GANTI, Isaia, detto Isaia da Pisa
Non è nota la data di nascita di questo scultore originario di Pisa, figlio di Filippo di Giovanni, marmoraro documentato nella città toscana dal 1414 al 1427.
È possibile che il G. sia giunto a Roma prima del 1431, quando il padre risulta impiegato nel cantiere del palazzo del Laterano (Müntz, 1878).
Non resta alcuna testimonianza della vita e dell'attività del G. precedente la metà degli anni Quaranta, quando lo scultore dovette probabilmente eseguire il fonte battesimale della chiesa di S. Maria Maddalena a Gradoli; di questa prima opera attribuita al G. si conserva un pozzetto esagonale decorato con figure di santi entro nicchie che forse era posto su un basamento al centro di una vasca, a imitazione dello schema strutturale del fonte battesimale di Siena. A questo stesso periodo va fatto risalire anche il tabernacolo eucaristico già nel convento di S. Giusto a Tuscania e ora nella cattedrale.
Presenta invece la data 1449 il Sepolcro Farnese nella chiesa dei Ss. Giacomo e Cristoforo all'Isola Bisentina, anch'esso assegnabile al G. e oggi solo parzialmente conservato, composto da un sarcofago parietale sospeso su mensole sormontato da una coppia di angeli reggicandelabro, che a loro volta sostengono un'ampia arcata decorata con un motivo ad archetti trilobi.
Il G. rivela in questo gruppo di opere, stilisticamente molto omogeneo, una cultura tardogotica aggiornata con motivi decorativi di matrice classicista tratti dalla scultura protorinascimentale toscana (Negri Arnoldi, 1983).
Forse sempre sul finire degli anni Quaranta il G. ricevette la commissione del Monumento funebre del cardinale di Portogallo Antonio Martinez de Chávez, morto nel 1447, da erigersi a Roma nella basilica di S. Giovanni in Laterano.
Da una lettera dell'8 febbr. 1448 inoltrata dalla Signoria di Firenze al proprio ambasciatore a Roma, si apprende che l'impresa era stata in un primo tempo allogata al Filarete (Antonio Averlino), che si trovò costretto a interrompere ben presto i lavori in seguito a un'accusa di furto di reliquie che gli costò l'arresto e poi l'allontanamento dalla città (Müntz, 1883). Esiste dunque la possibilità che lo schema architettonico dell'opera rispecchi un progetto del Filarete, ma gli elementi scultorei che oggi sopravvivono appartengono esclusivamente alla mano del G. e di suoi collaboratori.
Il monumento, smembrato intorno al 1650, è oggi ricostruibile sulla base di un disegno di un collaboratore di F. Borromini, che tuttavia non riproduce l'assetto originario del complesso ma un allestimento successivo, risalente al 1596, che apportò delle modifiche nella zona sottostante il sarcofago (Egger). Si componeva di un arco timpanato fiancheggiato da un triplice ordine di nicchie con personificazioni di Virtù, al cui interno era inserito il sarcofago con la figura del giacente sormontato dalla Madonna con Bambino tra la Fede e la Carità. I marmi scolpiti che decoravano il sepolcro si trovano oggi liberamente assemblati in un tabernacolo nell'estrema navata destra della basilica, a parte i due rilievi con la Prudenza e la Temperanza che furono accorpati al cinquecentesco monumento Acquaviva nella stessa chiesa.
Il sepolcro Chàvez costituisce il primo esempio di monumento funebre di forme rinascimentali realizzato a Roma; rivela un attento recupero del repertorio formale e decorativo dell'arte antica, che costituirà una caratteristica costante dell'intera produzione scultorea del Ganti.
Ispirato a motivi classici è infatti il bassorilievo raffigurante un vaso con foglie di acanto tra una coppia di angeli che oggi orna un lavabo in S. Maria Maggiore, ma che probabilmente apparteneva a uno smembrato tabernacolo eucaristico realizzato dal maestro in un momento vicino ai lavori per il monumento Chàvez.
In un'ode dedicata al G. dall'umanista Giovanni Antonio de' Pandoni, detto il Porcellio, che lo celebra come novello Fidia, Policleto e Prassitele, si trova menzione di due imprese oggi perdute dello scultore, una Madonna con Bambino fra angeli e i monumenti equestri di Nerone e Poppea, oltre che dell'"urna sepulchri" di papa Eugenio IV (Battaglini, p. 117).
Il Monumento funebre di Eugenio IV, commissionato dal cardinale Francesco Condulmer, nipote del papa, tra il 1447 e il 1453, per installarlo nell'estrema navata sinistra di S. Pietro, conserva oggi dell'apparato scultoreo del G. la sola figura del giacente; nel 1591 questa statua venne inserita, insieme con l'epigrafe e i blasoni del complesso originario, all'interno di un anonimo monumento funerario tardoquattrocentesco ricomposto nell'oratorio di S. Salvatore in Lauro (Kühlenthal).
Nel settembre del 1450 il G., "experto magistro", venne chiamato dai fabbricieri dell'Opera del duomo di Orvieto, tramite il capomastro Giovannino di Meuccio da Siena, per fornire un disegno relativo al coronamento della facciata in costruzione, subito esposto ai cittadini (Fumi, p. 77).
Nell'ode del Porcellio viene encomiata una quarta opera del G., la Tomba della beata Monica, eretta nella chiesa di S. Agostino a Roma intorno al 1455, di cui resta la figura della giacente e alcuni rilievi frammentari, che non sembrano tuttavia rivelare la mano del maestro.
