GANDOLFO da Bologna
Teologo e canonista, visse a Bologna nella seconda metà del XII secolo.
Allo stato attuale delle ricerche non sono note fonti documentarie che permettano di far luce sulla sua vita: perciò, per delinearne con qualche approssimazione la biografia, risultano utili le testimonianze a lui relative disseminate nelle opere dei canonisti contemporanei e successivi.
L'appellativo magister, generalmente attribuitogli dai giuristi medievali, fa supporre che G. abbia insegnato diritto canonico, verosimilmente presso l'Università di Bologna. Avrebbe avuto tra i suoi allievi Bernardo da Compostella, detto l'Antico (Kuttner, 1943) e, secondo lo Schulte (1875), Uguccione da Pisa, ma quest'affermazione non è stata accolta dalla storiografia più recente.
Quanto all'epoca in cui G. fu operoso, essa andrebbe all'incirca localizzata fra il 1170 e il 1185. Intorno al 1170 risale infatti la composizione della Summa Decreti di Giovanni da Faenza, nella quale l'opinione di G. è riferita con espressione che lo fa ritenere vivente ("dicit G.", se la sigla "G." è stata correttamente interpretata).
Il terminus ad quem è stato posto dalla storiografia al 1185, quando viene ricordato, da un anonimo continuatore della Summa di Uguccione da Pisa, un suo parere relativo a un avvenimento verificatosi in quell'anno ("Gandulphus adhuc est in ea opinione": Gillman, 1909, p. 19). Non sappiamo se, ed eventualmente sino a quando, G. sia stato attivo oltre quella data, poiché non sono note sino ad ora altre fonti che consentano ulteriori congetture sulla sua vita. Non si conoscono il luogo e la data della morte.
Originale nelle concezioni e nell'impostazione dei problemi teologici e canonistici, G. fu assai stimato dai contemporanei, e godette di larga fama per tutta l'età intermedia; "magister vero G., cuius magna est in ecclesia Dei auctoritas" recita un anonimo canonista (erroneamente identificato dallo Schulte, 1875, in Simone da Bisignano). Le citazioni che lo riguardano lo raffigurano spesso come un iniziatore, capace di raccogliere consensi presso i giuristi che lo consideravano come un caposcuola ("Gandulphus et quidam alii […]", "Gandulphus et qui eum sequuntur […]"). E tanta è la sua autorità che quando i canonisti dissentono dalle sue opinioni avvertono il bisogno di giustificarsi. Tale è il caso di Uguccione, che afferma: "sed quidquid Gandulphus dicat, non credo" (Cambrai, Bibliothèque municipale, 612, c. 307). G. si colloca a pieno titolo nella prima generazione dei maestri della canonistica che, appena qualche anno dopo l'insegnamento di Graziano, ancora non scindevano l'argomentazione dogmatica da quella giuridica, così da essere maestri non solo nel diritto canonico ma anche nella teologia.
La dottrina canonistica di G. è presente in numerose glosse al Decretum di Graziano i cui manoscritti, già segnalati dal Kuttner (1937) e dal Vetulani (1953), sono stati oggetto di un'attenta analisi ed edizione da parte del Weigand (1991).
L'influenza di G. nella letteratura canonistica coeva o di poco succesiva è evidente come attesta la presenza di numerose glosse di G. nella Summa super Decretum, più nota come Summa Lipsiensis (Lipsia, Universitätsbibliothek, 986; cfr. Schulte, 1871, ma soprattutto Weigand, 1977, in part. pp. 21-23); la sua opinione è ricordata in diverse note marginali della Summa Decreti di Uguccione da Pisa (come testimoniato dai manoscritti: Cambrai, Bibliothèque municipale, 612 e Bamberga, Staatsbibliothek, Can. 41 [già P.II.28]); glosse marginali di G. alla Summa Decreti di Stefano di Tournai sono contenute in un codice conservato a Treviri (Stadtbibliothek, 905); il suo influsso appare evidente anche nello Speculum iuris canonici di Pietro di Blois.
