FINALI, Gaspare
Nacque a Cesena il 20 maggio 1829, da Giovanni, notaio, e da Maria Zamboni. Dimostrò molto presto precocità di interessi e intelligenza. Dopo i primi studi compiuti con precettori privati, nel 1840 entrò nel seminario di Cesena, dove seguì le lezioni dell'abate P. Bentini, poi vescovo di Cesena. Dopo tre anni, per dissapori tra la sua famiglia e la direzione del seminario, si trasferì ad Ancona, dove il canonico R. Martelli, dotto nelle lettere classiche e moderne gli trasmise i suoi forti sentimenti patriottici, permettendogli di leggere libri proibiti dal S. Uffizio come le Istorie di N. Machiavelli, il Priimato di V. Gioberti, Le speranze d'Italia di C. Balbo.
La profonda avversione che il F. cominciò allora a nutrire nei confronti del dominio temporale e del malgoverno pontificio lo portò nel 1846 a frequentare gli ambienti patriottici di Roma, dove si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza della Sapienza.
Deluso nelle sue aspettative dall'allocuzione di Pio IX del 29 apr. 1848, ritornò a Cesena. Qui continuò l'attività politica, fu segretario del Circolo popolare ed entrò nella guardia nazionale, ottenendo il grado di tenente.
Caduta la Repubblica Romana, gli fu vietato di tornare a Roma per completare gli studi: si recò allora a Bologna, ove si laureò in giurisprudenza il 30 nov. 1850.
In questi anni partecipò alle iniziative della sezione cesenate dell'Associazione nazionale, ispirata al programma repubblicano di G. Mazzini e organizzata dall'amico P. Pasolini, che lo aveva incaricato di redigerne lo statuto.
Solo nel 1854 riuscì a ottenere l'autorizzazione ad aprire uno studio legale, ma continuò a essere tenuto sotto stretta sorveglianza dalla polizia. Scoperta la sua partecipazione all'attività dell'Associazione nazionale, riuscì fortunosamente a sfuggire all'arresto nell'aprile del 1855 e a raggiungere Torino, dove visse a stretto contatto con L.C. Farini, che lo presentò a Cavour. A poco a poco abbandonò il programma mazziniano e si avvicinò all'ideale di un'Italia libera e unita sotto la monarchia dei Savoia. A Torino fu segretario del Comitato centrale dell'emigrazione italiana. Dopo aver tentato inutilmente di affermarsi nell'ambiente letterario, accettò l'offerta del conte P. Beltrami di Bagnacavallo di lavorare come capo contabile nella Società industriale e agricola della Sardegna. Nel 1858, dopo venti mesi di permanenza a Macomer, spossato dalle febbri malariche che lo colpivano ad intervalli. tornò a Torino, trasferito presso la direzione centrale della società.
Fece parte del Comitato di arruolamento dei volontari provenienti dalle province pontificie nella seconda guerra d'indipendenza e dopo l'armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) tornò a Cesena, dove, sciolto il governo provvisorio del quale egli era stato nominato membro, riaprì lo studio legale. Ad agosto fu però chiamato a Bologna da M. Minghetti, che lo nominò segretario particolare di L. Cipriani, divenuto governatore delle Romagne dopo la partenza del commissario straordinario M. d'Azeglio. Negli stessi giorni il F. fu eletto deputato all'Assemblea costituente delle Romagne, e partecipò alle riunioni che si svolsero dal 1° al 10 settembre, nelle quali si votò la decadenza del potere temporale pontificio e l'annessione al Regno di Sardegna. Con la costituzione, alla fine dell'anno. del governo delle Regie Provincie dell'Emilia, che comprendevano anche Parma e Modena, sotto l'unica guida del Farini, il F. fu chiamato a Modena come capo gabinetto dal ministro dell'Interno C. Mayr.
