CAPRIS, Gaspare
Nacque quasi certamente nell'ultimo ventennio del sec. XV, da Stefano e da Ginevra (o Valenza) Balbiano, secondo alcuni a Torino; ma più probabilmente a Vercelli, dal momento che in un documento del 14 apr. 1557 (cfr. De Gregory) i credendari di Vercelli lo dicono loro concittadino.
La nobiltà di questa famiglia fu oggetto di un processo di accertamento pochi anni dopo la morte del Capris. Il Senato ducale, organo competente a giudicare di tale questione, con declaratoria del 20 sett. 1579 si pronunciò in senso affermativo riconoscendo la sua derivazione dal casato Collocapra, uno dei principali e più antichi di Biella. A Stefano, padre del C., fece capo la linea che venne in seguito detta del Capris di Ciglié. Entrato al servizio ducale, pervenne, attraverso una serie di uffici di crescente importanza, all'altissima carica di tesoriere generale di Savoia; all'ascesa politica corrispose quella del suo patrimonio e del suo casato. Nel 1504 acquistò una parte del feudo di Altessano Superiore ottenendone la signoria per sé e i discendenti in ordine di primogenitura. Come lui anche il fratello Paolo rivestì un notevole ruolo nell'amministrazione ducale divenendo avvocato generale di Savoia. Seguendo la tradizione famigliare Lorenzo Capris, primogenito di Stefano ed erede del titolo di consignore di Altessano, ricoprì vari uffici presso la corte sabauda, senza peraltro raggiungere la posizione di rilievo del padre. Assai più rilevanti furono la carriera e l'azione del C. che, senza pervenire a posizioni di primissimo piano, si distinse sulla scena politica piemontese del sec. XVI facendo parte, nei difficili anni del regno di Carlo II e in seguito di Emanuele Filiberto, di quell'esigua schiera di nobili che si mantennero fedeli alla causa sabauda.
Come secondo figlio maschio, il C. fu destinato alla Chiesa fin dai primi anni di vita. L'acquisizione a suo favore di benefici ecclesiastici, atti a costituirgli una adeguata rendita, iniziò con tutta probabilità quand'egli era ancora in età minore, ad opera di rappresentanti giuridici della sua volontà. Secondo l'Angius, fin dal 16 apr. 1500 si sarebbe preso possesso in suo nome della cantoria e di un canonicato del duomo di Torino; ma dagli Atti capitolari di tale chiesa risulta che canonico cantore fu, fino al 1506, Pietro Bertramo e che l'anno seguente fu eletto al cantorato Gaspardo de Grastegnis. La sottoscrizione del C. quale canonico e cantore compare con frequenza e regolarità solo a partire dal 28 nov. 1511. Il 25 maggio 1529 il canonicato fu ceduto dal C. a Bartolomeo Bergeria di Moncalieri, mentre il cantorato fu mantenuto almeno fino al 30 sett. 1539, data dell'ultima firma da lui apposta agli Atti; con maggior probabilità, fino al 1557, anno in cui gli successe Bartolomeo di Bagro.
