CEI, Galeotto
Nacque a Firenze il 29 apr. 1513 da Giovambattista e Camilla di Francesco di Vanni Strozzi.
Nel corso del Quattrocento gli esponenti della sua famiglia avevano più volte ricoperto cariche pubbliche. In particolare il nonno Galeotto (1419-1497) era stato degli Otto di guardia nel 1453, dei Signori nel 1469, ed aveva fatto parte del Consiglio dei cento nel 1474. I due figli, Luigi (1473-1541) e Giovambattista (1475-1530), si erano venuti allontanando, nei primi anni del Cinquecento, da quella fedeltà al regime mediceo che aveva contraddistinto la famiglia nel secolo precedente. Durante l'ultima repubblica entrambi avevano abbracciato gli ideali politici del settore degli arrabbiati. Giovambattista, il più attivo dei due fratelli, fautore e amico di Francesco Carducci, aveva fatto parte nel 1530 dei Dieci della guerra, dei capitani di parte e degli Ufficiali di Monte. Al rientro dei Medici, insieme con il Carducci, era stato una delle prime vittime del nuovo regime. Accusato di aver voluto "ardere (consigliandolo) la casa dei Medici, e mettere a' merli delle mura la Caterina nipote del papa" (Segni, pp. 205 s.). era stato torturato fino alla confessione e infine giustiziato il 22 nov. 1530. Il fratello Luigi, per timore di rappresaglie, abbandonata definitivamente Firenze, si era trasferito a Lione, dove aveva continuato a svolgere un'intensa attività commerciale fino alla morte, avvenuta a Parigi nel 1541.
Le vicende della famiglia durante l'ultima repubblica avevano avuto forti ripercussioni anche sul C., finendo per condizionare in gran parte la sua esistenza.
Assente da Firenze nel periodo dell'assedio, il C. si trovava dal marzo 1529 in Francia, a Lione, dove era stato inviato a fare pratica mercantile presso il banco Salviati. A Lione lo raggiunse la notizia della morte del padre, a cui seguiva la confisca dell'ingente patrimonio familiare di 23.300 scudi. Commentando queste vicende lo stesso C. confessa nelle sue Memorie di essere rimasto "senza credito e male in arnese, di modo che posso dire restai ignudo" (Firenze, Bibl. naz., Manoscr., II, IV, 380, c. 10). Sempre alle dipendenze del banco Salviati, il C. rimase a Lione fino al luglio 1532. Non sembra esistessero rapporti con lo zio Luigi, presente a Lione negli stessi anni. Si trasferì quindi in Spagna. L'attività commerciale lo portò dapprima a Burgos, Valladolid, Segovia, Toledo; infine scelse come centro dei suoi affari Siviglia, dove rimase fino al 1537 e dove riuscì a poco a poco a ricostituire una discreta fortuna.
A Siviglia, nel 1537, gli giunse la notizia che, in seguito all'elezione a duca di Toscana, Cosimo de' Medici aveva concesso che "i fuoriusciti potessino tornare e che fussi loro reso i beni" (ibid., c. 11). Il C. si precipitò a Firenze dove lo aspettava l'amara sorpresa di sapere che "tale ordinanza non s'intendeva per noi" (ibid.). Lo sconforto finì per generare anche in lui quell'atteggiamento di ostilità al nuovo regime mediceo comune a gran parte dei fuorusciti fiorentini.
Prima dell'arrivo a Firenze il C., nella speranza di poter riavere i suoi beni, si era dimostrato cauto di fronte alle proposte, avanzategli dai fuorusciti e in particolare da Filippo Strozzi, di aderire alla loro causa. In una lettera del 4 giugno, inviata allo Strozzi ancora prima di giungere a Firenze, il C. aveva scritto: "se la mia professione fussi la guerra, come è il mercante più presto vorrei trovarmi con Vostra Signoria che drento" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, serie III, XCV, c. 201). Per il momento aveva tuttavia preferito raggiungere la città.