Dopo il plebiscito e il decreto di annessione delle Provincie dell'Emilia al Regno sabaudo, nel marzo 1860 si svolsero le elezioni generali al Parlamento subalpino (VII legislatura), e il F. fu eletto deputato per il collegio di Cesena II. Alla vigilia della partenza dei Mille per la Sicilia fu incaricato dal ministro dell'Intemo Farini di incontrare a Genova A. Bertani, per chiarirgli la posizione del governo di Torino.
A luglio dovette dimettersi da deputato per incompatibilità con la nomina a consigliere di governo per la Provincia di Porto Maurizio; fu però dispensato dal raggiungere la destinazione in attesa di un incarico a lui più gradito. Poco dopo il Farini stesso lo chiamò a prestare opera di segretario nella commissione legislativa istituita presso il Consiglio di Stato Per preparare gli schemi dei provvedimenti di riforma delle leggi politiche, amministrative e finanziarie del nuovo Regno. Il F. preparò la relazione sul progetto di riforma della legge comunale e provinciale e collaborò col Farini nello studio dei problemi relativi alle erigende "regioni"; tale progetto, ripreso in seguito dal Minghetti, non trovò accoglienza favorevole per il prevalere delle istanze accentratrici.
Nel settembre 1860 si recò nelle Marche, appena liberate dal dominio pontificio, in veste di segretario del commissario generale L. Valerio; a novembre era a Napoli con la deputazione che doveva presentare al re i risultati dei plebisciti. Cessato l'incarico dopo l'annessione delle Marche, tornò a Torino dove il Minghetti, succeduto al Farini al ministero dell'Interno, gli fece dirigere l'ufficio temporaneo che trattava gli affari delle luogotenenze di Napoli e di Palermo e del governatorato della Toscana con il governo centrale. Aboliti le luogotenenze e il governatorato, e preso B. Ricasoli il posto del Minghetti, rimase al ministero come capodivisione degli Affari politici. Con il ministero Rattazzi, nel 1862, fu destinato alla sottoprefettura di Abbiategrasso; l'incarico fu da lui interpretato come un tentativo di allontanarlo dall'amministrazione centrale per la sua amicizia con Minghetti, di cui U. Rattazzi era notoriamente avversario. Si era sposato pochi mesi prima con Lucia Zauli, vedova di L. Urtoller, e rimaneva incerto se dare le dimissioni o chiedere di essere posto in aspettativa per motivi di famiglia, quando il nuovo ministro delle finanze Q. Sella lo chiamò a lavorare con sé nel suo dicastero.
Si dovette così occupare di un campo del tutto nuovo per lui: attese all'elaborazione di diverse leggi e si occupò dell'applicazione della legge al conguaglio della fondiaria (nel 1864 si riuscì eccezionalmente a riscuotere l'imposta fondiaria anticipata del 1865), della tassa sui fabbricati, dell'imposta sulla ricchezza mobile e della tassa di consumo.
Ebbe la promozione a ispettore generale e nell'agosto 1865 fu dal Sella, di nuovo ministro, nominato segretario generale alle Finanze; tale nomina provocò il risentimento e le dimissioni del ministro dell'Intemo G. Lanza, accanito avversario del gruppo politico di cui il F. era esponente e che faceva capo al Minghetti.
Il 29 ott. 1865 fu eletto deputato per la IX legislatura nel collegio di Cesena. Mantenne l'ufficio di segretario generale alle Finanze fino al 1869, con i ministri A. Scialoja e L. Cambray-Digny, tranne per alcuni mesi del 1867, durante i quali ricoprì la carica di direttore generale delle Tasse e Demanio. Quest'ultima nomina gli impose di dimettersi da deputato il 17 febbr. 1867, ma fu poi nuovamente eletto per la X legislatura, il 17 maggio 1868, nel collegio di Belluno. Nel dicembre 1869, con la costituzione del ministero Lanza, il Sella, forse per non dispiacere al presidente del Consiglio, non confermò il F. a segretario generale delle Finanze e lo nominò consigliere della Corte dei conti, anche se egli avrebbe preferito un incarico al Consiglio di Stato, che gli avrebbe consentito di rimanere in Parlamento. Ma proprio su proposta del Lanza, dietro interessamento del senatore cesenate M. Bufalini, il 9 nov. 1872 il F. fu nominato senatore. Partecipò assiduamente ai lavori del Senato, di cui fu vicepresidente dal 1898 al 1904, e tenne numerosi discorsi, soprattutto in materia economica e finanziaria. Nel 1878 fu nominato membro della Commissione di contabilità interna e nel 1881 della Commissione permanente di finanza, di cui divenne poi presidente e nella quale rimase fino agli ultimi anni della sua vita.
