GAS (parola creata da J. B. van Helmont nella sua descrizione del gas ora chiamato anidride carbonica: "halitum illum gas vocavi non longe a chao veterum" [Orius medicinae, pubblicato postumo nel 1648])
Questa parola denota genericamente ogni sostanza che si trovi nello stato di aggregazione detto aeriforme (o gassoso), caratterizzato dalla tendenza a espandersi e a occupare tutto il volume disponibile, per quanto grande esso sia e qualunque sia la sua forma.
Lo stato gassoso, come ogni stato di aggregazione, dipende dalle condizioni di temperatura e pressione, e non è affatto caratteristico della sostanza, cosicché quando si dice, per es., che l'aria è un gas, s'intende dire che è tale nelle ordinarie condizioni di temperatura e pressione, mentre in altre condizioni può presentarsi come un liquido o anche un solido (v. aria). In questo senso si possono citare come esempî di gas i seguenti corpi semplici: idrogeno, elio, azoto, ossigeno, fluoro, neo, cloro, argo, nito o emanazione; e molti composti, fra cui: anidride carbonica (CO2), ossido di carbonio (CO), acido cloridrico (HCl), idrogeno solforato (H2S), ammoniaca (NH3). Si chiama gas per antonomasia il gas illuminante (v. appresso).
Distinzione fra gas e vapori. - Si credette, fino ai lavori di T. Andrews (1869), L. P. Cailletet e R. Pictet (1878), che alcuni gas si potessero liquefare comprimendoli sufficientemente, mentre per altri fosse impossibile la liquefazione: questi ultimi furono detti gas permanenti o incoercibili, mentre i primi si considerarono come vapori dei corrispondenti liquidi. Oggi invece si sa che tutti gli aeriformi si possono liquefare, purché si portino al disotto di una certa temperatura, caratteristica di ciascuno di essi, detta temperatura critica, e si comprimano sufficientemente: la sola compressione, per quanto spinta, non basta se il gas si trova a una temperatura superiore a quella critica. La difficoltà di liquefazione dei gas ritenuti incoercibili dipendeva dal fatto che la loro temperatura critica era assai inferiore alle temperature ordinarie, ma oggi si è riusciti a liquefare anche il più incoercibile di tutti i gas, cioè l'elio, la cui temperatura critica è −267,8°. Cade quindi l'antica distinzione intrinseca tra gas permanenti e vapori. La distinzione che si fa oggi tra gas e vapori non è intrinseca, ma relativa alla temperatura: un aeriforme si chiama gas quando è al disopra della sua temperatura critica, e vapore quando è al disotto. Tuttavia per lo più non si tien conto di questa distinzione, e con la parola gas si denotano spesso anche i vapori (così, per es., la teoria cinetica dei gas si applica a tutti gli aeriformi).
Leggi dei gas perfetti. - I gas, quando non sono troppo vicini alle condizioni di liquefazione, seguono con molto buona approssimazione le leggi seguenti. Un gas che le seguisse esattamente si chiamarebbe gas perfetto.
1. Legge di Boyle (pubblicata da R. Boyle nel 1661 e, indipendentemente, da R. Mariotte nel 1676). - A temperatura costante, la pressione di una data massa di gas è inversamente proporzionale al volume che essa occupa. Se, per es., si costringe una certa quantità di aria in un volume metà di quello che occupava prima, senza variarne la temperatura, la pressione diventerà doppia; cioè il prodotto della pressione per il volume, per una data massa di gas a data temperatura, si mantiene costante. In formule, chiamando p la pressione e V il volume, e sottintendendo la costanza della massa e della temperatura, la legge di Boyle si scrive pV = cost.
2. Legge di Volta e Gay-Lussac (trovata dal Volta nel 1793 per l'aria e il vapor d'acqua non saturo, ed estesa dal Gay-Lussac nel 1802 ad altri gas). - Aumentando la temperatura di 1° (a pressione costante), il volume di qualunque gas aumenta sempre della medesima frazione α del volume occupato a 0°. Il numero α (coefficiente di dilatazione) risulta secondo le più recenti misure dato da α = 0,00366 = 1/273,2. Questa legge è espressa dalla formula
dove V è il volume a t0 e V0 il volume a 0°.
Analoga legge vale se si fa variare la temperatura tenendo costante il volume: allora la pressione varia secondo la formula
dove α ha lo stesso valore dato sopra, e p, p0 indicano rispettivamente la pressione a t° e a 0°.
Le due leggi, di Boyle e di Volta-Gay-Lussac, si possono esprimere con una sola equazione, la quale lega la pressione p e il volume V di una data massa di gas con la temperatura t (una siffatta equazione si dice, in generale, equazione di stato di una sostanza): essa è, per i gas perfetti
e si chiama equazione caratteristica dei gas perfetti.
Se s'introduce in luogo della temperatura centrigrada t, la temperatura assoluta T, definita da T = t +1/α (ossia praticamente T = t + 273) le formule precedenti assumono un aspetto più semplice, poiché il binomio di dilatazione 1 + αt risulta eguale a αT e quindi la formula (1) diviene
ossia dice che il volume (a pressione costante) varia proporzionalmente alla temperatura assoluta; l'equazione di stato (3) diviene
dove la costante αp0 V0 dipende solo dalla natura del gas e dalla sua quantità. Ove poi si tenga presente che una molecola-grammo di un gas, a 0° e 760 mm. di pressione, occupa sempre il volume di l. 22,4135, qualunque sia il gas, si vede che se la (3′) si riferisce a una molecola-grammo, cioè se si considera una massa di gas di tanti grammi quante sono le unità del peso molecolare, la costante αp0 V0 ha un valore indipendente dalla natura del gas: essa si indica con R, e si dice costante dei gas. Il suo valore risulta (se si misurano le pressioni in atmosfere e i volumi in litri)
e in unità assolute CGS (cioè misurando le pressioni in dine per cm2. e i volumi in cm3.)
L'equazione caratteristica dei gas diviene allora
dove v rappresenta il volume occupato da una molecola-grammo di qualunque gas, alla pressione p e alla temperatura assoluta T.
L'equazione di stato di una sostanza si può rappresentare graficamente costruendo un diagramma cartesiano rappresentante l'andamento della pressione di una data massa di essa in funzione del volume, supposta costante la temperatura: ripetendo la costruzione per diversi valori della temperatura, si hanno altrettante curve, dette isoterme. Per i gas perfetti, queste sono rami di iperboli equilatere, poiché la loro equazione è pv = cost. La fig. 1 rappresenta le isoterme dell'aria, determinate sperimentalmente, per temperature comprese fra −200° e 2400°, e per pressioni inferiori a 10 atmosfere: esse sono praticamente identiche a delle iperboli equilatere, perché in tale intervallo l'aria è un gas quasi perfetto.
Miscugli di gas. - In una miscela di più gas, si chiama pressione parziale di uno dei gas componenti la miscela la pressione che esso avrebbe se occupasse da solo lo stesso volume che è occupato dalla miscela, alla stessa temperatura. Si verifica che la pressione della miscela è eguale alla somma delle pressioni parziali dei singoli gas (legge di Dalton). Volta trovò questa legge fin dal 1795, ma non la pubblicò, e fu solo più tardi che il Dalton, indipendentemente, la ritrovò e ne fece oggetto di pubblicazione.
Le proporzioni dei gas formanti una miscela s'indicano spesso mediante le loro pressioni parziali, i cui rapporti risultano eguali ai rapporti in volume dei varî componenti.
Deviazioni dalle leggi dei gas perfetti.
Isoterme dei gas reali e continuità degli stati gassoso e liquido. - Le isoterme d'una qualsiasi sostanza, in vicinanza delle condizioni di passaggio dallo stato liquido al gassoso o viceversa, hanno l'andamento raffigurato dalla fig. 2, che si riferisce a esperienze fatte sull'anidride carbonica a temperature non lontane dalla sua temperatura critica che è 31° (le curve grosse, in alto a destra, sono le isoterme dell'aria, prese per confronto alle stesse temperature: esse hanno andamento iperbolico, essendo assai lontana la temperatura critica). Come si vede, per temperature inferiori a 31° l'isoterma dell'anidride carbonica presenta un tratto orizzontale, a sinistra del quale la pendenza è assai più ripida che non a destra. La parte di curva a sinistra corrisponde infatti allo stato liquido, che è praticamente incompressibile, cioè una piccola variazione di volume corrisponde a una forte variazione di pressione, donde la forte pendenza; la parte a destra corrisponde allo stato gassoso e ha andamento simile a quello di un'iperbole, salvo la minore pendenza, denotante maggiore compressibilita (cfr. le isoterme dell'aria, nella stessa figura); il tratto rettilineo corrisponde allo stato in cui una parte della sostanza è liquefatta e una parte allo stato di vapore saturo, cosicché una variazione di volume non provoca mutamento di pressione, ma solo condensazione di vapore o vaporizzazione di liquido. Nell'isoterma di 31° (curva a punti radi) il tratto rettilineo si riduce a un semplice flesso corrispondente alla pressione di 72 atmosfere (pressione critica): in tali condizioni il liquido e il gas non sono distinguibili tra loro. Per temperature superiori a 31°, il tratto orizzontale manca del tutto, poiché manca la liquefazione.
Il diagramma resta così diviso in varie regioni. Lo spazio al disopra dell'isoterma critica corrisponde a condizioni in cui l'aeriforme è un gas e non un vapore. Lo spazio al disotto è diviso in tre regioni: quella dei tratti rettilinei (limitata dalla curva tratteggiata) corrisponde alla divisione della sostanza in una fase liquida e una aeriforme (vapor saturo); quella a sinistra di questa corrisponde allo stato liquido; quella a destra allo stato di vapore non saturo. La considerazione più importante che si può trarre da questo diagramma è la possibilità di passare dallo stato liquido all'aeriforme e viceversa senza nessun brusco cambiamento di stato, cioè variando in modo continuo la densità e le altre proprietà della sostanza: infatti, preso un punto nella regione corrispondente al liquido, e uno in quella corrispondente al vapore o al gas, è sempre possibile congiungerli con una linea continua senza attraversare la regione limitata dalla curva tratteggiata. I punti di questa linea rappresentano una successione di stati che conducono insensibilmente dallo stato liquido all'aeriforme.
Equazione di van der Waals. - Varie formule sono state proposte, in sostituzione della (4), per rappresentare con maggiore approssimazione il comportamento dei gas reali: la più notevole, anche perché suscettibile di una giustificazione teorica, è quella proposta dal van der Waals in una celebre memoria (Leida 1873) nella quale non solo si rappresenta con una sola equazione di stato un liquido e il suo vapore, ma si mette per la prima volta in evidenza la possibilità di un passaggio continuo dallo stato gassoso al liquido.
L'equazione che il van der Waals sostituisce alla (4) è la seguente:
dove v, p, R, T, hanno lo stesso significato che hanno nella (4), mentre a e b sono due costanti caratteristiche della sostanza. Questa equazione rappresenta abbastanza bene la rete delle isoterme del tipo della fig. 2, salvoché il tratto rettilineo è sostituito da un tratto ad andamento quasi sinusoidale (v. fig. 3): questo nell'isoterma corrispondente a T = 8 a/27Rb è ridotto a un flesso a tangente orizzontale, e in quelle corrispondenti a temperature maggiori manca del tutto. La temperatura critica Tc è dunque legata alle costanti a, b, dalla relazione
la pressione corrispondente (pressione critica) è data da
Così a e b possono essere determinate mediante la misura di Tc e pc. Diamo i loro valori per alcune sostanze (supposto di misurare p in atmosfere e v in cmc.).
Considerazioni supplementari di stabilità permettono di spiegare perché nella realtà si osserva un tratto rettilineo invece del tratto ad andamento sinusoidale, e la termodinamica permette di calcolare l'esatta posizione di esso.
Liquefazione dei gas. - Da quanto si è detto sopra si comprende che la liquefazione di un gas è in pratica tanto più difficile quanto più bassa è la sua temperatura critica Tc. I gas per cui Tc è superiore alle ordinarie temperature si possono liquefare per semplice compressione (cioè sono facilmente "coercibili"): tali sono CO2, N2O, C2H2, HCl, H2S, C2N2, NH3, Cl2, SO2. Si osservi però che anche per questi conviene - sebbene non sia necessario - associare alla compressione il raffreddamento, perché la pressione necessaria a liquefare il gas è tanto minore quanto più la sua temperatura differisce (in meno) da Tc. I gas invece per cui Tc è inferiore alle ordinarie temperature non si possono liquefare senza raffreddamento: tali sono O2, H2, N2, CH4, NO, CO. Teoricamente si potrebbero liquefare questi gas anche alla pressione atmosferica, bastando per ciò raffreddarli al disotto del loro punto di ebollizione a questa pressione: in pratica conviene esercitare anche una certa compressione, per innalzare il punto di ebollizione e rendere quindi minore il raffreddamento necessario.