Solo al ritorno da Firenze decise di unirsi ai fuorusciti. Sollecitato da Antonfrancesco degli Albizzi, partecipò alla battaglia di Montemurlo, dove venne fatto prigioniero. Dopo la tortura fu rinchiuso nelle carceri di Pisa e quindi nei sotterranei della fortezza di Livorno. Per intercessione di un influente personaggio spagnolo e per le somme pagate, il C. riuscì il 2 febbr. 1538 ad essere nuovamente trasferito a Pisa e infine liberato e confinato a vita in Spagna.
Ritornato a Siviglia nel giugno, il C. dovette affrontare i danni che l'assenza aveva provocato nei suoi affari. La sua fortuna era inoltre indebolita dalle spese sostenute durante la prigionia. Proprio nel 1538 sopravvennero infine tanti incommodi perdite e contrarietà che, nota il C. nelle sue Memorie, "persi tutto quello che avevo avanzato che erono meglio di scudi 800 et anche mille" Firenze, Bibl. naz., Manoscr., II, IV, 380, c. 12). I pochi denari rimasti gli furono trafugati da alcuni ladri mentre si bagnava in un fiume.
Proprio in questo periodo di crescenti difficoltà, con la prospettiva di dover ricostruire da zero il suo patrimonio, il C. decise di tentare la fortuna nelle Indie occidentali. Si imbarcò nel luglio 1539. Dopo due brevi soste nelle Canarie e a Capo Verde proseguì per le Antille, fino a Santo Domingo, dove si stabilì e dove si impegnò nel commercio fra questi territori d'oltremare e la Spagna. In poco tempo riuscì a raccogliere ingenti guadagni e a costruire di nuovo una ricchezza tutt'altro che trascurabile. Ancora una volta tuttavia, nel 1541, in un naufragio perdette tutti i suoi beni. "E così la terza volta restai ignudo, e con fatica campai la vita con pochi" (ibid.,c. 13), ricorda nelle Memorie.
Negli anni successivi, fra il 1541 e il 1551 il C. ricostruì ancora una volta le sue sostanze nel commercio con le Americhe, diventando uno dei mercanti più influenti nei traffici fra la Spagna e l'America centrale. Solo nel 1553 ritornò a Siviglia e riprese la sua attività mercantile ampliando il raggio dei suoi affari, che raggiungevano un'ampiezza europea. Nei frequenti viaggi successivi al suo ritorno toccò Lione, Parigi, Augusta, Venezia, oltre a molte città mediterranee.
Il 20 marzo 1555 lo raggiunse la notizia della grazia concessagli da Cosimo de' Medici e della piena restituzione del patrimonio paterno confiscato nel 1530.
Ormai, dopo la battaglia di Montemurlo, dispersi gli oppositori esterni e reso più saldo il potere all'interno, il governo mediceo poteva mostrarsi clemente con quei fuorusciti che non costituivano più un pericolo per il ducato e che, col loro ritorno, potevano fornire al regime una maggiore credibilità. Il C. tuttavia, fatto cauto dalla precedente esperienza, preferì rimanere, per il momento, lontano dai confini della Toscana e continuare a svolgere i suoi commerci in Spagna e in Francia. Soprattutto in Francia, fra il 1555 e il 1560, il C.riscuoteva numerosi successi fino ad effettuare prestiti al re.
In Toscana rimise piede soltanto il 25 dic. 1560 e subito si impegnò "per riguadagnarsi il benefizio della Casa" (ibid., c. 17)dei Medici e per poter ottenere nel ducato un'influenza politica e una collocazione sociale adeguate al suo peso economico. Come altri aristocratici, passati dalla giovanile opposizione al regime mediceo a una più rassegnata accettazione della nuova realtà politica, anche il C. cercò negli anni successivi al suo rientro di farsi strada presso la corte. I suoi tentativi non ottennero tuttavia i successi sperati. Nel 1560 era tratto, ma non riveduto, podestà di Vinci e solo nel 1562 era eletto alla modesta carica di ufficiale d'Onestà.