Mentre si trovava a Vienna, come giurato dell'Esposizione universale del 1873, fu chiamato a far parte del governo Minghetti come ministro di Agricoltura, Industria e Commercio; mantenne la carica dal 10 luglio di quell'anno fino alla caduta della Destra, il 25 marzo 1876.
Promosse i concorsi regionali dell'agricoltura, presentò i disegni di legge relativi all'emigrazione e al riconoscimento delle società di mutuo soccorso, ma il risultato più importante di questi anni fu la preparazione e l'emanazione della legge del 30 marzo 1874, firmata da lui e da Minghetti, "sulla circolazione cartacea durante il corso forzoso", che regolò tutto il sistema della circolazione bancana fino al 1893.
Alla vigilia della caduta della Destra, presentò alla Camera un disegno di legge per lo svolgimento di una "inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola"; il progetto fu poi ripreso dal governo Depretis (inchiesta Jacini).
Cessato l'incarico di ministro, il F. continuò la sua opera presso la Corte dei conti, dove nel 1891 divenne presidente di sezione e il 5 marzo 1893 primo presidente, rimanendo in tale carica fino al 16 febbr. 1907, quando chiese il collocamento a riposo per avanzata età e anzianità di servizio.
Dal 1881, essendo egli riconosciuto come uno dei massimi esperti di contabilità di Stato, insegnò tale materia presso la Scuola superiore di scienze amministrative istituita nell'ambito della facoltà di giurisprudenza dell'università di Roma.
Nel frattempo continuava a ricoprire cariche amministrative a Cesena; fu inoltre per diversi anni nel Consiglio provinciale di Forlì, e consigliere e assessore per le Finanze del Comune di Roma. Durante gli anni Ottanta fece parte di numerose commissioni. tra cui la Commissione permanente per i provvedimenti relativi all'abolizione del corso forzoso, la Commissione reale del monumento a Q. Sella in Roma, la commissione di vigilanza del Regio Commissariato per la liquidazione dell'asse ecclesiastico di Roma, la Commissione censuaria centrale, e fu tra i componenti del Consiglio superiore di statistica e tra i rappresentanti del governo nel collegio arbitrale del R. Ispettorato generale delle strade ferrate.
Nel secondo governo Crispi fu ministro dei Lavori pubblici, dal 9 marzo 1889 al 6 febbr. 1891. Un dissenso del F. con il ministro del Tesoro G. Giolitti, che si opponeva alla richiesta di un aumento del bilancio del Lavori pubblici, causò le dimissioni di quest'ultimo, il 9 dic. 1890. Dopo pochi mesi Crispi fu costretto a dare le dimissioni per l'opposizione sempre più forte alla sua politica finanziaria; la causa occasionale fu data dalla seduta del 31 genn. 1891, durante la quale il presidente del Consiglio accusò i governi della Destra, e specialmente l'ultimo ministero Minghetti, di essere stati servili nei confronti dello straniero, provocando le reazioni indignate di molti fra cui il F., che abbandonò immediatamente il banco dei governo.
Durante il primo ministero Giolitti, dinanzi all'insostenibile situazione di degrado in cui si trovavano i sei istituti di emissione del paese, il 30 dic. 1892 il presidente del Consiglio, pressato dall'opposizione, scelse il F., noto per la sua competenza in materia finanziaria e per la sua onestà al di sopra di ogni sospetto, per presiedere una commissione d'inchiesta. Il 20 marzo 1893 fu presentata al Parlamento la Relazione sulla ispezione straordinaria agli istituti di emissione, che denunciò le gravissime irregolarità riscontrate nella gestione della Banca romana e del Banco di Napoli.
