo il castello di Stella, possesso dei Grimaldi, ma i fuorusciti, rafforzati dalle milizie feudali dei Del Carretto e dei marchesi di Ceva, gli inflissero, il 10 giugno 1310, una sonora sconfitta presso Sestri Ponente, che lo costrinse a fuggire.
I vincitori entrarono in Genova e sostituirono al capitanato unico un governo collegiale di dodici governatori, metà nobili e metà popolari, al quale avrebbero potuto accedere tutti, senza alcuna discriminazione, salvo che per gli Spinola di Lucoli (ai quali apparteneva Opizzino), banditi in perpetuo. Nel nuovo governo i Grimaldi ebbero la loro parte, ma in subordine ai Doria, che risultavano i veri padroni della situazione.
La venuta a Genova, nell'ottobre 1311, di Enrico VII di Lussemburgo, acclamato signore della città, sospese per qualche mese la lotta politica, ma una volta partiti lui e il suo vicario, Uguccione Della Faggiola, i ghibellini si impadronirono un'altra volta del potere. Doria e Spinola vennero però nuovamente a contrasto, come in passato, e i Grimaldi, con gli altri nobili guelfi, si schierarono con i primi, determinando la cacciata degli Spinola. Il governo fu allora aperto anche ai guelfi, ma l'effettivo potere si consolidò nei Doria, il cui predominio non poteva non produrre gelosie.
Nel settembre 1317, Grimaldi e Fieschi si accordarono con gli Spinola fuorusciti per farli entrare in città, in modo da bilanciare, all'interno della fazione ghibellina, la preminenza dei Doria. Per alcune settimane si vissero giorni di grande tensione; poi, il 10 dicembre, i guelfi presero improvvisamente le armi e nella piazza di S. Lorenzo acclamarono capitani del Popolo il G. e Carlo Fieschi.
Gli Spinola, sentendosi giocati e temendo per le proprie vite, si affrettarono ad abbandonare la città, ritirandosi nei loro castelli. Nel tentativo di assicurarsi anche l'ubbidienza della Riviera di Ponente, tradizionalmente a predominio ghibellino, i due nuovi capitani vi inviarono Rabella Grimaldi, fratello del G., ma questi, sia ad Albenga sia a Savona, anziché cercare di calmare gli animi, procedette a bandi e confische contro i ghibellini. Essi si ribellarono e, grazie all'intervento delle milizie dei signori feudali, riuscirono a impadronirsi delle due città, costringendolo alla fuga. Doria, Spinola e gli altri nobili ghibellini fuorusciti fecero di Savona la loro base, rafforzandone le fortificazioni e allestendovi navi e galee; inoltre, sul finire dell'anno, stipularono una lega con Matteo Visconti, signore di Milano, e con Cangrande Della Scala, i quali promisero il loro aiuto per farli rientrare in Genova.
Agli inizi del 1318 un grosso esercito, composto in gran parte da mercenari tedeschi, fu condotto da Marco Visconti, figlio di Matteo, a porre l'assedio alla città. I capitani, sentendosi perduti, fecero appello a papa Giovanni XXII e questi, il 25 marzo, scrisse al re di Napoli Roberto d'Angiò implorandolo di intervenire in loro soccorso.
Il re, che aspirava a Genova per potersene servire per la riconquista della Sicilia, allestì una squadra di 25 galee e con i fratelli Giovanni di Gravina e Filippo di Taranto il 10 luglio salpò da Napoli, comparendo undici giorni dopo davanti a Genova. Il suo ingresso in città fu trionfale e il 27, nella piazza di S. Lorenzo, deposte le insegne da parte dei due capitani, egli fu acclamato signore di Genova per dieci anni, insieme col papa. Nei giorni successivi giunsero dalla Toscana e dalla Romagna numerosi rinforzi, ma i tentativi di rompere l'assedio fallirono per l'abile vigilanza del Visconti.
Il controllo del mare era però nelle mani dei guelfi, al cui comando il re aveva destinato il G., e ciò consentì il continuo afflusso di soldati da Napoli e dalla Toscana. Agli inizi di febbraio del 1319, poi, un'abile azione combinata tra la flotta angioina e le truppe di terra consentì a Roberto di cogliere una completa vittoria sui ghibellini presso Sestri Ponente, costringendoli, dopo dieci mesi, ad abbandonare l'assedio. Questo successo diede al sovrano l'illusione di avere vinto la guerra, convincendolo a lasciare Genova per raggiungere il papa ad Avignone; così, in aprile, egli partì per la Provenza, lasciando come vicario Riccardo Gambatesa.
La sua partenza indusse i ghibellini a riprendere con rinnovato vigore il blocco della città: Corrado Doria uscì da Savona con 28 galee, presentandosi davanti al porto di Genova, che il G. fece sbarrare incatenando insieme 32 corpi di galee. Il 9 agosto egli uscì incontro al Doria per dare battaglia, ma alcune sue galee, spintesi troppo avanti, furono catturate, e questo diede ai ghibellini la forza di tentare un attacco al muro di galee disposto dal Grimaldi.
Lo scontro fu violentissimo e i ghibellini riuscirono a penetrare nella darsena, dove però furono bloccati e respinti. Dopo questi avvenimenti non si ha più alcuna notizia del Grimaldi.
Tra i suoi figli, oltre ad Antonio, meritano di essere ricordati Percivalle e soprattutto Gabriele, che fu con i fratelli signore di Policastro in Calabria e tenne la carica di gran giustiziere del Regno di Napoli e di viceré d'Abruzzo.
Fonti e Bibl.: Savona, Bibl. della Soc. savonese di storia patria, F. Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica, pp. 179 s.; G. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 2, pp. 82-84, 86, 90; G. Villani, Nuovacronica, a cura di G. Porta, II, Parma 1991, pp. 82-84; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, cc. 118r, 119v; O. Foglietta, Dell'istorie di Genova, Genova 1597, pp. 249, 253; Ch. de Venasque-Farriol, Genealogica et historica Grimaldae gentis arbor…, Parisiis 1647, p. 120; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, II, Genova 1826, FamigliaGrimaldi, pp. 6, 12.