FREGOSO, Galeazzo
Figlio di Alessandro e di Costanza Strozzi di Ferrara, nacque tra il 1530 e il 1532 probabilmente a Verona, dove la sua famiglia si era stabilita. Fu cugino germano di Giano, vescovo di Agen, e di Ottavio, generale della flotta di Guienna; fino a diciotto anni visse in Italia, dove seguì gli studi classici. Si trasferì in Francia nel 1550 e intraprese la carriera militare in cui doveva guadagnarsi tanta gloria da scegliere come sua insegna un'aquila che vola attraverso i fulmini accompagnata dal motto, in spagnolo, "Ni matarme, ni spantarme". Fu il più eminente membro della famiglia Fregoso in Francia negli anni 1560-70, anche se il suo ruolo è stato fino a oggi completamente travisato in quanto confuso con quello di Gian Galeazzo Fregoso, suo quasi omonimo e contemporaneo.
Il Picot ricorda il F., negli anni 1580-90, solo quale "agente del duca di Nevers" quando egli fu invece uno degli uomini d'armi più celebri del suo tempo. Dal Litta in poi tutti gli storici hanno riproposto l'errore di Picot attribuendo le imprese militari del F. a Gian Galeazzo e accordando generosamente a quest'ultimo il titolo di "conte di Muret", mentre questa terra fu concessa proprio al Fregoso. Fu comunque sufficientemente noto in vita e le fonti ci permettono di ricostruirne agevolmente la carriera, distinguendo ciò che pertiene a Gian Galeazzo da quanto è invece da attribuirsi al F. stesso.
Nel 1551 prese parte alla guerra di Parma agli ordini del maresciallo Paul de la Barthe signore di Termes; l'anno seguente fu all'assedio di Metz contro le truppe di Carlo V. Di nuovo in Italia combatté a Siena, alla testa di 50 cavalleggeri, sempre sotto il maresciallo di Termes; quando quest'ultimo fu sostituito da Piero Strozzi il F. passò alla fanteria, al comando di 50 fanti. Nel luglio 1554 si distinse nella battaglia di Marciano, dove ricevette dodici ferite prima di arrendersi; liberato dietro pagamento di un riscatto (ma non sappiamo chi lo pagò), seguì il duca François de Guise nella guerra detta "carafesca" (in quanto vedeva Paolo IV Carafa opporsi alle truppe del viceré di Napoli) con il titolo di colonnello del re. Nel 1556 era al passaggio del Tronto (al confine tra lo Stato pontificio e il Regno di Napoli), distinguendosi nel combattimento di Civitella del Tronto. L'anno seguente, ancora con il duca di Guisa, partecipò all'assedio di Calais, quindi a quello di Thionville. Nel 1559, dopo la conclusione della pace di Cateau-Cambrésis, come ricompensa per i suoi servigi fu nominato gentiluomo di camera del re.
In seguito il F. prese parte ai più notevoli fatti d'arme delle guerre di religione: durante la prima guerra (1562-63) fu ferito all'assedio di Rouen (ottobre-novembre 1562), passata ai protestanti; dopo la presa della città partecipò alla battaglia di Dreux, dove i cattolici ebbero la meglio. Sempre al seguito del duca di Guisa, lo accompagnò all'assedio di Orléans e fu testimone del suo assassinio (24 febbr. 1563). Quando, nel 1567, riprese il conflitto, dopo un periodo di tregua di quattro anni, il F. fu presente ai principali scontri verificatisi nel corso della seconda (1567-68) e terza (1568-70) guerra di religione: Saint-Denis (novembre 1567), dove fu ancora una volta ferito, Jarnac (13 marzo 1569) e Moncontour (3 ott. 1569). Per queste nuove imprese fu nominato cavaliere dell'Ordine reale di S. Michele, probabilmente poco dopo la battaglia di Saint-Denis.
Il 15 marzo 1571, con lettere patenti emanate dal Faubourg Saint-Antoine "les Paris", Carlo IX gli fece dono della terra di Muret, presso Tolosa, precedentemente concessa al cugino del F., Ottavio, morto da poco. Contrariamente a quanto sostiene il Litta, il quale parla di "vitalizio", questa terra fu concessa al F. per nove anni, fino al giorno di S. Giovanni del 1580; egli non fu quindi creato conte, bensì ricevette Muret solamente in signoria. L'ubicazione del territorio porterebbe a identificare il F. con il "Fregouze" che, intorno al 1570, fu intermediario tra Caterina de' Medici e il governatore della Linguadoca, Damville.
