GAS (XVI, p. 407; App. II, 1, p. 1019)
Produzione ed utilizzazione dei gas combustibili hanno avuto nell'ultimo decennio nuovi e vasti sviluppi. Si sono applicati non solo nuovi processi di gassificazione della materia prima tradizionale, il carbone, ma anche processi del tutto nuovi di trasformazione in gas di prodotti della lavorazione del petrolio, nonché processi di trasformazione e metodi di utilizzazione diretta dei gas naturali e dei gas liquidi e permanenti ottenuti nelle raffinerie di petrolio. Questa evoluzione tecnica, che in molti casi si è verificata e si verifica con incremento enorme di utilizzazione della materia prima, petrolio e gas naturali, in luogo del carbone, riflette sia i gas di sintesi per l'industria chimica, sia i gas destinati alla combustione e, fra questi, il gas di città.
La diversità della qualità dei gas e delle miscele che oggi si distribuiscono in reti fino a ieri alimentate a gas di carbone, la variabilità delle composizioni in relazione alla variabilità dei consumi e la indiscutibile necessità di realizzare una buona combustione mantenendo inalterata la potenzialità degli apparecchi di utilizzazione, ha fatto superare in parte il criterio tradizionale del potere calorifico per introdurre quello della "intercambiabilità". In senso generico due gas presentano intercambiabilità quando possono essere sostituiti l'uno con l'altro senza particolari precauzioni e con risultati praticamente equivalenti, negli apparecchi di utilizzazione. Questa caratteristica ha trovato per opera di Delbourg il metodo di pratica individuazione.
Tale metodo si basa su due indici caratteristici: il numero di Wobbe
dove P=potere calorifico superiore e √δ=densità rispetto all'aria) ed il potenziale di combustione di Delbourg
dove E = H2 + 0,6CO + 0,6CnHm + 0,3CH4, indicandosi con i simboli chimici le percentuali in volume di ciascun gas sulla miscela di cui si tratta.
Se i valori di questi due indici che si ricavano dal potere calorifico superiore di una miscela, dalla densità e dall'analisi Orsat, vengono portati su coordinate cartesiane ortogonali in un piano, si individua un punto dal piano. Dalla posizione di questo punto è possibile conoscere il comportamento del gas nei tipi di apparecchi di utilizzazione ai quali si fa riferimento.
Lo stesso scopo si raggiunge per via sperimentale facendo riferimento ad un bruciatore normalizzato del "Gaz de France".
Gas da combustibili solidi (gas di gassogeno).
Nella produzione dei gas dal carbone i numerosi processi adottati tendono alla trasformazione in gas per conversione ossidante di carboni non agglomeranti e pertanto non idonei alla cokificazione per carbonizzazione nei forni a coke e nei forni a gas. Alcuni di questi processi sono a ciclo intermittente, altri a ciclo continuo. I primi usano come mezzo ossidante aria e vapore d'acqua, i secondi ossigeno e vapor d'acqua, oppure aria arricchita con ossigeno miscelata con vapore d'acqua.
Fra i processi a ciclo intermittente ha preso particolare sviluppo il processo di gassificazione integrale realizzato inizialmente con brevetto austriaco della VIAG (Vergasung Industrie A. G. di Vienna) e quindi dalla G.I. (Società Gas Integrale di Milano). A differenza degli originarî gassogeni di gassificazione integrale Strache, i gassogeni che realizzano questo processo hanno la parte superiore divisa in settori circolari funzionanti da vere e proprie camere di distillazione continua. Il carbone che si trova in queste camere, mentre scende distilla: esso è infatti riscaldato, per contatto diretto, dai gas di gassificazione del semicoke che si trova nel tino sottostante e, per trasmissione di calore indiretta, dai gas di soffiamento che percorrono le pareti cave delle camere.
Questi gassogeni, di cui è rappresentata una sezione in fig. 1, producono 1,40÷1,45 m3 di gas a 3000÷3200 kcal/m3 per kg di carbone secco a lunga fiamma. Sono di dimensioni e potenzialità diverse con un massimo di 150.000 m3/giorno di gas. Utilizzati quasi esclusivamente per produzione di gas combustibili in cokerie, officine gas (v. oltre, per maggiori particolari, il § gas di città), ecc., in modo del tutto simile agli usuali impianti di gas d'acqua, possono produrre, oltre che gas integrale semplice, anche gas integrale carburato per cracking termico di prodotti petroliferi leggeri o pesanti, iniettati nella corrente gassosa.
Gassogeni di caratteristiche costruttive analoghe sono entrati nell'uso anche per produzione di gas misto da carbon fossile per insufflazione continua di aria e vapore. Il gas ottenuto è utilizzato per lo più come combustibile.
L'industria chimica, per ottenere gas ad alto tenore di (CO + H2), utilizzabile cioè per sintesi, si è valsa vieppiù dell'ossigeno puro o dell'aria arricchita di ossigeno.
In particolare, però, ha preso ulteriore sviluppo la gassificazione a pressione secondo il processo Lurgi (App. II, 1, p. 1020) in virtù sia della sua specifica destinazione all'utilizzazione di ligniti o comunque di carboni giovani, sia dell'alto contenuto in metano nel gas prodotto e dei vantaggi derivanti dalla pressione (grande potenzialità specifica, facile eliminazione del CO2 per lavaggio, riduzione delle dimensioni delle apparecchiature di trattamento del gas, utilizzazione della pressione per trasporto a distanza).
Gassogeni Lurgi sono stati installati nell'ultimo decennio a Clydesdale Sasolburg (Sud Africa) per produzione di gas di sintesi di ammoniaca e carburanti, a Morwell (Australia) sia per produzione di gas di sintesi di idrocarburi liquidi, sia per distribuzione nelle reti urbane, a Dorsten (Germania Occ.) per produzione di gas di sintesi chimiche e di carburanti. Un impianto è in corso di installazione a Westfield (Scozia) per produzione di gas destinato alle reti di distribuzione del gas di città. Tutti sono impianti di potenzialità superiore al milione di m3/giorno.
Il continuo crescente aumentare del fabbisogno energetico ha messo alla ribalta anche il problema della gassificazione dei misti e degli schisti che residuano nelle operazioni di lavaggio del carbone. Trattasi di sostanze assimilabili a combustibili che contengono anche il 70% di sostanze inerti, ma che con determinati processi, anche di rendimenti limitati, possono essere utilmente gassificate. Il processo Otto studiato da Lorenzen, realizza la gassificazione dei combustibili ad alta percentuale di ceneri in corrente trasversale (v. lo schema di fig. 2).
L'essiccamento, la gassificazione e la combustione hanno luogo secondo piani che risultano inclinati sia rispetto alla direzione di discesa del solido, sia rispetto alla direzione della corrente dei fluidi (aria e gas). L'aria insufflata in basso ricupera il calore sensibile delle ceneri che si scaricano, mentre la miscela di aria satura di vapore che entra al centro reagisce con lo schisto per produrre il gas combustibile. In questo tipo di impianti l'agglomerazione delle ceneri per surriscaldamenti locali e l'irregolare permeabilità del letto, che sono i fenomeni più temuti nella gasificazione dei combustibili ad alto contenuto di ceneri, sono evitate a causa del piccolo spessore del letto stesso. Il forno è utilizzato per schisti bituminosi tedeschi e schisti di lavaggio dei carboni.
Oltre il processo Otto, sempre per questi tipi di combustibili, sono stati applicati diversi altri processi tra i quali il Lurgi-Schweitzer a corrente fluida discendente.
Ma nonostante l'ingegnosità di ogni processo, il problema di gassificazione dei combustibili ad alto tenore di ceneri, non ha avuto che applicazione limitata ad alcuni schisti del Württemberg e non può a tutt'oggi considerarsi industrialmente risolto.
Uno sviluppo notevole hanno invece assunto, anche dal punto di vista applicativo, i processi di gassificazione in sospensione in letto fluidizzato ed in corrente fluida, anche se questi processi, idonei acombustibili sufficientemente reattivi, non hanno fatto sostanzialmente molti passi avanti rispetto all'originario gassogeno Winkler (v. App. II, 1, p. 1020). I progressi in questo campo riflettono soprattutto la gassificazione in corrente fluida, che, consentendo di marciare a ceneri fuse e di raggiungere quindi anche temperature elevate (1600 °C circa), può essere applicata ad un'ampia gamma di combustibili.