Anche la sua attività economica subì, in quegli anni, una battuta di arresto. In seguito alle lotte di religione in Francia non riuscì a recuperare dal re l'ingente somma di 3.500 scudi che gli aveva prestato.
Il suo cursus honorum continuò negli anni successivi pur senza raggiungere risultati soddisfacenti. Venne eletto capitano di Orsanmichele nel 1567 e console dell'arte degli speziali nel 1568 e nel 1572. Il suo successo maggiore fu l'elezione al Consiglio dei duecento nel 1572: successo relativo comunque se si tiene presente come il Consiglio dei duecento avesse nella costituzione del granducato la funzione di rappresentare l'aristocrazia, mantenendo in effetti competenze assai limitate.
Entrato a far parte dal 1567 dell'arte del cambio, il C. fu eletto nel 1574 dei Sei di mercanzia, ottenendo così un adeguato riconoscimento delle sue capacità commerciali.
Negli ultimi anni della sua vita si dedicò a raccogliere le proprie Memorie. Contrariamente ai numerosi memoriali e diari, composti dai membri delle più ragguardevoli famiglie nel corso dei secoli XV e XVI, nei quali la parte di gran lunga preponderante è dedicata all'annotazione di eventi politici ed economici contemporanei e solo uno spazio trascurabile è riservato ai fatti personali, le Memorie del G. si presentano come una vera e propria autobiografia inserita nelle vicende della famiglia. Con onestà il C. raccoglie in esse, sulla base dei diari in cui aveva annotato giornalmente tutti i suoi casi, le notizie sulle sue vicende e sui suoi viaggi oltremare.
Negli stessi anni componeva uno Zibaldone di memorie di più cose notabili, di cui ci resta un brano sulla famiglia Strozzi nel Duecento e nel Quattrocento (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, serie III, C, cc. 181 s.), ricopiato da alcune scritture di Vanni Strozzi, suo avo per parte di madre.
Il C. morì a Firenze il 10 giugno 1579.
Lasciò un figlio, Giovambattista, avuto nel 1567 dalla prima moglie, Francesca di Leonardo Fortini, sposata nel marzo 1561. Dalla seconda moglie, Costanza di Piero Cocchi, vedova di Filippo Portinari, sposata nell'ottobre 1568, non ebbe figli.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. naz., Manoscritti, II, IV, 380, cc. 1-20 (Memorie del C.); un'altra copia, ibid., II, IV, 14; Ibid., Manoscritti Passerini, 187; Ibid., Poligrafo Gargani, 554; Ibid., Manoscritti Palatini, 609; Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, serie III, XCII, cc. 100-103; XCV, cc. 201-202 (lett. del C. a Filippo Strozzi del 4 giugno 1537); C, cc. 181 s.; Ibid., Carte Dei, XVII, c. 3; Firenze, Bibl. Riccardiana, Manoscritti, 3253, c. 164; 2024, c. 545; F. Nerli, Commentari de' fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall'anno MCCXV al MDXXXVII, Augusta 1728, pp. 189, 250, 252, 300; B. Segni, Istorie fiorentine dall'annoMDXXVI al MDLV, a cura di G. Gargani, Firenze 1857, pp. 205-206; I. Nardi, Istorie dellacittà di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1858, II, p. 221; G. Busini, Lettere a B. Varchi sopral'assedio di Firenze, a c. di G. Milanesi, Firenze 1860, pp. 43, 57, 151, 176; B. Varchi, Storia fiorentina, Firenze 1923, I, p. 143; II, pp. 20, 268, 320, 369, 385, 400; N. Machiavelli, Legaz. e commissarie, a cura di S. Bertelli, Milano 1964, III, pp. 1302, 1688; S. Ammirato, Delle famiglie nobilifiorentine, Firenze 1615, p. 123 (confonde fra il C. e il padre Giovambattista); D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, Firenze 1805, I, p. 243; E. Picot, Les Italiens en Franceau XVIe siècle, Bordeaux 1901-18, p. 117 (confonde, sulla scia dell'Ammirato, fra il C. e il padre).