PORRINO, Gandolfo
PORRINO, Gandolfo. – Nacque a Modena in data imprecisata ma, verosimilmente, negli ultimi anni del Quattrocento. Il padre, originario di Sassuolo e della famiglia Bertoia, lo lasciò orfano molto presto. Porrino, allevato dalla madre, prese il cognome della famiglia modenese da cui ella proveniva.
Le poche notizie biografiche si ricavano dalla Biblioteca modenese di Girolamo Tiraboschi, che, insieme con gli epistolari d’epoca e l’edizione delle Rime, risulta l’unica fonte utile. Le difficoltà a ricostruire le vicende biografiche di Porrino sono accresciute da un equivoco che si è tramandato dall’Ottocento, ovvero la confusione con il «cavalier Gandolfo», citato in vari epistolari e in raccolte liriche cinquecentesche. Questi è in realtà Sebastiano Gandolfi, nativo di Ischia di Castro e segretario di vari membri della famiglia Farnese, dal duca Pierluigi al cardinale Ranuccio. La confusione derivante dall’assimilazione dei due personaggi si ripete sia in edizioni ottocentesche e novecentesche delle Lettere dell’Aretino (ma è stata corretta nell’edizione Procaccioli, 1997-2002) sia in quelle moderne di Annibal Caro (edizione Greco, 1957-1961) e di Giovanni Guidiccioni (edizione Graziosi, 1979).
Da quelli che furono gli sviluppi successivi della sua carriera letteraria si può inferire che il suo percorso di studi sia stato simile a quello del concittadino Francesco Maria Molza, con cui condivise un’amicizia che durò fino alla morte di questi. A Modena erano attivi vari umanisti formatisi alla scuola ferrarese di Guarino Veronese (Guarini) e fu verosimilmente presso uno di questi che Porrino compì i primi studi. Non si ha notizia dell’origine del rapporto con Molza, ma la si può ipotizzare risalente al periodo tra il 1512 e il 1516, quando questi fu costretto a soggiornare in Modena presso la moglie Masina Sartori. Come già il concittadino Iacopo Sadoleto si era fatto mallevadore per Molza presso la corte pontificia di Leone X, è da pensare che egli abbia analogamente raccomandato Porrino come intendente di lettere, degno di un impiego nella città papale al tempo del governo di Clemente VII. In essa probabilmente Porrino giunse negli anni in cui Molza era al servizio del cardinale Ippolito de’ Medici, cioè dopo il 1529; certamente era al servizio del cardinale nel dicembre del 1531 come attesta una lettera inviatagli da Giovanni Mauro d’Arcano il 16 dicembre 1531 e pubblicata da Dionigi Atanagi nella raccolta delle Lettere facete (1601, pp. 250 s.).
A Roma Porrino, impiegato nella magnifica corte del cardinale Medici e godendo della protezione di Molza, seppe conquistare per l’affabilità del suo carattere, oltre che per le sue doti intellettuali, le simpatie della comunità letteraria, tanto da divenire intrinseco dei maggiori protagonisti della vita culturale cittadina, da Caro a Giovanni Della Casa, a Paolo Giovio a Claudio Tolomei. I termini del suo impiego presso il cardinale Ippolito non sono definibili: questi amava circondarsi di letterati e artisti, al di là di quelle che potevano essere specifiche esigenze di servizio come ben si sa dalle roventi polemiche sollevate in proposito dallo zio Clemente VII che lamentava le troppe spese ‘inutili’ della sua corte.
