Sallustio Crispo, Gaio
Storico romano (n. Amiterno 86 a.C.-m. forse 35 a.C.). Venuto a Roma assai giovane, entrò nella carriera politica e fu questore (55 o 54), tribuno della plebe (52), poi forse legatus pro quaestore in Siria; espulso nel 50 dal Senato a opera dei censori Appio Claudio Pulcro e Lucio Calpurnio Pisone Cesonino (suocero di Cesare voltosi dalla parte degli ottimati), ricomparve poco dopo a fianco di Cesare, che lo rielesse questore e dopo Farsalo lo reintegrò nel Senato (48). Fu con Cesare in Africa ed ebbe il governo della Numidia (detta Africa nova). Morto Cesare, forse anche prima, si ritirò dalla vita politica e si diede agli studi storici. La vita e la persona di S.C. furono molto discusse. Contro di lui scrisse un’acerbissima satura Pompeo Leneo, liberto di Pompeo, e da essa deriva certamente la sopravvissuta invettiva antisallustiana dello pseudo-Cicerone, dovuta a un retore dell’età imperiale. Tolte le accuse generiche, restano a carico di S.C. una avventura giovanile con Fausta, malfamata figlia di Silla e moglie di Milone, l’espulsione dal senato probri causa e l’accusa di avere accumulato ricchezze durante il governo dell’Africa. Ma è certo che dalle opere di S.C. traspare un sincero disgusto del male e una severa coscienza di giudice. Larga parte della critica moderna riconosce come autentici i cosiddetti Pseudo-Sallustiana e cioè l’Invectiva in Ciceronem, esempio della violenza a cui giunse la polemica politica della fine della repubblica e prima testimonianza della caricatura di Cicerone nel mondo antico, e le due Epistulae ad Caesarem, professione di fede in Cesare, da cui S.C. spera il rimedio ai mali che affliggono Roma e il risanamento dei costumi corrotti (sicuramente spuria l’Invettiva contro Sallustio attribuita a Cicerone e contenuta, con l’altra Invettiva, in alcuni codici sallustiani). Le opere storiche di S.C. sono: le due monografie De coniuratione Catilinae, sulla congiura dell’anno 63 a.C., e il Bellum Iugurthinum, sulla guerra combattuta contro Giugurta (112-105 a.C.), e le Historiae, comprendenti il periodo dal 78 al 67 a.C. Queste opere mostrano una tendenza democratica, tuttavia notevolmente ammorbidita da una sostanziale adesione agli ideali politici della classe dirigente, come quello della concordia ordinum e dell’avversione alla demagogia e al radicalismo. A taluni sembra che la completa maturazione di S.C. come storico sia da ravvisare nelle Historiae, di cui sono giunte a noi le orazioni e le lettere, oltre a larghi frammenti trasmessici dagli antichi o recuperati dai ritagli, in parte palinsesti (scoperti tra il 1817 e il 1885). Anche i principi etico-politici di S.C. si vanno evolvendo e chiarendo, dalle due monografie, di cui notevoli sono i proemi per il tono moralistico e la sincera ammirazione per il passato di Roma, fino alle Historiae, ove domina un pessimismo più acuto e si viene maturando un pensiero più originale nell’analisi dei fatti storici, opera della volontà degli uomini. Vi è anche maggiore personalità nelle orazioni attribuite ai personaggi, maggiore euritmia e drammaticità. Con S.C. sorge un tipo di storiografia romana aliena dall’aneddoto, dominata dall’introspezione psicologica. Anche lo stile è efficacissimo: breve, potente, solenne e insieme audace. Dopo i primi attacchi, la fama di S.C. si affermò: fin dal periodo giulio-claudio egli fu messo alla pari di Tucidide, ammirato e imitato, per es., da Tacito.