GALUPPI, Baldisserra (Baldassarre), detto il Buranello
Compositore e cembalista, nato a Burano il 18 ottobre 1706, morto a Venezia il 3 gennaio 1785, figlio di Angelo, barbiere e suonatore di violino nelle orchestrine di commedia. Fu il migliore allievo di Antonio Lotti e divenne uno dei più famosi compositori italiani del periodo 1730-1780. F. Caffi lo dice a torto "rigeneratore del dramma serio e assoluto creatore del buffo" e anche creatore dei finali, ma giustamente "dominatore per mezzo secolo dei teatri musicali". Oggi possiamo dire che i buffisti napoletani, da N. Piccinni e da G.F. di Majo in poi, molto gli debbono, mentre la sua opera buffa è molto diversa dalla napoletana. E se, ai tempi del Caffi, poteva essere detto "di fama universale per il suo affatto straordinario valore nella musica e teatrale ed ecclesiastica", oggi dobbiamo considerarlo compositore di primo piano anche nella musica strumentale.
Non soltanto per comodità di esposizione, ma anche per ragioni interne di stile e però di svolgimento ideale, divideremo la carriera del compositore in quattro periodi: il primo dal 1722 sino al 1733: duro periodo di formazione sino alla prima affermazione notevole con l'Argenide; il secondo sino al 1748 in cui la produzione teatrale, pure restando limitata, si raddoppia, mentre la fama del compositore si diffonde in Italia e fuori ed egli rimane parecchi anni a Londra e scrive anche per Vienna; il terzo sino al 1765: periodo di massima fecondità, soltanto in apparenza tardivo, dedicato in prevalenza all'opera buffa (in collaborazione col Goldoni) e alla musica sacra, in forza dei suoi nuovi doveri quale vice-maestro di S. Marco, e all'opera seria quasi solo per occasioni solenni, per espresso comando di principi o per inviti di famosi teatri; il quarto sino alla morte (1785), che comprende pochi drammi giocosi e serî di scarsa risonanza, alcuni oratorî e, senza dubbio, gran parte dei pezzi sacri già raccolti da J. Farrenc (e non più ritrovati) e dei mottetti fatti copiare per C. Burney.
Il G. fu precoce e cominciò col suonare l'organo nelle chiese. A 16 anni osò scrivere, per Vicenza, la prima opera: una Fede nell'incostanza ossia Gli amici rivali, ripetuta lo stesso anno (1722) a Chioggia. L'immaturità della tecnica procurò all'adolescente autore un fiasco memorabile, ma anche, per sua fortuna, la burbera protezione di B. Marcello, che mise il G. alla scuola di A. Lotti. Stretta amicizia con un condiscepolo, G.B. Pescetti, scrisse insieme con lui Gli odî delusi dal sangue, rappresentata, alla fine del carnevale del 1728, al Teatro S. Angelo, e la pastorale Dorinda eseguita al S. Samuele per la fiera dell'Ascensione dell'anno dopo, su libretto di Benedetto Pasqualigo (non di B. Marcello come si è a lungo creduto). Frattanto, nel 1726, il G., andato a Firenze quale cembalista della Pergola, rimase alcuni mesi in quella città imbrancandosi tra i ruspanti di Gian Gastone I dei Medici, sembra in qualità di suonatore di cembalo. Nel 1729 alcune arie del G. erano già cantate a Londra. Dal 1730 cessa la collaborazione dei due amici e ha inizio la carriera teatrale del G. il quale, pure affermandosi in modo notevole con l'Argenide (1733), non riesce a scrivere più di una o due opere per anno (a giudicare dalle ricerche bibliografiche sinora compiute) eccetto negli anni 1740 e 1747 in cui ne scrive tre. Era, senza dubbio, già famoso, e nel 1740 era stato nominato maestro di coro dei Mendicanti. Chiamato a Londra in quello stesso anno, e giuntovi al principio del 1741, vi rimase sino alla stagione di primavera del 1743. In patria egli doveva lottare, senza dubbio, contro la voga di altri maestri e particolarmente di A. Vivaldi (operista specialmente dal 1730 in poi). Ma, morto il Vivaldi nel 1743 e nominato maestro di S. Marco il vice maestro Giuseppe Saratelli, il 24 marzo 1748 il Buranello, già "celebre", fu nominato a sua volta vice-maestro. Da questa data ha inizio il periodo più fecondo, che dura sino a tutto il 1765. Il 6 (non 22) aprile 1762 è nominato maestro di cappella di S. Marco (e poco dopo il suo amico Pescetti secondo organista) e nello stesso anno maestro di coro degl'Incurabili, succedendo a Vincenzo Ciampi; e il 9 giugno 1765 la Serenissima, consentendo al desiderio espresso da Caterina II, gli dà licenza per la Russia, per la durata di tre anni.