Sembra che la prima esperienza di liquefazione di un gas risalga al 1799, quando M. van Marum ottenne l'ammoniaca liquida con la compressione a 6 atmosfere, ma tale risultato è stato discusso. Le prime esperienze importanti di liquefazione di gas furono pubblicate da M. Faradav nel 1823. Egli si serviva di un semplice tubo di vetro robusto, della forma della fig. 4: in A erano poste le sostanze che, scaldate, davano luogo allo svolgimento del gas, in B si otteneva la condensazione per effetto dell'alta pressione esercitata dal gas nel tubo, e del raffreddamento prodotto da un miscuglio frigorifero in cui era immersa l'estremità B. In tal 1rodo furono liquefatti dal Faraday Cl2, SO2, H2S, CO2, N2O, C2N2, NH3, e da H. Davy l'HCl. In seguito (1845) il Faraday pubblicò delle ricerche fatte con un altro metodo, consistente nel comprimere il gas, mediante una pompa a 40 atmosfere, raffreddandolo fino a −110° con un miscuglio refrigerante (CO2 solida ed etere, a pressione ridotta): così ottenne liquidi (e in parte anche solidi) C2H4, PH3, SiFl2, BFl3, HI, N2O, HBr, H2S. A tutti questi metodi però resistettero i gas dell'aria, l'idrogeno, il metano, il biossido d'azoto e l'ossido di carbonio. La liquefazione di alcuni di essi segnò un progresso notevole in questo campo, e fu ottenuta nel 1877 da L. P. Cailletet e da R. Pictet, contemporaneamente, ma indipendentemente. Il Cailletet riuscì ad ottenere l'ossigeno liquido in modo stabile, mentre nel caso dell'idrogeno, dell'azoto e dell'aria riuscì solo a vedere delle nuvolette indicanti una transitoria liquefazione. L'idea fondamentale del suo metodo - sulla quale sono fondati quasi tutti i processi moderni di liquefazione dei gas - è quella di utilizzare il raffreddamento che subisce generalmente un gas nell'espandersi; perciò il gas viene dapprima compresso a una pressione assai superiore a quella alla quale deve avvenire la liquefazione, indi lasciato espandere sino a questa pressione, e allora una parte del gas passa allo stato liquido. L'espansione può avvenire senza esecuzione di lavoro esterno (come quando il gas viene fatto effluire attraverso uno stretto foro), oppure con esecuzione di lavoro esterno, come quando il gas è fatto entrare in un cilindro munito di pistone, che esso sposta espandendosi. Nel primo caso il raffreddamento è dovuto al fatto che le molecole, allontanandosi, debbono vincere la loro mutua attrazione e perciò consumare una parte della loro forza viva: tale raffreddamento (effetto Joule-Thomson) mancherebbe del tutto in un gas perfetto, ed è generalmente piccolo nei gas reali. Nel secondo caso a questo raffreddamento si aggiunge quello dovuto al calore trasformato in lavoro esterno. Il secondo metodo sembrerebbe quindi il migliore, ma in pratica si presentano gravi difficoltà per la lubrificazione di organi in movimento (pistoni, ecc.) a così basse temperature. Tali difficoltà sono state in parte superatc in vario modo (lubrificazione ad aria liquida, a etere di petrolio, ecc.) nella macchina di C. Claude e in altre: tuttavia nella maggior parte dei casi si preferisce il primo metodo, che non richiede organi in movimento a contatto con sostanze fredde.
Un altro principio fondamentale applicato nella liquefazione dei gas è il cosiddetto "principio di rigenerazione", introdotto da C. P. G. Linde nel 1895: esso consiste nell'utilizzare il gas, già raffreddatosi per espansione, per raffreddare il gas compresso in arrivo, cosicché l'espansione è applicata nella macchina di Linde per la liquefazione dell'aria, e in virtù di essa tale liquefazione costituisce oggi un processo industriale abbastanza economico e largamente applicato (v. aria). Altri contributi notevoli alla liquefazione dei gas furono apportati da A. Andrews (cui è dovuto il concetto di temperatura critica), da E. Wróblewski e K. Olszewski, H. Kamerling-Onnes, G. Dewar, e altri. La maggior parte delle ricerche moderne sulle bassissime temperature sono state eseguite nel grande laboratorio appositamente attrezzato a questo scopo da H. Kamerling-Onnes a Leida e diretto, dopo la morte di lui, da W. H. Keesom.
Nel laboratorio di Leida si applica su vasta scala il sistema dei cicli successivi, cioè si comincia a liquefare un gas facilmente coercibile, indi si utilizza il freddo prodotto dalla sua evaporazione e pressione ridotta per liquefare un altro gas meno coercibile, e così via. Tale processo è necessario, per es., per la liquefazione dell'idrogeno, poiché questo gas, finché non è raffreddato al disotto di −80° circa, si riscalda, invece di raffreddarsi, quando si espande senza compiere lavoro: perciò è necessario, prima di sottoporlo al processo Linde, raffreddarlo con aria liquida. Il primo a ottenere l'idrogeno liquido in quantità sensibile fu G. Dewar nel 1898; in seguito egli ottenne anche l'idrogeno solido (punto di solidificazione −258,°9), mediante il raffreddamento prodotto da una rapida evaporazione dell'idrogeno liquido, a pressione ridotta.
Il gas che ha opposto maggiori difficoltà alla liquefazione è stato l'elio, la cui temperatura critica è −268° (cioè 5° assoluti): l'elio liquido fu ottenuto per la prima volta da Kamerling-Onnes il 10 luglio 1908, a Leida, e con ciò fu definitivamente provato che non esistono gas realmente incoercibili.
Teoria cinetica dei gas.
Concetti fondamentali. - Un gas è costituito da un grandissimo numero di molecole in movimento incessante: le loro distanze reciproche sono grandi rispetto alle loro dimensioni, cosicché ognuna di esse per la maggior parte del tempo non risente alcuna azione sensibile da parte delle altre, e solo di tanto in tanto viene a collisione con esse, o con le pareti del recipiente. Gli urti contro le pareti, essendo così frequenti e numerosi che non è possibile percepirli separatamente, si manifestano nel loro insieme con una forza tendente a respingere le pareti stesse: questa è la spiegazione della pressione del gas. Essa aumenta se il gas si comprime in un volume minore perché, divenendo le molecole più fitte, gli urti su ogni cm.2 di parete divengono evidentemente più frequenti. Fra un urto e l'altro, le molecole si muovono per inerzia, e quindi di moto rettilineo uniforme (trascurando l'azione della gravità che modifica assai poco il movimento, data la grande velocità di esso): gli urti producono bruschi cambiamenti di direzione e di velocità. La fig. 5 dà un'idea qualitativa della struttura di un gas: essa rappresenta schematicamente l'aria alla pressione normale, ingrandita tre milioni di volte; i dischetti rappresentano molecole (la forma circolare è puramente schematica). In un cm.3 d'aria vi sono in tutto 2,705.1019 molecole: se ognuna di esse avesse il diametro di un mm., e si mettessero a terra l'una accanto all'altra, con le molecole di un cm.3 d'aria si potrebbe coprire tre volte l'Europa (invece il loro diametro è circa 37 milioni di volte più piccolo). La fig. 6 dà un'idea del movimento delle molecole; essa rappresenta il movimento di tre molecole d'aria durante l'intervallo di 10-8 secondi, ingrandito 100.000 volte: ogni vertice delle tre spezzate corrisponde a un urto con un'altra molecola non raffigurata nel disegno. Questo movimento, nell'aria in condizioni normali, avviene con velocità dell'ordine dei 2000 km. all'ora, e in ogni secondo una molecola subisce in media circa 5000 milioni di urti. (Questi numeri sono dati qui solo come indicazioni qualitative; più avanti si accennerà alle leggi che li determinano esattamente in varî casi). Il movimento delle molecole costituisce il calore del gas: l'energia termica in esso accumulata non è che la somma delle energie cinetiche o forze vive di tutte le molecole, e quindi il moto di queste è tanto più veloce, quanto più alta è la temperatura. Aumentando la temperatura dei gas, a volume costante, la pressione aumenta perché gli urti contro le pareti, pur essendo egualmente numerosi, divengono più violenti.
Questa teoria, qui accennata solo qualitativamente nelle sue linee generali, rende conto assai bene delle varie proprietà dei gas, come in parte risulta da quanto si dirà più oltre: essa ha ricevuto tante e così dirette e variate e precise conferme, da non esservi oggi il minimo dubbio sulla realtà delle sue ipotesi fondamentali.
Per dedurre dalle ipotesi fondamentali della teoria le loro conseguenze non si potrebbe certamente proporsi di determinare, con gli usuali procedimenti della meccanica, il moto di ogni singola molecola: ma per fortuna vi è un metodo che trae profitto proprio dallo sterminato numero di molecole che costituiscono il gas per determinare le proprietà d'insieme di questo senza indagare il moto di ogni molecola, così come i fenomeni sociali d'una popolazione si possono studiare nel loro insieme senza conoscere la vita di ogni singolo individuo del paese: è questo il metodo statistico. Esso è fondato sulla legge dei grandi numeri (v. probabilità), in virtù della quale il calcolo delle probabilità, applicato a un sistema di casi immensamente numerosi, permette di enunciare dei risultati la cui certezza è praticamente assoluta. Così la teoria cinetica dei gas determina in genere solo le condizioni più probabili in cui si troverà il gas, ma la probabilità di uno scostamento sensibile da queste condizioni è praticamente nulla. P. es., in un cm. o d'aria alla pressione e temperatura normali, invece del preciso numero di molecole dato dalla teoria (e indicato approssimativamente più sopra), ve ne possono essere in certi istanti di più, in certi di meno, ma la probabilità che lo scostamento da questo numero superi un milionesimo è espressa dal numero, straordinariamente piccolo, 10-6.000.000. Questi scostamenti, chiamati fluttuazioni, possono a loro volta essere studiati col calcolo delle probabilità.
Cenno storico. - Che i gas siano costituiti di piccolissime particelle in movimento, si trova affermato nell'antichità da Lucrezio il quale ricavò le sue idee sulla struttura della materia da Leucippo, Democrito ed Epicuro: ma tale affermazione non aveva alcun fondamento razionale, mancando a quegli antichi filosofi la conoscenza dei fenomeni che giustificano l'ipotesi cinetica, cosicché si deve ritenere casuale la parziale somiglianza di talune idee dei detti filosofi con le idee moderne. J. Jeans così si esprime a questo proposito: "Dato il gran numero di pensatori meditanti sulla struttura della materia, non fa meraviglia, secondo le leggi della probabilità, che alcuni di essi siano arrivati assai vicino alla verità. Un'opinione che finisce per essere presso a poco sicura non ha tuttavia maggior valore, per il progresso della scienza, di un'opinione erronea, finché la ragione scientifica non ha autorizzato a ritenere la prima più esatta della seconda". Il primo che ha riconosciuto che molte proprietà dei gas si potevano spiegare semplicemente col moto delle loro minutissime particelle pare sia stato P. Gassendi; idee analoghe enunciò indipendentemente da lui, trent'anni dopo, R. Hooke. L'idea cinetica assume forma più precisa nella Hydrodynamica di Daniele Bernoulli (Strasburgo 1738) in cui è dedotta matematicamente la legge di Boyle. Ma solo un secolo dopo, cioè dopo che da un lato la chimica ebbe scoperto i fondamenti sperimentali dell'ipotesi atomica (v. atomo), e dall'altro i lavori di B. Rumford, R. Mayer e J. P. Joule ebbero messo in chiaro la natura del calore e la sua equivalenza al lavoro, la teoria cinetica ebbe interi i suoi fondamenti, e ricevé un grande impulso per opera principalmente di R. Clausius e C. Maxwell. Da allora la teoria si sviluppò per opera di numerosissimi scienziati: tra questi occupa un posto preminente L. Boltzmann (v.), che ha, tra l'altro, il merito di aver mostrato la vera natura del secondo principio della termodinamica collegandolo con la teoria dei gas.
Fino a questo punto la teoria cinetica non aveva altro valore fuorché quello d'una interpretazione, ingegnosissima e assai completa, ma sempre ipotetica, delle proprietà dei gas: essa fu per questo svalutata dalla scuola cosiddetta "energetica", che ebbe a capo W. Ostwald, e che preferiva impiegare i metodi della termodinamica, coi quali si possono prevedere molte proprietà dei gas senza fare alcuna ipotesi sulla loro costituzione. Ma nel 1908 la realtà dell'ipotesi molecolare ebbe la più diretta ed evidente conferma come fu riconosciuto dallo stesso Ostwald) dalle esperienze di J. Perrin, che attraverso i moti browniani rese visibile l'agitazione termica delle molecole e permise di misurare in valore assoluto la massa di queste (mentre la chimiea dà solo i rapporti delle masse delle varie molecole), ossia di misurare il "numero di Avogadro", che ad essa è strettamente legato: questo numero si è poi determinato in molti modi diversi, utilizzando fenomeni svariatissimi e trovando sempre risultati concordanti. È questa, secondo il Perrin, la più convincente prova della realtà molecolare: essa fa uscire la teoria cinetica dal campo delle ipotesi per conferirle il valore d'un fatto sperimentalmente accertato.
Recenti progressi della teoria cinetica sono connessi allo studio del movimento degli ioni e degli elettroni, ossia alle varie forme di passaggio dell'elettricità attraverso i gas: essi sono dovuti a P. Langevin, F. Lenard, J. J. Thomson, J. Franck, J. S. Townsend, A. H. Compton, ecc. Infine, recentemente (1926) E. Fermi, applicando un nuovo criterio statistico sviluppato in connessione alla teoria dei quanti, ha studiato i gas in quelle particolari condizioni (altissima pressione e bassissima temperatura) in cui si dicono "degeneri" (v. Rend. Acc. Linc., III, p. 145; e Zeitschr. f. Phys., XXXVI, p. 902): questa teoria si è mostrata suscettibile di ampie applicazioni in varî altri rami della fisica.
