SCEVOLA, Gaio Mucio (C. Mucius Scaevola)
Una delle figure più famose e rappresentative della leggenda romana. Essendo Roma assediata da Porsenna, il giovane C. Mucio deliberò di mettere a morte il re avversario. Passato il Tevere, entrò, senza che il nemico se ne avvedesse, nel campo etrusco e uccise un segretario del re intento a distribuire la paga ai soldati, scambiandolo per il re stesso. Arrestato e minacciato di tormenti e di morte sul rogo, stese et facere et pati fortia Romanum est. Il re, ammirato, ordina la sua liberazione. Allora Mucio gli rivela che trecento giovani hanno congiurato con lui per attentare alla sua vita. Atterrito, Porsenna offre pace ai Romani, i quali poi dimostrano la loro gratitudine a Mucio donandogli un terreno oltre il Tevere, cui rimase il nome di prata Mucia. Dalla perdita della mano destra Mucio ebbe poi il cognome di Scaevola (mancino).
Così la leggenda è narrata da Livio. Plutarco dice che essa era riferita con molte varianti, ma si doveva trattare di varianti di poca importanza, come mostrano quelle stesse da lui addotte e la sostanziale concordia di tutta la tradizione a noi pervenuta; della quale la testimonianza più antica è un frammento dell'annalista Cassio Emina.
Quanto all'analisi della leggenda, i moderni, che muovono da alcuni particolari dati nel racconto di Dionisio alterato dalla retorica e dalla incomprensione delle cose romane, incorrono, pare, in un errore metodico. Il richiamo ai giuramenti che si facevano alla Fides velando la mano destra sembra affatto fuori di luogo. Molto probabilmente la leggenda è, come tante altre, un mito etiologico nato dal cognome Scaevola che portavano i Mucii plebei dei quali abbiamo notizia a partire dalla seconda metà del sec. III a. C. Questo nome è facile risalga a un amuleto che si portava al collo contro il malocchio, detto appunto scaevula, e poi interpretato nel senso di mancino o privo della mano destra. La posizione dei prata Mucia sulla destra del Tevere, cioè in territorio originariamente etrusco, ha portato a congiungere la leggenda di S. con quella di Porsenna.
Bibl.: A. Schwegler, Römische Geschichte, II, 2ª ed., Tubinga 1870, pp. 54 seg., 183 seg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 449 segg.; II, ibid., p. 10; E. Pais, Storia critica di Roma, II, Roma 1915, p. 112 segg.; F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XVI, col. 416 segg.