Alla ripresa della guerra, dopo il massacro della notte di S. Bartolomeo, il F. raggiunse l'armata reale alla Rochelle, dove fu nuovamente ferito e dove dette prova di grande eroismo. La lunga carriera militare agli ordini del duca di Guisa e la partecipazione alle più importanti battaglie delle prime quattro guerre di religione testimoniano un suo incontestabile impegno in campo cattolico, confermato dal consiglio che egli dette a Caterina de' Medici, nell'aprile 1573, di non concedere tregua nella condotta dell'assedio della Rochelle, per portarlo definitivamente a termine. Quest'impegno è evidentemente inconciliabile con la reputazione di ugonotto attribuita al F. all'inizio degli anni Settanta, da riferirsi invece a Gian Galeazzo, le cui simpatie protestanti sono fuor di dubbio.
Dopo la morte di Carlo IX, Enrico III confermò (a Lione nel 1574) la donazione di Muret al F., concedendogli, inoltre, la carica di capitano di 50 uomini d'arme di ordinanza. È proprio a partire dalla donazione di Muret che il ruolo del F. si fa meno evidente, e poiché alla stessa data del 1571 compare sulla scena il misterioso Gian Galeazzo, la coincidenza cronologica spiega la confusione venutasi a creare tra i due personaggi. Tanto più che dati biografici relativi al F. si hanno nuovamente intorno al 1580, quando Gian Galeazzo prima cadde in disgrazia, quindi morì strangolato.
Sappiamo comunque che il F. in questo periodo prese a trascorrere qualche inverno in Italia, ad esempio nel 1579-80. Nel 1588 era a Blois per la riunione degli Stati generali, ma l'assassinio di Enrico III lo spinse ad abbandonare definitivamente la Francia. Tuttavia i suoi legami con il Regno e con la monarchia non cessarono completamente. In quest'ultimo periodo della vita del F., il Picot, sulla base di alcune lettere conservate nella Biblioteca nazionale di Parigi, lo identifica quale agente di Ludovico Gonzaga, duca di Nevers, e, infatti, per tramite di quest'ultimo il F. rimase al servizio di Enrico IV in Italia; nel 1591 egli arruolò 200 cavalleggeri per il Nevers, il quale li impiegò poi per Enrico IV. All'inizio del 1595 il F. pensava ancora di riprendere servizio in Francia, dal momento che richiese allora, come ricompensa della sua attività passata e presente, la carica di colonnello della fanteria italiana, vacante per la morte del Bandini, ovvero, in alternativa, la carica di generale della cavalleria leggera. Il fallimento di quest'ultimo tentativo presso i Francesi lo spinse a ripiegare definitivamente su Verona.
In questa città fu infatti conservatore della Pace negli anni 1594, 1599, 1600, 1602; la sua morte è posteriore a quest'ultima data, come conferma il Sansovino, il quale, nel 1599-1600, scrive di lui ancora al presente.
Dalla moglie, Lucrezia Emili, aveva avuto tre figli: Tommaso, Michele e Alessandro. Contrariamente a quanto sostiene il Litta - per il quale i discendenti del F. non ebbero più rapporti con la Francia - i legami con il Regno si allentarono gradatamente; almeno fino al 1614 Michele riceveva ancora dal Tesoro reale una pensione annua di 2.000 lire; Alessandro fu abate di Fonfroide in Linguadoca dal 1587 al 1619, quando si dimise in favore del nipote Domenico (figlio di Tommaso), che rimase abate commendatario di Fonfroide fino al 1646.
Fonti e Bibl.: Parigi, Bibl. nationale, Fonds franç., 3980, f. 367; 3993, f. 29; 4697, f. 120; 7854, p. 2264; Ibid., Pièces originales 1241; Ibid., Clairambault 1242, p. 1674; Archives départementales de Haute-Garonne, B 392, f. 355; Lettres de Catherine de Médicis, a cura di H. de la Ferrière, Paris 1891, p. 196; L'Hermite de Soliers (J.-B. Tristan), La Ligurie française, Paris 1657, pp. n.n.; F. Sansovino, Origine e fatti delle famiglie illustri d'Italia, Venezia 1670, p. 572; E. Cauvet, Etude historique sur Fonfroide, Montpellier-Paris 1875, p. 579; G. Picot, Les Italiens en France, in Bulletin italien, 1901, pp. 97 s.; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s.v. Fregoso, tav. V.