Teoria dei gas perfetti. - Per un gas formato di molecole così piccole, rispetto alle loro distanze, da poterle considerare puntiformi, e tali da non esercitare tra loro forze sensibili finché non vengono a contatto, si dimostra, in base alle leggi della meccanica, che si ha la relazione
dove p è la pressione, V il volume, m la massa della i-esima molecola, c la sua velocità, e la somma è estesa a tutte le molecole del gas. Dunque il prodotto pV è eguale a ⅔ della forza viva totale delle molecole del gas: se si ammette che questa dipenda solo dalla temperatura, se ne deduce che a temperatura costante è pV = cost. (legge di Boyle). Se si considera non una quantità qualunque, ma una molecola-grammo del gas, e si chiama v il suo volume, la (6) si scrive
dove la somma va estesa alle N molecole contenute in una molecola-grammo (N = 6,064.1023 è il numero di Avogadro, v.). Per trovare poi che relazione c'è tra la forza viva delle molecole e la temperatura, si confronti la (4) con la (6′): si vede subito che è
cioè che la forza viva totale è proporzionale alla temperatura assoluta. Si supponga ora che le molecole abbiano tutte la stessa massa m, e si introduca una velocità C (detta talvolta, impropriamente, velocità media) definita in modo che il suo quadrato sia la media dei quadrati delle velocità delle varie molecole: allora 1/2 mC2 rappresenterà la forza viva media (di traslazione) di una molecola, cioè sarà
Allora da (7) si ha,
Il rapporto R/N è lo stesso per tutti i gas, poiché tale è R (come si è detto più sopra) e tale è anche N in virtù del principio di Avogadro: esso è una costante universale detta costante di Boltzmann e s'indica con k; il suo valore è, in unità CGS, k = 1,3709.10-16. La (8) allora si può scrivere
La (8) permette di calcolare la velocità media delle molecole d'un gas conoscendo la temperatura e la massa delle molecole: essa è
Allo zero assoluto (273°,2 sotto lo zero centigrado) la velocità delle molecole sarebbe nulla: si osservi però che per temperature vicine allo zero assoluto la teoria precedente va sostituita con quella del Fermi, a causa della degenerazione del gas.
Teoria dei gas imperfetti. - Le condizioni enunciate al principio del paragrafo precedente non sono esattamente soddisfatte dai gas reali, e a questo è dovuto il loro scostamento dalle leggi di Boyle e di Volta e Gay-Lussac. Si è cercato in varî modi di tenerne conto. Una delle teorie più semplici è quella che conduce all'equazione di van der Waals. Secondo tale teoria la (6′) va corretta per due ragioni: a) le molecole non sono puntiformi, e quindi ciascuna di esse ha a disposizione un volume minore del volume v del gas: perciò nella (6′) si deve sostituire v con v-b, dove la costante b (chiamata covolume) dipende dalla grandezza delle molecole, e si dimostra che è eguale al quadruplo del loro volume totale; b) le molecole si attirano leggermente tra loro, a distanza, il che produce sul gas lo stesso effetto che sarebbe prodotto da una compressione esterna: si trova che esso equivale ad aumentare la pressione di una quantità a/v2, dove la costante a dipende dalla legge dell'attrazione tra le molecole. Con queste due correzioni il primo membro della (6′) diviene quello della (5), e, tenuto conto della (7) si ha proprio l'equazione di van der Waals.
La distribuzione delle velocità. - Le molecole di un gas non hanno tutte la stessa velocità: se in un certo istante l'avessero, è evidente che ben presto alcune molecole, per una serie di urti casualmente favorevoli, acquisterebbero velocità maggiori, mentre altre verrebbero rallentate. Una delle questioni fondamentali della teoria cinetica è la ricerca di una distribuzione di velocità tra le varie molecole, tale che non venga alterata dagli urti, cioè tale che in ogni istante siano tante le molecole che dalla velocità di componenti u, v, w, passano a quella di componenti u′, v′, w′ quante quelle che subiscono il passaggio inverso. È evidente che questa sarà la distribuzione che regna normalmente in un gas. Questo problema fu risolto dal Maxwell e poi dal Boltzmann, che trovò lo stesso risultato con un metodo meno semplice, ma molto più rigoroso. Il risultato è il seguente. Si chiami
il numero delle molecole la cui velocità ha componenti comprese fra u e u+du, v e v+dv, w e w+dw (la lunzione F caratterizza la distribuzione delle velocità in grandezza e direzione): si trova
dove n è il numero totale delle molecole, e β è una costante dipendente da T, di cui si vedrà più sotto il significato e l'espressione (v. form. 12). Da questa legge si ricavano, con semplici integrazioni, varie formule interessanti:
a) Il numero delle molecole, la cui componente x di velocità è compresa fra u e u+du (essendo qualunque le altre due componenti) è dato da
b) Il numero delle molecole la cui velocità ha una grandezza compresa fra c e c+dc è
La funzione (che caratterizza la distribuzione delle velocità in sola grandezza) è rappresentata graficamente dalla fig. 7: il massimo corrisponde a c = β, cosicché β rappresenta la velocità più probabile.
c) Dalla (11) si può ricavare la media dei quadrati delle velocità, che già abbiamo chiamato C2: si trova C2 = 3/2 β2. Confrontando questa con la (8) si trova l'espressione di β in funzione della temperatura:
La vera velocità media c invece risulta
Entropia e probabilità. - Il teorema H. - La dimostrazione di Boltzmann della formula (9) è fondata sulla considerazione della quantità
dove F è la funzione (da determinare) che caratterizza la distribuzione delle velocita, e gl'integrali sono estesi da −∞ a +∞. Il Boltzmann riuscì a dimostrare, con considerazioni meccaniche, che gli urti hanno per effetto di far decrescere, o al più lasciare invariata, la funzione H (teorema noto col nome di teorema H): dalla condizione che si verificasse il secondo caso dedusse l'espressione di F per un gas in condizioni stazionarie. Ma la quantità H ha anche un interesse in sé. Si chiami W la probabilità termodinamica dello stato considerato, vale a dire il numero di modi (che si suppongono egualmente probabili) in cui si può distribuire la velocità tra le singole molecole in modo che ve ne siano F (u, v, w) du, dv, dw, con velocità di componenti comprese fra u, v, w e u + du, v + dv, w + dw: risulta allora che H= −log W. D'altra parte si può dimostrare che, chiamando S l'entropia del gas, si ha, a meno di una costante,
se ne deduce che l'entropia è legata alla probabilità della relazione
Il teorema H allora appare, considerando la (14), come la giustificazione meccanica del fatto che l'entropia del gas, supposto isolato, cresce o al più rimane stazionaria (secondo principio della termodinamica). La relazione (15), dimostrata da Boltzmann per un gas, vale in generale per qualunque sistema e mostra il significato statistico del secondo principio della termodinamica.
Legge generale della distribuzione dell'energia. - Finora abbiamo fissato l'attenzione solo sulle velocità di traslazione delle molecole, trattandole come se fossero punti materiali sprovvisti di moti interni o di rotazione e non soggetti a forze esterne: ma questo caso è solo una prima approssimazione alla realtà: la meccanica statistica dà il modo di trattare anche il caso di un gas di cui ciascuna molecola è una macchina complicata quanto si vuole, purché siano soddisfatte certe condizioni assai larghe, di cui la più importante è quella che presuppone il massimo disordine nei moti molecolari (caos molecolare). Per enunciare il risultato fondamentale di questa teoria supponiamo dapprima che tutte le molecole siano costituite da sistemi meccanici simili, a f gradi di libertà, e riferiamo ciascuna di esse a un sistema di coordinate lagrangiane (q1, q2,..... v. cinematica, n. 34), atte a individuare sia la posizione nello spazio sia la configurazione interna. A queste coordinate corrispondono altrettanti momenti p1, p2,. . . pf che sono legati alle velocità q1 q2,. . .qf da semplici relazioni lineari. L'energia E della molecola si compone dell'energia potenziale U (q1, q2,. . .qf) e della forza viva L (q1, q2,. . .qf, p1, p2. . .pf): essa è quindi una funzione delle q e delle p. Ciò premesso, la legge di cui parliamo serve a determinare il numero delle molecole per le quali, in condizioni di equilibrio termico a temperatura T, le coordinate sono comprese fra q1 e q1 + dq1, q2 e q2 + dq2,. . . qf, e qf + dqf e i momenti tra p1 e p1 + dp1, p2 e p2+ dp2,. . .pf e pf + dpf: tale numero si mette, analogamente a quanto si è fatto nelle (9), (10), (11), sotto la forma
e si trova che la funzione F è data da
La F dipende dunque dalle q e dalle p solo per il tramite dell'energia E: la costante A si determina con l'ovvia condizione che, integrando la (16) rispetto a tutte le variabili e per tutti i valori che esse possono assumere, si trovi il numero totale n di molecole, cioè che
Se poi il gas, anziché essere formato di molecole tutte simili, contiene più specie di molecole, per ciascuna specie vale una formula come la (17), ma la costante A è da determinarsi separatamente per ogni specie.
La (17) è una formula d'importanza capitale. Da essa, p. es., si ritrova subito, per il caso particolare delle molecole puntiformi, non soggette a forze, la (9), osservando che in tal caso E=m/2 (u2 + v2 + w2) e che richiedendosi solo la distribuzione rispetto a u, v, w, e non rispetto a x, y, z, si deve integrare la (17) rispetto a queste variabili, ma essendo E indipendente da esse, l'integrazione si fa solo sul prodotto dx, dy, dz e dà per risultato il volume V del gas.
Gas in un campo di forza: formula barometrica. - Un'altra applicazione della (17) si può fare, indagando l'equilibrio di un gas soggetto a una forza esterna derivante da un potenziale, come è p. es. la gravità. In tal caso le molecole non saranno più distribuite uniformemente nello spazio, e per trovarne la densità ν (numero delle molecole per unità di volume in funzione delle coordinate x, y, z), si può applicare la (17) ponendovi E = U + L, dove U (u, y, z) è l'energia potenziale della molecola nel posto x, y, z, chiamando x, y, z, le coordinate q1, q2, q3. Allora per avere il numero ν (dx, dy, dz) di molecole contenute nell'elemento di volume dx, dy, dz bisognerà integrare la (16) rispetto a tutte le coordinate eccetto le prime tre, e rispetto a tutti i momenti, il che dà
e siccome U non contiene nessuna delle variabili d'integrazione, il fattore
si può portare fuori del segno di integrale: si trova allora
dove si è conglobato nella costante B il risultato dell'integrazione, che non dipende da x, y, z. P. es., nel caso della gravità, essendo U = mgz (se si prende l'asse z rivolto verso l'alto) si trova
e se si pensa che ν è proporzionale alla densità, si riconosce in questa la cosiddetta formula barometrica, che si ottiene anche con considerazioni puramente aerostatiche.
L'equipartizione dell'energia e l'ipotesi di Avogadro. - Dalla (17) discende un teorema di fondamentale importanza, chiamato teorema dell'equipartizione dell'energia, di cui la (8′) non è che un caso particolare. Per enunciarlo, dobbiamo anzitutto osservare che si dimostra, in base alle proprietà delle forme quadratiche, che si può sempre scegliere il sistema di coordinate q1, q2,. . .qf in modo che la forza viva L (che in generale è una forma quadratica nelle p) manchi dei termini misti cioè si riduca alla forma
Ciascuno degli f termini Ai pi2 si chiama allora energia cinetica dell'i-esimo grado di libertà. Ciò premesso, il principio dell'equipartizione afferma che: in un sistema in equilibrio termico a temperatura assoluta T, ad ogni grado di libertà compete in media l'energia cinetica 1/2 kT. È per questo che, in particolare, poiché una molecola ha tre gradi di libertà di traslazione, la sua forza viva di traslazione è il triplo di 1/2 RT, come si è visto sopra (v. 8.). Questo principio è uno dei più notevoli risultati della così detta meccanica statistica: esso deriva dalle leggi della meccanica classica e da alcuni postulati probabilistici come quello del caos molecolare. A tali postulati sono state date diverse forme, e quindi si sono date varie dimostrazioni del teorema dell'equipartizione. Esso è confermato dall'esperienza finché si resta nelle condizioni in cui si può ritenere valida la meccanica classica: per temperature molto vicine allo zero assoluto e per densità eccezionalmente grandi, intervengono considerazioni quantistiche, e il principio non vale più. Si trova p. es. in tal caso che, per i gradi di libertà di vibrazione, detta ν la frequenza, l'energia cinetica media non è 1/2 kT ma
dove h = 6,547.10-27 è la costante di Planck (v. quanti).
Dimostrato vero il principio dell'equipartizione, si può dare una dimostrazione assai semplice del fatto, introdotto come ipotesi da Avogadro e confermato sperimentalmente in molti modi, che volumi eguali di gas contengono, alla stessa temperatura, un egual numero di moleeole. Di questa ipotesi ci siamo serviti più sopra per stabilire che nella (8) il rapporto R/N ha un valore indipendente dalla natura del gas. Se viceversa si parte dal principio dell'equipartizione, se ne deduce che, dati due gas alla stessa temperatura, il primo membro della (8) deve avere lo stesso valore per entrambi, e quindi lo stesso deve avvenire per N, poiché R e T sono eguali per i due gas.
Calori specifici dei gas. - Per i gas è opportuno definire due calori specifici: il primo Cv (calore specifico a volume costante) è la quantità di calore necessaria a riscaldare di 1° un grammo del gas, racchiuso in un recipiente inestendibile; il secondo Cp (calore specifico a pressione costante), è la quantità di calore necessaria a riscaldare di 1° un grammo del gas, lasciandolo espandere in modo che la sua pressione non varii. Spesso i calori specifici si riferiscono ad una molecola-grammo anziché a un grammo e si esprimono in erg anziché in calorie: li indicheremo allora con cp e cv; questi si ottengono evidentemente da Cp e Cv moltiplicandoli per il peso molecolare e per l'equivalente meccanico della caloria. Quando si riscalda il gas a pressione costante, esso, espandendosi, compie un lavoro contro la pressione esterna: perciò il calore che gli si fornisce non solo serve ad aumentare la forza viva delle molecole, ma in parte anche si trasforma in lavoro meccanico: quindi Cp > Cv (e cp > cv). Con un semplice ragionamento termodinamico si trova
relazione confermata dall'esperienza.
