CALVO, Gaio Licinio (C. Licinius Calvus)
Da Cicerone è detto una volta C. Licinius Calvus, un'altra Macer Licinius. Egli adunque aveva un doppio cognomen. Figlio dell'annalista Gaio Licinio Macro (v.), nacque il 27 maggio dell'82 a. C. e morì nel 47 a. C. Amicissimo di Catullo, informò la sua attività artistica ai medesimi ideali. In un epicedio cantò teneramente la morte di Quintilia, forse sua moglie. Negli epigrammi, non risparmiò né Pompeo né Cesare, con cui non tardò a riconciliarsi. Compose pure un epitalamio in gliconei e ferecratei, simile al c. 61 di Catullo. Un poemetto mitologico era l'Io che s'ispirava probabilmente a Callimaco. Come oratore, era seguace della scuola attica in opposizione a Cicerone. Con Cicerone discusse sull'arte oratoria in una nutrita corrispondenza della quale Tacito e Quintiliano si servirono per caratterizzare le varie tendenze dell'eloquenza verso la fine della repubblica. Di elegante e squisita cultura, C. sembra fosse scrupoloso all'eccesso e troppo preoccupato di non trascendere i limiti d'una sobria eleganza. Cicerone pareva a C. diluito e snervato, mentre a sua volta C. era giudicato da Cicerone scarno e senza sangue. Giudizio questo che contraddice a quello di Quintiliano, che loda la veemenza di C., menzionata anche da Catullo. Fra le sue orazioni erano ancor celebri, al tempo di Tacito, quelle contro Vatinio e specialmente la seconda. A C. si attribuiscono inoltre un De aquae frigidae usu, forse in prosa, e le Epistulae ad uxorem.
Bibl.: F. Plessis, Calvus, édition complète des fragmentes et des témoignages; étude biographique et littéraire, Parigi 1896; Morel, Fragmenta poetarum latinorum, Lipsia 1926, p. 84 segg.