GARZES
Famiglia di attori i cui membri svolsero la loro attività dalla prima metà del secolo XIX fino alla seconda guerra mondiale, quando si perdono le tracce dell'ultimo di essi.
Il capostipite fu Francesco, nato a Roma negli ultimi anni del Settecento, figlio naturale di un protonotario apostolico. Egli fu dapprima indirizzato alla carriera impiegatizia, fino a divenire contabile e vicecassiere dell'Agenzia di Spagna, ma certi suoi atteggiamenti politici lo costrinsero ad abbandonare tale sistemazione. Poiché aveva una bella voce, volle allora intraprendere la carriera di cantante, studiando con un suo cugino, Luigi Pacini, rinomato maestro di canto e padre del compositore Giovanni. Sfortunatamente un difetto alla gola bloccò presto le speranze di diventare artista lirico: pur di non abbandonare la prospettiva del teatro si trasformò allora in attore comico. In data imprecisabile, comunque prima del 1820, fece il suo debutto nella rinomata compagnia di Angelo Canova, ottenendo subito soddisfacenti risultati. Nei primi anni Venti dell'Ottocento si unì in matrimonio con Maria Pompili, che persuase a calcare con lui le scene. Da quel momento cominciò per la coppia (e per il figlio Luigi che esordì sul palcoscenico a soli 4 anni) la consueta routine degli attori del tempo, in perpetuo pellegrinaggio da una città all'altra: fecero successivamente parte delle compagnie di C. Mancini, di G. Colombo e, infine, di F. Lombardi, con cui intrapresero una lunga tournée in Sicilia, nel corso della quale però Francesco venne repentinamente a morte, a Noto, nel 1846.
Il figlio Luigi, che era nato a Roma il 17 nov. 1825, cominciò a recitare in tenerissima età. Nel 1833, a otto anni, fu scritturato da un certo Lustrini, direttore delle poste (forse identificabile con Geminiano Lustrini, attore a riposo), che aveva reclutato a Roma una compagnia totalmente costituita da bambini e ragazzi figli d'arte, di cui era prima attrice una dodicenne di grande talento, Carlotta Mander. Luigi si distinse subito nelle parti comiche ottenendo calorosi consensi, tanto che nel 1843 G. Peracchi lo volle nella sua apprezzata compagnia, dalla quale passò poi alla Marchesini-Barbetti, fino a divenire primo amoroso con Giuseppe Carrara, con il quale ottenne grandi successi in molte città. In seguito entrò in ditta prima con Francesco Gagliardi e poi con Ferdinando Sciultz. Nel 1846, dopo la morte del padre, Luigi si unì alla compagnia di Antonio Almirante con il ruolo di primo attore e l'anno successivo ne divenne socio, sposandone la sorella e prima attrice Giuseppina (nata nel 1826 e morta a Crotone nel dicembre 1865). Ebbe da lei due figli maschi, Francesco e Arturo, poi attori di fama, e due femmine, che fecero anch'esse esperienze teatrali e si maritarono con attori (Giulia con Angelo Campagna, e l'altra, di cui non si è rinvenuto il nome, con Cesare Gandini).
Luigi partecipò con passione alle vicende politiche, prendendo parte attiva ai moti siciliani del 1848 e del 1860. Alla Sicilia rimase sempre legatissimo, e la sua popolarità fu particolarmente viva nelle province meridionali: aveva una spiccata personalità, e la sua tecnica recitativa era considerata particolarmente corretta. Costretto dal progredire dell'età ad abbandonare i ruoli giovanili, si trasformò in un apprezzato caratterista e promiscuo. Nel 1891 entrò a far parte della compagnia di suo figlio Arturo, ma solo per due stagioni, dato che nel 1893, sentendosi stanco, lasciò le scene e si ritirò a Cesena, dove aveva scelto di terminare i suoi giorni; in seguito però per motivi familiari e affettivi, si trasferì presso la figlia Giulia che viveva in Sicilia dove, sostenuto con un vitalizio dai figli, era ancora vivente nel 1897. Non si è potuto rinvenirne la data di morte.
Entrambi i suoi figli seguirono la vocazione artistica. Francesco, nato a Troina (Enna) nel luglio 1848, fu messo per i primi studi in un collegio di Catania, ma li interruppe ben presto, pur continuandoli da autodidatta, per cominciare a recitare come primo attor giovane nella compagnia del padre, nella quale rimase fino al 1870, passando i successivi tre anni nella Benini e in quella di Cesare Vitaliani. Nel 1873, poi, fu assunto da Luigi Bellotti Bon: fu per Francesco un incontro determinante, perché egli concepì per quel capocomico una vera venerazione, e fu da quello affettuosamente guidato nell'apprendimento dei segreti dell'arte comica. Ne fece un modello che seguirà per tutta la vita, sfortunatamente anche negli atteggiamenti meno positivi, compresa una certa tendenza alla megalomania. Su consiglio del Bellotti Bon mutò anche il suo abituale ruolo di amoroso in quello di brillante.
Qualche anno dopo però pensò di cambiare completamente vita, e partì per Berlino dove si dedicò al giornalismo come corrispondente di diversi giornali italiani: l'esperienza fu tuttavia breve, perché dopo soli otto mesi si ammalò, e rientrò in patria.
