GIUSTINIANI (Giustiniani Longo, De Longis), Galeazzo
Nacque presumibilmente a Genova, tra il 1460 e il 1470, da una relazione extraconiugale di Bricio (Fabrizio o Brizio) di Domenico di Bartolomeo, sposato con Geronima De Fornari.
Il vastissimo "albergo" Giustiniani, uno dei quattro nobili "popolari" della riforma doriana del 1528, sarebbe stato fondato nel 1362 da alcune famiglie genovesi - tra le altre i Longo, cui apparteneva il G., i Forneto, i Banca e i Garibaldi - consorziate per lo sfruttamento delle miniere di allume di Chio, che avrebbero assunto quel nome per essersi trovate a fondare l'"albergo" nella casa genovese dell'illustre famiglia veneziana. Già nel corso del XV secolo, piuttosto che nell'ambito della Maona di Chio, e quindi dei traffici mercantili con l'Oriente - definitivamente compromessi dall'aggressione di Sulaimān I nel 1566 - il ramo Longo era impegnato nell'attività di assentisti marittimi: con le loro galee erano al servizio delle potenze europee e italiane (Milano e Napoli in particolare), assecondando o contrastando le alleanze che, collegate anche alla lotta politica tra Adorno e Fregoso, caratterizzavano la Repubblica di Genova.
Il G. si trovò a partecipare giovanissimo a questa attività marittimo-militare insieme con il padre e con i due fratellastri - il maggiore, Battista (figlio naturale di Bricio), e il minore, Domenico -, con i quali costituì un gruppo solidale, e in qualche modo autonomo, dentro la grande e potente famiglia Giustiniani.
Grazie alla forza condizionante della Maona e al modello di organizzazione interna, riconoscibile anche a livello urbanistico, la famiglia si ritagliò comunque una relativa autonomia dentro la logica delle lotte politiche cittadine, anche se non mancarono legami matrimoniali con gli Adorno e i Fregoso. La stessa nonna materna del G. era una Adorno, Adornina di Bricio, ma non sembra che tale parentela abbia influenzato le scelte di campo; anche se è proprio nel 1490, sotto il governatorato franco-milanese di Agostino Adorno, che il padre del G. cominciò a essere stipendiato dal governo genovese per svolgere con le sue quattro galee il servizio di guardiacosta lungo le Riviere e le coste sarde contro i pirati del Villamarino.
Nel corso delle operazioni, nel settembre 1492, in un naufragio presso Oneglia si persero due triremi, e diversi galeotti fuggirono.
In queste azioni emerge come unico protagonista il padre del G. (che nel 1495, nella spedizione in soccorso di Rapallo, liberò prigionieri francesi e passò al soldo diretto del duca di Milano tramite la mediazione di Corradolo Stanga), anche se probabilmente il G. e i fratelli operavano già con lui. È invece dal 1497 che i fratelli sono citati, unitamente al padre, come stipendiati dal governo genovese, nella fattispecie in interventi navali contro Carlo VIII. Ancora nel 1497 il G., con padre e fratelli, catturò una nave inglese e due anni dopo, mentre Bricio era prigioniero dei Francesi, assunse personalmente il comando di due galee, e insieme con il fratellastro Battista si pose al servizio del re di Spagna. Il 17 giugno 1500 il governatore francese di Genova, Filippo di Ravenstein, emanò il bando d'esilio per il G., per il fratello, per gli ufficiali e le ciurme, avendo le due galee disobbedito agli ordini del nuovo governo. Furono in seguito proprio il G. e il fratello a soccorrere il governatore francese naufragato nell'Egeo il 25 nov. 1500 (nel naufragio andarono distrutte due grandi navi della flotta franco-genovese, la "Pensée" e la "Lomellina", e morirono 400 dei 600 uomini). Dopo il bando del 1500, il G. e Battista si posero definitivamente al servizio degli Aragonesi e della Corona spagnola, senza più partecipare direttamente alle vicende politiche genovesi.
Persino nel tormentato biennio 1506-07 (culminato nel breve dogato popolare di Paolo da Novi, che vide schierarsi in campi opposti pressoché tutti i componenti della vita politica ed economica genovese), mentre molti membri di altri rami Giustiniani si allinearono con i popolari, solo il padre del G. comparve, nel ruolo di pacificatore, nella prima fase rivoluzionaria.