Fra i diversi tipi di processi di gassificazione in corrente fluida, i più noti, industrialmente applicati dopo il 1950, sono i seguenti:
Processo Koppers-Totzek. - Impianti di grande potenzialità fondati su questo procedimento (già descritto in App. II, 1, pp. 1020-21) sono stati installati dopo il 1950 in Finlandia, in Giappone, in Francia, in Belgio, in Spagna.
Il processo è particolarmente idoneo alla produzione di gas di sintesi dai più diversi tipi di combustibili. Per 1 Nm3 di (CO + H2) si sono avuti i seguenti consumi: carbone polacco secco a lunga fiamma al 15% di ceneri (seccato fino all'1% di H2O) 0,66 kg; ossigeno 0,36 Nm3; vapor d'acqua 0,36 kg. La composizione normale del gas è risultata la seguente:
Processo Ruhrgas. - Alla base di un reattore cilindrico ad asse verticale (fig. 3) sono posti 6 iniettori attraverso i quali viene introdotta tangenzialmente una miscela di combustibile ed aria surriscaldata a 600÷700 °C. Le polveri combustibili trascinate dal gas sono riciclate. All'entrata nel reattore le ceneri fondono e scolano, dalla parete contro la quale sono state lanciate, in una bacinella d'acqua sottostante dove solidificano in granuli. Il gas che esce dal reattore passa in scambiatori di calore attraverso i quali si produce vapore e si riscalda l'aria entrante agli iniettori.
Un impianto da 100 tonnellate giornaliere di carbone è installato in Germania a Suderwich e produce gas combustibili per riscaldamento di forni a coke dal 1954.
Da 1 kg di carbone non agglomerante al 15% di ceneri e seccato fino al 2% di umidità, si ottengono 4 Nm3 di gas della composizione seguente:
Processo Morgantown. - Presenta molte analogie col processo Ruhrgas; a differenza di questo però usa l'ossigeno come mezzo ossidante. Il gas prodotto è destinato alla sintesi. Un impianto da 400.000 Nm3/giorno è installato a Belle (Virginia). Altro impianto, funzionante però a pressione di oltre 7 kg/cm2, è installato a Morgantown (Virginia).
L'utilizzazione dell'ossigeno, puro o in miscela con aria, si è estesa anche nei riguardi dei gassogeni funzionanti secondo il processo a fusione di ceneri che, avendo le caratteristiche essenziali di una grande semplicità costruttiva e di una forte potenzialità specifica, sono relativamente poco costosi. Questo senza contare che il processo dì gassificazione, essendo basato sulla fusione delle ceneri, elimina quel limite superiore di temperatura che è imposto nell'esercizio dei comuni gassogeni e quindi consente l'utilizzazione di combustibili ad elevato tenore di ceneri facilmente fusibili. Vicino a questo vantaggio però numerosi svantaggi (tra i quali le grandi perdite di calore, i trascinamenti di polveri di carbone e di ceneri nel gas, la formazione di catrami viscosi molto crackizzati, la scarsa elasticità di produzione) hanno limitato lo sviluppo industriale del processo.
Oltre il tipo di gassogeno Thyssen-Galocsy, altri tipi sono stati sperimentati nell'Europa Occidentale. Sembra che in U. R. S. S. i gassogeni a ceneri fuse siano utilizzati per la gassificazione di combustibili poveri, in particolare delle torbe. Comunque il processo non può applicarsi a combustibili che contengano più del 30-35% di ceneri sul secco.
Nel processo Rummel, che è il più moderno di quelli a fusione, la reazione di conversione ossidante ha luogo in un bagno di scoria fusa in movimento rotatorio continuo. Il gassogeno è costruito in due tipi dei quali il più originale è quello a doppio tino. Esso consiste essenzialmente di due cilindri coassiali (fig. 4) la cui intercapedine è divisa in due parti con due pareti disposte secondo due piani radiali. Le due pareti, che partono dalla sommità del generatore, scendono fino ad immergersi nel bagno di scorie 5. Il combustibile polverizzato è introdotto attraverso l'iniettore 7 nel bagno di scoria ed il vapore, che costituisce il mezzo ossidante, attraverso l'iniettore 8. Il combustibile introdotto nel bagno fuso distilla e gasifica. Il gas che si forma nello scomparto 3 esce da 1. Nell'altro scomparto 4 viene iniettata, attraverso 9, aria surriscaldata ed attraverso 7 combustibile polverizzato; il calore che si sviluppa nella combustione mantiene in fusione il bagno di scoria, al quale inoltre l'aria, entrando, imprime un movimento di rotazione continuo. I prodotti di combustione escono da 2. La scoria fusa in movimento, passando sotto le pareti divisorie, scorre da uno scomparto all'altro fornendo e ricevendo calore. L'eccesso si scarica con continuità da un troppo pieno 6.
Un impianto da 400.000 Nm3/giorno di gas di sintesi da brown-coal è installato a Wesseling (Germania Occidentale).
Un Nm3 di gas (CO + H2) richiede: 0,65 kg di brown-coal secco; 0,22 Nm3 di ossigeno; 0,16 kg di vapore. La composizione del gas è la seguente:
Gas da idrocarburi.
I processi di produzione di gas combustibile e di gas di sintesi da idrocarburi, si sono sviluppati enormemente nell'ultimo decennio in relazione al sempre maggiore sviluppo dell'industria petrolifera. Il petrolio greggio, ma soprattutto gli olî combustibili pesanti, residui di distillazione primaria delle raffinerie, i prodotti leggeri basso ottanici pure prodotti negli impianti di distillazione diretta, sono divenuti, in breve volgere di anni, materie prime fondamentali nella produzione dei gas. Anche il gas naturale (v. oltre), il gas di raffineria, ed infine i gas liquefatti di petrolio (butano e propano detti normalmente G.P.L.) sono utilizzati direttamente o previo reforming con vapore e talora anche con aria.
La trasformazione in gas dei prodotti petroliferi si verifica talora per via esclusivamente termica, ma, nella maggior parte dei casi, per via termocatalitica con processi continui o discontinui a seconda delle caratteristiche della materia prima di cui si dispone e del prodotto che si vuole ottenere (v. cracking, in questa Appendice).
Il rapporto C/H è considerato il criterio base per stabilire la maggiore o minore attitudine di un olio alla gassificazione. Sembra infatti che a questo rapporto si debba la distribuzione dei prodotti di cracking in gassosi a basso valore del rapporto C/H (come le paraffine e le olefine) e liquidi ad alto valore di detto rapporto (come gli aromatici). Le reazioni di conversione ossidante degli idrocarburi con vapor d'acqua o ossigeno (sotto forma di aria o allo stato puro) si possono schematizzare invece, in forma generale, come segue:
- reazioni endotermiche:
- reazioni esotermiche:
alle quali si aggiungono le reazioni di combustione.
Naturalmente gli idrocarburi che sono assoggettati a queste trasformazioni di conversione, possono essere gli stessi che risultano dal cracking. Le trasformazioni possono avvenire nello stesso ambiente con l'intervento o meno di un catalizzatore. Le reazioni endotermiche però si realizzano industrialmente talora fornendo calore dall'esterno, talora adottando una marcia ciclica a fasi alternate di gassificazione degli idrocarburi e di susseguente rigenerazione delle temperature.
