GAIDULFO (Gaidolfo, Gaidulf, Gaidilulf, Gaidulfus, Gaidilulfus)
Duca longobardo di Bergamo, entrò in carica molto probabilmente già durante il regno di Autari (584-590). A causa del silenzio delle fonti note, nulla sappiamo circa la sua origine, la sua famiglia e i legami di parentela, la data e le circostanze del suo avvento. È certo, in ogni modo, che egli, a partire dal momento in cui, scomparso Autari, il turingio Agilulfo, duca di Torino, ne ebbe sposato la vedova, Teodelinda, assumendo il titolo di re dei Longobardi (novembre 590), fu uno dei più irriducibili avversari interni del nuovo sovrano.
Stando al racconto di Paolo Diacono e alla cronologia da esso desumibile, sappiamo che nel 591 si ribellò ad Agilulfo e si trincerò in Bergamo. Ciò fa pensare che egli fosse stato costretto dalle truppe del re a rinchiudersi entro le mura della sua città. Tuttavia è certo che, dopo che ebbe consegnato gli ostaggi al re, si giunse a una pace che dovette avere però piuttosto il carattere di una sottomissione.
Gli studiosi non sono unanimi sulle cause di questa ribellione. Alcuni ritengono che G., in occasione della grande offensiva congiunta scatenata nel 590 dai Franchi d'Austrasia e dai Bizantini contro il regno longobardo, si fosse schierato con gli aggressori, come avevano fatto in quelle circostanze anche molti altri duchi longobardi, come Mimulfo dell'isola di San Giuliano nel lago di Orta, e quelli di Piacenza, di Parma e di Reggio Emilia. In particolare, il Bertolini ritiene che G. si fosse unito allora ai Franchi, mentre il Bognetti ritiene che fosse passato agli Imperiali. A favore di questa ipotesi depone il fatto che Paolo Diacono, subito prima delle notizie riguardanti G., annota che Agilulfo giustiziò il duca Mimulfo perché aveva stretto un accordo con i Franchi. Non priva di fondamento è tuttavia l'ipotesi, avanzata dal Fröhlich, secondo la quale alla base della contrapposizione del duca di Bergamo al nuovo re vi sarebbero stati, piuttosto, motivi di politica interna. Lo studioso ritiene, infatti, che G. abbia preso posizione, insieme con altri duchi contro la restaurazione della dignità regia e abbia perciò cercato di favorire il ritorno a una situazione simile a quella che si era verificata in Italia dopo l'assassinio di Clefi e prima dell'avvento di Autari, nel cosiddetto periodo di interregno tra il 574 e il 584. Il contesto della narrazione di Paolo porta però a ritenere che G. fosse entrato in conflitto con Agilulfo soprattutto perché aveva assunto, nel 590, un atteggiamento favorevole ai Franchi.
La pace che il duca di Bergamo aveva stabilito con Agilulfo non fu di lunga durata. Già nel 592 G. insorse di nuovo. Fu costretto dalla reazione del re a fuggire sull'isola Comacina nel lago di Como. Agilulfo lo scacciò anche di lì e G. dovette riparare di nuovo a Bergamo. Là fu battuto e cadde infine nelle mani del sovrano. Si arrivò però anche in questo caso a una riconciliazione tra i due.
Non è chiaro quale motivo abbia spinto Agilulfo, in questa circostanza, a non giustiziare il duca due volte ribelle, come aveva fatto con altri suoi avversari interni. Forse fu indotto alla clemenza dal timore di provocare, con l'eliminazione di uno dei loro antichi sostenitori in Italia settentrionale, la reazione dei Franchi d'Austrasia, con i quali egli aveva appena concluso una pace della massima importanza per la sopravvivenza del regno longobardo (591).
Probabilmente nel 597, quando la sua posizione in Italia si fu rafforzata grazie ai trattati di pace stretti con gli Avari, con il nuovo esarca Gallicino e soprattutto con il re dei Franchi, il neustroburgundo Teodorico II, Agilulfo si decise ad agire in maniera più drastica nei confronti dei suoi oppositori interni.
G. fu, insieme con il duca di Verona Zangrulfo, una delle prime vittime della nuova determinata politica di repressione avviata allora dal re longobardo. Infatti, subito dopo aver riferito della "pax perpetua" stipulata con il sovrano franco, Paolo Diacono registra la notizia che Agilulfo "rebellantem sibi Zangrolfum, Veronensium ducem extinxit" e che "Gaidulfum quoque, Pergomensem ducem, cui iam bis pepercerat, peremit". La stringatezza delle espressioni usate dallo storico dei Longobardi e il silenzio delle altre fonti ci impediscono di conoscere le circostanze in cui maturò e si compì tragicamente il destino di G.: siamo informati che la vittoria su G. e i suoi aderenti permise ad Agilulfo di insediare a Bergamo un duca a lui fedele, il cui nome resta a noi ignoto.
In ogni caso l'eliminazione di G. costituì la premessa per uno dei maggiori successi militari di Agilulfo: la conquista e la distruzione di Cremona, città di dominio bizantino (603). L'evento portò all'annessione di estese aree del territorio cremonese al Ducato di Bergamo.
La personalità di G. e i motivi della sua politica ostile al monarca restano per noi nel complesso oscuri. Che egli fosse stato uno dei più potenti e pericolosi oppositori del re Agilulfo è a ogni modo provato dal fatto che nella più antica fonte relativa alla storia longobarda, la Origo gentis Langobardorum, della seconda metà del sec. VII, solo G., Zangrulfo e Mimulfo siano menzionati tra coloro che il re dovette vincere per consolidare il proprio potere.
Fonti e Bibl.: Origo gentis Langobardorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Script. Rerum Langobardicarum et Italicarum saecc. VI-IX, I, Hannoverae 1878, cap. 6, p. 5; Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann - G. Waitz, ibid., pp. 117, 121; L.M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 1, Leipzig 1900, pp. 99 s.; G.C. Mor, La successione al trono nel diritto pubblico longobardo, in Studi in onore di F. Cammeo, II, Padova 1933, pp. 192 s.; O. Bertolini, Agilulfo, in Diz. biogr. degli Italiani, I, Roma 1960, p. 389-397; Id., Autari, ibid., IV, ibid. 1962, p. 600-607; Id., I Germani. Migrazioni e regni nell'Occidente già romano, in Storia universale, III, 1, Milano 1965, p. 232; G.P. Bognetti, S. Maria foris Portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in Id., L'età longobarda, II, Milano 1966, pp. 177 ss.; J. Jarnut, Prosopographische und sozialgeschichtliche Studien zum Langobardenreich in Italien (568-774), Bonn 1972, p. 352; S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 55 s.; H. Fröhlich, Studien zur langobardischen Thronfolge, Tübingen 1980, pp. 101, 110; J. Jarnut, Bergamo 568-1098, Bergamo 1981, pp. 27 s., 85; K.P. Christou, Byzanz und die Langobarden. Von der Ansiedlung in Pannonien bis zur endgültigen Anerkennung, Athen 1991, pp. 146, 154.