CAPRA (Capella, Cappella), Galeazzo (Galeatius Flavius)
Nacque a Milano il 7 marzo 1487 da Giovanni Pietro, originario di Verona. Le buone possibilità economiche della sua famiglia (non nobile, ma di rango equestre) gli permisero di ricevere una accurata educazione letteraria e umanistica. Non sappiamo in quale anno, ma sicuramente nella sua giovinezza, prese moglie; a lei appunto è dedicato il capitolo conclusivo (XIV) del suo opuscolo Della eccellenza... delle donne, composto in età giovanile. Stimato universalmente per le capacità di scrittore e i costumi integerrimi, fu nominato in un primo tempo segretario del cancelliere e legato ducale Girolamo Morone (dopo il 1522), in seguito si acquistò a tal punto la fiducia del duca Francesco II da esserne inviato come ambasciatore presso la Repubblica di Venezia (con ogni probabilità dopo il 1530).
Alcune testimonianze edite e inedite ci permettono di ricostruire, anche se con molta approssimazione, episodi dlla vita del C. negli anni tra il 1522 e il 1530. Nella prefazione-dedica dei suoi Commentarii de rebus gestis..., il C. afferma di essersi "allontanato dalla patria alla ricerca di un rifugio sicuro in mezzo a guerre che sormontavano da ogni parte". L'esilio del C. da Milano si deve collocare negli anni in cui, dopo l'espulsione dei Francesi dal ducato da parte degli Imperiali, più acuti divampavano i contrasti tra Francesco II e le soldatesche tedesco-spagnole che l'avevano insediato (1526-29). Infine il C. poté rientrare in patria "con tutti i diritti" e riottenere la sua carica di segretario, come è confermato del resto da una sua lettera a Benedetto Giovio (inedita nel cod. Ambr. lat. I, 47 inf., f. 43r).
Di una ambasceria del C. presso l'imperatore Massimiliano, menzionata dal Tiraboschi (Storia..., p. 902) che afferma di ricavarla (a torto) dalla prefazione cit. del C., non abbiamo nessuna notizia.
Alla morte di Francesco II (1535) il C. fu riconfermato dall'imperatore Carlo V, crede del ducato, nella sua qualità di segretario "ab epistulis". Secondo il Ghilini (Theatro..., p. 101) anche Carlo V se ne servì in varie occasioni come ambasciatore.
Oltre a Benedetto Giovio, il C. fu in rapporti di amicizia con un altro insigne umanista e giureconsulto, Andrea Alciato. In una sua lettera a Pietro Bembo (7 ott. 1533) l'Alciato menziona un proprio scambio epistolare con il C., al quale avrebbe manifestato il desiderio di obbedire al duca dopo che il legato della Repubblica di Venezia gli aveva proposto di trasferirsi dall'università di Pavia a quella di Padova.
L'attività letteraria del C. comprende, secondo la moda umanistica, versi latini di cui alcuni si conservano nel cod. Cors. lat. 45 D 4 sotto il nome di "Capella" (f. 26) e di "Galeatius Capella" (f. 43). Si tratta di una produzione giovanile senza grandi pretese, ma decorosa negli effetti formali. Nel 1525 il C. si decideva a far pubblicare a Roma (2 ed. 1526), nel timore che editori poco scrupolosi ai quali era pervenuto il manoscritto lo stampassero "anche peggio iscritto" (così leggiamo nel preambolo di "Galeazzo Flavio Capella alli lettori"), il trattato Della eccellenza et dignità delle donne, scritto "in prosa volgare" per esser "meglio da ogn'uno... inteso".
L'opera, come ricaviamo dalla prefazione della successiva Anthropologia, fu scritta dal C. nella sua "prima giovanezza... in gratia d'una gentildonna, che di ciò lo richiese". Scopo dichiarato del C. è quello di difendere le donne dalle accuse di poeti e filosofi che le hanno denigrate per secoli dicendone "quel che solo a pensarne è cosa abhominevole". L'opera è breve (14 capitoli) e ricca di erudizione; le nuoce però l'intento troppo scopertamente apologetico che induce il C. a interpretazioni tendenziose. Inoltre l'enumerazione delle varie virtù femminili (fortezza, temperanza, bellezza, costanza, ecc.) riesce alla fine stucchevole, così come sforzata e paradossale è l'affermazione che Gesù si incarnò nell'uomo perché "havendo ello più di lei [Eva] fallito, fu scacciato dal Paradiso et fatto più vile".
