FLAMINIO, Gaio (C. Flaminius C. f. L. n.)
Di famiglia plebea, nato forse non molto prima della metà del sec. III a. C., fu tribuno della plebe nel 232 e fece approvare, contrastato dagli uomini della dominante nobiltà, una legge per l'assegnazione viritana del territorio conquistato ai Senoni a sud della colonia di Arimino e di parte del vicino agro piceno. Nel 227, aumentato a quattro il numero dei pretori, fu inviato come pretore a governare la provincia di Sicilia. Scoppiata poi la guerra gallica, di cui a torto la nostra tradizione riguarda come una delle cause la legge agraria di F. di varî anni anteriore, fu eletto console nel 223 e, passato il Po, insieme col collega P. Furio Filo, dopo un ripiegamento che la tradizione a lui avversa tinge con colori assai sfavorevoli, si congiunse coi Cenomani, alleati romani, e poi, passato un fiume che può essere l'Oglio o il Chiese, sulle sponde di esso vinse gl'Insubri in una battaglia decisiva. Anche di questa vittoria la tradizione ascrive tutto il merito agli ufficiali, mentre F. avrebbe fatto tutto il possibile per preparare una sconfitta. Ma questa è evidente falsificazione. Certo il senato, pretestando vizî di forma nella sua elezione, impensierito per la sua audace avanzata, gli aveva inviato lettere di richiamo. Ma il console, sembra, non aprì le lettere che dopo la vittoria e protestò che ormai la sua elezione doveva considerarsi valida, poiché la vittoria aveva dimostrato la bontà degli auspici. Tornato a Roma, trionfò pochi giorni prima delle idi di marzo e poi subito abdicò; e d'allora in poi il giorno delle idi (15 marzo) segnò fino al 153 il principio dell'anno consolare. Censore nel 220, F. si rese noto per la costruzione della via, che da lui prese il nome, tra Roma e Rimini e per quella del circo Flaminio. È probabile che come censore non mancasse di prendere provvedimenti favorevoli alla democrazia, ma forse è arbitrario ascrivergli, come fanno taluni moderni, la riforma dell'ordinamento centuriato. Una legge da lui poco dopo appoggiata, fu la legge Claudia, intesa a limitare l'attività mercantile dei senatori. Quando dopo l'infelice campagna del 218 con cui s'iniziò la seconda guerra punica, il popolo desiderò una condotta più energica della guerra, fu eletto console per il 217 F. insieme con Gneo Servilio Gemino. I consoli deliberarono di lasciare ai Cartaginesi l'Italia settentrionale e di difendere da loro l'Italia media, postandosi l'uno, Servilio, con due legioni a Rimini, l'altro, F., con due legioni ad Arezzo. Divise così le forze, F. si trovò in condizioni d'inferiorità di fronte ad Annibale, quando questi, passato improvvisamente l'Appennino penetrò nella Toscana settentrionale, devastandola impunemente e movendo verso Roma. F. lo seguì e aveva avvisato il collega di raggiungerlo con tutte le forze. Quando poi Annibale, lasciata la direzione di Roma, si diresse verso Perugia lungo la sponda settentrionale del lago Trasimeno, F. lo seguì, ma lasciatosi sorprendere dai Cartaginesi sulle sponde settentrionali del lago, subì una tremenda disfatta nella quale perì combattendo con quasi tutto il suo esercito (21 giugno, secondo il calendario romano). Valoroso soldato, ufficiale ardito, F. era però, come generale, di gran lunga inferiore ad Annibale e condivise col collega la responsabilità dell'errata impostazione strategica della campagna del 217, mentre su di lui soprattutto ricade la responsabilità d'essersi lasciato cogliere nell'imboscata che fu fatale a lui e al suo esercito. Come politico fu il solo che nel secolo anteriore all'età dei Gracchi sfidasse con arditi provvedimenti democratici le ire della nobiltà. Questo spiega come la tradizione a noi pervenuta sia in generale spietata verso di lui e gli ascriva a torto tutta la colpa dell'insuccesso della campagna del 217 e anche più a torto gli neghi ogni merito nella sua campagna gallica. La riforma tentata da F., ripresa troppo tardi e impedita da resistenze assai più vigorose, sboccò nella rivoluzione e nella guerra civile.
Bibl.: C. Neumann, Das Zeitalter der punischen Kirege, Breslavia 1883, pp. 219 segg., 231 segg., 324 segg.; F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 2496 segg.; J. Kromayer, Antike Schlachtfelder, Berlino 1912, III, i, p. 104 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, i, Torino 1913, p. 333; III, ii, 1917, p. 33 segg., 106 segg.; B. L. Hallward, in Cambridge Ancient History, VIII, Cambridge 1930, p. 43 segg.