BOTTRIGARI, Galeazzo
Appartenente a un'antica famiglia bolognese di giuristi, nacque a Bologna da Alessandro, in data imprecisata nella seconda metà del sec. XV. Seguendo la tradizione familiare, studiò legge e il 31 maggio 1501 si addottorò in utroque iure nello Studio bolognese, dove fu chiamato subito dopo a leggere diritto canonico. Lettore di "Sesto" e Clementine dal 1501, nel 1503 passò alla cattedra di Decretali che tenne fino al 1506, quando abbandonò definitivaniente l'insegnamento per dedicarsi alla più redditizia carriera di segretario e negoziatore politico, anch'essa tradizionale nella sua famiglia, intrapresa, ancor prima di laurearsi, al servizio di Giovanni Bentivoglio.
Della sua prima missione politica dà notizia il Sanuto che il 28 ott. 1500 lo ricorda come "segretario e nontio" del Bentivoglio ("bolognese, zovene; è persona molto discreta, forma ben parole"). Alla giovane età e alla facilità dello eloquio accenna ancora il Sanuto due anni dopo (22 ott. 1502) "huomo zovene, savio, et una lengua degnissima".
La missione a Venezia, dove lo conobbe il Sanuto, rientrava nel gioco diplomatico intessuto dal Bentivoglio per tenere lontano da Bologna la minaccia di Cesare Borgia. Il B. vi si trattenne per tutto il mese di novembre del 1500, e, notificata alla Signoria la ferma volontà del Bolognesi di resistere a tutti i costi alle intimazioni pontificie di consegnare Castel Bolognese, ottenne precise assicurazioni di appoggio contro le mire espansionistiche del duca di Romagna. Sempre per contrastare le trame antibolognesi del Valentino, nell'aprile del 1502 accompagnò alla corte di Luigi XII il protonotario Antongaleazzo Bentivoglio, incaricato di sollecitare l'intervento del re contro le mene del Borgia. Il tentativo non ebbe successo: il cristianissimo abbandonò il suo atteggiamento evasivo che aveva lasciato sperare in una decisione favorevole al Bentivoglio solo nell'agosto del 1502, ma per concludere un accordo con il Valentino che gli lasciava mano libera su Bologna. Il fallimento della trattativa con la Francia indusse il Bentivoglio a tentare la via della lotta aperta contro il Borgia, aderendo a tal fine alla coalizione contro di lui che si stava organizzando in quel torno di tempo fra i signorotti dell'Italia centrale più soggetti alla sua minaccia. Il 9 ott. 1502 i nemici del Borgia si riunirono a convegno alla Magione, presso il lago Trasimeno, per concertare un piano d'azione. A questo convegno fu presente il B., al seguito del figlio di Giovanni Bentivoglio, Ermes, inviatovi dal padre per assicurare l'adesione bolognese. Verso la fine dello stesso mese di ottobre il B. si recò di nuovo a Venezia per sollecitare la conferma dell'appoggio veneziano al programma antiborgiano del Bentivoglio e dei suoi collegati. Il 22 ottobre fu ricevuto in udienza dalla Signoria e dopo aver lamentato la perdita della protezione francese dichiarò che "Bologna era spazata, si non era ajutata", sottolineando "ch'l non fa per la Signoria che Bologna vadi soto Valentino". Ottenne generiche assicurazioni di benevolenza verso il Bentivoglio, ma nessun impegno preciso. Nonostante i suoi reiterati interventi protrattisi per tutto il mese di novembre, la Signoria non uscì da questo atteggiamento cauteloso, finché il B., ricevuta notizia che il suo signore aveva preferito la via dell'accordo col Valentino a quella delle armi, non si congedò. Prima di partire, ancora il 9 dic. 1502, trattò l'acquisto di un carico di sale per conto dei Bolognesi.
Dopo questa seconda missione veneziana il B. abbandonò in circostanze non documentate il servizio del Bentivoglio. Pur continuando a conservare la sua cattedra di diritto canonico nello Studio di Bologna, egli cominciò ad assentarsi per vari soggiorni a Roma, dove risulta presente il 1º nov. 1503, in qualità di conclavista del cardinale Adriano Castellesi da Corneto. Dal servizio del Castellesi passò però assai presto a quello del cardinale di S. Giorgio in Velabro Raffaele Riario, al seguito del quale è ricordato già nel marzo del 1504. Con il Riario restò circa un decennio, nel corso del quale ebbe modo di cancellare ogni traccia del suo passato, divenuto ormai compromettente, di zelante servitore dei Bentivoglio, per intraprendere la strada, ben altrimenti redditizia e prestigiosa, che portava al servizio della Curia romana. Del suo impegno in questa direzione resta traccia in un dispaccio dell'ambasciatore veneziano Domenico Pisani che lo ricorda in data del 9 genn. 1506 come "astuta persona", pupilla degli occhi del cardinal Riario, e in una lettera di Bernardo Dovizi da Bibbiena (del 6 ott. 1511) che riferisce notizie sui Bentivoglio raccolte dal B. in ambienti bolognesi. Riuscì a passare tuttavia dal seguito del Riario al servizio della Curia solo con l'elevazione al soglio di Leone X.
Dal papa recentemente eletto egli fu inviato infatti nel dicembre del 1513 come nunzio straordinario alla corte del re cattolico, con l'incarico formale di trattare, insieme con l'agente fiorentino Giovanni Vespucci e con il nunzio ordinario G. Ruffo de Teodoli, il matrimonio del fratello del papa, Giuliano de' Medici con una nipote di Ferdinando. Doveva anche sollecitarne il consenso al progetto pontificio di pace tra Venezia e l'imperatore, sulla base della restituzione dei territori occupati ai Veneziani dietro il versamento di una somma da concordare, e con la sola eccezione di Verona che doveva essere trattenuta ancora per qualche tempo da Massimiliano.