La teoria cinetica permette di calcolare cv [e quindi per la (21) cp]. Considereremo solo il caso dei gas perfetti, nei quali, mancando 0gni forza mutua tra le molecole, non vi è da considerare per esse alcuna energia potenziale dipendente dalla loro mutua distanza: tutta l'energia termica del gas è energia cinetica delle sue molecole. Nel caso di molecole sensibilmente puntiformi, come sono le molecole monoatomiche, la loro energia cinetica è rappresentata solo dalla forza viva di traslazione, ossia è, per una molecola-grammo del gas, 3/2 RT; aumentando T di 1°, questa aumenta di 3/2R: dunque per un gas monoatomico
Se invece le molecole sono biatomiche, ognuna di esse si può schematizzare come una coppia di punti rigidamente connessi, e ha allora 5 gradi di libertà, e cioè 3 di traslazione e 2 di rotazione. Allora, per il principio dell'equipartizione, la sua energia cinetica totale è di 5/2 kT e per N molecole è 5/2RT: questa rappresenta l'energia termica della molecola-grammo. Si ha allora in modo analogo al precedente
Questi risultati sono bene verificati dall'esperienza, purché non si scenda a temperature troppo vicine allo zero assoluto: per tali temperature la teoria dei quanti fa prevedere che i calori specifici debbano essere funzioni crescenti di T, e l'esperienza conferma questa previsione.
Il cammino libero medio e i fenomeni che ne dipendono. - Il percorso rettilineo di una molecola tra due urti successivi si dice cammino libero. I varî cammini liberi di una molecola hanno lunghezze assai diverse, potendo avvenire che due urti si seguano casualmente a breve distanza o che interceda fra essi un intervallo relativamente lungo. In molti fenomeni, come la diffusione, la viscosità, la conduzione termica e altri, interviene la considerazione della lunghezza media dei cammini liberi, che si chiama cammino libero medio: tale nozione fu introdotta per la prima volta dal Clausius. Vi sono varî modi di definire questa lunghezza media: il più naturale è quello di dividere lo spazio complessivo percorso dalla molecola in 1 secondo, per il numero degli urti da essa subiti in questo tempo. È evidente che il cammino libero medio λ è tanto minore quanto più fitte sono le molecole e quanto maggiore è il loro diametro, perché tali circostanze rendono più frequenti gli urti: si trova precisamente
dove ν è il numero delle molecole per unità di volume (che, per un determinato gas, è proporzionale alla densità) e σ è il loro diametro. A questo proposito si osservi che l'urto fra due molecole non è in realtà un urto tra due sfere elastiche, come molte volte lo si concepisce per semplicità: le molecole vanno piuttosto pensate come centri di forza la cui azione mutua è trascurabile al di là di una certa distanza chiamata raggio d'azione: quando una molecola entra nella sfera d'azione di un'altra, la forza che essa ne risente cresce gradatamente con l'avvicinarsi delle due molecole e produce una deviazione delle loro traiettorie, deviazione rapida, ma non brusca come sarebbe nel caso di un urto di sfere elastiche. L'urto è dunque da definirsi più rigorosamente come l'avvicinarsi di due molecole a distanza inferiore al raggio d'azione. Adottando questa veduta più generale e più conforme alla realtà si deve intendere che σ nella (24) rappresenti il raggio d'azione.
Quanto al ν della (24) esso si ottiene facilmente osservando che, se in un volume v ci sono N molecole, si ha ν = N/v; ora, considerando che per una molecola-grammo a pressione p e temperatura T il v si può ricavare dalla (4) e N è il numero di Avogadro, si trova subito
Di qui si vede che ν (a pari temperatura) è proporzionale a p, e quindi il cammino libero medio è inversamente proporzionale alla pressione.
Il cammino libero medio si può determinare sperimentalmente mediante uno qualunque dei fenomeni sopra citati, che da esso dipendono; ma è stato anche misurato direttamente dal Born nel 1920, con un'ingegnosa esperienza. Dalla conoscenza di esso si può, mediante la (24) determinare il diametro, o meglio il raggio d'azione, delle molecole; si trovano per esso generalmente valori dell'ordine di 10-8 cm. Il cammino libero medio, nell'idrogeno a 0° e 760 mm. di pressione, è di cm. 1,12.10-5: nell'aria esso è naturalmente diverso per le diverse specie di molecole, ma sempre dello stesso ordine di grandezza.
Bibl.: Le opere d'interesse storico e alcune memorie su argomenti particolari sono state citate nel testo: qui indichiamo alcuni dei numerosi trattati moderni sulla teoria cinetica dei gas: E. Bloch, Théorie cinétique des gaz, Parigi 1925; C. Del Lungo, Elementi della teoria cinetica dei gas, Bologna s. a.; J. H. Jeans, The dynamical Theory of Gases, Cambridge 1921, trad. francese di A. Clerc, Parigi 1925; L. B. Loeb, Kinetic Theory of Gases, New York e Londra 1927; J. Perrin, Les atomes, Parigi 1927. Inoltre, v. le opere seguenti, che contengono uno o più capitoli dedicati alle proprietà dei gas o alla teoria cinetica: G. Castelfranchi, Fisica moderna, Milano 1930; E. Fermi, Introduzione alla fisica atomica, Bologna 1928; O. Murani, Tratt. elem. di fisica, I, Milano 1922; H. Ollivier, Cours de physique générale, II, Parigi 1913.
Gas combustibili naturali.
Frequentemente si riscontrano emanazioni naturali di gas combustibili costituiti essenzialmente da idrocarburi. Spesso provengono dalla decomposizione di sostanze organiche sepolte a poca profondità e sono i gas delle paludi, gas delle torbiere, ecc., costituiti quasi esclusivamente da metano. Esempî cospicui in Italia se ne riscontrano nella pianura pisana, in talune isole dell'Estuario veneto, e nelle torbiere delle paludi pontine. Altre volte hanno origine profonda e sono in relazione coi giacimenti di petrolio. In tal caso la loro composizione è più complessa, potendovisi riscontrare la presenza d'idrocarburi, da CH4 a C11H24. Il metano ne costituisce ancora la parte più cospicua, ma vi si uniscono l'etano, in proporzione considerevole, e altri idrocarburi in minore quantità.
Le analisi seguenti rendono evidente la variabilità della composizione quantitativa di tali gas.
La diversa composizione dei gas naturali è da porsi in relazione con la loro provenienza da giacimenti di petrolio e con la conseguente possibilità di trascinare nella loro ascesa notevoli quantità d'idrocarburi liquidi. Altre volte invece sono grandi quantità di gas che eruttano violentemente dai fori di trivellazione per la ricerca del petrolio. La miscela d'idrocarburi liquidi leggieri che viene trascinata dal gas si dice gasolina ed è analoga alla benzina. Essa viene separata dalla parte gassosa con metodi diversi di compressione o di assorbimento. A seconda del contenuto, scarso o copioso, di gasolina, i gas naturali vengono distinti in asciutti e umidi e la loro composizione complessiva è diversa, prevalendo negli asciutti il metano, come appare dalla comparazione delle due analisi:
Alcuni gas naturali si distinguono per il loro contenuto in elio: si tratta di tenori che raggiungono un massimo di 3,4% (gas di Elk County, Kansas). Per le applicazioni che l'elio, gas leggiero e incombustibile, può trovare in aeronautica, alcune delle più cospicue sorgenti gassose negli Stati Uniti furono utilizzate per ricavarne elio. Se ne estrassero 35.000 mc. nel 1925 dai campi di Petrolia e Nocoma nel Texas settentrionale che dànno gas al 0,9% di He. Oggi si sfrutta a questo scopo il campo di Amarillo, pure nel Texas, con gas al 1,75% di He. Estese e varie sono le utilizzazioni dei gas naturali che costituiscono un combustibile ottimo e molto economico. Negli Stati Uniti le sorgenti più abbondanti vengono captate e i gas trasportati sotto pressione con estese tubazioni, che oggi complessivamente superano i 60.000 km., alle vicine città. L'esempio più noto di siffatta utilizzazione è dato dalla città di Pittsburg in Pennsylvania. Abbondanti sorgenti vengono utilizzate anche negli stati di Ontario e di Alberta nel Canada. Una delle sorgenti più abbondanti d'Europa è in Transilvania con una portata annua di 2½ milioni di mc. di gas costituito per la massima parte da metano a 8500 calorie per mc.
In Italia le piccole miniere di petrolio e i fuochi dell'Appennino Emiliano ne forniscono in abbondanza. Dalle statistiche del Servizio minerario nel 1930, risulta una produzione di mc. 8.698.500 utilizzati nelle miniere e nelle ricerche per azionare i macchinarî di trivellazione e di pompaggio o, come i fuochi di Barigazzo, per centrali termoelettriche. Si possono anche usare in vetture automobili con motori alimentati da gas naturale compresso, che offrono rendimento molto economico, ma autonomia limitata. Dai gas naturali si possono ricavare, inoltre, nerofumo, carbone per elettrodi, composti clorurati del carbonio, ecc.
Fra i gas combustibili naturali va annoverato il grisou che si forma spontaneamente nelle miniere di carbon fossile e anche di altre miniere (p. es. di zolfo), ed è costituito principalmente da metano (77 a 99%) e in proporzioni variabili da CO, O, N.
Gas illuminante.
Il gas illuminante (fr. gaz d'éclairage; sp. gas de alumbrado; ted. Leuchtgas; ingl. illuminating gas) un tempo ottenuto esclusivamente dalla distillazione secca dei carboni fossili, oggi è anche ottenuto mescolando il gas di distillazione con gas d'acqua più o meno carburato, o dai forni a coke nelle regioni in cui si fa grande produzione di questo combustibile (v. coke). Mentre fino a qualche tempo fa esso era adoperato esclusivamente per illuminazione, oggi è prevalentemente usato per riscaldamento domestico.
Cenno storico. - La scoperta che i carboni fossili, riscaldati fuori del contatto dell'aria, si decompongono e liberano un gas combustibile, fu verosimilmente dovuta a J. J. Becher di Monaco nel 1682; essa fu confermata da S. Hales nel 1727 e da J. Clayton nel 1739, senza che però si addivenisse a qualche pratica applicazione. Nel 1785 J. P. Minckelers dell'università di Lovanio, illuminò con questo gas l'aula delle lezioni, ma anche questa esperienza e quella successiva (1787) per illuminare l'abbazia di Culross non fecero intravedere la possibilità di uno sfruttamento industriale del processo di distillazione del carbon fossile, con una pubblica distribuzione del gas prodotto.
Furono Ph. Lebon in Francia e W. Murdoch in Inghilterra che quasi contemporaneamente, sul finire del sec. XVIII, cercarono di passare dalle piccole esperienze dimostrative all'impresa industriale e commerciale. Il Lebon cercò di distillare il legno e ideò e fece funzionare delle termolampade con le quali illuminò la propria casa e il giardino a Saint-Germain (1802), ma il gas prodotto ardeva con grande difficoltà, non essendo depurato da quei prodotti liquidi, catramosi, che si formavano durante la distillazione. Il Lebon intravedeva già la possibilità di creare una nuova industria dallo sfruttamento di questi sottoprodotti, quando morì pugnalato da ignoti nel 1804. Contemporaneamente il Murdoch, utilizzando il litantrace, di cui l'Inghilterra abbondava, era riuscito ad illuminare col gas prodotto dalla distillazione lo stabilimento di Soho (Birmingham) della ditta Boulton, Watt & C. Il problema della depurazione del gas s'impose subito anche al Murdoch, ma esso venne rapidamente risolto con l'aiuto di J. A. Winsor (che pare conoscesse le esperienze di Lebon) e di S. Clegg con metodi e apparecchi che ancor oggi si riscontrano nelle loro linee fondamentali nelle officine da gas.
A qualche anno di distanza da queste esperienze il gas entrò nel dominio industriale. In Inghilterra fin dal 1807 fu utilizzato per illuminare il Pall Mall di Londra. Nel 1812 venne fondata con privilegi reali la Charktered Gas Light and Coke Co. e il Clegg costruì la prima officina da gas (fig. 1) in Peter Street (Westminster); nel 1813 il ponte di Westminster e nel 1816 tutte le principali vie di Londra furono illuminate a gas.
Nel 1823 circa una cinquantina di città inglesi erano già fornite del nuovo sistema d'illuminazione. In Francia nel 1819 il Winsor fondava la prima officina di Parigi. In Germania il Blockmann nel 1825 otteneva il privilegio di costruire un'officina da gas a Dresda e la Imperial continental gas Association, costituitasi a Londra nel 1826, fondava le officine di Berlino e di Hannover. In Italia un primo esperimento venne compiuto nel 1818 a Milano da L. Porro Lambertenghi e da F. Confalonieri, con una macchina a gas costruita a Londra, ma il progetto del Confalonieri per l'illuminazione a gas del teatro della Scala non ebbe seguito. Nel 1832 fu illuminato a gas il liceo S. Caterina di Venezia e venne aperta al pubblico, illuminata a gas, la galleria De Cristoforis di Milano. Infine nel 1838 per decreto di Carlo Alberto fu autorizzata la costituzione di una Compagnia per l'illuminazione a gas della città di Torino. Seguirono gl'impianti di Venezia (1839), Genova (1844), Alessandria, Verona, Parma (1845), Bologna (1846), ecc. Negli Stati Uniti d'America sembra che il primo tentativo d'impianto di gas sia stato fatto da Henfrey a Baltimora nel 1802, ma lo sviluppo dell'industria in quel paese fu però lentissimo: nel 1866 la produzione complessiva degli Stati Uniti non raggiungeva quella della sola città di Londra.