Su commissione del cardinale e quasi in competizione con Molza, cui era affidato lo stesso incarico, compose vari testi poetici in lode di Giulia Gonzaga e soprattutto il testo suo più famoso, le Stanze sul ritratto della medesima dipinto da Sebastiano del Piombo, stanze che erroneamente Pier Antonio Serassi attribuì a Molza nell’edizione settecentesca delle sue opere: in verità non si trattava di un’opera in due parti, ma di una sorta di tenzone poetica in cui entrambi gli amici composero sul medesimo tema. Accanto all’ispirazione galante dedicata alla Gonzaga, il servizio poetico reso a Ippolito de’ Medici riguardò anche temi più propriamente politici, in particolare in un sonetto che attirò l’attenzione di Benedetto Croce e che è stato ora illustrato da Rossana Sodano, insieme con un altro di analogo contenuto, in tutte le allusioni che a Croce sfuggirono: il «gentiluomo italiano» non riconosciuto da Croce è appunto il cardinale de’ Medici e l’occasione la legazione del medesimo in Ungheria, ma vero oggetto dei due componimenti è, come invece ben riconosciuto da Croce, il sentimento «antispagnuolo» e «antimperiale», o meglio l’impegno a presentare Ippolito de’ Medici, ribelle al «tiranno» Carlo V, come la sola speranza per «Italia bella» di contrastare il dominio dell’«Aquila ingorda», non quindi vuoti encomii dovuti al proprio padrone, ma documenti delle aspettative riposte nel tentativo del Medici di riprendere l’esortazione rivolta da Niccolò Machiavelli a suo padre Giuliano nella conclusione del Principe di prendere le armi per liberare l’Italia dalle mani dei barbari.
Al di là dei servigi poetici non si ha notizia di altri specifici incarichi assegnati dal cardinale a Porrino, ma da due lettere inviategli da Molza (Barbieri, 2014, nn. 58-59) si evince che Porrino fu destinato a servire come segretario l’amante di Ippolito, Giulia Gonzaga duchessa di Fondi, al cui servizio era anche in occasione del celebre episodio della fuga notturna, quando il pirata Barbarossa sbarcò sulle coste tirreniche proprio con l’intenzione di rapire la duchessa. La morte del cardinale Ippolito nell’agosto 1535 mutò la vita tanto di Giulia Gonzaga quanto dello stesso Porrino, che seguì la duchessa a Napoli, dove ella si trasferì.
A Napoli, pur condividendo le pericolose frequentazioni della Gonzaga, legata al circolo valdesiano e in contatto diretto con l’Ecclesia Viterbiensis di Reginald Pole, dovette mantenere una propria autonomia di giudizio e un illuminato disincanto verso le pratiche devozionali, considerate le espressioni con cui anni dopo definirà Bernardino Ochino in uno dei capitoli dedicati a Vespasiano Gonzaga («Il pazzo se n’andò ne l’ora ispana / sul lago di Genevra o di Gostanza, / e là si gode una moglie puttana»), con scontato dileggio che però non lascia dubbi sulle sue opinioni.
Una curiosa circostanza offre informazioni su alcune occorrenze biografiche nel corso del 1538: si tratta di una serie di lettere inviategli da Annibal Caro, che nel marzo di quell’anno si era recato a Napoli con l’intenzione di conoscere Giulia Gonzaga facendosi introdurre al suo cospetto da Porrino, il quale invece in quello stesso periodo era stato inviato a Roma per un «negozio» commissionatogli dalla medesima. Dalle lettere di Caro si apprende così sia della piena fiducia in lui riposta dalla Gonzaga sia del credito conquistato nella Napoli letterata, ma soprattutto veniamo a sapere di un evento decisivo della vita di Porrino: l’incontro a Roma nella stessa primavera del 1538 con la «vedovetta» Susanna che da lì in poi sarà l’amore della sua vita.
Porrino ripartì da Roma a fine maggio, ma ad agosto è già descritto impaziente di ritornarvi; ottenuto il congedo dalla Gonzaga, a settembre fu di nuovo a Roma dove restò più di sei mesi «occupato ne le faccende e ne l’amor più che mai». Fu forse in conseguenza del nuovo rapporto amoroso e del desiderio di soggiornare a Roma che Porrino finì per chiedere congedo alla Gonzaga e divenne segretario del cardinale Alessandro Farnese, al cui servizio era passato anche Molza (tale ruolo dovette comportare l’assunzione di una qualche forma di chiericato dal momento che in uno dei capitoli composti per Vespasiano Gonzaga si dice «prete»); tornò così a impiegare la penna in lode dell’amata del proprio padrone, questa volta Livia Colonna, considerata in quegli anni la più bella donna di Roma insieme con la ‘rivale’ Faustina Mancini. Al cardinale Alessandro Farnese venne anche dedicato il volume di Rime andato in stampa a Venezia (M. Tramezzino) nel 1551, unica sua opera pubblicata, a parte una nobilissima lettera inviata a Giulia Gonzaga stampata in una raccolta di Lettere di diversi del 1564 (Venezia, P. Manuzio, p. 54).