Il B. arrivò in Spagna nel gennaio del 1514 e il 9 dello stesso mese fu ricevuto insieme con il Vespucci da Ferdinand in Alcalá de Henares. Chiese al cattolico di impegnarsi per iscritto a esercitare tutta la influenza sull'imperatore per indurlo ad accettare la proposta pontificia di pace con Venezia. Il re gli rispose che non aveva difficoltà a consentire la restituzione dei territori veneti occupati, ma che non poteva sottoscrivere alcun impegno all'insaputa del suo alleato Massimiliano, per non correre il rischio di disturbare i loro buoni rapporti senza giovare a Venezia. Egli suggeriva invece di procedere nella trattativa in due tempi, negoziando prima la tregua proposta da Massimiliano e poi la pace sulla base delle direttive tracciate a suo tempo da Giulio II. Ma la questione della pace con Venezia era solo un pretesto per saggiare la buona disposizione del cattolico nei confronti della Curia in vista della conclusione di una lega segreta che la garantisse da una nuova eventuale discesa francese in Italia. A tal fine il B. toccò l'argomento, ben altrimenti preoccupante per Leone X, del ventilato progetto di matrimonio franco-spagnolo (si parlava della possibilità di un matrimonio della nipote di Ferdinando, Eleonora d'Asburgo, con l'erede al trono di Francia Francesco) con il quale Luigi XII tentava in quel momento di raggiungere un accordo con la Spagna per una ripartizione delle rispettive sfere di influenza in Italia. Era la prospettiva più temuta dalla Curia e il B. non mancò di sottolineare le preoccupazioni del papa. Ferdinando, senza sconfessare le trattative in corso con la Francia, assicurò che esse non comportavano alcuna concessione ai Francesi su Milano e in nessun caso la benché minima minaccia verso Roma. Egli si dolse invece del comportamento assai ambiguo di Leone X, che mentre mandava il B. alla sua corte per trattarvi un accordo segreto, intrigava contemporaneamente con la Francia e gli Svizzeri per la stipulazione di un'altra lega altrettanto segreta. A queste lamentele del re il B. non seppe replicare, e in effetti la politica ambivalente perseguita in quel momento dal papa non gli lasciava molto spazio per il negoziato, tanto più poi che egli, inviato con l'incarico formale di trattare il matrimonio di Giuliano de' Medici, era stato costretto all'ultimo momento a non farne parola, in conseguenza del mutato atteggiamento pontificio. Questo silenzio poco diplomatico irritò fortemente il re cattolico che il 18 genn. 1514 incaricò il suo ambasciatore a Roma, Jeronimo Vich y Valltterra, di protestare con il papa e di notificargli la sua buona volontà di concludere il matrimonio e il suo proposito di assegnare in dote alla promessa sposa, Teresa de Cardona, una rendita di 10.000 ducati a Napoli, dei quali 8.000 come reddito di un feudo con titolo ducale e 2.000 su uno dei sette grandi uffici del Regno. Questo progetto matrimoniale, originariamente legato al proposito pontificio di vincolare il cattolico all'alleanza con Roma, aveva perduto però ogni interesse in conseguenza dell'avvicinamento franco-spagnolo, al quale Leone X cercò di reagire cautelandosi anche dalla parte della Francia e senza sbilanciarsi troppo con la Spagna. Al matrimonio poi si opponeva recisamente lo stesso diretto interessato, Giuliano de' Medici, fervente filofrancese, che intendeva sposare Filiberta di Savoia, zia dell'erede al trono Francesco di Valois. In queste condizioni, al B. toccò l'ingrato compito di continuare a trattare la conclusione della lega segreta con il cattolico, carta di riserva del papa, lasciando cadere però completamente il progetto di matrimonio giudicato ormai compromettente a Roma, ma proprio per questo motivo ancora più desiderato da Ferdinando. Il silenzio che il B. continuò ad osservare sulla questione del matrimonio riusciva così insopportabile al re che il 5 maggio 1514 scrisse al Vich di non capire perché in quattro mesi di soggiorno spagnolo non si decidesse a parlarne. Respingendo poi gli inevitabili pettegolezzi messi in circolazione dalla Curia per sabotare indirettamente il progetto di matrimonio, il re concludeva con un invito a sollecitare una risposta precisa. Dell'azione svolta dal B. alla corte spagnola, dove si trattenne molto più di quanto potesse lasciar supporre la sua qualità di nunzio straordinario, non si hanno altre notizie. La mancanza di documentazione adeguata (i dispacci del B., non ancora rintracciati, vanno considerati forse perduti) impedisce di ricostruire le vicende dei suoi tre anni di nunziatura. Certo è comunque che il definitivo accantonamento del progetto di matrimonio ispano-mediceo (Giuliano de' Medici sposerà il 21 genn. 1515 Filiberta di Savoia), non impedì al B. di conseguire il principale obiettivo della sua missione diplomatica, la conclusione cioè della lega segreta con Ferdinando, che fu stipulata il 21 sett. 1514. Degli altri due anni di nunziatura restano solo poche sparute notizie dalle quali è impossibile desumere alcunché di preciso.
Restò in Spagna fino all'arrivo del nuovo re cattolico, Carlo, succeduto nel 1517 a Ferdinando. Il 18 novembre presenziò al suo solenne ingresso in Valladolid. Rientrò a Roma nel febbraio del 1518 e in ricompensa dei meriti acquisiti nel corso dei tre anni di nunziatura fu nominato vescovo di Gaeta. Non ebbe però neanche il tempo di farsi consacrare: nel dicembre dello stesso 1518 morì a Roma.
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