Si approntò subito un disegno di legge per il riordinamento degli istituti di emissione, con cui si stabilì la nascita della Banca d'Italia. Il F., che era membro dell'ufficio centrale del Senato per l'esame del progetto di riforma approvato dalla Camera, propose degli emendamenti, criticando soprattutto la facoltà concessa al governo di preparare lo statuto della Banca d'Italia, invece di limitarsi ad approvarlo, e mettendo in evidenza il problema della vigilanza. Ma la necessità di un'approvazione rapida del progetto indusse la maggioranza in Senato a respingere molte delle modificazioni proposte e in agosto fu emanata la legge.
Dopo lo scandalo della Banca romana Giolitti pensò di affidare il ministero delle Finanze al F., che già in marzo egli aveva nominato presidente della Corte dei conti, ma questi rifiutò, non essendo d'accordo sul programma governativo di risanamento del bilancio.
Cinque anni dopo, nel 1898, caduto il ministero di Rudinì dopo i tumulti popolari di Milano, il F. ebbe dal re l'incarico di formare il nuovo governo; ma, non essendo riuscito a trovare appoggi sufficienti per costituire una maggioranza, dovette rinunciare.
Nello stesso anno entrò a far parte del Consiglio di previdenza. Nel 1901 subentrò come ministro del Tesoro per brevissimo tempo, dal 7 gennaio al 15 febbraio, a B. Chimirri nel governo Saracco. Nel 1905 fu nominato primo presidente del Consiglio superiore di assistenza e beneficenza pubblica, da cui diede le dimissioni nel 1909, a causa dei numerosi impegni politici. Sempre nel 1905 fu nominato presidente della commissione che doveva studiare la convenienza del riscatto da parte dello Stato delle Strade ferrate meridionali. Due anni dopo ebbe dal ministro dell'Istruzione pubblica L. Rava la nomina a presidente del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento. Nel maggio 1910 presiedette la commissione di nove membri incaricata di studiare la riforma del Senato. Nello stesso anno, all'età di ottantun anni, sposava in seconde nozze Enrica Ravaglia, di settantaquattro anni.
Nella discussione al Senato del 24 giugno 1912 intervenne a favore del suffragio universale, ricordando gli esempi del movimento unitario italiano, quando in occasione delle elezioni delle Assemblee risorgimentali e dei plebisciti si era votato appunto con tale sistema. Durante lo stesso anno fu colpito da paralisi.
Trascorse gli ultimi due anni nella villa dei figliastri a Marradi (Firenze), dove morì l'8 nov. 1914.
Notevole fu la sua attività letteraria, cui dedicò le ore del riposo dagli impegni politici e che gli valse nel 1898 la nomina a socio corrispondente dell'Accademia dei Lincei, per la classe di scienze morali, storiche e filologiche, e nel 1901 quella a socio nazionale. Per lunghi anni fu legato da profonda amicizia a G. Pascoli, che gli dedicò un'ode in occasione del suo settantesimo compleanno.
Il suo lavoro più importante fu la traduzione, accurata e fedele, dei ventunmila versi delle commedie di Plauto, cui egli attese nel corso di quasi vent'anni e che pubblicò a Milano nel 1903. Era molto apprezzato come oratore e tenne molte commemorazioni di personaggi che avevano condiviso con lui gli anni della lotta risorgimentale e quelli successivi all'Unità d'Italia, come il conte di Cavour, M. Minghetti, Q. Sella, A. Scialoja; molte furono pubblicate nella Nuova Antologia, cui collaborò assiduamente dal 1878. Scrisse articoli di carattere storico, politico e finanziario anche sulla Rivista storica del Risorgimento italiano, Rivista di Roma, I quaderni della famiglia romagnola, Il Cittadino di Cesena.
Dal 1902 al 1912 scrisse otto quaderni di Memorie, che furono conservati, trascritti e arricchiti di note dal figliastro E. Agnolozzi, per essere date alla stampa nel 1955 a Faenza a cura di G. Maioli.
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