Fino al 1850 circa il catrame ottenuto come sottoprodotto nelle officine da gas veniva per la massima parte bruciato; soltanto piccole quantità servivano per verniciare il legno o per produrre nero fumo. La diffusione delle ferrovie e la convenienza d'impregnare le traversine ferroviarie con olî di catrame fecero sorgere la nuova industria della distillazione del catrame ottenuto allora esclusivamente nelle officine da gas. Sorse in quell'epoca anche l'industria dei coloranti sintetici, la quale, usando come materie prime i costituenti degli olî di catrame, richiese largamente questo prodotto, rendendone presto insufficienti i quantitativi ottenibili nelle officine da gas. Nel 1865 s'iniziava poi una grande trasform9zione nell'industria della distillazione del coke metallurgico (vedi coke) con notevole influenza sull'industria del gas illuminante. I metodi di depurazione del gas vennero allora estesi alle cokerie e i perfezionamenti successivamente introdotti nella costruzione dei forni a coke permisero di utilizzare come gas illuminante una frazione sempre più cospicua del gas prodotto. La stessa industria del gas venne portata ad adottare i tipi di forni usati per il coke metallurgico, con notevole risparmio nella mano d'opera e nel consumo di carbone per il riscaldamento dei forni. Tale evoluzione nell'industria del gas è stata possibile per l'evolversi delle stesse utilizzazioni del gas. Fintanto che esso era bruciato a fiamma libera, non si poteva scendere oltre un certo limite nel potere calorifico e luminoso, perché la luminosità della fiamma (v. fiamma) dipende dal carbonio messo in libertà dagl'idrocarburi pesanti contenuti nel gas e portati all'incandescenza nell'interno della fiamma, né era possibile ottenere un gas con sufficiente tenore in idrocarburi pesanti ed elevato potere calorifico distillando il carbone nelle condizioni realizzate per avere coke metallurgico. Dopo la scoperta di K. Auer von Welsbach (1880) sulle proprietà emissive delle terre rare incandescenti e la conseguente introduzione delle retine Auer nell'illuminazione a gas, e successivamente dopo il diffondersi dell'uso del gas per riscaldamento nell'economia domestica, il gas fu utilizzato sempre più esclusivamente come sorgente di calore, indipendentemente dal potere luminoso della sua fiamma.
Processo di distillazione. - Riscaldando fuori del contatto dell'aria carbon fossile si formano: gas, prodotti acquosi condensabili, catrame e rimane un residuo carbonioso: il coke. Per quanto ogni tipo di fossile possa dare per distillazione un gas combustibile, nell'industria del gas illuminante si preferiscono i litantraci grassi lunga fiamma (v. carbone) detti perciò anche carboni da gas. Essi dànno 300-350 mc. di gas per tonn. di carbone e lasciano come residuo un coke bene agglomerato. La decomposizione dei carboni per azione del calore s'inizia sotto i 300°, con emissione di vapor d'acqua, col crescere della temperatura si sviluppano poi idrocarburi saturi CnH2n+2 (metano e omologhi) e in quantità minori idrocarburi non saturi CnH2n e CnH2n−2 in cui n è tanto minore quanto più elevata è la temperatura. Verso i 350° la decomposizione (pirolisi) procede con grande rapidità e forte sviluppo di vapori catramosi (v. catrame) e di gas permanenti fra i quali compare l'idrogeno. A 450° la distillazione, per quanto riguarda il catrame, è praticamente finita.
Nell'industria del gas illuminante la temperatura dei forni di distillazione oscilla fra gli 800° e i 1100°; però mentre le pareti dei forni sono mantenute a questa temperatura, il carbone assume molto lentamente e solo in contatto con le pareti la temperatura di queste. La parte centrale del carbone che distilla rimane a una temperatura che è tanto più bassa quanto maggiore è la capacità del forno e tanto più breve la permanenza dello stesso carbone nell'interno del forno. Si comprende in tal modo come variano quantitativamente e qualitativamente i prodotti della distillazione secondo le modalità con cui questa viene eseguita. Gli idrocarburi paraffinici, naftenici, idro-aromatici, che si formano per primi, si decompongono con l'aumento della temperatura. La naftalina, ad esempio, si libera già sopra i 400° da idronaftaline, ma l'esaidrobenzolo si decompone soltanto verso gli 800° per dare benzolo, mentre il toluolo e i xiloli si formano a temperature più basse (700° e 600°). Queste decomposizioni avvengono con messa in libertà d'idrogeno. Fino a 600° il tenore in idrogeno nel gas di distillazione non supera il 25%; sopra gli 800° esso aumenta rapidamente, mentre diminuisce il tenore in metano e in altri idrocarburi che, fino a 800° circa, rappresentano quasi il 60% del gas. Lo stesso metano a temperature superiori si decompone in idrogeno e carbonio e mentre il primo contribuisce a elevare il rendimento in volume del gas prodotto, il carbonio contribuisce a cementare il coke residuo e si deposita in parte sulle pareti del forno (carbone di storta) o va ad accumularsi nel catrame. Anche riscaldando a 1500° il coke trattiene sempre tracce di azoto, ossigeno e idrogeno.
Ad esempio la composizione del gas ottenuto per distillazione d'un carbone della Saar (avente la composizione C:77,2%; H:5%; O+N; 9,3%, umidità 2%; ceneri 6,5%) con un rendimento di 302 mc. per tonn., varia durante la distillazione così: all'inizio della distillazione, composizione percentuale: idrogeno, H2 : 28,3; metano, CH4 : 46,6; ossido di carbonio, CO : 9,4; idrocarburi pesanti, Cn Hm : 9,4; anidride carbonica, CO2:4; ossigeno e azoto, O2 + N2:2,3; potere calorifico, Cal/mc. : 6930. A metà distillazione: idrogeno: 49; metano: 31,7; ossido di carbonio: 8,1; idrocarburi pesanti: 4,3; anidride carbonica: 2; ossigeno e azoto: 4,9; potere calorifico: 5100. Alla fine della distillazione: idrogeno: 55,3; metano: 27,2; ossido di carbonio: 8,8; idrocarburi pesanti: 1,7; anidride carbonica: 1,8; ossigeno e azoto: 5,2; potere calorif.: 4380. La media della composizione risulta come segue: (idrogeno: 45,2; metano: 35; ossido di carbonio: 8,6; idrocarburi pesanti: 4,4; anidride carbonica: 2; ossigeno e azoto: 4,8; potere calorifico: 5320).
Consegue la necessità, nelle officine del gas, di sfasare rispetto al tempo le operazioni di carico e scarico dei forni di distillazione e di avere dei serbatoi (gasometri) sufficientemente capaci di garantire una mescolanza del gas prodotto, in modo da erogare nella rete di distribuzione un gas di composizione possibilmente costante.
L'azoto contenuto nei carboni (1-2%) solo in parte si svolge allo stato gassoso elementare; circa il 50% rimane nel coke, il 15% circa si sviluppa come ammoniaca, l'1-1,5% si ha come cianogeno, piridina, ecc. Lo zolfo, invece, e precisamente quella parte che non contribuisce a formare le ceneri, si libera per la massima parte come idrogeno solforato, in piccola quantità va a formare solfuro di carbonio, solfocianuri, tiofene, ecc.
Si calcola che 100 kg. di un buon carbone da gas diano circa: 30-35 mc. di gas (16-19 kg.; densità o,40-0,42), 6568 kg. di coke, 5 kg. di catrame, 8 kg. di acque ammoniacali. Perdite: circa 3 kg.
Fabbricazione del gas. - Forni di distillazione. - Per la distillazione del carbon fossile si usarono per tutto il secolo scorso, e nelle piccole officine si usano ancora oggi, storte cilindriche orizzontali, di argilla refrattaria, a sezione pressoché ellittica (asse verticale: 3035 cm., asse orizzontale: circa 60 cm.) lunghe circa 3 metri, in generale raggruppate in forni da 7, 9 e fino a 12 storte.
Le storte sono chiuse a un'estremità e terminano dall'altra con una specie di flangia alla quale è adattata una testa in ghisa, con apertura mobile per il carico e lo scarico della storta. Alla testa è innestato direttamente, con giunto a bicchiere, un tubo verticale cilindrico in ghisa (detto colonna montante) per lo smaltimento del gas, il quale termina in alto nel bariletto (v. catrame, figura 1), posto sopra il forno, che funziona da valvola idraulica e dove avviene una prima parziale condensazione del vapor d'acqua e del catrame. Il bariletto è a sua volta in comunicazione col tubo che porta il gas dai forni di distillazione agli apparecchi di depurazione (v. fig. 2). Il carico e lo scarico delle scorte si compie per lo più a mano attraverso la testa della scorta. Ci sono anche varî mezzi meccanici.
Per facilitare le operazioni di carico e scarico con mezzi meccanici si sono introdotti impianti a storte orizzontali, dette passanti, di lunghezza doppia delle precedenti, munite alle due estremità di due teste in ghisa. con porta mobile, per l'introduzione del fossile e per lo scarico del coke (fig. 3). Per rendere automatico lo scarico del coke le storte di distillazione si dispongono anche inclinate, a circa 450, o del tutto verticali (figura 4). In questi casi il litantrace viene versato, per mezzo di benne mobili, nell'interno della storta per l'apertura superiore, mentre il coke si scarica per gravità, a distillazione finita, aprendo le porte inferiori delle storte. La durata della distillazione dipende dalla capacità degl'impianti. Nelle piccole storte orizzontali è di 3÷4 ore, in quelle verticali può raggiungere le 12 ore.
Dal 1910 si sono diffusi, specialmente nelle grandi officine, impianti di distillazione a camere, adattando all'industria del gas i forni in uso per la produzione del coke metallurgico (v. coke). Il carbone viene distillato in camere orizzontali, specie di corridoi o canali in muratura refrattaria, a sezione rettangolare, lunghe 6-10 m., alte 2-3,50 m., larghe circa 0,50 m., nelle quali il carico del fossile e lo scarico del coke si compiono come nei forni a coke metallurgico (fig. 5). Oltre che forni a camere orizzontali si costruiscono anche forni a camere inclinate e a camere verticali nelle quali il coke si scarica per gravità (figg. 6, 7). Le camere verticali possono raggiungere i 9-10 metri d'altezza e vi si distillano fino a 10 tonn. di carbone per giorno e per camera. La durata della distillazione nei forni a camere è di 12-14 ore.
Mentre nei primi impianti le storte venivano riscaldate con le fiamme dirette di un focolare a griglia, oggi il riscaldamento delle storte o delle camere si compie per mezzo di gassogeni, nei quali una parte del coke prodotto viene gassificato a gas misto, il quale brucia poi con aria preriscaldata attorno alle storte o alle camere; i prodotti della combustione, prima di andare al camino passano per ricuperatori di calore, nei quali si riscalda l'aria primaria che alimenta i gassogeni e quella secondaria destinata alla combustione. In tal modo il consumo di combustibile risulta considerevolmente ridotto (15% circa del coke prodotto). Mentre la temperatura delle storte non supera gli 800°-900°, nei forni moderni a camere costruiti con materiale siliceo si possono raggiungere anche i 1100°: si ha così un più elevato rendimento in gas (35-40 mc. per 100 kg. di fossile).
Nei moderni impianti di distillazione a camere verticali è stato risolto l'antico problema del funzionamento continuo. Nei forni a distillazione continua Woodall e Duckham, le camere, in muratura refrattaria silicea, sono alte 8-9 m. e hanno sezione rettangolare (120 × 50 cm. in alto, 160 × 50 cm. alla base); esse sono raggruppate in forni da due o quattro camere. Ogni camera porta superiormente un prolungamento metallico, esterno al forno, su cui sovrasta una tramoggia a doppia chiusura per l'alimentazione continua con carbone opportunamente frantumato. Il carbone entra nelle camere, le riempie, e, distillando, si trasforma in coke, che scende lentamente verso il basso. All'estremità inferiore la camera è pure prolungata verso l'esterno con una cassa in ferro, ove il coke si raffredda e dove organi meccanici in lento movimento di rotazione facilitano lo sgretolamento del coke per l'estrazione automatica. Simili sono gl'impianti a distillazione continua H. Koppers (fig. 14). Le camere di questi sono riscaldate con gas prodotti da generatori esterni ai forni, e surriscaldati in ricuperatori di calore: la temperatura delle pareti è regolata in modo da avere a circa ⅔ d'altezza un massimo di 1200° circa. Così si distillano 4-12 tonn. di carbone per camera e per giorno.
I progressi ottenuti nella tecnica della produzione del gas illuminante sono illustrati qui sopra.
Nei moderni impianti a storte o a camere verticali, verso la fine della distillazione si usa vaporizzare le camere, inviando cioè alla base di esse, sul coke rovente, vapor d'acqua prodotto in una caldaia inserita sui condotti del fumo, riscaldata cioè dai gas combusti dei forni, all'uscita dei ricuperatori. Si forma così del gas d'acqua (ossido di carbonio e idrogeno; v. appresso: Gas di gassogeno) che si addiziona al gas di distillazione.