L'Angius, nella sua dettagliata genealogia della famiglia, tratta in buona parte da archivi privati non identificabili, dà notizie di altri benefici ed uffici ecclesiastici conseguiti dal Capris. Nel 1506 sarebbe divenuto parroco di Genola ed avrebbe avuto da Giulio II la nomina a notaio apostolico nella diocesi di Vercelli; l'anno dopo Luigi XII di Francia gli avrebbe concesso un priorato non identificato in Auvergne, dipendente dall'abbazia di S. Michele della Chiusa (Torino); nel 1510 il vicario generale dell'abbazia di S. Benigno (Torino) gli avrebbe conferito il priorato di Cavaglià (Vercelli) e il beneficio di S. Andrea di Racconigi (Cuneo); nel 1524 sarebbe stato costituito giudice delle seconde appellazioni dell'università di Torino. Tali notizie tuttavia vanno accolte con molta cautela perché l'opera di quest'autore non manca di imprecisioni e assai spesso di refusi, particolarmente frequenti nella cronologia, ma non limitati a questo solo campo. È da escludersi ad esempio che il C. ottenesse, oltre alla parrocchia, anche la castellania di Genola; il vicariato generale che ottenne nel 1533 non si riferiva alla diocesi di Torino, come egli afferma, ma a quella di Vercelli. Errata è anche la data di morte indicata dall'Angius. Nel 1532 al C. fu assegnata in commenda l'abbazia di S. Pietro di Muleggio (Vercelli), in seguito alla rinuncia del cardinale Antonio di San Vitale. Assai più che dal punto di vista della carriera ecclesiastica, l'assegnazione dell'abbazia era significativa da quello politico: veniva a confermare l'esistenza di un legame di fedeltà e di devozione del C. verso il duca. In forza dell'indulto di Niccolò V (13 genn. 1451), infatti, i duchi sabaudi esercitavano un amplissimo diritto di scelta dei più alti dignitari ecclesiastici dei loro Stati, cioè arcivescovi, vescovi e abati, cosicché la promozione a tali cariche doveva essere preceduta dalla loro intenzione e dal loro consenso; solo in rari casi la Chiesa romana riusciva ad imporsi contro il loro volere.
La partecipazione del C. alla vita politica del ducato è del resto documentata a partire almeno dal 1533. Da una lettera del 17 novembre di tale anno si apprende che il C. era a Savona, in attesa del momento opportuno per ottenere un'udienza da Clemente VII. La tensione nei rapporti tra il pontefice e Carlo II, in seguito al rifiuto opposto dal duca a concedere il castello di Nizza come sede dei colloqui del papa con Francesco I di Francia, ci consente di intuirne il suo ruolo; non si conosce, infatti, l'esito della missione del Capris. Di un altro incarico si ha notizia da una lettera del 13 nov. 1535, dalla quale si apprende per rapidissimi accenni che, inviato a Piacenza dal duca, si era fermato a Milano.
I suoi scritti ce lo mostrano attento e minuzioso relatore di tutti gli eventi politici cui assisteva e di cui aveva notizia; ma il modo di riferire è impersonale e privo di ogni valutazione politica. Benché anche il C. accenni a disordini, a sopraffazioni, alla povertà dei gentiluomini rimasti fedeli alla causa sabauda, alla calunnia che spesso li perseguita, motivi ricorrenti in tutta la corrispondenza dell'epoca, i termini non sono mai drammatici.
Con esplicito riferimento alla sua onestà, Carlo II gli conferì, negli anni successivi, alcuni incarichi di cui abbiamo più dettagliate notizie. Con procura del 19 dic. 1543 ricevette insieme al tesoriere Simeone Locarno il compito di riscuotere la metà dei frutti dei benefici ecclesiastici del ducato, concessi dal pontefice per la difesa di Nizza dai Turchi. Il 24 ott. 1545 glivenne conferita, unitamente al governatore di Vercelli Alberto Bobba (la cui lealtà fu lodata dallo stesso C. in una sua lettera), la direzione dell'ospedale di S. Andrea di detta città, con la motivazione di provvedere ad una retta amministrazione nell'interesse dell'istituto e dei poveri. A partire dal 1548, se non prima, il C. entrò a far parte della cerchia di quegli uomini fedeli che Emanuele Filiberto raccolse intorno a sé per averne aiuto e consiglio nell'amministrazione dell'eredità materna, cioè la contea di Asti e il marchesato di Ceva. Un gruppo di lettere documenta nei dettagli l'oggetto principale dei suoi rapporti con il principe dal 1548 al 1549: il piano per la sua elezione al vescovato di Asti.