I processi a marcia continua in regime endotermico, sono vincolati al tipo ed alla purezza della materia prima da trattare; si prestano infatti al gas naturale, ai G.P.L., ai gas di raffineria depurati ed a qualche prodotto liquido; sono necessariamente allotermici. I processi ciclici si applicano agli idrocarburi più diversi: dal gas naturale agli olî combustibili pesanti. I processi a marcia continua in regime esotermico, infine, si possono applicare ad una gamma ancora più estesa di combustibili; essi funzionano ad esercizio continuo avendo come agente ossidante l'aria o l'ossigeno e sono autotermici.
a) I processi catalitici continui a riscaldamento esterno sono usati soprattutto per il reforming dei gas; i più noti sono:
Il processo Hercules-Powder: il gas da riformare (fig. 5) (gas naturale, gas di raffineria e L.P. gas), insieme col vapore, viene introdotto dall'alto di tubi in acciaio inossidabile contenenti il catalizzatore di conversione e disposti verticalmente nell'interno di un forno riscaldato a mezzo di bruciatori alimentati a combustibile liquido o con una parte del gas inviato all'impianto. Dalla riforma di gas naturale, propano, ecc., a temperature superiori a 750÷800 °C, si ottiene normalmente un gas avente anche oltre il 70% di H2 ed il 15÷20% di CO. Trattasi di gas destinato alla sintesi, alla preparazione di idrogeno puro fino al 99,92% per la idrogenazione dei grassi, alla distribuzione nelle reti urbane previa miscela con parte del gas di partenza o altri gas atti a creare le caratteristiche di combustibilità necessarie.
Impianti di questo tipo sono installati in molti paesi europei ed extraeuropei. L'impianto Hercules funzionante a gas naturale di S. Marcet a Pau, produce gas delle seguenti caratteristiche:
Si hanno 4 Nm3 di gas riformato per Nm3 di gas naturale, consumando per riscaldamento del forno 0,61 Nm3 di gas naturale ed avendo completa autosufficienza di vapore prodotto nella caldaia di ricupero del calore dei fumi.
Dello stesso tipo sono i processi Surface Combustion, Kellogg e Girdler.
Il processo Carbofax-Gasmaco (della Gas Machinery Co.) realizza la riforma semiautotermica del gas naturale in tubi di refrattario anziché d'acciaio. Particolarmente idoneo per la riforma di grisou che contiene già una certa percentuale di aria, un impianto di questo tipo è infatti installato a Mont-Sainte Aldegonde in Belgio e produce gas destinato alle reti urbane.
L'impianto Hercules-Powder e gli altri opportunamente modificati, possono essere utilizzati per la gassificazione catalitica continua di prodotti leggeri di distillazione primaria dei petrolî previamente depurati da composti solforati.
b) I processi a ciclo alternativo o ciclici, industrialmente applicati per cracking termico puro e per conversione ossidante con vapor d'acqua degli idrocarburi su letto catalitico fisso, sono numerosi.
Il cracking termico è applicato agli olî combustibili pesanti che vengono trasformati in prodotti gassosi con varî processi, tra i quali i più noti sono: il processo Hall, il processo Semet-Solvay, il processo Koppers, tutti diffusi tanto in Europa come negli altri continenti. In tutti si produce gas ad alto potere calorifico con elevato contenuto di idrocarburi, limitato contenuto di idrogeno e bassissimo contenuto di CO. Il gas è destinato alla sostituzione ed alla integrazione delle distribuzioni di gas naturale, all'arricchimento di gas d'acqua, gas integrale, ecc., nelle officine gas, all'estrazione di etilene nell'industria chimica.
Il processo Semet-Solvay rappresentato in fig. 6 funziona a 4 fasi di cui due di riscaldamento e due di gassificazione. Nelle fasi di gassificazione l'olio viene iniettato, in senso opposto alla corrente di vapore d'acqua, in una camera di reazione vuota limitata inferiormente da una strozzatura circolare nella quale il vapore assume velocità tale da impedire la caduta di gocce di olio sul sottostante impilaggio refrattario. Questo a differenza di quanto avviene negli impianti Hall in cui vapore ed olio percorrono l'impianto nello stesso senso. La miscela di vapori di olio e vapor d'acqua passa al fissatore nel cui impilaggio la reazione di gassificazione si completa. Il gas ricco di vapori catramosi arriva al bariletto dove subisce il primo lavaggio a caldo e la prima condensazione. Segue una fase di riscaldamento in senso inverso con ripristino delle temperature (750-800 °C) per combustione sia di olio o catrame, sia dei residui carboniosi che si depositano inevitabilmente durante la gassificazione. A questa fase ne segue una di gassificazione e quindi un'altra di riscaldamento e così via essendo ciascuna fase di direzione opposta a quella corrispondente che la precede o la segue.
Impianti di questo tipo sono installati, per la produzione di etilene destinato all'industria chimica negli Stati Uniti d'America e per l'arricchimento di gas di città in Australia ed in Italia (Roma).
Il gas che si ottiene da olî pesanti residui della distillazione diretta dei petrolî, ha una composizione media del tipo: idrogeno (11,80% vol/vol); ossigeno (0,66), azoto (15,10) ossido di carbonio (1,87); anidride carbonica (6,67); metano (26,71); etano (5,34); propano (0,72); n-butano (0,03); etilene (19,00); propilene (8,26); acetilene (0,11); altre olefine e diolefine (3,73).
Nel processo Koppers (vedi fig. 7) funzionante a due fasi, costituisce gas di trasporto, durante la fase di gassificazione, una parte del gas prodotto che si crackizza percorrendo, insieme con vapore, l'impilaggio di un corpo cilindrico portato alla temperatura di circa 1200 °C per combustione di catrame durante la fase di rigenerazione. Il calore sensibile di questo gas è sufficiente per far crackizzare l'olio che viene iniettato in corrispondenza del reattore. Questo processo, a differenza degli altri, consente di produrre gas con caratteristiche chimiche e fisiche diverse a seconda delle condizioni di marcia. Esso viene utilizzato anche per la conversione ossidante delle benzine basso ottaniche, del gas naturale e dei gas di raffineria.
Degli impianti a ciclo alternativo con catalizzatore, i più diffusi sono:
il processo ONIA-GEGI, francese (studiato dall'Office national de l'azote, ed industrializzato dalla Compagnie gaz à l'eau et gaz industriels), con letto fisso di catalizzatore al nichel. In una fase ha luogo la gassificazione del combustibile (olio pesante, gasolio, benzina, metano, G. P. L.) in corrente di vapor d'acqua, in un'altra fase vengono ripristinate le temperature (da 750 a 950 °C) a seconda del grado di conversione voluto, ed eliminati i depositi di carbonio; ciò si ottiene bruciando in eccesso d'aria una parte della materia prima o del catrame prodotto dall'impianto stesso (fig. 8). Il gas è utilizzabile come combustibile nelle distribuzioni urbane, o come materia prima di sintesi chimica.
Il processo SEGAS, inglese (studiato dal South East Gas Board e costruito dalla Power Gas Corp. Ltd) dotato di letto fisso di catalizzatore ad ossidi di calcio e magnesio, è costruito in due o in tre corpi e realizza pure la conversione utilizzando il vapore d'acqua come mezzo ossidante. Anch'esso funziona in due fasi. È idoneo alla produzione di gas di città, ma non di gas di sintesi; usa come materia prima soltanto combustibili liquidi.
Il processo U. G. I., americano (progettato dalla United Gas Improvement Co., costruito dalla United Engineers and Constructors, adotta catalizzatori al nichel ed è particolarmente adatto alla gassificazione di distillati leggeri.
A questi processi se ne aggiungono altri di caratteristiche similari costruiti particolarmente in Europa. Tutti hanno rese termiche in gas molto diverse a seconda della materia prima utilizzata (variano dal 60% circa utilizzando olio combustibile pesante, al 70% circa utilizzando gas naturale). Sono diffusissimi in tutti i continenti tanto da potersene valutare attualmente funzionanti oltre un centinaio delle più svariate potenzialità (da 10.000 a 150.000 Nm3/giorno di gas).
c) I processi autotermici realizzano la conversione ossidante degli idrocarburi per via termica o catalitica, usando come mezzo di ossidazione l'aria o l'ossigeno. Nei processi esclusivamente termici con aria si verifica una pirolisi o cracking ossidante che porta alla produzione di un gas avente, vicino ad elevato contenuto di idrocarburi, un notevole contenuto di azoto.
È questo il caso del processo Dayton-Faber (americano), di quello GEIM (francese) e di altri analoghi, che producono gas utilizzabile come complemento del gas di città per le necessità delle punte di consumo.
Caratteristico è poi il processo Koppers-Hasche (fig. 9) utilizzabile quasi esclusivamente per la conversione ossidante di gas di raffineria e di G. P. L. L'impianto è costituito da un parallelepipedo rettangolo diviso in due parti, ciascuna percorsa da canali in refrattario paralleli all'asse maggiore. Una valvola a quattro vie consente di scambiare tra loro le due parti in modo che i canali in refrattario alternativamente assumano il compito di accumulatori del calore del gas convertito all'uscita, e di riscaldatori della miscela gas ed aria alla entrata. La zona vuota centrale costituisce la camera di reazione.