Rispetto alla produzione canonistica l'opera teologica di G. è stata oggetto di studi approfonditi fin da quando H. Denifle credette di individuare nei Magistri Gandulphi Bononiensi Sententiarum libri IV la fonte delle Sententiae di Pietro Lombardo. L'opera è divisa in quattro libri e comprende quasi tutta la dottrina teologica così ripartita: Dio, la Trinità, gli attributi divini, la scienza divina, la predestinazione, la volontà divina (l. I); angelogia, esamerone, stato primitivo dell'uomo, peccato originale e attuale (l. II); incarnazione, virtù teologali e doni dello Spirito Santo (l. III); sacramenti (l. IV).
Assai dibattuti dagli storici della teologia medievale sono stati i problemi dell'autenticità delle Sententiae e della loro anteriorità rispetto all'omonimo testo di Pietro Lombardo. In merito alla prima questione, la storiografia concorda ormai, pur in assenza di fonti esplicite, sull'autenticità dell'opera. Oltre a essere state attribuite infatti a G. da due testimoni manoscritti, noti al Denifle, ma andati perduti nell'incendio che nel 1904 distrusse la Biblioteca nazionale di Torino che li conservava (I.IV.3; I.IV.33, entrambi del XII sec.), le Sententiae sono anche ricordate in una sintesi duecentesca conservata a Bamberga (Staatsbibliothek, B.IV.29, cc. 126v-142r) il cui titolo stesso, Flores sententiarum magistri Gandulphi, attribuisce esplicitamente la paternità del testo epitomato a Gandolfo. È significativo, inoltre, che il parere di G. tramandato dalle glosse canonistiche concordi con le opinioni espresse nelle Sententiae a lui attribuite.
Delicata e controversa è la questione dei rapporti fra le Sententiae di G. e l'opera omonima di Pietro Lombardo. Il problema, infatti, come sottolineato dal Ghellinck (1948), supera la questione di puro ordine letterario, se si considera che il pensiero di Pietro Lombardo influenzò tutta la teologia medievale e fu spesso consacrato nei canoni conciliari dell'età intermedia. Il Ghellinck ha ancora rilevato che le Sententiae di Pietro Lombardo e quelle di G. presentano alcuni brani pressoché identici, ma l'opera del teologo novarese ha parole o intere frasi incidentali in più. Inoltre, le citazioni di Giovanni Damasceno nel Lombardo sono più numerose e fedeli di quelle di Gandolfo. Tali circostanze, secondo il Ghellinck, lasciano presumere che G. abbia composto un'epitome del testo del magister. Questa ipotesi è confermata dal tono generale dell'opera di G., che risulta più sintetica dell'altra sia negli sviluppi personali sia nelle citazioni patristiche. In definitiva, G. può essere considerato, secondo un'espressione del Ghellinck (1910), "l'abréviateur de Pierre Lombard et l'héritier de beaucoup de ses idées, avec une note personelle toutefois incontestable": la sua opera, infatti, non consiste in una mera sintesi delle Sententiae del magister. Egli si mostra spesso autonomo rispetto alle opinioni del Lombardo, utilizza direttamente il Decreto di Graziano, si ispira frequentemente alla Glossa di Walafrido Strabone e alle Glossae in Psalmos dello stesso Pietro, presenta, inoltre, numerosi punti di contatto con la dottrina di Gerhoch di Reichersberg e di Pietro di Poitiers.
Diffusa e apprezzata nel corso dei secoli XII e XIII l'opera teologica di G. conobbe in seguito un lento e costante declino, per poi essere riscoperta dagli studiosi nel corso dei primi anni del nostro secolo. Sulla scorta dei tre manoscritti noti (Torino, Biblioteca nazionale, D.IV.35 e D.III.31; Heiligenkreuz, Stiftsbibliothek, 242) è stata condotta da J. von Walter una moderna edizione critica (Magistri Gandulphi Bononiensis Sententiarum libri IV, Wien 1924).
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