Il C., nel caldeggiare la propria nomina, si appella costantemente ad un superiore interesse dello Stato e afferma più volte di non avere a cuore che quello. L'elezione fu fortemente contrastata dalla concorrenza di altri candidati e soprattutto dalla Curia romana che, dopo aver vanamente cercato di imporre un proprio prescelto, Bernardino Della Croce ex vescovo di Casale, accettò la volontà di Emanuele Filiberto a condizione che le fosse riconosciuta una supremazia formale nella nomina. Nonostante questi accordi, raggiunti verso la fine del 1548, essa non fu pronunciata che un anno dopo, ad opera del capitolo della Chiesa di Asti. Parallelamente, con patente del 14 nov. 1549 da Vercelli, Emanuele Filiberto concedeva la "missio in possessionem" dell'episcopato astese "pro abbate de Capris"; ma, due giorni dopo, sopravvenuto un contrattempo di cui non conosciamo la natura, con una seconda patente data nello stesso luogo, avveniva una "nova reductio ad manus domini Episcopatus Astensis". Gerolamo Bulgaro fu incaricato di prendere in propria mano la sede al fine di evitare gli scandali che potevano derivare dalla sua vacanza. La conferma papale seguì solo alcuni mesi dopo.
Nello stesso anno (24 agosto) il C. riceveva da Carlo II un'altra importantissima carica, quella di grande elemosiniere, che mantenne fin dopo il 1555. Tale designazione, che comportava nominalmente le cure della cappella reale, fu in sostanza il più alto riconoscimento della fedeltà e dei meriti del C., che entrava a far parte della cerchia più stretta dei consiglieri ducali. Nel 1559 il C., anche in seguito alla segnalazione del luogotenente di Emanuele Filiberto, Renato di Challant, fu richiesto, assieme ai più insigni giuristi, del proprio parere sulla riforma giudiziaria voluta dal nuovo duca fin dai primi anni del suo regno.
I consigli del C., conservati nella Biblioteca Reale di Torino, insieme a quelli degli altri eminenti personaggi interpellati, differiscono da questi per l'ispirazione più cauta e conservatrice, pur contenendo una vivace critica, puntuale e severa, al malcostume giuridico e alle gravi iniquità che la degenerazione del sistema vigente aveva prodotto. Delle sue proposte di riforma una, concernente la periodica presenza del principe nel Senato ai fini di un più diretto controllo del suo operato, fu poi in parte seguita dal duca. Ben più, notevole fu il parere dato dal C. in quello stesso anno in merito alla questione valdese e alla opportunità di rafforzare l'attività inquisitoriale, sostenuta da Roma e da Madrid. Il C., insieme a Pier Francesco Ferrero vescovo di Vercelli, fu l'unico prelato che consigliò di tentare la via della predicazione e della riforma del clero e di ricorrere alla persecuzione solo come ultima ratio. Parere che coincideva sostanzialmente con quello di Emanuele Filiberto e con quella che successivamente fu la sua politica in questo campo.Come uomo di chiesa il C., definito dall'Egidi uno dei migliori vescovi del ducato, fu attivissimo nelle cure pastorali e nell'amministrazione del patrimonio ecclesiastico. L'abbazia di Muleggio, fondata dai benedettini all'inizio del XII secolo, che gli era stata affidata quasi completamente in rovina, fu da lui restaurata e provveduta, dal 1547, di sei religiosi che ne avessero cura. Nel 1557 riunì all'ospedale di S. Andrea di Vercelli il beneficio dell'ospedale dei Pellegrini alle Cascine di Strada presso Vercelli ottenuto nel 1509. Una nuova chiesa intitolata a S. Sisto fu fondata in Asti durante il suo ufficio, mentre altre tre, S. Quilico, S. Silvestro e S. Maria Nuova, furono restaurate e abbellite. Tali iniziative sono senza dubbio da collegarsi al mecenatismo del C., di cui una viva testimonianza è offerta da Giovanni Bremio nella dedica al lettore premessa all'Italia illustrata di Flavio Biondo nella bella edizione torinese del 1527, per i tipi di Bernardino Silva, promossa dallo stesso Capris. Egli vi viene descritto come profondamente dotto in ogni campo dello scibile, cultore degli studi al punto da dedicare ad essi buona parte dei proventi ecclesiastici e del patrimonio familiare "quem exiguum non habet".