Trattasi di impianti di piccolo ingombro, di potenzialità piuttosto modesta e di rendimenti elevati, installati in parecchie reti urbane di piccoli e medî centri.
La conversione ossidante senza catalizzatore, quando viene fatta con ossigeno, comprende principalmente i processi seguenti: Koppers-Totzek, Texaco e Shell.
Il processo Koppers-Totzek è realizzato con lo stesso impianto più sopra accennato per la gassificazione di combustibili solidi. Il gas ottenuto si usa per sintesi chimiche. Per il gas si dà una composizione media di questo tipo:
Il processo Texaco detto anche processo ad ossidazione parziale, studiato e realizzato industrialmente negli Stati Uniti d'America, attua la conversione ossidante sotto pressione (25÷30 atm) in regime di fiamma ed a temperatura molto alta. Il reattore è un apparecchio cilindrico in acciaio internamente rivestito in refrattario ed esternamente raffreddato. Il gas che si produce esce ad alta temperatura (1.200÷1.300 °C). Il calore sensibile del gas viene utilizzato per la produzione del vapore necessario anche alla successiva conversione del CO. Il processo è idoneo alla produzione di gas di sintesi da diverse materie prime, dal gas naturale all'olio combustibile pesante.
Composizione del gas Texaco da olio combustibile:
Consumi medî per Nm3 di (CO + H2): olio 0,36 kg; ossigeno 0,25 Nm3; vapore 0,135 kg.
Il processo Shell studiato e realizzato in Olanda, attua pure la conversione ossidante ad alta pressione con ossigeno o aria arricchita (fig. 10), fornendo un gas idoneo alle sintesi chimiche da materie prime liquide o gassose (dall'olio pesante al propano), che risulta completamente esente da nerofumo.
Entrambi questi processi: il Texaco ed il Shell, sono il risultato più moderno della tecnica di produzione dei gas di sintesi dagli idrocarburi e vanno progressivamente diffondendosi in grandi gruppi industriali di petrolchimica di ogni Paese.
I processi di conversione autotermica del metano o di altri idrocarburi gassosi per mezzo di ossigeno con catalizzatore in letto fisso, sono pure numerosi. Hanno lasciato il passo ai processi a riscaldamento esterno che usano il vapore come mezzo ossidante, laddove il prezzo della materia prima (gas naturale o prodotti diversi delle raffinerie di petrolio) ed in particolare quello dell'ossigeno, il che equivale a dire dell'energia elettrica, risulta troppo elevato.
I catalizzatori adottati sono generalmente al nichel che accelera le reazioni endotermiche di ossidazione con vapor d'acqua ed anidride carbonica evitando pericolosi aumenti di temperatura.
Nei processi autotermici occorre raggiungere la massima omogeneità della miscela di alimentazione gas-ossigeno a temperatura inferiore a quella a cui potrebbe avvenire la dissociazione del gas in carbonio ed idrogeno, e regolare i tempi in modo da contenere la dissociazione stessa al minimo possibile prima che si verifichi la conversione ossidante per opera dell'ossigeno.
Fra i tipi numerosi di processi autotermici catalitici, si è particolarmente diffuso, specialmente in Francia, il processo ONIA che utilizza materia prima gassosa (gas naturale e gas deidrogenato di cokeria). Gas da convertire ed ossigeno (fig. 11) vengono introdotti alla base troncoconica del reattore. Attraverso un diffusore a piastra porosa, la miscela, con velocità superiore a quella di propagazione della fiamma, arriva al catalizzatore a contatto del quale si opera la conversione ossidante con produzione di gas di sintesi.
Anche in Italia sono stati studiati e realizzati processi autotermici ad ossigeno e cioè i due processi Fauser-Montecatini. Per uno di questi, dotato di catalizzatore, al nichel, è stato utilizzato come materia prima esclusivamente il gas naturale; per un altro, che è stato sperimentato allo Stabilimento Ammonia di San Giuseppe di Cairo, è utilizzato come materia prima l'olio combustibile nel quale viene miscelata, con funzione di catalizzatore, una piccolissima quantità di una soluzione di nitrato di calcio.
La conversione catalitica autotermica degli idrocarburi si realizza non soltanto con l'ossigeno, ma anche con l'aria. Si ricorre anche per questo tipo di processo, a catalizzatori al nichel. Le materie prime utilizzate sono essenzialmente il metano ed i gas liquefatti di petrolio (propano e butano). Si ottengono gas ad elevata percentuale di inerti che possono essere usati miscelati con gas di città, come tali, o previa miscelazione con gas originale non trattato.
Le applicazioni sono molto numerose e realizzate da diversi costruttori (ONIA, Grande Paroisse, Comp. générale de construction des fours, Distrigas). Il Gaz de France ha realizzato il processo P. 2 in cui il catalizzatore è costituito da granuli di allumina. I gas ottenuti in impianti catalitici autotermici ONIA, che usano l'aria come mezzo ossidante per la conversione, corrispondono alle composizioni medie della tab. 3.
Gas naturali e gas di raffineria.
Per gas naturali si intendono generalmente sostanze gassose che sgorgano dalle viscere della terra, costituite prevalentemente da idrocarburi; per quanto esistano anche sorgenti naturali di gas d'altra composizione, anidride carbonica e idrogeno solforato per esempio.
Gli idrocarburi che formano i gas naturali, sono i primi termini della serie grassa, gassosi nelle ordinarie condizioni di temperatura e pressione, e cioè metano, etano, propano, butano ed isobutano. Spesso però a questi idrocarburi gassosi si accompagnano, oltre ad altri gas, quali anidride carbonica, idrogeno solforato, azoto, elio, ecc. anche vapori di idrocarburi più pesanti, liquidi nelle ordinarie condizioni di temperatura e di pressione.
Furono proprio questi idrocarburi liquidi, che si separavano in parte alle testate dei casing dei pozzi petroliferi (v. idrocarburi, in questa App.), costituendo appunto la casing head gasoline, che indussero verso i primordî del secolo (1904) a praticare una prima utilizzazione dei gas naturali, consistente nella separazione delle gasoline. Più tardi (1920), mentre il gas naturale si cominciava ad adoperare come combustibile, o per la preparazione del carbon black (nerofumo), si attuarono i primi impianti di separazione dal propano (C) e butano (C), cioè di quegli idrocarburi che, gassosi in condizioni normali, si possono liquefare a temperatura ordinaria a pressioni modeste. Questi idrocarburi costituiscono i gas petroliferi liquefatti (sigla GPL) del commercio. In seguito sono stati separati ed utilizzati, l'etano ed anche l'elio in qualche caso.
Alla produzione di C3 e C4 servono anche gas di raffineria, cioè idrocarburi gassosi che si sviluppano durante la stabilizzazione o distillazione dei greggi, o prodotti gassosi che si formano durante alcune operazioni di raffineria, il cracking ed il reforming. A differenza dei gas naturali le frazioni C3 e C4 quando provengono da una trasformazione termica, contengono anche i membri della serie olefinica, cioè propilene e butilene e anche diolefinica, butadiene.
Gli stessi metodi di separazione dei C3 e C4 sono adoperati per i gas naturali e per i gas di raffineria. Questi metodi si basano essenzialmente su tre operazioni: assorbimento con solventi; condensazione per raffreddamento, adsorbimento con adsorbenti solidi (carbone attivo). I processi più utilizzati si fondano su una combinazione delle prime due operazioni menzionate.
Il gas viene compresso e lavato in controcorrente con olio freddo, il quale viene poi privato dai prodotti che ha assorbito. L'olio magro risultante da queste operazioni, raffreddato, è rimesso in ciclo, mentre i prodotti che erano stati assorbiti, vengono separati in varie frazioni.
L'operazione di separazione dai gas permanenti dei gas liquefacibili e vapori, può essere preceduta, a seconda dei casi, da altri trattamenti, che hanno per oggetto la rimozione dei prodotti indesiderabili, come idrogeno solforato, anidride carbonica e acqua.