In seguito il C. cercò di correggere l'unilateralità delle sue affermazioni pubblicando nel 1533 a Venezia un dialogo in tre libri, la Anthropologia. Eglistesso ne spiega il titolo come "ragionamento della natura humana". In quest'opera il C. rifuse senza alcun cambiamento il Della eccellenza... (che costituisce il libro II e non presenta quindi forma dialogica). Il dialogo si immagina avvenuto (palese è l'imitazione degli Asolani del Bembo, peraltro richiamati dallo stesso C.) tra un poeta "Musicola", il medico Girolamo Segazzone e messer Lancino Curtio "in casa di una gentildonna in Milano". Nel libro I, a riscontro di quelle delle donne, sono esposte le "lode degli huomini", nel III la "miseria" di uomini e donne "et... la vanità degli studi loro", Tramite il comune amico, letterato e teologo Protasio Porro, il C. sollecitò da B. Giovio un giudizio sull'Anthropologia, che come leggiamo in una lettera inedita del Giovio al C. fu altamente positivo (cod. Ambr. lat. 1, 47 inf., ff. 8v-10r).
Durante il suo lavoro di segretario e di estensore di lettere della cancelleria ducale, il C. "ebbe modo di essere spettatore di molti fatti e di scrivere a diversi Principi" (pref. ai Commentarii...). Per questo decise di porre mano a un'opera che ristabilisse la verità su quel confuso periodo storico e si fece cronista dei fatti di cui era stato testimone, descrivendo inizialmente in 4 libri le vicende della guerra tra i Francesi e Leone X che portarono alla conquista di Milano da parte degli Imperiali (1522-1525), e, dopo l'esilio, trattando in altrettanti libri degli avvenimenti che culminarono con la restaurazione di Francesco II (1526-1530). L'opera fu completata nel 1530 o al più tardi nel 1531. Così si ricava dalla citata lettera del C. a B. Giovio, in cui sono sollecitati suggerimenti e correzioni (cod. Ambr. lat. I, 47 inf., f. 43rv). Il Giovio rispose che non gli era sembrato opportuno "orationis filum, variare", ma si era limitato ad atetizzare alcune parti e a consigliare mutamenti con appropriate osservazioni ("quaedam obelisco confodi, mutandaque apposito scholio censui", ibid., ff. 43v-44v).
La prima edizione della storia fu stampata a Milano nel 1531 con la dedica a Francesco II: De Bello Mediolanensi,et rebus in Italia gestis ab anno MDXXI usque ad annum MDXXX, inter Pontificem, Gallum regem, Venetos, et Caesarem pro restitutione Francisci II Mediolanensium ducis. Il C. ne curò successivamente una revisione che fu pubblicata a Venezia nel 1535 con il titolo definitivo Commentarii Galeacii Capellae de rebus gestis pro restitutione Francisci Sfortiae II, ab ipsomet authore postremo recogniti.
L'opera si divide in otto libri. Nonostante la dichiarata professione di fedeltà al duca, il C. si propone la massima obiettività, non nascondendo tuttavia la difficoltà di accertare fatti svoltisi contemporaneamente in luoghi diversi e per cui si rendevano necessarie anche le testimonianze degli avversari. Sia nella divisione in libri sia nell'inserzione di frequenti discorsi diretti sia in certa presunzione metodologica è visibile nel C. l'influsso di Tucidide, a lui noto (è citato, ad esempio, nel cap. VI del Della eccellenza delle donne) probabilmente nella traduzione latina di Lorenzo Valla. La sua storia però ha un andamento modestamente cronachistico, sebbene il C. cerchi di abbellire il suo stile scolastico con reminiscenze sallustiane, cesariane, liviane. La ripartizione degli avvenimenti interni ed esterni è improntata a un criterio annalistico di tipo più liviano che tucidideo (gli anni non sono indicati per mezzo di date, ma di perifrasi come "iam annus ab initio belli secundus agebatur"), tuttavia l'aridità della materia è vivificata talora dalla descrizione di episodi drammatici come il sacco di Roma ad opera degli Imperiali nel 1527.
Il C. morì a Milano il 23 febbr. 1537 a quanto sembra per i postumi di una caduta da cavallo avvenuta due anni prima. Fu sepolto per sua volontà nella chiesa di S. Maria dei Servi, dove ancor oggi se ne legge l'iscrizione funebre, contenente gli uffici da lui ricoperti, curata dal fratello Baldassarre. La recente morte del C. è ricordata dolorosamente nel libro I del De Gallorum Cisalpinorum antiquitate ac origine di Gaudenzio Merula (2 ed., Lione 1538).