Un'ultima carica di valore soprattutto onorifico, il cancelleriato dell'Ordine della SS. Annunziata, gli fu conferito il 14 ag. 1568. Il suo attaccamento alla casa ducale fu la causa di un ammonimento da parte di Pio V, che gli rimproverò di non avere impedito l'intimazione di indebiti oneri ai sudditi della Chiesa. Recatosi a Vercelli, dove avrebbe dovuto esaminare la questione col duca, il C. vi morì il 19 ott. 1568, in seguito ad una caduta dalla portantina. Fu sepolto presso Vercelli, nella chiesa abbaziale di S. Benedetto.
Fonti e Bibl.: Torino, Arch. arcivescovile, Atti capitolari del Capitolo del duomo di Torino, vol. 23, f. 166v; vol. 27, f. 298; vol. 28, f. 122; Archivio di Stato di Torino, Sez. I, Protocollidi corte, n. 176, f. 4; n. 178, f. 122; n. 181, ff. 158, 161; n. 182, f. 168; Lettere particolari, mazzo 15 Capr., 17 nov. 1533, 20 sett. e 13 nov. 1535, 6 giugno 1539, 24 marzo, 3 apr., 25 apr., 15 maggio, 4 giugno e 13 dic. 1548, 16 dic. e 28 dic. 1559; Ibid., Sez. Camerale, Controllo finanze, reg. 1555, f. 62; Tesoreria generale Piemonte, reg. 43, ff. 137, 143; Torino, Biblioteca Reale, Miscell. Storia Patria, mss. 4-6, 8, 11, 14, 18-21, 23; F. A. Della Chiesa, S. R. E. cardinalium,archiepiscoporum,episcopaeet abbatum Pedemontanae regionis chronologica historia, Augustae Taurinorum 1645, pp. 174, 292; Id., Corona reale di Savoia, II, Cuneo 1657, pp. 111, 211; F. Ughelli-U. Coleti, Italiasacra…, IV, Venetiis 1719, col. 399; G. T. Mullatera, Memorie cronologiche e corografiche della città di Biella, Biella 1778, p. 175; V. A. Cigna-Santi, Serie cronologica de cavalieri… della Santissima Nunziata, Torino 1786, p. 270; G. De Gregory, Istoria della vercellese letter. ed arti, II, Torino 1820, p. 105; [V. Angius], Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, I, Torino 1845, pp. 843 ss.; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia..., XIV, Venezia 1858, p. 125; C. Dionisotti, Notizie biogr. di Vercellesi illustri, Biella 1862, pp. 4, 30; F. Gabotto, Lo Stato sabaudo da Amedeo VIII ad Emanuele Filiberto, III, Torino-Roma 1895, p. 259 n. 1; G. Manno, Degli ordinamenti giudiziari del duca di Savoia Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 16-18, 24, 26, 29, 32, 47, 50, 53, 58, 60; P. Egidi, Emanuele Filiberto, II (1559-1580), Torino 1928, pp. 31, 51; C. Patrucco, La lotta con i valdesi, in Emanuele Filiberto, Torino 1928, p. 438; L. Borello-M. Zucchi, Blasonario biellese, Torino 1929, pp. 28-30; M. Bersano Begey-G. Dondi, Le cinquecentine piemont., Torino 1961-66, I, pp. 87 s.; III, p. 409; L. Marini, Libertà e privilegio..., Bologna 1972, p. 245; Torino, Bibl. Nazionale, A. Manno, Ilpatriziato subalpino, III (datt.), p. 343 (subvoce Capris); G. v. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 121.