In generale per i primi due composti si adoperano reattivi liquidi basici che formano sali instabili, in modo che con un trattamento blando, in generale con riscaldamento, il reattivo si possa rigenerare. Tra i reattivi per l'idrogeno solforato segnaliamo le etanolammine (che servono anche per l'anidride carbonica e sono le più usate), qualche volta in miscuglio con gli olî, il fosfato di potassio, il carbonato sodico, l'arseniato di ammonio, sali di ossidi organici deboli, fenato sodico.
È opportuno anche disidratare il gas prima dell'assorbimento con olio, non solo per non diminuire il potere solvente di questo, ma anche perché il gas privato degli idrocarburi più elevati, sia secco. Un gas umido infatti può abbastanza facilmente provocare l'ostruzione dei metanodotti per formazione d'idrati. Sono questi composti di una molecola di idrocarburo e molecole d'acqua (in genere 6 o 7) che si formano a freddo e sono solidi a temperature superiori a 0 °C; la temperatura sotto la quale si formano idrati solidi, dipende oltre che dalla composizione del gas, dalla pressione (v. tab. 5).
La disidratazione del gas naturale si può ottenere per raffreddamento o mediante disidratanti, solidi e liquidi.
La formazione di idrati complica la disidratazione per raffreddamento. Tuttavia quando si ha a che fare con un gas di pressione elevata si può ottenere una parziale disidratazione, sfruttando il raffreddamento dovuto all'espansione, con dispositivi del tipo di quello riportato nella fig. 12.
Il gas espandendosi da 130 a 55 kg/cm2 si raffredda istantaneamente: gli idrati che si formano, per l'alta velocità del gas, non possono ostruire la conduttura, ma vengono proiettati contro un serpentino riscaldato; il riscaldamento causa la decomposizione degli idrati, l'acqua si raccoglie nel fondo e sopra l'acqua la gasolina che si è separata anch'essa in virtù del raffreddamento provocato dall'espansione.
I disidratanti solidi più usati sono: gelo di allumina e gelo di silice, quest'ultimo se non sono presenti frazioni pesanti di idrocarburi, che gli fanno perdere l'attività.
Un impianto di essiccamento a letto solido, funziona in maniera discontinua; cioè bisogna di solito disporre di due torri, nella prima delle quali il gas viene disidratato, mentre nella seconda l'essiccante esaurito, viene rigenerato con una corrente di gas riscaldato a 200°. Poi il gas da disidratare viene escluso dalla prima torre ed avviato alla seconda, mentre nella prima torre si compie la rigenerazione.
I disidratanti liquidi più usati sono il glicol dietilenico e quello trietilenico. Il processo è continuo, la disidratazione avviene sempre in una torre, ed il liquido che ha assorbito l'acqua, va ad una torre di distillazione, dove viene separata l'acqua. In genere si fa in modo che il glicol esca dal basso della torre di disidratazione ad una concentrazione di circa il 90%. Mediante la distillazione, lo si riporta al titolo di 95%. Con questo sistema si ottiene un abbassamento del punto di rugiada del gas di 25,30 ed anche 35 °C, mentre con il sistema a letto solido di gelo di allumina, si arriva a 50 e più gradi. Tuttavia molto spesso è sufficiente la disidratazione ottenuta con disidratante liquido.
Nella fig. 13 è riportato uno schema dell'impianto di Cortemaggiore, l'unico esistente in Italia (1960), per il trattamento di gas naturale mediante assorbimento e raffreddamento.
Il gas, che proviene dai pozzi, ad oltre 100 atmosfere, non ha bisogno di essere compresso; anzi viene decompresso a 60 kg/cm2, pressione alla quale viene disidratato e lavato con olio. La disidratazione avviene nella torre T6 dove il gas, raffreddato a −5° in virtù della decompressione salendo dal basso incontra in una colonna il glicol che scende dall'alto. Il gas disidratato entra poi dal basso nella colonna a piatti T 1, ancora a 6° e incontra l'olio magro, cioè privato dagli idrocarburi che ha precedentemente assorbito, che scende dai piatti più alti della torre. Il gas che esce dall'alto della torre, viene avviato ai metanodotti. L'olio che ha assorbito gli idrocarburi liquidi e liquefacibili (olio ricco), ma che contiene anche metano e etano, viene decompresso a 14 kg/cm2, riscaldato a 138 °C e portato nella parte bassa della colonna T2, detta di deetanizzazione. Qui il metano, l'etano e una piccola parte di propano assorbiti si liberano; nella parte superiore questo miscuglio gassoso è lavato con poco olio magro per trattenere il propano, mentre il gas che sfugge al lavaggio viene impiegato per i bisogni termici dell'impianto, dato che per essere immesso nei metanodotti, dovrebbe essere ricompresso a 60 kg/cm2. L'olio ricco e decompresso a 5,5 kg/cm2 entra a metà di una torre T3, nella quale, riscaldato a 260°, viene privato di tutti gli idrocarburi assorbiti più leggeri dell'olio stesso, che escono poi dall'alto della torre. Nella parte bassa della torre, viene immesso l'olio magro, riscaldato a 300° nel forno F, per il riscaldamento dell'olio ricco. Dal fondo della torre esce l'olio magro, che viene separato in due parti, una va al ciclo di raffreddamento a propano e di lì alla torre T1; l'altra va al circuito di riscaldamento, forno F1; all'uscita da questo forno, mentre una parte dell'olio, come è stato detto sopra, va alla torre T3, una piccola frazione viene distillata nella torre T5, per separare un residuo più pesante dell'olio assorbente, e che è stato estratto dal gas. Infatti si cerca di mantenere il peso molecolare dell'olio assorbente tra 180 e 200. L'aumento del peso molecolare dell'olio assorbente si accompagna con una diminuzione del potere solvente. Il distillato è un petrolio, simile all'olio assorbente. Il miscuglio gassoso che esce dall'alto della torre T3 viene raffreddato e condensato. Una pompa riprende i prodotti liquidi, ne rianda una frazione all'alto della torre T3 dove questo liquido funziona da riflusso, mentre il rimanente portato a 14 kg/cm2 entra alla metà della torre T4. Qui il riscaldamento alla base della torre porta la temperatura a 115 °C: dall'alto esce il propano, dal basso il residuo, che viene decompresso a 6,5 kg/cm2 e immesso nella torre T4, dove pure regna una temperatura di 115 °C e dove si opera la separazione tra i butani, che escono dall'alto e la gasolina che esce dal basso.
Per ogni mille m3 di gas trattati si ottengono circa kg 50 di gasolina, kg 40 di propano (la resa di estrazione è del 75%) e butano (la resa di estrazione è del 99%), kg 7 di petrolio e kg 6 di residuo. Qualora si volesse separare anche l'etano, si potrebbe raffreddare il gas uscente dalla torre di deetanizzazione e poi liquefarlo.
Nei processi in cui si fa uso del raffreddamento il gas deve essere accuratamente privato di anidride carbonica e disidratato: per questa seconda operazione è opportuno adoperare il gelo di allumina almeno per l'essiccamento finale, facendolo eventualmente precedere da un essiccamento a glicol. Il gas poi viene raffreddato per espansione e in scambiatori di calore percorsi da propano liquido, che è stato a sua volta raffreddato in un ciclo di refrigerazione.
Le frazioni condensate si raccolgono nel fondo della torre di ricupero dalla sommità del quale esce il gas secco. Il liquido passa successivamente alle torri di depropanizzazione e di debutanizzazione da dove si ricuperano propano e butano: v. fig. 14. Per il recupero dell'etano occorre invece raffreddare il gas con un circuito ad etilene, e dopo la torre di ricupero, è inserita una torre di deetanizzazione.
Nel caso che il gas contenga elio in quantità apprezzabili e lo si voglia separare, occorre aggiungere un ciclo di refrigerazione a metano, per condensare anche il metano. Rimangono elio e azoto eventualmente presente, e si sottopone il gas ad una liquefazione frazionata, liquefacendo cioè l'azoto, in modo che da ultimo rimane solo l'elio allo stato gassoso.
Il sistema ad adsorbimento è il più antico: si ricorreva al carbone attivo. Il metodo si presta unicamente per separare gli idrocarburi liquidi da gas molto ricchi ed oggi è stato abbandonato.