Nei diciassette anni che corrono dal 1748 al 1765, le opere composte dal G. avevano raggiunto il numero di circa sessanta. Tra queste si trovano i suoi migliori drammi giocosi, dovuti alla felice alleanza col Goldoni (in Arcadia Polisseno Fegejo).
Il suo primo dramma giocoso è la Forza d'Amore (1745) su libretto del padre Panicelli, ma il secondo (1749) è già scritto su libretto di Carlo Goldoni. I più famosi, o almeno quelli che conquistarono l'Europa, furono: L'Arcadia in Brenta (1749), Il Conte Caramella (1749), Il mondo della luna (1750), Il mondo alla rovescia (1750), La calamita [e non calamità] dei cuori (1752), Il Filosofo di campagna (1754) che ebbe un grandissimo successo europeo, Nozze di Dorina (1755), La Diavolessa (1755), Il Re alla caccia (1763), La partenza e il ritorno dei marinai (1765). Fortunate furono anche la collaborazione col figlio Antonio, pastore arcade col nome di Ageo Liteo, che gli scrisse L'Amante di tutte (1760) e Li tre amanti ridicoli (1771), e quella con Pietro Chiari, librettista dei suoi numerosi oratorî con testo latino, che gli procurò anche il successo del Caffè di campagna (1761) e specie del Marchese Villano (1762), e l'ultima con G. Bertati per L'inimico delle donne (1771).
È noto che l'opera buffa veneziana viene dopo la napoletana e la romana, come sa e dice lo stesso Goldoni (nei Mémoires). Una riserva è da farsi, secondo noi, quanto agl'intermezzi. Nell'opera buffa il G. dovrebbe esser posto dopo L. Vinci e L. Leo, allievi di Cr. Greco e perciò di scuola scarlattiana, e subito dopo N. Logroscino, educato da un allievo di F. Provenzale. Il G. è, insieme col Pergolesi, il solo maestro di fama europea della sua generazione. Il suo itinerario vittorioso attraverso tutti i teatri d'Europa venne troncato soltanto dall'arte nuova del Piccinni (Buona Figliola, 1760) e del Sacchini (L'isola d'amore, 1766), ambedue nati una generazione dopo e creatori di un nuovo genere - l'opera buffo-sentimentale -, che a poco a poco trasformerà la vecchia opera buffa. Questa, che è da considerarsi all'inizio quale vera e propria antiopera, finisce per diventare una rivale fortunata dell'opera seria. Perché di essa saprà appropriarsi certe qualità esteriori, come la dignità dell'apparato scenico e altre più interiori, quali il disegno psicologico dei personaggi, le complicazioni dell'intrigo, il numero degli atti, la maggiore estensione vocale dei pezzi, resi, in tal modo, graditi anche a cantanti di prim'ordine, e via dicendo. L'opera seria galuppiana è stata assai meno studiata della buffa, sebbene gli abbia conquistato i primi successi italiani ed europei; certo appare meno geniale.
Citiamo a ogni modo l'Artaserse per Vienna (1749); la Semiramide riconosciuta per Milano (1749); il Demofoonte per Madrid (1750); la Vittoria d'Imeneo per Torino (1750), queste due date in occasione di nozze reali; e poi l'Alessandro nelle Indie per Stoccarda (1752); la Didone per Madrid (1752); L'Eroe Cinese per Napoli (1753); la Sofonisba e l'Idomeneo per Roma (1753 e 1756); l'Arrivo di Enea nel Lazio per Firenze (1765); l'Ifigenia in Tauride per Pietroburgo (1768).