Le circostanze della morte di Porrino sono descritte in una lettera di Camillo Capilupi allo zio Ippolito pubblicata da Tiraboschi (1786, p. 224), che ne ebbe copia da Ireneo Affò. La lettera, del 1° ottobre 1552, data la morte di Porrino a due giorni prima, attribuendola al «troppo star con donne»; il che è ribadito anche dall’anonimo chiosatore di un esemplare delle Rime (cfr. Chiodo, 2003): «Il povero M. Gandolfo Porrino venne dieci dì fa in Roma, et era grasso, bello, rosso, con licentia di starsi questa invernata in Roma, et si è amalato in casa del Cinami, et in meno di otto dì è morto, et hieri fu sepolto con molto dispiacere di chi lo conosceva; et ha fatto testamento lasciando il Puteo suo erede generale: si è confessato et comunicato: dicono che il suo male è proceduto da troppo star con donne».
La sua raccolta di rime, anticipata da alcuni saggi nelle antologie liriche giolitine, esula dal modello canonico del canzoniere petrarchista sia per la scarsa presenza di sonetti e canzoni a fronte della preponderante presenza di componimenti di maggiore estensione (stanze e capitoli in terzine) sia per l’organizzazione del volume, che riproduce le varie circostanze biografiche e i periodi di servizio prestati: si leggono le stanze sul ritratto di Giulia Gonzaga e altre poesie a lei dedicate (cc. 1-11); le stanze in morte del fratello di lei, Luigi Gonzaga, e altri componimenti a lui dedicati (cc. 11-33); le Stanze di lontananza (cc. 33-35) e poi componimenti vari relativi al periodo di servizio presso Ippolito de’ Medici (cc. 35-51); le stanze per Livia Colonna e altri componimenti legati al servizio presso Alessandro Farnese (cc. 51-79); le stanze per Susanna (cc. 79-88) e infine tre capitoli inviati a Vespasiano Gonzaga (cc. 88-100), futuro duca di Sabbioneta, nipote di Giulia che provvide alla sua educazione richiamandolo a Napoli, educazione alla quale, come si evince da questi componimenti, non mancò l’apporto di Porrino.
Fonti e Bibl.: Delle lettere facete et piacevoli di diversi huomini grandi et chiari et begli ingegni. Raccolte per M. Dionigi Atanagi, Venezia 1601, pp. 250 s.; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, IV, Modena 1786, pp. 223-225; S. De Sanctis, G. P. e Francesco Maria Molza, in La scuola romana, IV (1886), pp. 135-140; B. Amante, Giulia Gonzaga Contessa di Fondi e il movimento religioso femminile nel secolo XVI, Bologna 1896, passim; B. Croce, G. P., in Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, I, Bari 1945, pp. 290-301; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, Firenze 1957-1961, ad ind.; G. Guidiccioni, Le lettere, a cura di M.T. Graziosi, Roma 1979, ad ind.; P. Aretino, Lettere, a cura di P. Procaccioli, Roma 1997-2002, ad indices; R. Sodano, Da G. P. «Rime», in Lo Stracciafoglio, II (2001), pp. 15-24, 4, www.edres.it; D. Chiodo, Di alcune curiose chiose a un esemplare delle «Rime» di G. P. custodito nel Fondo Cian, in Giornale storico della letteratura italiana, CLXXX (2003), pp. 86-101; A. Barbieri, Il Molza: la sua vita e le sue lettere, Padova 2014, ad ind.; Sebastiano Gandolfi. Un segretario per i Farnese. Atti della giornata di studi, a cura di A. Cento - P. Procaccioli, Manziana 2014, ad indicem.