Vi sono dei gas naturali che si sviluppano da profondità naturali e quindi si trovano ad alta pressione, superiori a 150 atmosfere; a queste pressioni i gas si saturano dei liquidi con i quali sono associati e poiché la tensione di vapore di un idrocarburo liquido, a contatto con un gas ad alta pressione è maggiore di quella che ha in presenza di gas a pressione più bassa, la pressione parziale dei vapori è di conseguenza più alta. Avviene per questo gas che diminuendo la pressione a temperatura ordinaria fino a un certo valore, si ha condensazione di liquido: questo fenomeno si chiama condensazione retrograda.
In qualche campo petrolifero, il gas viene ripompato nel giacimento per impedire che diminuisca la pressione di strato. Se si tratta di un gas che presenta il fenomeno della condensazione retrograda, lo si fa espandere in parte in modo da avere produzione di gasolina liquida, che si separa e poi il gas, ripreso da compressori, viene ri-immesso nel giacimento.
I gas di raffineria la cui composizione presenta il maggiore interesse per il ricupero dei gas liquefacibili, sono quelli provenienti dal reforming e cracking catalitico: i C3 e C4 ammontano complessivamente al 15-25% in peso della carica. Anche in questo caso si fa più frequentemente ricorso ad un sistema di assorbimento e frazionamento per distillazione. Come mezzo assorbente si impiega benzina stabilizzata e nella torre di assorbimento si invia benzina da stabilizzare insieme ai gas provenienti dal reforming e cracking: fig. 15.
Dalla torre di assorbimento escono dall'alto gli idrocarburi più leggeri, dal basso la benzina da stabilizzare, cioè contenente propano e butano. Questa benzina viene stabilizzata in una successiva colonna ed esce dal basso; una frazione viene rimandata alla torre di assorbimento, il resto costituisce uno dei prodotti dell'operazione. I C4 e C3 vengono poi frazionati in una successiva colonna.
Anche il sistema del raffreddamento e frazionamento è qualche volta usato.
L'adsorbimento selettivo con adsorbenti solidi, non è invece ritenuto economico.
Prodotti. - I prodotti del degasolinaggio del gas naturale sono la gasolina e i gas petroliferi liquefatti (GPL).
Gasolina naturale. - La gasolina naturale contiene isopentano, che è un componente della benzina avio. In molti impianti di degasolinaggio vi è una torre in più di quella che abbiamo visto, che serve per la deisopentanizzazione. La gasolina naturale ha di solito un buon numero di ottano rispetto alle benzine di distillazione, ed una buona suscettività al piombo tetraetile (v. carburanti, in questa App.). Tuttavia dato il livello ottanico raggiunto anche dalle benzine auto, il NO della gasolina non è più sufficiente, ed occorre trattarla o miscelarla con benzina di reforming e di cracking catalitico.
Gas petroliferi liquefatti (o GPL). - Sono costituiti dai C3 e C4. Se provenienti da gas naturali, da propano, butano e isobutano. Questi idrocarburi sono gassosi nelle ordinarie condizioni di temperatura e pressione, ma sono liquidi a pressioni relativamente basse: a 20° per il propano commerciale bastano circa 8,2 kg/cm2 di pressione relativa, per il butano commerciale circa 2,5 kg/cm2. Propano e butano possono perciò essere immagazzinati e trasportati allo stato liquido. Aprendo la valvola del recipiente il liquido vaporizza ed esce allo stato gassoso: un litro di liquido dà circa 270 litri di gas. Tre sono i vantaggi che hanno permesso ai GPL di essere accettati su larga scala per usi domestici, industriali e anche come carburanti: a) si trasportano facilmente a mezzo di autocisterne o cisterne ferroviarie; b) il potere calorifero di un volume di gas generato è circa 2,5 volte quello del gas naturale e 5 volte quello del gas di città; c) per l'evaporazione dal liquido in bombole, basta il calore dell'ambiente; la propria pressione permette l'erogazione attraverso un regolatore di pressione.
Il gas di petrolio liquefatto in bombole, mobili o fisse, serve principalmente per usi domestici, in luoghi non serviti da gas naturale o di città. In alcuni centri cittadini o in alcuni quartieri, lo si distribuisce in condutture da un impianto centralizzato. Per questo tipo di distribuzione si impiega generalmente propano, o allo stato puro o in miscele con aria; quest'ultima forma è soprattutto usata se si vuole usare propano in un centro già provvisto di condutture per gas a minore potere calorifico.
Inoltre, le officine del gas tradizionali, ne usano per sopperire alle punte di consumo, installando impianti relativamente poco costosi e che si possono avviare rapidamente, in cui il propano viene "riformato" con vapore d'acqua, cioè trasformato in una miscela di idrogeno e ossido di carbonio, che viene poi arricchita con propano (v. appresso § Gas di città).
I GPL vengono anche usati in talune fabbriche, per quegli usi che richiedono combustibili che bruciano senza dare residui e senza produrre fumi corrosivi: fabbriche di vetro, di materiali ceramici, officine per la lavorazione dei metalli sono tra gli utenti dei gas petroliferi liquefatti. Anche talune attività agricole ed alimentari possono richiedere questi combustibili, nonostante che il costo di essi sia generalmente più alto rispetto a quello dei combustibili convenzionali: nafta, carbone.
Gli usi chimici dei GPL portano a parlare dei prodotti ottenuti dal gas di raffineria. Le frazioni C3 e C4 ottenute dai gas di raffineria contengono anche propilene, butilene, isobutilene e butadiene. Ad eccezione di questo ultimo, gli altri idrocarburi non saturi possono essere contenuti nei GPL senza inconvenienti. D'altro canto possono anche servire per preparazioni petrolchimiche: così dal propilene, si ottengono alcool isopropilico, da cui acetone, glicoli propilenici, tetrameri che servono per la produzione di detersivi ed infine polipropileni; dai butileni, alcoli, butadiene per deidrogenazione; inoltre i butileni, con l'isobutano servono alla preparazione degli alchilati (v. carburanti, in questa App.).
Ricordiamo che nei gas provenienti dal cracking termico, è contenuto anche l'etilene, che, insieme al propilene, dette origine alle prime produzioni petrolchimiche.
Dati statistici. - I consumi di GPL in Italia tra il 1950 e il 1959, e la ripartizione percentuale tra i varî consumi negli ultimi 2 anni compaiono nelle tab. 7 e 8.
Gas di città.
Con questa denominazione si indica il gas artificiale o "manifatturato" ottenuto tradizionalmente dalla distillazione del carbon fossile, ed oggi, come si è già accennato, per aliquote crescenti a partire da materie prime diverse quali ad esempio: i prodotti petroliferi e lo stesso gas naturale quando non risulti conveniente distribuire quest'ultimo tal quale e si desideri "riformarlo" o convertirlo onde adeguarne convenientemente il potere calorifico e le caratteristiche di combustione ai valori che competono al gas ricavato dalla distillazione del fossile.
La richiesta di gas di città è ovunque in continuo progressivo aumento. Le ragioni sono molteplici e concrete; basti pensare al rendimento di trasformazione da energia primaria (carbone, nafta, ecc.) in energia secondaria (gas), che è ben più alto di quello spettante alla conversione dell'energia termica ricavabile dal carbone, dalla nafta o dal gas naturale, in energia elettrica, ed a questa considerazione aggiungere il buon rendimento degli odierni apparecchi a gas, sia per uso domestico sia per uso industriale, nonché la regolarità e la comodità della fornitura.
Tutto questo fa del gas un'energia pregiata. Da valutare però in termini di competizione con altre forme di energia parimenti nobili: dall'elettricità al gas naturale, all'intera gamma delle materie petrolifere ricavabili dal grezzo attraverso l'elaborazione di raffineria; ragione per cui l'industria gassistica è oggi in fase di aggiornamento e di trasformazione non potendo più, come per il passato, riposare su di una tradizione consolidatasi attraverso più di un secolo di vita sostanzialmente tranquilla, caratterizzata dal dominio incontrastato del carbon fossile quale materia prima di base: con la distillazione per ricavare la base dei diagrammi di produzione; con la gassificazione, di regola, per sopperire alle punte stagionali nonché ad eventuali incrementi marginali.