Nel quarto periodo il G. compone soprattutto musica sacra. È tradizione che egli sia stato il primo occidentale che abbia composto musica sacra per la liturgia russa, durante la sua dimora a Pietroburgo (1765 o 1766-1768): lo stile è quel concertato che è documentato anche nei titoli delle composizioni da lui scritte al ritorno in Italia (Te Deum del 1769); stile che dunque risale di certo al terzo periodo e forse anche al secondo. Lo stile concertato salvò il G. dalla cruda teatralità dei suoi colleghi, anche romani, e tenne queste sue musiche sacre almeno a mezz'aria tra l'aspirazione mistica e le suggestioni teatrali e scenografiche. Mal noto è il G. autore di opere serie, come si è detto; meglio conosciuto, per gli studî del Torrefranca, il compositore di sonate, di sinfonie e di quartetti: musiche che tutte vanno collocate nei due primi periodi perché allora il G. aveva scarsi impegni coi teatri e viveva dando lezioni di cembalo. Anche alcuni concerti per cembalo, composti di certo per proprio uso, ci rimangono e uno rappresenta una battaglia; nel che il G. segue la moda descrittiva del tempo. I suoi pezzi per tastiera ammontano a più di duecentocinquanta, mentre se ne conoscevano, sino al 1910, appena una dozzina, tratti da quell'antologia di varî autori che J.U. Haffner, famoso editore e liutista di Norimberga, aveva pubblicata intorno alla metà del secolo e che praticamente rimase per più di un secolo e mezzo la sola fonte di conoscenza dei cembalisti italiani. Il G. è uno dei campioni di quello stile che il Torrefranca, seguito da parecchi altri, ha definito dell'impressionismo ritmico - un impressionismo d'indole fra umoristica e sentimentale - mentre gli accenti drammatici vi sono meno frequenti che in G. Platti o in G.M. Rutini (quest'ultimo assai più giovane), ma sempre di vivo interesse estetico e storico. Tuttavia, egli non discende dal Vivaldi; piuttosto, anche se un po' alla lontana, dal Corelli. E lo confessa esplicitamente nei quartetti, che si potrebbero chiamare una modernizzazione - per quell'epoca - del concerto a quattro, se l'ultimo tempo non accogliesse in pieno l'omofonia dello stile premozartiano, nel suo aspetto di grazia piuttosto inquieta che languida. Lo stile, dunque, conferma che tutta la produzione strumentale del G. deve ritenersi, come regola generale, anteriore al 1760. Altre ragioni storiche evidenti sono poi l'esplicito richiamarsi al Corelli e la ripugnanza dal G. manifestata verso il carattere "buffistico" che la musica strumentale aveva assunto intorno al 1765 (data probabile di un suo colloquio in proposito con Ph. J. Bach). Non è vero che, nel 1782, abbia composto sonate per cembalo dedicandole alla granduchessa di Russia; notizia che aveva contribuito, forse in non piccola parte, alla scarsa valutazione del G. come cembalista. Fu invece la granduchessa - tedesca di origine - che donò al G., in occasione della sua visita a Venezia in quell'anno, sei sonate, probabilmente di autore tedesco.
Bibl.: Ch. Burney, Viaggio musicale in Italia, trad. ital. Palermo 1921; id., A general history of music, IV, Londra 1879, pp. 447-48, 449-73 e specialmente 539-40; C. Goldoni, Mémoires, passim; G. Gamba, Galleria dei letterati e artisti illustri delle Provincie Venete nel sec. XVIII, I, Venezia 1824; Fr. Caffi, Storia della mus. sacra nella già Capp. Ducale di San Marco in Venezia dal 1318 al 1797, I, Venezia 1854, pp. 349 e 373-416; A. G. Spinelli, Bibliografia goldoniana, Milano 1884; Vita di Gio. Gastone I, settimo ed ultimo Granduca dela R. Casa de' Medici, ecc., in Bibliotechina grassoccia, 1886; P. Molmenti, Storia di Venezia nella vita privata, 7ª ed., Bergamo 1928-29; A. Wotquenne, B. G., in Riv. mus. it., 1899, p. 561 segg.; id., B. G., Étude bibliographique sur ses œuvres dramatiques, Bruxelles 1902; F. Piovano, B. G., Note bio-bibliografiche, in Riv. mus. it., 1906-1908; F. Torrefranca, Per un catalogo tematico delle sonate per cembalo di B. Galuppi detto il Buranello, in Riv. mus. it., IV, 1909; id., Le sonate per cembalo del Buranello, in Riv. mus. it., 1911-12; E. J. Dent, Ensembles and finales in 18th century Italian Opera, in Sammelband d. Intern. Musik-Gesell., 1913, p. 329; Albert-Jahn, Mozart, Lipsia 1923; A. Della Corte, L'opera comica italiana, Bari 1923; Ch. Van den Borren, Contribution au cat. thém. des sonates de G., in Riv. mus. it., 1923; F. Torrefranca, Le origini italiane del romanticismo musicale, Torino 1930.