Il G. e il fratello erano a Napoli con le loro due galee e solo il 30 sett. 1506, al seguito di Fernando Gonzáles de Córdoba, arrivarono davanti a Genova per andare incontro al re e alla regina di Spagna nel loro rapido passaggio. Il gruppo familiare si ricompattò attorno al padre tra il 1510 e il 1512 sempre al servizio della Spagna e, nel quadro della lega antifrancese, del papa Giulio II. Le galee dei Giustiniani, tuttavia, non parteciparono al primo sfortunato attacco della flotta veneto-pontificia alla Riviera di Levante, nel luglio del 1510.
Il governo veneto, forse per rivalità marinara, nonostante la raccomandazione di Giano Fregoso, allora al soldo di Venezia, preferì impegnare in Terraferma il padre del G., che disponeva di 300 fanti genovesi, ma nell'aprile 1512, nella grande paura seguita alla battaglia di Ravenna, Giulio II progettava di mettersi in salvo proprio sulle galee del G. e di Battista. I due fratelli rimasero fedelmente al servizio della Spagna anche negli anni successivi, mentre il padre saliva al rango di ammiraglio di Carlo V e ne diveniva il più apprezzato comandante marittimo.
I tre Giustiniani parteciparono, il 28 apr. 1528, al grande scontro navale di Salerno (noto come battaglia di Capo d'Orso o d'Amalfi) agli ordini del viceré di Napoli, Hugo de Moncada, che si risolse in un disastro per le armi spagnole e in un trionfo per la flotta franco-genovese, capitanata da Filippino Doria. Il padre del G., che aveva cercato invano di dissuadere il Moncada dallo scontro, fu ferito, catturato e morì pochi giorni dopo; il G. fu mandato prigioniero con il padre e altri nobili su tre galee a Genova. Qui Andrea Doria riservò loro un trattamento di riguardo che si spiega, più che come espressione della clemenza celebrata dall'agiografia doriana, come politicamente giustificato dall'ormai progettato passaggio del Doria dalla Francia alla Spagna, che avvenne nel luglio 1528. Il Doria assumeva, con ben più vaste implicazioni politiche per la storia della Repubblica di Genova, quel ruolo di ammiraglio di Carlo V che era stato anche del padre del G., e che il G. stesso ereditò alla morte del padre. Quel ruolo fu da lui esercitato a Napoli, dove da allora, dotato da Carlo V di terre in feudo, mantenne la propria sede e le galee fino alla morte, avvenuta in data imprecisata.
Significativamente, né Bricio né il G. né i fratelli furono ascritti al Libro d'oro della nobiltà genovese della riforma doriana; lo furono poi i nipoti del G., figli del suo omonimo figlio, e i loro discendenti.
Il G. ebbe due mogli (Nicoletta Spinola di Cristoforo e Isabella Fornari di Domenico) e tre figli: Cesare, Caterina e Galeazzo. Cesare, in data imprecisata, vendette a Filippo II, per la cifra di 20.000 ducati, parte delle terre che il G. aveva avuto da Ferdinando II d'Aragona (la riscossione avvenne in parte in contanti e in parte a rate di 1200 ducati annui all'interesse del 6,5% agli eredi). Caterina sposò un Giovanni di Battista Giustiniani del ramo Campi, e il terzogenito, Galeazzo, Camilla Durazzo di Battista. Questo figlio proseguì l'attività marittima familiare e fu valoroso generale di galee della Repubblica di Genova; ebbe tre figli (Cesare, Giovanni Battista e Brixio), ascritti alla nobiltà genovese. Giovanni Battista ebbe a sua volta un figlio, Galeazzo, frate teatino, scrittore e celebre predicatore.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. stor. del Comune, Mss., 54: Famiglie genovesi, cc. 97v-99; Ibid., Biblioteca universitaria, Mss., C.VIII.16: Alberi genealogici Giustiniani (senza numerazione di pagine); Ibid., Biblioteca civica Berio, Mss. e rari, X.2.168: A. Della Cella, Famiglie di Genova, cc. 468-469; B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria…, a cura di E. Pandiani, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXIV, ad ind.; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, II, Genova 1854, pp. 274 s., 280; I. Doria, La chiesa di S. Matteo, Genova 1860, pp. 57-59; C. Desimoni, Tre cantari dei sec. XV e XVI, in Annali della Società ligure di storia patria, X (1874), pp. 637 ss.; C. Manfroni, Storia della marina italiana, III, Roma 1897, p. 277; E. Pandiani, Un anno di storia genovese, Genova 1905, p. 334; J. Heers, Gênes au XVe siècle, Paris 1961, p. 580; G. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis, Firenze 1965, pp. 271, 279; M. Calegari, Navi e barche a Genova tra XV e XVI sec., in Guerra e commercio, Genova 1970, p. 54.