La distillazione del carbon fossile. - Alcuni fattori negativi ostacolano presentemente lo sviluppo dell'industria della distillazione del fossile la quale fornisce due prodotti mercantili: il gas ed il coke, che occorre collocare convenientemente sul mercato. Essi sono, per l'Europa, sostanzialmente: la non larga disponibilità di buoni carboni da coke e da gas, l'incremento della richiesta, il prezzo tuttora sostenuto, ma soprattutto la difficoltà di collocare il coke che dovrebbe prodursi onde seguire la richiesta crescente di gas di distillazione; coke il cui impiego, salvo per gli usi specifici come lo sono i chimici ed i metallurgici, viene da tempo assottigliandosi, combattuto con pieno successo dalla concorrenza delle materie petrolifere, del gas naturale e dell'elettricità.
La richiesta, e quindi il valore mercantile del coke per uso domestico, è favorevolmente influenzata dall'intensificarsi, in tutti i paesi, della lotta contro i fumi, ma non è affatto da escludere, nel prossimo futuro, un appesantimento progressivo del mercato, cioè la contrazione della richiesta ed il conseguente abbassamento del prezzo fino ad un limite al di sotto del quale la produzione del coke non risulterà più economica.
A questo punto la distillazione del carbone impostata sulla produzione dei due combustibili tradizionali per gli usi domestici: il gas di città ed il coke, avrà esaurito il suo compito e l'industria gassistica dovrà orientarsi verso altre materie prime interamente gassificabili, oppure verso la gassificazione totale degli stessi carboni fossili, perché evidenti ragioni, tutte sfavorevoli al coke: ingombro, riprese, pulizia, ecc., rendono la caloria del combustibile gassoso più gradita all'utente e per tanto più pregiata di quella del combustibile solido.
Queste considerazioni spiegano l'evoluzione della tecnologia della produzione del gas di città verso l'impiego di materie prime diverse dal tradizionale carbone da coke e da gas. È probabile tuttavia che il carbon fossile resti ancora per molto tempo come materia prima di base per la produzione del gas di città. Anzi, è tuttora lecito di pensare che in Europa esso possa conservare quel primato che ancora gli spetta, non solo, ma che il suo impiego si affermi e si allarghi ulteriormente attraverso trasformazioni radicali di indirizzo, essendosi da tempo la tecnica rivolta verso i carboni scadenti, come lo sono i carboni scarsamente o addirittura non adatti alla cokefazione, quali le ligniti, i minuti, ecc. Questi carboni fossili debbono peraltro essere avvantaggiati da un minor costo - riferito alla caloria gas da essi ottenuto - rispetto a quello del buon carbone fossile da coke e da gas.
La gassificazione dei combustibili solidi. - È questo un settore della produzione gassistica al quale si guarda con attenzione sempre maggiore e non solo - come è stato detto - per le richieste di punta, bensì per la stessa base dei diagrammi di produzione.
L'utilizzazione dei carboni non agglutinanti e non cokefacibili (fra i quali sono da comprendere le ligniti) può, fra l'altro, essere avviata verso questa destinazione e per precisare: verso l'ottenimento di "gas doppio" o di "gas integrale", perché non rigonfiando né agglomerandosi essi non intasano i gassogeni assicurando il loro regolare funzionamento.
Nel gassogeno per la produzione di "gas integrale" (v. sopra e fig. 1) il fossile che viene caricato nella parte superiore scende verso il basso attraverso delle camere calde percorrendo le quali distilla con formazione di gas e di semicoke che si spoglia vieppiù di materie volatili discendendo ulteriormente. Il riscaldamento è assicurato a mezzo del calore sensibile dei gas caldi in uscita attraverso opportune intercapedini.
Il funzionamento è a due fasi: la vera e propria "gassificazione" durante la quale il vapore d'acqua immesso dal fondo del gassogeno gassifica integralmente il coke e il semicoke lasciando come residuo le sole ceneri che vengono spurgate in continuo, e il "soffiamento", operazione la quale consiste - dopo aver interrotto l'immissione del vapore mediante valvole e saracinesche a comando automatico - nel soffiare dell'aria onde riportare al giusto livello la temperatura della massa del coke raffreddatasi durante la precedente fase di "gassificazione" per effetto della endotermicità della reazione di formazione del gas d'acqua risultante dalla gassificazione del coke sottoposto all'azione del vapore.
La miscela del gas d'acqua e del gas di distillazione ricavati durante la fase di "gassificazione" costituisce appunto il "gas integrale". Il "gas povero" originatosi invece durante la fase di "soffiamento", dopo aver ceduto parte del suo calore sensibile al fossile in entrata nel gassogeno, circolando attraverso delle apposite intercapedini, viene condotto a bruciare con aria nel surriscaldatore del vapore, il quale consiste in un impilaggio di materiale refrattario dove si accumula il calore di combustione di detto gas povero. Cessata la fase di "soffiamento" è automaticamente interrotto l'afflusso del gas povero ed al suo posto è inviato il vapore da surriscaldare prima della sua immissione nel gassogeno.
Il calore sensibile dei fumi provenienti dalla combustione del gas povero viene recuperato nella caldaia tubolare in coda all'impianto. In questo modo la massima parte del calore asportato dal gassogeno, soprattutto come calorie potenziali contenute nel gas povero della fase "soffiamento", ritorna al gassogeno stesso, insieme con il vapore, durante la fase di gassificazione.
I gassogeni nella pratica industriale sono alimentati con carboni in "pezzatura", i minuti ed i polverini dovendo essere esclusi perché ne provocherebbero l'intasamento. Ma siccome minuti e polverini costano meno del materiale in "pezzatura" e volendo evitare l'onere della brichettazione, l'attenzione dei tecnici è rivolta da tempo verso la loro gassificazione diretta; a questo scopo bene risponde il gassogeno Winkler (v. sopra).
I poteri calorifici del gas d'acqua, del gas integrale e del gas povero sono troppo bassi e debbono essere innalzati a quello del gas di distillazione del fossile mediante la carburazione con prodotti petroliferi: dal gasolio, all'olio combustibile, ai gas petroliferi liquefacibili: questi, che vengono introdotti generalmente insieme con il vapore nella fase di gassificazione, subiscono una conversione (cracking e reforming) che li rende del tutto idonei allo scopo, cioè all'arricchimento.
La carburazione è costosa; d'altra parte il futuro richiederà al gas manifatturato un potere calorifico il più possibile elevato nonché adeguate caratteristiche di intercambiabilità, non fosse altro che per seguire l'indirizzo verso l'accentramento della produzione in grosse unità ed il conseguente estendersi del trasporto a distanza, trasporto il quale, come è ovvio, se riferito a pari valore termico, risulterà tanto meno oneroso quanto più elevato sarà il potere calorifico e minore la densità del gas fluente nelle canalizzazioni della rete di distribuzione. In questa direzione particolare interesse presenta la gassificazione dei carboni poveri, non cokefacibili, con vapore ed ossigeno nel gassogeno Lurgi (v. sopra).
La pressione elevata non solo favorisce la formazione di CH4, ma apporta altri notevoli vantaggi che si riassumono: in una sensibile diminuzione delle dimensioni degli impianti di produzione e di purificazione del gas, e nell'eliminazione dell'operazione di compressione altrimenti necessaria per il suo trasporto a distanza.
Il potere calorifico del gas ottenuto con ossigeno e vapore sotto pressione, quando si marcia a gas di città, non supera di regola le 4000÷4100 kcal/m3. La sua densità, che è molto bassa a causa dell'elevato titolo di idrogeno, richiede degli aggiustamenti onde mettersi al riparo da una eccessiva perdita per sfuggite.
Buoni: la resa di gassificazione ed il bilancio termico. I costi sono, come è ovvio, agganciati essenzialmente a quelli della materia prima.
L'impiego dei prodotti petroliferi. - Si è già detto che l'industria del gas ha in uso di carburare il gas di gassificazione del carbone o del coke, con gas ottenuto a sua volta gassificando, convertendo o riformando quei prodotti petroliferi che il mercato offre a più vantaggiose condizioni: dai gas di discarica delle raffinerie agli olî residui pesanti (nafta). Per la tecnica e gli impianti della gassificazione degli olî minerali, v. sopra.