La tabella seguente dà la composizione del gas fra la 23ª e la 24ª ora di distillazione in un forno da 9 tonn., distillando a secco (I) o ad umido (II)
Purificazione del gas. - Il gas all'uscita dai forni di distillazione deve essere purificato dai vapori di catrame, di naftalina, dai composti ammoniacali, solforati, ecc. che esso contiene, prima di essere inviato nei gasometri di raccolta e nella rete di distribuzione. Poiché il gas esce dal bariletto a circa 50°-60°, esso deve anzitutto essere portato alla temperatura ambiente. Durante questo raffreddamento, che si compie nei cosiddetti condensatori, si ha una condensazione quasi completa dei vapori di catrame e del vapor d'acqua. L'acqua così condensata trattiene disciolta gran parte dell'ammoniaca. Nelle piccole officine da gas i condensatori, a canne d'organo, sono costituiti da una serie di tubi verticali, collegati due a due superiormente e refrigerati dall'aria; essi sono talvolta disposti anche inclinati a zig-zag. Negl'impianti di maggiore potenzialità i condensatori, a superficie, sono costituiti da colonne verticali cilindriche con un fascio tubiero interno e sono invece refrigerati ad acqua (fig. 15).
Il gas deve ora attraversare una serie di apparecchi di depurazione che presentano forti resistenze. A questo punto s'inseriscono perciò delle pompe, dette estrattori, aspiranti e prementi, allo scopo di mantenere una piccola depressione (qualche centimetro d'acqua) al bariletto e di comprimere il gas a una pressione sufficiente (60-80 cm. d'acqua) perché esso possa vincere le resistenze offerte dai successivi apparecchi di depurazione, dai contatori di fabbricazione e dai gasometri. Gli estrattori possono essere a pistone, a doppio effetto, o rotativi (fig. 16). Questi ultimi (tipo Beale) hanno il vantaggio di non provocare oscillazioni di pressione. Gli estrattori sono sempre muniti di regolatori in modo da mantenere costante la depressione al bariletto e la pressione all'uscita dall'estrattore, qualunque sia il volume di gas proveniente dai forni di distillazione.
Il gas, dopo gli estrattori, trattiene ancora piccole quantità di catrame trascinato allo stato vescicolare, come nebbia, dalla corrente gassosa. L'eliminazione di questo catrame deve essere quanto è possibile completa per evitare rapidi ingombri nella rete di distribuzione, ove finirebbe per condensarsi. La separazione si effettua in apparecchi tipo Pelouze-Audoin o Audinot, oppure in apparecchi centrifughi (Rateau) o elettrici (Cottrell). L'apparecchio Pelouze (v. catrame: fig. 2) è costituito da una serie di campane in lamiera di ferro, concentriche, mobili, a sezione poligonale, che possono immergersi più o meno in un bagno di catrame. Le campane presentano delle strisce orizzontali di fori e sono disposte in modo che alla zona perforata di una corrisponda la zona piena della successiva. Il gas è costretto a passare attraverso i fori di una campana; le goccioline di catrame proiettate contro la parete piena della campana successiva vi si schiacciano e si saldano fra di loro raccogliendosi sul fondo dell'apparecchio. Le campane s'innalzano o si abbassano col crescere o col diminuire del volume di gas in circolazione, così da mantenerne costante la velocità di efflusso. Negli apparecchi centrifughi, le palette proiettano le goccioline contro la carcassa e, negli elettrici le pareti di un tubo carico di elettricità attirano le particelle (v catrame). Dopo í separatori di catrame, s'inseriscono apparecchi per l'eliminazione dei vapori di naftalina. La naftalina (che può essere contenuta in ragione di 0,1 a 0,15 gr. per mc. di gas) viene allontanata lavando il gas con olio di antracene. Gli apparecchi più usati sono perfettamente analoghi a quelli usati per la successiva eliminazione dei composti ammoniacali. Questi vengono allontanati per semplice lavaggio con acqua in lavatori Standard. Un lavatore Standard (fig. 17) si compone d'un cilindro orizzontale di ghisa, diviso in più compartimenti da settori (1) normali all'asse. In ogni scomparto, fissata a un unico albero centrale girevole, si muove una specie di ruota (2), costituita da settori circolari in lamiera che racchiudono fra loro gli elementi di legno. Il gas entra (per 3) al centro di ogni scomparto, passa fra i settori costituenti le ruote ed esce dalla periferia. A ogni giro dell'albero centrale i settori s'immergono nel bagno liquido, ed offrono perciò al gas una grande superficie sempre bagnata di liquido assorbente. Il liquido stesso è in continuo movimento in controcorrente col gas. Negli Standard per ammoniaca il liquido assorbente è acqua che scioglie anche in parte l'anidride carbonica, una parte dell'idrogeno solforato, e i sali ammonici contenuti allo stato di vapore (carbonato e carbammato d'ammonio, solfuro e solfidrato ammonico, cloruro, solfocianuro, solfito, iposolfito, solfato e cianuro di ammonio).
Per l'eliminazione dei composti ammoniacali si usano anche torri di lavaggio, scrubber, a più piani, piene di materiale inerte (coke), sul quale scende in controcorrente col gas una pioggia d'acqua. In molti impianti a grande potenzialità gli apparecchi Standard possono essere sostituiti con lavatori centrifughi (tipo Feld): torri cilindriche a più ripiani attraversati da un asse verticale rotante con velocità di 100-150 giri al minuto e munito di panieri forati i quali proiettano per forza centrifuga verso le pareti il liquido raccolto su ogni piatto: il gas che circola dal basso all'alto dell'apparecchio è costretto così ad attraversare una serie di veli di liquido polverizzato, che offre una grande superficie di assorbimento. Dopo l'eliminazione dell'ammoniaca rimangono ancora nel gas alcuni composti solforati e azotati che devono essere allontanati: idrogeno solforato, solfuro di carbonio, cianuri, solfocianuri, ecc.
Per l'eliminazione dei più dannosi fra questi composti e per potere ricuperare il cianogeno, si usa talvolta un lavaggio eseguito prima dell'eliminazione dell'ammoniaca. Il gas passa cioè in lavatori contenenti una soluzione concentrata di solfato ferroso.
Si hanno le seguenti reazioni:
La fanghiglia nerastra che si estrae dal lavatore viene trattata con la giusta quantità di acido solforico per trasformare il ferrocianuro solubile (Fe(CN6)(NH4)4 nel ferrocianuro doppio insolubile il quale viene separato per filtrazione dal solfato ammonico.
L'eliminazione dell'idrogeno solforato non risulta in ogni modo completa e va completata, per via secca, nelle cosiddette casse di depurazione (fig. 18), contenenti ossido idrato di ferro reso poroso con segatura di legno. Una volta le masse depuranti si ottenevano facendo reagire su segatura di legno solfato ferroso e latte di calce e ossidando poi all'aria l'idrato ferroso formato (massa Laming); oggi si usano limoniti naturali o residui della lavorazione delle bauxiti (massa Lux) o ceneri di pirite.
Nella massa depurante, stesa su graticci di legno, nell'interno delle casse e attraversata dal gas, si ha la seguente reazione fondamentale:
l'acqua evapora e dopo un certo tempo la massa si esaurisce. Allora essa può essere rigenerata con l'ossigeno dell'aria:
e ciò fino a raggiungere un tenore in zolfo del 60-70% dopo il quale la massa deve essere rinnovata. Poiché la rigenerazione è fortemente esotermica, essa non può essere compiuta nelle stesse casse di depurazione insufflandovi l'aria: lo zolfo potrebbe accendersi. Le masse depuranti esauste vengono perciò periodicamente tolte dalle casse, distese in piccoli strati in luogo ventilato, e rimosse innaffiandole con acqua. Una parziale rigenerazione nelle stesse casse di depurazione può essere ottenuta diluendo il gas con un po' d'aria. Nelle casse si ha anche l'assorbimento dell'acido cianidrico:
Il cianuro ferroso si trasforma nella successiva rigenerazione in ferro cianuro ferrico (azzurro di Berlino)
L'eliminazione dell'idrogeno solforato e dei cianuri si fa anche per via umida, lavando il gas con soluzioni alcaline o con sospensioni di idrato ferrico opportunamente alcalinizzate, o con soluzioni in composti arsenicali; le soluzioni vengono rigenerate con aria.
Nelle grandi officine da gas si cerca di separare dal gas anche il benzolo greggio, che vi può rimanere allo stato di vapore, anche dopo eliminazione del catrame, in ragione di 25-30 gr. per mc. di gas. In Italia, per legge, le officine che producono annualmente più di 2 milioni di mc. di gas debbono estrarre dal gas almeno 15 gr. di benzolo greggio per mc. Questo ricupero si effettua: a) lavando il gas con olî medî di catrame e procedendo poi alla distillazione frazionata; b) facendo passare il gas su sostanze solide assorbenti: carbone attivato o silice gelatinosa (silicagel), le quali, trattate con vapore surriscaldato, liberano il benzolo assorbito. Il gas dalle casse di depurazione passa ai contatori di fabbricazione (v. contatori), dove è misurato, e si raccoglie in gasometri, indispensabili per compensare le variazioni che si verificano nella produzione e nel consumo.
Succedanei del gas di distillazione. - La produzione del gas illuminante ottenuto dalla distillazione dei carboni fossili viene integrata in molte officine con gas d'acqua (v. Gas di gassogeno), prodotto in appositi generatori alimentati a coke. Si ottengono in tal modo, per quintale di coke, circa 150 mc. di gas con potere calorifico di 2500-2800 Cal. Si cerca di regolare generalmente il rapporto fra la produzione del gas di distillazione e quella del gas d'acqua in modo da avere una miscela con 4000-4300 Cal./mc.
Negli Stati Uniti d'America, ricchi di carboni antracitosi e d'olî minerali, si produce largamente gas d'acqua carburato con gas d'olio (v.). Oltre la metà del gas distribuito colà per riscaldamento e illuminazione è ottenuto in questo modo. Uno schema d'impianto a gas d'acqua carburato è rappresentato dalla fig. 21 (tipo Humphreys e Glasgow). In un generatore s'insuffla alternativamente aria compressa e vapor d'acqua. Durante l'insufflazione d'aria compressa, il gas d'aria prodotto brucia nell'interno di due torri, munite d'un reticolo di refrattarî, che vengono portati all'incandescenza. Nella successiva insufflazione di vapor d'acqua, il gas di acqua circola per le torri roventi, nella prima delle quali arriva olio minerale o di catrame, che evapora e si decompone, nella seconda torre, dando gas permanenti, etilene, acetilene e omologhi, che si mescolano col gas d'acqua, dando un gas di 4500-5000 Cal./mc.
Si può ricordare anche il processo di gassificazione a gas doppio, realizzato dallo Strache e dal Tully e diffuso in Europa come mezzo d'integrazione nella produzione del gas illuminante. Il generatore tipo Strache (fig. 22) è alimentato con carboni piuttosto magri e in esso si possono distinguere: una zona superiore (1) ove il carbone distilla e una zona inferiore (2) ove il coke prodotto può essere gassificato a gas d'acqua. Durante il periodo d'insufflazione d'aria i gas di combustione, circolando per 3, mantengono la zona di distillazione a una temperatura sufficientemente elevata e portano all'incandescenza un evaporatore (4) e un surriscaldatore (5) nei quali si ha successivamente la produzione del vapor d'acqua surriscaldato per il periodo di gassificazione del coke a gas d'acqua. Si ottengono in tal modo 1350 mc. di gas a 3250 Cal./mc., per tonn. di fossile. Secondo i bisogni della produzione e la convenienza di ottenere più o meno coke per la vendita, una parte del coke può essere allontanata dal generatore, ottenendo così un minor volume di gas con potere calorifico più elevato.
Distribuzione del gas. - Il gas prima di essere immesso nella rete di distribuzione deve passare per regolatori di pressione, in modo da avere nella rete una pressione costante e adatta agli apparecchi per riscaldamento e illuminazione in uso presso gli utenti (25-3 millimetri d'acqua).
I regolatori di pressione sono tutti basati sullo stesso principio e costituiti essenzialmente da una campana gasometrica mobile che comanda una valvola regolatrice d'efflusso del gas. La campana è sottoposta internamente alla pressione del gas all'uscita. L'equilibrio ha luogo quando la pressione del gas nella campana compensa il peso dell'insieme mobile: aumentando l'erogazione del gas diminuisce la pressione di esso nella campana; questa si abbassa aprendo la valvola d'immissione del gas fino a ristabilire d'equilibrio, il cui valore può essere modificato variando con pesi supplementari il peso dell'insieme mobile.
La successiva rete di distribuzione deve essere disposta in modo da consentire l'erogazione del gas agli apparecchi di consumo a una conveniente pressione. In tutti quei casi nei quali la pressione esistente nell'interno dei gasometri non è sufficiente a garantire una conveniente pressione in tutta la rete, per l'estensione della rete stessa, per dislivelli altimetrici, ecc., la pressione del gas all'uscita dalle officine viene aumentata per mezzo di compressori rotativi (tipo Beale o Roots) o meglio con compressori centrifughi. In tal caso in varî punti della rete, opportunamente scelti, vanno inseriti dei riduttori e regolatori di pressione.
Per la costruzione delle reti stradali di distribuzione si usano tubi di ghisa con giunti a bicchiere e guarnizione in canapa e piombo. Dalle tubazioni principali, di diametro maggiore, si passa a quelle secondarie di diametro sempre minore con raccordi conici. I diametri possono variare da 1250 mm. a 40 mm. I tubi si dispongono lungo i cunicoli della fognatura o interrati a 0,60-1,00 m. sotto il suolo, e con una pendenza di almeno 2,5 mm. per metro, verso pozzetti o sifoni, collocati nei punti più bassi ove si possa raccogliere e periodicamente estrarre l'acqua e altri liquidi di condensazione.
Le condotte principali di una rete possono essere disposte a stella o ad anello, come per la distribuzione dell'acqua potabile (v. condotta). La disposizione ad anello è sempre da preferisi perché consente più facilmente l'estensione ulteriore della rete, i lavori di sostituzione, riparazione e manutenzione delle tubazioni.