Dal maggio del 1456 il G. è documentato a Napoli, dove fu impegnato nel cantiere scultoreo dell'arco aragonese di Castel Nuovo, inaugurato l'anno precedente; da due attestati di pagamento del 1458 si apprende che l'artista si trovò a collaborare, a partire da questa data, con Antonio da Pisa, Pietro da Milano, Domenico Lombardo, Francesco Adzara e Paolo Taccone detto Paolo Romano (von Fabriczy).
Il contributo del G. all'apparato decorativo dell'arco viene riconosciuto nella figura della Fortezza appartenente alla serie di Virtù affiancate nel coronamento, in alcuni brani del grande bassorilievo raffigurante il Trionfo di Alfonso d'Aragona, in particolare nella quadriga guidata dalla Vittoria, e nello zoccolo scolpito dell'ordine inferiore, che presenta un motivo con putti reggifestoni.
Tornato a Roma, il G. diede inizio a un intenso periodo di collaborazione con Paolo Taccone, insieme con il quale risulta essere attivo contemporaneamente in diversi cantieri, aperti in quegli anni da Pio II nella basilica e nei palazzi vaticani.
Il 23 ott. 1460 il G. fu pagato per la lavorazione di alcuni marmi da utilizzare per lo scalone monumentale di accesso alla basilica di S. Pietro, alla cui realizzazione erano stati chiamati, oltre a Paolo Taccone, Manfredo da Como e Pagno d'Antonio, che eseguì i parapetti (Quinterio); alcuni giorni più tardi il Taccone e il G., "eius sotio", assicuravano la fornitura e il trasporto di palle di cannone (Müntz, 1878, p. 247).
L'8 dic. 1461 un garzone del G. ricevette un pagamento da parte dei canonici della chiesa della Trinità di Viterbo per aver portato il disegno di un tabernacolo della Madonna (Scriattoli); una volta realizzato, il tabernacolo marmoreo fu collocato sull'altar maggiore della chiesa dove rimase fino al sec. XVIII, e si trova oggi, ricomposto da frammenti, nel locale Museo civico; la qualità della sua decorazione lascia supporre che il G. sia responsabile, oltre che del progetto, anche di buona parte dell'esecuzione (Negri Arnoldi, 1983).
I lavori per il papa Piccolomini continuarono con la fornitura di marmi e cornici di camino, destinati a un ambiente dei palazzi apostolici, per i quali il G. fu pagato il 7 maggio del 1463, mentre dal luglio del 1463 al giugno del 1464 il maestro risulta impegnato insieme con il Taccone nei lavori per il demolito pulpito della benedizione in piazza S. Pietro, il cui apparato scultoreo sembra si limitasse a elementi di rifinitura architettonica; all'impresa parteciparono anche Iacopo da Pietrasanta in qualità di capomastro, gli scultori Mino da Fiesole, Pagno d'Antonio da Settignano, Giovanni da Verona e lo scalpellino Marco da Firenze. Nell'agosto del 1463, sempre in collaborazione con il Taccone, il G. lavorava al coronamento della torre che sovrastava l'entrata dei palazzi apostolici, insieme con un gruppo di maestranze già attivo in opere di rinnovamento all'interno dei palazzi, e formato dal pittore Pietro Giovenale, dai muratori Alfredo Lombardo ed Egidio di Tocco e dal falegname Giovanni da Firenze.
All'8 marzo 1463 risale il primo pagamento per il Tabernacolo di s. Andrea, fatto erigere dal pontefice all'interno della basilica vaticana a custodia della reliquia della testa dell'apostolo giunta da Patrasso nel 1462; il G. e Paolo Romano diressero fino al 1464 un gruppo di maestranze composto da Iacopo da Pietrasanta, Pietro Giovenale, il falegname romano Antonio Pacioli, il fabbro tedesco Arrigo, gli scalpellini Pellegrino da Viterbo, Giovanni d'Agostino romano e Matteo Chelvi, il muratore Marco da Firenze, che preparò il piano d'appoggio per la struttura architettonica, e l'orafo fiorentino Giovanni Ghini, che realizzò il reliquiario (Müntz, 1878).
Il perduto monumento, la cui struttura è nota da un disegno dell'Album del Grimaldi, si componeva di un baldacchino architravato quadrangolare sorretto da colonne, su cui era posto un tabernacolo marmoreo contenente il reliquiario. Ne rimangono tre lunette scolpite raffiguranti la testa di s. Andrea sorretta da coppie di angeli conservate nelle Sacre Grotte, una delle quali sembra di mano del Ganti.
Ancora nelle Sacre Grotte vaticane si conserva un bassorilievo raffigurante la Madonna con Bambino tra i ss. Pietro e Paolo, in cui il G. appare profondamente influenzato dalla statuaria monumentale prodotta da Paolo Romano tra il 1461 e il 1464, sebbene l'opera sia stata anche messa in relazione con l'altare dedicato alla Vergine e ai due apostoli da Eugenio IV nella basilica di S. Pietro, che risulta compiuto nel 1451, dopo la morte del pontefice (Caglioti).
Il nome del G. si trova citato nel trattato del Filarete (Trattato di architettura, a cura di A.M. Finoli - L. Grassi, I, Milano 1972, p. 172), composto tra il 1461 e il 1464, tra i maestri voluti a Sforzinda per realizzare i portali monumentali del castello.
L'ultimo attestato dell'attività del G. è un mandato di pagamento del 29 ag. 1464 che documenta anche il termine dei lavori per il Tabernacolo di s. Andrea; si suppone che il maestro sia morto poco tempo dopo.
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