L'utilizzazione dei prodotti petroliferi non è più oggi relegata alle punte, bensì la si considera attentamente per la stessa base della produzione essendo la maggiore incidenza della materia prima petrolifera sul costo della caloria del gas prodotto, compensata con netto vantaggio dal minore gravame degli oneri relativo al minore investimento che gli impianti a petrolio richiedono rispetto a quelli a carbone a pari emissione termica oraria di gas, dal minor ingombro, dalla eliminazione dei parchi: fossile e coke, e soprattutto dal grado di automazione che - sempre rispetto ai tradizionali impianti a fossile - permette un notevole risparmio di manodopera. Il raffronto è rivolto in modo particolare alle costose batterie di distillazione del carbone.
La scelta delle materie petrolifere dipende, evidentemente, dal loro prezzo che, a sua volta, è legato a fattori variabili da paese a paese come è il caso ad esempio, per i gravami fiscali.
La tecnica della gassificazione delle materie petrolifere è in movimento avendo di mira: la riduzione dei costi attraverso l'impiego di materie di minor valore commerciale, il miglioramento dei rendimenti, le economie e la sicurezza dell'esercizio dei differenti procedimenti usati.
Impiego del gas naturale e dei gas petroliferi liquefacibili. - Il gas naturale (metano) interessa questa voce solo come materia prima per la produzione di "gas di città" o gas "manifatturato", cioè artificiale. È comunque da tener presente che l'evoluzione dell'industria del gas è indirizzata verso impieghi sempre crescenti di gas naturale, e tanto più lo sarà in seguito di mano in mano che nuove disponibilità si vengono evidenziando ovunque e si affinano le possibilità del trasporto a grandi distanze sia per gasdotto sia via mare, allo stato liquido, a mezzo di navi cisterna.
Supposta la disponibilità di gas naturale, dove non esiste in precedenza una distribuzione di "gas di città" è senz'altro conveniente distribuire del metano non miscelato con gas diluenti, come ad esempio: aria o gas povero. Perché il potere calorifico del metano è più del doppio di quello del consueto "gas di città".
Dove invece esiste la distribuzione del "gas di città", la sostituzione del gas naturale comporta la modifica dei bruciatori agli apparecchi dell'utenza perché le caratteristiche di combustione del metano sono differenti da quelle del gas di fossile. In compenso, stante il maggior potere calorifico del metano e la sua densità non eccessivamente elevata, risulta meglio utilizzata la capacità portante della rete di distribuzione.
Per abbassare il potere calorifico ed adeguarlo a quello del "gas di città" ottenuto dalla distillazione del fossile, il metano può esser miscelato: con aria, con gas povero, gas d'acqua, gas integrale, sempre che risultino soddisfatti i requisiti dell'intercambiabilità con il consueto "gas di città", cioè soddisfacentemente vicine risultino le caratteristiche di combustione di quest'ultimo e delle miscele su ricordate.
Il gas naturale lo si può inoltre rendere intercambiabile con il "gas di città" mediante "cracking" e "reforming" con vapor d'acqua su catalizzatore, in impianti simili, nel principio, a quelli descritti per i prodotti petroliferi in genere.
Parimenti, e costo permettendolo, i gas petroliferi liquefacibili ed in modo particolare il propano, possono esser immessi, previa gassificazione per riscaldamento, nelle reti di distribuzione, sia in miscela diretta con aria, con gas povero, gas d'acqua, gas integrale, sia dopo opportuno trattamento di "conversione" in un impianto di tipo catalitico.
Nell'industria del gas di città il propano seive oggi soprattutto a scopi marginali; per esempio: per sopperire alle punte giornaliere e stagionali del diagramma di produzione.
Altri aspetti e problemi relativi al gas di città. - La produzione di gas di città è indirizzata verso la concentrazione in grossi impianti ben ubicati rispetto all'approvvigionamento delle materie prime. L'evoluzione di quest'industria non riguarda solo i su ricordati aspetti di carattere generale relativi al settore della produzione. Ce ne sono altri parimenti importanti quali: l'automazione dei comandi e della regolazione in genere, la difesa dei materiali verso gli effetti deleterî della corrosione, le purificazioni, la distribuzione capillare, ecc., aspetti al cui miglioramento è indirizzato il lavoro dei tecnici avendo di mira la praticità, l'economia, la sicurezza.
In particolare, essendosi sviluppati enormemente i processi di conversione ossidante dei combustibili solidi, liquidi e gassosi, nel gas è aumentato il contenuto di CO e con esso è aumentata la tossicità. È sorto di conseguenza il problema della disintossicazione. Questo problema, risolto parzialmente nell'Officina gas di Basilea attraverso il normale processo di conversione del CO ed in corso di risoluzione a Winterthur attraverso il lavaggio del gas con soluzioni cuproammoniacali, è oggi allo stato di attento esame in ogni paese; trova però ostacolo alla realizzazione soprattutto per l'aggravio dei costi che deriverebbe dalla applicazione di questi processi.
L'accennato criterio della centralizzazione della produzione implica quello della distribuzione a distanza: in America i grandi gasdotti (pipe-lines) trasportano il gas naturale dai pozzi di produzione ai grandi centri urbani percorrendo migliaia di chilometri; in Europa grandi reti (solo in parte di gas naturale) ma soprattutto di gas di cokeria, assolvono con proporzioni relativamente minori, lo stesso compito. I grandi gasdotti della Germania Occidentale, dell'URSS, della Francia, del Belgio e dell'Italia, sono ben noti.
Innovazione recente è quella dello stoccaggio sotterraneo del gas prodotto. Si utilizzano all'uopo per lo più pozzi di petrolio o di metano esauriti ed in questi si immette a pressione gas naturale o gas prodotto in officine gas e cokerie accuratamente depurato. Data l'enorme capacità che hanno questi depositi (fino a centinaia di milioni di m3) è possibile in tal modo tendere ad un alto coefficiente di utilizzazione dei metanodotti che servono le reti urbane e ad una utilissima regolarità di marcia degli impianti di produzioue dei gas combustibili.
Ancora più recente il trasporto oltre mare di gas naturale mantenuto liquido alla pressione atmosferica. Il gas naturale liquefatto, dal Venezuela raggiunge già l'Inghilterra in navi cisterna dotate di serbatoi in acciaio inossidabile o alluminio termicamente isolati; è travasato all'arrivo sempre allo stato liquido e conservato, in tale stato, in serbatoi di deposito a terra pure alla pressione atmosferica (−164 °C). Evaporato, è quindi immesso in reti urbane dell'area di Londra. L'esperimento, il cui risultato è stato brillante, sembra passibile di ulteriori sviluppi anche per l'utilizzazione del metano del Sahara e della zona settentrionale della Libia.
Il potere calorifico del gas di città che, fino a pochi anni or sono, era compreso in tutto il mondo tra i valori di 4.000 e 4.800 kcal/Nm3 e prevalentemente intorno a 4.200 kcal/Nm3, copre ora una gamma molto più vasta di valori. Si passa infatti dalle 9.000 kcal/Nm3 delle reti a gas naturale puro, alle 4.200 kcal/Nm3 delle reti a gas industriale prodotti da carbone e da petrolio. Fra questi due valori estremi esistono naturalmente anche numerosi valori intermedî di reti miste.
Le reti di distribuzione si sono sviluppate progressivamente con l'estendersi delle zone urbane. Alle reti già esistenti se ne sono sovrapposte altre: alla distribuzione a raggiera classica della bassa pressione (70÷150 mm di colonna d'acqua) si è aggiunta la distribuzione ad anello a medie o alte pressioni. Dalla rete di alta pressione il gas, a mezzo di riduttori regolatori di pressione, va ad alimentare la rete di bassa pressione o talora l'apparecchio di utilizzazione. Sovente oggi il regolatore riduttore di pressione è incorporato nello stesso contatore dell'utente.
L'utilizzazione del combustibile sotto la forma gassosa, che è la più consona alle esigenze della vita moderna, si estende continuamente e di conseguenza si rende necessaria la disponibilità di volumi sempre maggiori di gas (v. tab. 9 e 10).
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