Per il calcolo del diametro delle condutture si deve fissare anzitutto il probabile consumo massimo orario, in base ai possibili utenti, e la pressione minima consentita alla periferia della rete. Nota la pressione all'ingresso della rete, si determina il valore massimo della perdita di carico che può essere consentita e che viene equamente distribuita per tutti i tronchi della rete. Si traccia perciò (fig. 25) un piano d'insieme della rete fissando per ogni tronco la lunghezza, il volume massimo che si pensa di erogare in un'ora e la perdita di carico (cioè la differenza fra la pressione assoluta all'inizio e alla fine di ogni tronco considerato): si può allora procedere al calcolo, tronco per tronco, del diametro delle tubazioni, tenuto conto che l'efflusso o portata Q (espresso in mc./sec.) di gas per una conduttura di diametro D (in m.) e della lunghezza L (in m.) può cssere dato, per le reti a bassa pressione dall'espressione (Pole):
in cui H è la perdita di carico (in mm. d'acqua), δ la densità del gas rispetto all'aria.
L'influenza delle diramazioni sulla portata d'una tubazione dalla quale si stacchino n ramificazioni laterali, si calcola con la seguente formula (Monnier):
in cui Q e Qi sono le portate orarie in mc. rispettivanente alla fine e all'inizio della tubazione considerata, essendo q la portata oraria totale in mc., diramata lungo il tubo dalle n ramificazioni laterali.
Nel calcolo d'una rete si devono inoltre tener presenti le eventuali variazioni altimetriche, che possono essere considerevoli in città costruite in zona montuosa. Le variazioni di pressione positive o negative secondo che le tubazioni salgono o scendono, sono date dalla:
in cui la variazione di pressione y è espressa in mm. d'acqua, P è il peso in kg. di un mc. di gas, δ la sua densità e h il dislivello in metri.
In una rete di distribuzione si manifestano sempre delle perdite per fughe. In tubazioni nuove si può ammettere una perdita di 200 litri per chilometro-ora. In una rete si può calcolare che la perdita complessiva di gas per fughe si aggiri da 8 a 15% dell'erogazione, secondo l'estensione della rete, il suo stato di manutenzione e il consumo. Per la somministrazione del gas a sobborghi e a centri distanti dal luogo di produzione si adoperano condutture ad alta pressione, generalmente in ferro, con saldature autogene, e protette con iuta catramata. La distribuzione agli utenti avviene attraverso opportuni riduttori di pressione. In Germania, per utilizzare le grandi quantità di gas prodotte dai forni a coke nella regione fra Mülheim e Dortmund, è stato collocato un collettore di gas del diametro di 800 mm. per una pressione massima di 3 atm. Il gas compresso ulteriormente a 10-15 atm. passa in tronchi di distribuzione verso Colonia, Siegen e Wiessen.
L'industria del gas illuminante in Italia. - Le prime iniziative per la costruzione di officine da gas in Italia vennero assunte in generale da capitali esteri. Le società che estesero l'illuminazione a gas alle principali città italiane furono straniere: così nel 1900 su 182 officine in esercizio ben 65 (fra le quali quelle delle città più importanti come Milano, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo) erano in mani completamente straniere. La legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizî del 1903, permise a molti comuni di riscattare le concessioni esistenti e di creare nuove aziende, così che oggi si hanno in Italia 43 aziende municipalizzate e 127 aziende private, le quali si possono ormai dire tutte praticamente italiane. Queste particolari condizioni di sviluppo dell'industria del gas in Italia ostacolarono l'estendersi degl'impianti, e delle reti di distribuzione, così che, nei confronti con gli altri paesi, l'industria del gas si può considerare poco sviluppata. Anche in Italia l'industria del gas si alleò a quella del coke metallurgico. Parte del gas fornito alla città di Genova è prodotto in forni a coke, tutto il gas per la città di Trieste è fornito dalle cokerie di Servola.
Complessivamente la produzione del 1930 è stata di 515.748.843 mc., con 1.123.347 utenti; si è avuto cioè un consumo medio per utente di 459,12 mc. Il consumo medio per abitante nei centri serviti dal gas è stato di 64,4 mc. Il consumo di gas per abitante nel regno è stato di 12,13 mc.
Mentre il volume di gas venduto annualmente in Italia supera di poco il mezzo miliardo di metri cubi, in Germania è di oltre 3,5 miliardi; in Inghilterra, di oltre 8 miliardi; in Francia di oltre 1,8 miliardi; negli Stati Uniti d'America di oltre 15 miliardi.
Tossicologia. - L'elemento tossico del gas illuminante, causa d'avvelenamenti il più spesso accidentali, talora a scopo suicida, più raramente delittuosi, è l'ossido di carbonio (CO), eccezionalmente l'idrogeno solforato (H2S) che non si dovrebbe trovare nel gas depurato per uso d'illuminazione. Perciò spesso con i soli dati clinici è difficile distinguere gli avvelenamenti da ossido di carbonio da quelli da gas illuminante o da altri prodotti di combustione; le ricerche chimiche, l'analisi dei gas del sangue, le prove spettroscopiche debbono essere completate dal riconoscimento nel sangue e nelle urine degl'idrocarburi caratteristici del gas illuminante, ricerca che richiede delicati metodi d'indagine. L'ossido di carbonio, per il quale l'emoglobina ha un'affinità chimica 300 volte più grande che per l'ossigeno, giunto con la respirazione negli alveoli polmonari, si sostituisce nei globuli rossi all'ossigeno formando una carbossiemoglobina (v. emoglobina), composto non stabile, perché successivamente, se la quantità non è troppo grande, l'ossido di carbonio può essere rimosso dalla respirazione prolungata in aria pura o in ossigeno. Il sangue e i tessuti assumono un caratteristico colore rosso-ciliegia sul quale ha scarsa influenza lo stato asfittico dei tessuti perché anche per il biossido di carbonio (CO2) v'è la stessa difficoltà che per l'ossigeno di sloggiare l'ossido di carbonio. Al 20% di saturazione sono manifesti i sintomi morbosi; al 50% si ha il coma, all'80% la morte. L'individuo immerso bruscamente in un'atmosfera satura di gas illuminante s'abbatte come se colpito da una mazzata; nelle intossicazioni più lente il coma è preceduto da altri sintomi (cefalea, scosse muscolari, oppressione epigastrica, ronzii, palpitazioni, ecc.); assai spesso la repentina debolezza muscolare impedisce all'intossicato di mettersi in salvo. Il coma è fatale se si potrae oltre le 48 ore; anche dopo la guarigione possono residuare o manifestarsi successioni morbose varie (psicosi, paralisi, tremori, ecc.). È frequente all'autopsia il rilievo di aree simmetriche di rammollimenti cerebrali, con piccole emorragie nei corpi striati e nei nuclei lenticolari (W. G. MacCallum), oltre alle emorragie puntiformi nei varî organi e a fatti degenerativi parenchimatosi. La cura richiede l'allontanamento dall'atmosfera intossicante, la respirazione artificiale se quella spontanea è sospesa o affievolita; di recente Y. Henderson (Journ. Am. med. Ass., 1916, 1 luglio) ha dimostrato sperimentalmente che all'inalazione dell'ossigeno è preferibile quella d'una miscela di ossigeno + biossido di carbonio (8%) in quanto quest'ultimo, stimolando specificamente il centro respiratorio, riattiva più rapidamente la ventilazione polmonare.
Bibl.: S. Clegg, On the manufacture of coalgas, Londra 1841; H. M. Royle, The chemistry of gas manufacture, Londra 1907; W. H. Y. Webber, Towngas and its uses, Londra 1907; W. Berthelsmann, Lehrbuch der Leuchtgasindustrie, voll. 2, Stoccarda 1911; H. Biege, Le gaz d'éclairage, Parigi 1912; H. Strache, Gasbeleuchtung und Gasindustrie, Brunswick 1913; R. Masse, Le gaz, voll. 3, Parigi 1914; N. H. Schilling e H. Bunte, Handbuch der Gastechnik, Monaco 1914-1919, voll. 10; A. Meade, Modern gasworks Practice, Londra 1921; R. Masse e H. Barril, Les procédés modernes de l'industrie du gaz, voll. 2, Parigi 1923; A. Grebel e B. Bouron, Gaz et cokes, Parigi 1924; W. Vollbrecht e R. Sternberg-Raasch, Das Gas in der deutschen Wirtschaft, Berlino 1929. - Periodici: L'industria del gas e degli acquedotti, Roma; Zeitschrift für Gasbeleuchtung und Wasserversorgung, Monaco; Zeitschrift für Gas und Wasserfachmänner, Vienna; Journal of Gas Lighting and Water Supply, Londra; Gas World, Londra; Water and Gas Review, New York.
Gas di gassogeno.
Passano col nome di gas di gassogeno, gas di generatore e più impropriamente con quello di gas poveri (fr. gaz de gazogène; sp. gas de gasógeno; ted. Generatorgas, Erzeugergas; ingl. generator gas, producer gas) i combustibili gassosi ottenuti da combustibili solidi mediante il processo di gassificazione, effettuato in gassogeni o generatori, nei quali il combustibile viene integralmente trasformato in gas per combustione incompleta con l'ossigeno dell'aria o con quello dell'acqua. Se nel generatore o gassogeno si fa arrivare soltanto aria si ha il cosiddetto gas d'aria, se invece si ricorre esclusivamente all'ossigeno dell'acqua si ha il cosiddetto gas d'acqua, se infine si fa arrivare contemporaneamente aria ed acqua si ha il cosiddetto gas misto. Questi gas in pratica prendono talvolta anche il nome dal tipo di gassogeno nel quale vengono prodotti e si ha: gas Siemens, gas Mond, gas Dowson, ecc.
Cenno storico. - Il primo a osservare la formazione di gas combustibili per azione del vapor d'acqua sul carbone incandescente fu F. Fontana nel 1780. H. Cavendish più tardi dimostrò che il gas era costituito da idrogeno ed ossido di carbonio. Vere e Crane nel 1823 presero il primo brevetto per l'applicazione pratica del processo di formazione del gas d'acqua; J. H. Ibbetson nel 1824 brevettò il processo del gas d'acqua carburato con gas d'olio, ma i tentativi d'applicazione pratica fatti a Dublino (1830) e Narbona (1855) non ebbero successo. Il problema fu ripreso in America e risolto grazie agli sforzi ingegnosi e fortunati di Th. S. C. Lowe che creò nel 1873 un impianto a Phoenixville: il processo si diffuse rapidamente in larga scala e passò poi in Europa. In verità il primo combustibile gassoso a essere adoperato nella tecnica è stato il gas d'alto forno, che può essere considerato come un gas di gassogeno. Nei primi decennî del sec. XIX, C. G. C. Bischof e Faber du Faur studiarono la composizione e il modo di formazione di questo gas che bruciava inutilizzato alla bocca dell'alto forno e verso il 1837 si cominciò a raccoglierlo per riscaldamento di forni e caldaie. Ciò condusse alla scoperta del gas d'aria che venne prodotto dal 1840 in appositi generatori. Nel 1841 J. J. Ebelmen mescolò all'aria inviata nel gassogeno il vapor d'acqua ed ottenne così il gas misto.
Teoria del processo di gassificazione. - Nel processo che conduce al gas d'aria, l'ossigeno atmosferico, arrivando sul carbonio incandescente, brucia sviluppando anidride carbonica:
l'anidride carbonica reagisce sul carbonio soprastante secondo la reazione reversibile
Per differenza la reazione complessiva è:
Nel processo che conduce al gas d'acqua, il carbonio rovente reagisce col vapor d'acqua secondo la reazione:
L'ossido di carbonio può ridurre il vapor d'acqua secondo la reazione reversibile:
La somma delle due reazioni (4) e (5) può essere espressa dalla
Nella reazione (2) abbiamo un equilibrio eterogeneo. Tenuto conto però che il volume occupato dalla fase solida (carbonio) è trascurabile rispetto a quello occupato dalla fase gassosa (CO2 e CO), e che si può ritenere costante la sua pressione parziale, si può ad esso applicare la legge delle azioni di massa, per cui:
in cui [CO] e [CO2], pCO e pCO2, vCO e vCO2, esprimono rispettivamente le concentrazioni molecolari nell'unità di volume, le pressioni parziali e i volumi di CO e CO2 ed essendo:
Agendo alla pressione atmosferica, cioè essendo P = 1, K′ = K″:
in cui QT è il calore della reazione, che per QO0 = −38.700. Il valore della costante d'integrazione, ricavato dall'esperienza per T° = 1023 (t° = 750°) è: 3,221.
In pratica nel gassogeno entra effettivamente aria e non ossigeno puro, cioè per 21 volumi di ossigeno passano in cifra tonda 79 volumi di azoto.
Tenuto conto che, per quanto riguarda le pressioni parziali,
si possono avere per tutti i valori della costante di equilibrio K′ i volumi dei tre gas CO2, CO e N2 in equilibrio alle varie temperature (fig. 26):
Analogamente per l'equilibrio omogeneo del gas d'acqua (5)
perché nello spostarsi dell'equilibrio non si ha variazione nel numero delle molecole presenti e quindi nella pressione o nel volume.
Dalle esperienze di varî autori, per temperature diverse, si hanno i seguenti valori della costante K:
Si può osservare che per t0 = 850° circa, K = 1; a questa temperatura l'ossido di carbonio e l'idrogeno hanno egual potere riducente. D'altra parte nei fenomeni di dissociazione dell'anidride carbonica e del vapor d'acqua:
in cui KCO2, e KH2O sono rispettivamente le costanti di equilibrio nei due processi di dissociazione. Dal confronto delle due equazioni:
La costante d'equilibrio nella reazione del gas d'acqua è eguale alla radice quadrata del rapporto delle due costanti di dissociazione dell'anidride carbonica e del vapor d'acqua.