L'anno successivo alla sua morte, come appendice ai Commentarii de rebus gestis..., fu pubblicata a Strasburgo anche la Historia Belli Mussiani a cura di Gaudenzio Merula, con prefazione di Iacopo Camerario. È una breve monografia dallo stile compatto e stringato dove con colori sallustiani sono descritte le imprese di un famoso avventuriero del tempo, Gian Giacomo Medici (1495-1555), che si era ritagliato nel piccolo centro di Musso (nel Milanese) una signoria spesso in lotta con Spagnoli e Sforza. L'operetta fu riedita successivamente a Lovanio nel 164 e a Milano nel 1629, e inserita dal Graevius nel suo Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae (III, 1, Leiden 1704, pp. 1229-1248).
Nonostante la sua modestia complessiva e la scolastica schematicità della sua struttura, il trattato Della eccellenza... delle donne è importante per aver dato il via a una vasta letteratura cinquecentesca che fa della donna il suo centro) dal IV libro del Cortegiano di B. Castiglione al De nobilitate... foeminei sexus di Agrippa di Nettesheim, per citare i maggiori (cfr. G. Zonta, Itrattati sulla donna, Bari 1913, p. 375; Id., Storia della letteratura italiana, II, Torino 1930, pp. 352 s., 418; F. Patrizi, L'amorosa filosofia, a cura di J. Ch. Nelson, Firenze 1963). Ma il libro di maggior successo del C. furono i Commentarii de rebus gestis..., ripubblicati nel 1532 a Norimberga, nel 1533 ad Anversa (due volte), nel 1535 a Milano e Venezia, nel 1538 ad Hannover, Parigi e Strasburgo, nel 1574 a Basilea, nel 1704 a Leida dal Graevius (nel suo Thesaurus..., II, 15 pp. 1252-1335). Furono subito tradotti in spagnolo da Bernardo Perez (Valencia 1536), in tedesco da Venceslao Lincker (Bern 1539), in italiano da Francesco Philipopoli (Venezia 1539). Ad essi attinse abbondantemente il Guicciardini nella sua Storia d'Italia (libri XV-XIX) dove il C. è citato direttamente otto volte come "Capella" o "Cappella" senza che la sua autorità venga mai messa in dubbio.
Fonti e Bibl.: Milano, Bibl. Ambrosiana, cod. Ambr. lat. I, 47 inf., ff. 8v-10r, 43rv, 43v-44v; Roma, Biblioteca Corsiniana, Fondo N. Rossi 207 (45 D 4), ff. 26, 43; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 294; II, pp. 114, 352. Un regolamento delle porte milanesi, che era stato redatto dal C., venne pubblicato da V. Rossi, in Archivio storico lombardo, XXXIII(1906), pp. 424-28. Antiche edizioni rare delle opere del C. sono menzionate da G. Rossi, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXVII (1896), pp. 374 s.; G. Pieraglione, Un'edizione ufficiale di storici milanesi, in Arch. stor. lomb., XXXII (1905), 1, p. 175. Per la biografia in generale G. Ghilini, Teatro d'huomini letterati, II, Venezia 1647, p. 101; H. Cardano, De exemplis geniturarum, in Opera omnia, Lugduni 1663, n. 21; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 231; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, pp. 288 s.; S. Maffei, Istoria letter. o sia la notizia degli scrittori veronesi, Milano 1825, p. 386; G. Tiraboschi, Storia d. lett. ital., VII, Firenze 1812, p. 902; V. Forcella, Iscriz. delle chiese e degli altri edifici di Milano, I, Milano 1889, p. 97; V. Cian, Lettere ined. di Andrea Alciato a Pietro Bembo, in Arch. stor. lomb., XVII(1890), pp. 852 s. e n. 2. Non identifica (erroneamente) il C. con "Capella" E. Motta, Morti in Milano dal 1452 al 1552, in Arch. stor. lomb., XVIII (1891), p. 273 e n. 3. A. Butti, Vita e scritti di G. Merula,ibid., XXVI(1899), p. 370. Per quanto riguarda l'amicizia tra il C. e l'Alciato, cfr. G. L. Barni, Le lettere di Andrea Alciato, Firenze 1953, p. 148. A. Crespi, in Arch. stor. lomb., XXXIV (1907), 1, p. 498 (recens.), pensa che il De bello Mussiano sia stato una delle fonti di un romanzo moderno, Falco della Rupe, di G. B. Bazzoni (Città di Castello 1906), ispirato alla figura di Gian Giacomo Medici.