garrire
Il verbo, che vale propriamente " rimproverare " (Si ricordi quanto G. Villani [IX 136] diceva di D.: " si dilettò in quella Commedia di garrire e sciamare a guisa di poeta, forse in parte più che non si convenia "), compare in If XV 92 Tanto vogl'io che vi sia manifesto, / pur che mia coscïenza non mi garra, / ch'a la Fortuna, come vuol, son presto, ove il " rimproverare ", interiorizzato, si avvicina a un " rimordere ", come ben annotava il Buti: " cioè pur che non venga contro coscienza, mi ci morda ", o, ancora più semplicemente, " non mel contradica " (Anonimo). Caso più complesso in Pd XIX 147 Niccosïa e Famagosta / per la lor bestia [Enrico II di Lusignano] si lamenti e garra, passo in cui la forma verbale pare fortemente accentuata nel significato, fino a giungere al " rimproverare solennemente ", " gridare il proprio dissenso ", come ci dimostra la nota dell'Ottimo: " bene dice bestia, però che tutto è dato alle concupiscenze e alle sensualitadi, le quali debbono essere lungi da re. E dice che li isolani se ne lamentano e gridano perch'elli vive bestialmente, ed usa con quelli che bestialmente vivono, né da loro punto si parte ". E in rima rara, sempre rimando con arra in tutti e due i luoghi (poi con marra nel primo, Navarra nel secondo).