Il processo di gassificazione a gas d'acqua è endotermico; bisogna perciò somministrare calore al sistema perché la temperatura si mantenga elevata. Poiché non è conveniente riscaldare il carbone dall'esterno, il processo di gassificazione in pratica avviene intermittentemente. In un primo periodo di insufflazione s'invia nel gassogeno una corrente d'aria in modo da bruciare parte del carbone, in un secondo periodo di gassificazione s'inietta vapor d'acqua: la temperatura del generatore torna così ad abbassarsi e così di seguito. Al calore richiesto dalla reazione endotermica del gas d'acqua si può provvedere inviando contemporaneamente nel generatore aria e vapor d'acqua in modo da realizzare la reazione esotermica del gas d'aria: si ha così il gas misto.
Un gas d'aria teorico, prodotto secondo la (3), sarà costituito dal 34,7% in volume d'ossido di carbonio e per il resto da azoto (potere calorifico: 1065 Cal./mc.). Un gas d'acqua teorico, prodotto secondo la (4) conterrà idrogeno e ossido di carbonio in volumi eguali (potere calorifico: 3090 Cal./mc.). La composizione d'un gas misto teorico, per il quale si utilizzino le calorie svolte dalla reazione (3) per gassificare contemporaneamente con acqua liquida, sarà: CO : 40%, H2 : 17%, N2 : 43% (potere calorifico: 1755 Cal./mc.).
Tecnica dei gas di gassogeno. - Nell'interno dei generatori non si raggiungono in pratica le condizioni finali degli equilibrî del gas d'aria o del gas d'acqua; le velocità con cui l'anidride carbonica o il vapor d'acqua reagiscono sul carbone rovente diminuiscono con l'abbassarsi della temperatura e soltanto a 1200° esse sono così elevate da ritenere che gli equilibrî si raggiungano istantaneamente. In pratica la temperatura di regime dei gassogeni è di 800°-1000°; le condizioni d'equilibrio si raggiungono in modo tanto meno completo quanto è maggiore la velocità con cui i gas passano attraverso il generatore; si ha perciò un optimum di velocità, e quindi di rendimento, che dipende dalla temperatura di regime e che dipende inoltre dalla natura e dallo stato fisico del carbone (pezzatura, porosità, ecc.). La formazione ad esempio del gas d'acqua a 1100° con carbone di legna è praticamente completa se la corrente gassosa può rimanere in contatto col carbone per 5″, invece con coke, nelle stesse condizioni, anche con un contatto di 8″, il 35% di vapor d'acqua passa inalterato. Qualora il generatore sia alimentato, come spesso avviene, con combustibili solidi naturali (torbe, ligniti, litantraci), questi distillano sotto l'azione della temperatura; gl'idrocarburi emessi si decompongono e reagiscono coi gas del generatore. Ad es., per il metano:
Queste reazioni reversibili conducono a stati di equilibrio che sono influenzati da catalizzatori, compreso lo stesso carbonio solido.
Le ceneri nei combustibili gassificati hanno grande influenza sul funzionamento del generatore: esse possono fondere ostruendo il passaggio dell'aria e rendendo difficile il lavoro di pulizia della griglia. In generale la griglia dei gassogeni è disposta a gradinata allo scopo di abbassarne la temperatura; per rendere automatica l'eliminazione delle ceneri e delle scorie, i generatori sono spesso muniti di griglia girevole; talvolta, per combustibili ricchi in ceneri facilmente fusibili, nel gassogeno manca del tutto la griglia e le ceneri colano allo stato liquido (gassogeni a ceneri fuse). I varî tipi di generatori usati nell'industria si classificano: a) secondo l'uso cui devono servire i gas prodotti (per riscaldamento di forni, per forza motrice); b) secondo il tipo di gas prodotto (gas d'aria, gas d'acqua, gas misto); c) secondo il funzionamento: ad andamento lento (consumo orario di carbone 25-50 kg./mq. di sezione) o ad andamento rapido (consumo orario anche superiore a 100 kg./mq. di sezione); ad aspirazione o ad insufflazione (con iniettori, compressori, ventilatori); d) secondo il tipo di combustibile gassificato: carbone coke, antraciti, oppure carboni bituminosi (in quest'ultimo caso si potrà avere funzionamento freddo e depurazione successiva dei gas dalle sostanze catramose, oppure funzionamento caldo e decomposizione pirogenica del catrame nell'interno del gassogeno).
Un tipo di generatore molto usato per il riscaldamento di forni è il gassogeno Siemens (figura 27): esso è costruito in muratura refrattaria, ha sezione rettangolare ed è provvisto di griglia a gradinata; funziona ad aspirazione. Un generatore a gas misto è il gassogeno Dowson (fig. 28): è a sezione circolare, in lamiera metallica rivestita internamente di refrattarî, ha una griglia piana fissa e funziona a insufflazione per mezzo di un iniettore di vapore. In molti generatori, specialmente in quelli di grandi dimensioni, la griglia è mobile, dotata d'un lento movimento di rotazione, ed è in generale conica, con il vertice del cono eccentrico rispetto al centro della griglia (tipo Kerpely, v. ferro, fig. 58) allo scopo di sgretolare le scorie e facilitarne l'espulsione.
Fra i generatori a gas misto vanno ricordati i gassogeni Mond, (fig. 29), che si differenziano specialmente per il regime di funzionamento. Essi funzionano con eccesso di vapore d'acqua, preventivamente surriscaldato a 250° fino a 2,5 kg. di vapore per kg. di carbone. Soltanto un terzo circa del vapore insufflato reagisce nel generatore e il gas prodotto esce mescolato all'eccesso di vapore. In tal modo il 70% circa dell'azoto contenuto nel combustibile che gassifica, viene ricuperato sotto forma di ammoniaca. I gas, con 0,15% circa di ammoniaca, vengono raffreddati e lavati con acido solforico. Questi gassogeni Mond vengono utilizzati specialmente per la gassificazione delle torbe, ottenendo come sottoprodotto 50 kg. e più di solfato ammonico per tonn. di torba gassificata.
La composizione dei gas di gassogeno varia molto secondo il tipo del combustibile gassificato e secondo il rapporto con cui l'aria e il vapore d'acqua vengono inviati nel gassogeno. Il tenore in idrogeno può oscillare da 1 a 30%; quello in ossido di carbonio dal 10 al 35%; il potere calorifico da 900 a 1500 Cal.
I gas di gassogeno possono essere utilizzati per riscaldamento di forni (ad es., forni a vetro, per ceramiche, forni Martin nelle acciaierie) oppure per alimentazione di motori a gas. Nel primo caso è interesse che i gas prodotti dal generatore entrino alla più alta temperatura possibile nel forno ove devono bruciare: il gassogeno sarà addossato al forno e funzionerà ad andamento caldo, cioè con prevalenza della reazione a gas d'aria. Se i gas vengono utilizzati in motori, essi devono prima essere depurati dagli eventuali vapori di catrame, dalla fuliggine, ecc.: perciò devono venir raffreddati e lavati, e il gassogeno avrà andamento relativamente freddo cioè con la prevalenza della reazione a gas d'acqua.
Il gas d'acqua puro viene prodotto in gassogeni speciali a funzionamento intemittente, tipo Dellwick-Fleischer (fig. 30). Il gassogeno viene alimentato con coke e un ventilatore invia sotto la griglia una forte corrente d'aria che brucia una parte del coke elevandone la temperatura. I prodotti della combustione durante questo periodo d'insufflazione escono dalla sommità del generatore, dalla bocca, mantenuta aperta, che serve all'introduzione del coke. Quando si è raggiunta la temperatura voluta, il gassogeno viene chiuso, si ferma il ventilatore e s'invia sul coke rovente una corrente di vapor d'acqua: il gas d'acqua prodotto esce da apposita tubazione, passa in una torre di lavaggio e va a raccogliersi in un gasometro. Questo secondo periodo di gassificazione dura 6-8 minuti, dopo di che si riprende il periodo di insufflazione, che dura 1-2 minuti. La composizione del gas prodotto oscilla tra i limiti seguenti: idrogeno 46-53%, ossido di carbonio 35-43%, anidride carbonica 3-6%, metano 0,5-1,5%, azoto 3-5%. Si possono produrre, per kg. di coke, circa 1,7 metri cubi di gas con potere calorifico: 2300-2600 Cal.
Il gas d'acqua viene utilizzato, come s'è detto, per integrare la produzione del gas di distillazione, in questi ultimi anni anche come mezzo per produrre l'idrogeno necessario in molte sintesi chimiche: produzione di ammoniaca (v.) e alcool metilico, idrogenazione dei grassi, ecc. Per questo scopo si usano gassogeni a gas d'acqua continui, alimentati con vapore surriscaldato ed ossigeno mescolati prima. I gassogeni sono del tipo a ceneri fuse e, variando entro certi limiti la percentuale di ossigeno e conseguentemente la temperatura, varia il rapporto tra idrogeno e ossigeno nel gas.
Bibl.: J. Henrivaux, Contrib. à l'étude du gaz à l'eau, Tours 1891; H. Geitel, Das Wassergas, Berlino 1910; H. v. Juptner, Beitr. zur Theorie d. Generator- u. Wassergases, Stoccarda 1904; E. Dowson e A. T. Larter, Producergas, Londra 1906; N. Latta, American producer practice, New York 1910; F. Fischer, Kraftgas, seine Herstellung dund Beurteilung, Lipsia 1921; H. Le Chatelier, Le chauffage industriel, Parigi 1922; W. Rambush, Modern Gasproducers, Londra 1923; D. Meneghini, Combustibili industriali, Padova 1926; W. Bertelsmann e F. Schuster, Einführung in die techn. Behandlung gasförmiger Stoffe, Berlino 1930.
Gas d'olio.
Riscaldando, fuori del contatto dell'aria, a pressione ordinaria e a temperatura elevata olî grassi od olî minerali ad alto punto di ebollizione, essi si decompongono con formazione di carbonio solido e di un gas combustibile chiamato gas d'olio (fr. gaz d'huile; sp. gas de aceite; ted. Olgas; ingl. oilgas), costituito da metano, etilene, acetilene ed omologhi, da un po' di benzolo, da idrogeno e poco ossido di carbonio. Il gas d'olio ha un potere calorifico di oltre 10.000 Cal. per mc. e brucia con fiamma luminosissima.
Questo tipo di gas venne scoperto per la prima volta da J. Taylor nel 1814 e il processo di fabbricazione venne da lui brevettato per ottenere un gas illuminante in sostituzione del gas ottenuto dalla distillazione del carbon fossile, in quell'epoca brevettato e fabbricato dal Clegg (v. sopra: Gas illuminante). Nel 1823 undici città inglesi erano provviste di piccoli impianti per la produzione di questo gas d'olio prodotto da olî vegetali, fatti gocciolare in storte di ferro mantenute al calor rosso. I progressi dell'industria del gas illuminante prodotto dal carbone fecero abbandonare questa lavorazione. Essa venne ripresa dopo la scoperta dei grandi giacimenti di petrolio, specialmente in America, per la carburazione del gas d'acqua, usando la frazione degli olî minerali che bolle fra 300° e 350° e che prese per ciò il nome di olî da gas (v. sopra: Succedanei del gas di distillazione, p. 420).
Forti consumatrici di gas d'olio furono le ferrovie tedesche per la illuminazione delle vetture ferroviarie. Il gas era prodotto secondo il processo ideato da J. Pintsch, nel 1870 e fu chiamato gas Pintsch. Esso veniva preparato partendo dagli olî da gas versati lentamente in storte di ferro orizzontali riscaldate a 750°-790°, e facendo passare i gas per una seconda storta pure arroventata. I gas, dopo raffreddamento e separazione dei composti catramosi contemporaneamente formati, veniva compresso a 10 atm. Durante tale compressione le piccole quantità di benzolo contenute nel gas passavano allo stato liquido. Il gas conteneva: 28-30% d'idrocarburi pesanti, prevalentemente della serie dell'etilene, 40-50% di metano, 15-25% d'idrogeno, 1% d'ossido di carbonio. Compresso a 10 atm. il gas veniva raccolto in cilindri d'acciaio disposti sotto le vetture ferroviarie, e fatto poi bruciare nell'interno di queste con piccole reticelle Auer, senza tubo di protezione. Un gas d'olio speciale viene ora fabbricato in Germania secondo il processo brevettato da H. Blau. Esso ha preso il nome di gas Blau (Blaugas) da non confoncdere col gas blu, nome dato talvolta al gas d'acqua, per la sua fiamma non luminosa. Gli olî minerali da gas vengono decomposti in storte di ferro a una temperatura di 550°-600°, in modo da ottenere idrocarburi prevalentemente etilenici, con poco metano e idrogeno. Il gas viene compresso a 100 atm., in modo che gl'idrocarburi passano allo stato liquido, mentre il metano, l'idrogeno, ecc. rimangono allo stato gassoso e vengono bruciati a parte. Il prodotto liquido viene raccolto direttamente in bombole di acciaio della capacità di 10 kg. Da un quintale di olio da gas si ottengono da 30 a 40 kg. di gas Blau liquefatto. Questo gas allo stato liquido bolle a −50°, −60° e dà per espansione 700-800 litri di gas per kg. di liquido. Il gas ha un potere calorifico di circa 15.000 Cal. per mc. ed è utilizzato per illuminazione, per l'alimentazione di fiamma ossidrica, e anche come combustibile per i motori a scoppio del Graf Zeppelin.
Per i gas asfissianti, v. asfissianti, gas; antigas.