Guarito, tornò al teatro, sostituendo il primo attor giovane, a sua volta caduto malato, nella compagnia Morelli, che lascerà nel 1881 per passare alla Pasta-Campi nel 1882 e alla Pietriboni nel 1883. Nel 1891 stipulò un contratto triennale con la compagnia Pasta-Reinach, ma il secondo anno si ammalò nuovamente e fu sostituito dal fratello. Tornato al lavoro nel settembre 1893, ben presto però chiese e ottenne lo scioglimento del contratto. Si concesse allora un anno di riposo, anche se ciò non bastò a liberarlo da uno stato di grande tensione nervosa venata di megalomania che portò qualcuno a definirlo "un pazzoide": da anni sognava di impiantare una sua grande compagnia, con intenti di modernità e di raffinatezza, quale l'aveva vagheggiata Bellotti Bon. Avviò dunque l'impresa scritturando solo grossi nomi (Teresa Mariani, Virginia Marini, Enrico Belli-Blanes, Enrico Reinach, Ettore Paladini), introducendo notevoli costose innovazioni tecniche e apprestando grandiose scenografie, senza badare a spese. Quando però gli appoggi economici che gli erano stati assicurati vennero a mancargli e si vide sull'orlo del fallimento, la sua fragile psicologia non resse. Il 13 apr. 1895, a Mestre, Francesco si suicidò con l'identico rituale già usato dal suo maestro Bellotti Bon, un colpo di pistola al cuore, lasciando la moglie, la fiorentina Emma Lodomez, e una figlia, Bona.
Francesco fu anche autore di commedie, alcune delle quali di grande successo, altre poco apprezzate. Aveva cominciato con Un episodio sotto la Comune, un atto unico rappresentato a Bologna nel 1873, cui seguirono Corinna (dramma lirico in 4 atti per le musiche di N. Rebora, Milano 1874), Signor d'Albret (tre atti, Milano 1885), Lionetta (un atto, Genova 1886), Flirtation (un atto, ivi 1889), Bianca d'Oria (tre atti, Milano 1892), nonché L'articolo 130, Amore e sapere non hanno frontiere, e Cercate l'uomo, non datate. Fu anche autore di un saggio, Sulle condizioni del teatro italiano. Lettera (Firenze 1879).
Il fratello minore, Arturo Nicola, nato a Caltanissetta il 29 febbr. 1856, fu anch'egli indirizzato fin da ragazzo alla carriera teatrale e fece parte della compagnia paterna fino al 1878. Passò quindi con il ruolo di secondo brillante alla Bellotti Bon e vi rimase fino al 1882, insieme con la moglie (si era sposato giovanissimo) Raffaella Almirante (morta a Torino il 12 nov. 1931), della stessa famiglia di teatranti da cui era già uscita sua madre, dalla quale ebbe un figlio, Vittorio, che sarà buon caratterista in importanti compagnie, come la Gandusio, e l'ultimo membro noto della famiglia. Nel 1882 egli fu scritturato come amoroso dalla compagnia Ciotti-Aliprandi-Fagiuoli, nel 1883 dalla Ciotti-Serafini, nel 1884 fu con Adelaide Tessero; nel 1886 fece parte della compagnia di G. Palamidessi e nel 1887 della Borelli-Brignone con la qualifica di primo attor giovane, per rientrare nel 1888 in quella paterna, e divenire brillante nel 1889 nella Diligenti. Nel 1891 volle improvvisarsi capocomico, ma l'esperimento durò solo una stagione: infatti nel 1892 egli, come si è accennato, sostituì il fratello Francesco ammalato nella compagnia Pasta-Reinach e vi restò fino al 1897, quando formò ditta per tre anni con Luigi Ruspantini e Irma Gramatica. Nel 1912, infine, fece parte della compagnia di Gero Zambuto, dalla quale però, stanco e ammalato, si ritirò quasi subito, stabilendosi a Torino dove morì il 30 apr. 1915.
Negli ultimi anni Arturo Nicola aveva anche svolto un'attività nel nascente cinematografo, in pellicole come Mammina (1911), L'errore (1912), Il cadavere vivente, In hoc signo vinces, Il messaggero del vento (tutte e tre 1913) e Il procuratore generale (1915). Come talento fu inferiore al fratello, e godette di minore fama, ma come lui fu anche autore di moltissime pièces dei più svariati generi. I suoi lavori hanno i peculiari caratteri e difetti di quelli degli attori-autori, mostrando più abile tecnica di palcoscenico di sicuro effetto che autentici valori d'arte; si ricordano, fra pubblicate e solamente rappresentate, Stella (due atti in versi, Milano 1885), Maso (ibid. 1885), Chi sarà? (un atto, ibid. 1886), Gilda (due atti in versi, ibid. 1887), Per diritto di pedaggio (bozzetto olandese, un atto in versi, ibid. 1887), I minatori del Belgio (dramma in cinque atti, ibid. 1888), In Gallura (scene sarde, tre atti, ibid. 1890), e poi Un'A dimenticata, Un biglietto di andata e ritorno, Cuore, Dea!, Chi vuol troppo nulla stringe.
Fonti e Bibl.: C. Antona Traversi, Un attore-autore (Arturo G.), in Natura ed arte, VI (1896-97), 12, pp. 929-931; L. Rasi, I comici italiani, I, Firenze 1897, pp. 990 (per Francesco senior), 990 s. (per Luigi), 991 s. (per Francesco iunior), 992 s. (per Arturo Nicola); Annali del teatro italiano, Milano 1921, I, p. 197 (per Vittorio); II, pp. 183, 379 (per Vittorio e Raffaella); Enc. biografica e bibliografica "Italiana", N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, I, pp. 418 s. (per Arturo), 419 (per Francesco senior), 419-421 (per Francesco iunior), 421 (per Luigi), con ritratti; Enc. dello spettacolo, V, coll. 961 s.; Enc. Italiana, XVI, p. 406; Catal. dei libri ital. dell'Ottocento (1801-1900), Milano 1991, III, Autori, pp. 2070 s.