CAMINO, Gaia da
Appartenente a nobile famiglia di origine longobarda, nacque non dopo il 1270 da Gherardo.
Scarsi e poco illuminanti i documenti a noi noti relativi alla vita della C.: ignoriamo perfino il nome della madre. Che questa fosse Chiara della Torre, seconda moglie di Gherardo da Camino, è infatti una semplice ipotesi di P. M. Federici, Notizie storico-genealogiche della famiglia de' signori da Camino, Venezia 1788, edito da G. B. Verci, nella sua Storia della Marca Trevigiana e Veronese, VIII, pp. 56ss., 72 s., 133, ripetuta dal Litta come notizia fede degna e ripresa dal Rajna, il quale credette anzi di trovarne una prova nel nome imposto alla figlia della C., Chiara (ma la figlia di quest'ultima si chiamò Ailice, come la prima moglie di Gherardo, Ailice del Vivaro). La giovinezza della C. coincise, in ogni caso, con il periodo di massimo splendore della famiglia, salita di prestigio e potenza dopo il tramonto dell'egemonia signorile di Ezzelino da Romano (1259), quando la corte trevigiana divenne un attivo centro di vita culturale e di poesia cortese: ai convegni e alle feste nel palazzo di S. Agostino non mancavano giullari e rimatori, fra i quali va menzionato Ferrarino da Ferrara.
Sposata a Tolberto dei Caminesi "di sotto" prima del 1291(nell'estate di quell'anno, infatti, era già sua moglie: ne abbiamo una prova indiretta negli AnnalesVeronenses de Romano), ricevette dal padre, come è attestato da numerosi documenti posteriori, un ricco patrimonio dotale costituito con i vecchi beni del Comune. L'11 luglio 1301acquistò dai fratelli Patriarca, Albertone e Areta, per 500lire di piccoli alcuni mulini situati sul fiume Sile presso la porta di S. Martino; nel 1302fu nominata erede universale da una certa Frixa del fu Pietro Margniga, nobildonna di origine forse trevigiana.
Il testamento di Frixa, che ci è giunto purtroppo mutilo, è stato scoperto e pubblicato dal Picotti nel 1904 (doc. I, p. 89). Rogato a Padova il 18maggio 1302in una casa di Stra' Maggiore, lo strumento prevedeva anche lasciti per diverse persone - tra gli altri, parecchi per Tolberto e per Rizzardo da Camino, rispettivamente marito e fratello della C. -, e legati per opere caritative a suffragio dell'anima della testatrice. La C. veniva incaricata, infine, dell'esecuzione delle ultime volontà di Frixa relativamente alle sommedi denaro da realizzare e da spendere in elemosine.
Il 28 luglio 1309 il doge Pietro Gradenigo inviava alla C. e a suo marito Tolberto una lettera per ringraziarli della sollecitudine e della energica fermezza da essi dimostrata nel proteggere terre e case del vescovato di Cittanuova, territorio di dominio veneziano, dalle incursioni e dai saccheggi di alcune bande di malfattori e di briganti. L'ultimo documento a noi noto relativo alla C. è il testamento da lei dettato il 14 ag. 1311alla presenza del notaio Romano di Santo Stefano nel castello di Portobuffolé, dove ella giaceva gravemente inferma, assistita dal marito e da un "Petro physico de Prata", un medico originario di Prata nel Pordenonese, che si deve probabilmente identificare con l'omonimo medico che, sin dal 1303, era tra i familiari di Rizzardo.
Quello che fu visto dal Federici e fu pubblicato dal Verci come testamento della C., e il cui originale venne inutilmente cercato da Vittorio Rossi nell'Archivio di Stato di Venezia, non era in realtà il testamento della C., ma soltanto il suo estratto (G. B. Picotti, G. da C., pp. 83 s.). Questo fu ritrovato dal Picotti, il quale ne dette nel 1904 una nuova edizione critica (ibid., doc. II, pp. 89s.), che permise di correggere alcuni errori di lettura compiuti dal Verci - e tra questi c'è quel "Petro physico de Padua", che fece pensare al Rajna che nella sua malattia la C. fosse stata assistita dal grande Pietro da Abano.
La data del testamento e quella segnata nell'obituario della chiesa di S. Niccolò a Treviso, dove la C. fu sepolta e dove sarebbe stata deposta anche la salma della sua figlia Chiara, concordano nel far ritenere la sua morte come avvenuta pochi giorni dopo la stesura del testamento.
La figura della C. è intimamente connessa col significato e con le diverse e contrastanti interpretazioni che i commentatori antichi ed i moderni esegeti hanno dato a un luogo del Purgatorio, là dove (XVI, vv. 127-140), a Dante che afferma di non sapere chi sia il "buon Gherardo", rimasto "in rimprovero del secol selvaggio", Marco Lombardo risponde "Per altro soprannome "io nol conosco / s'io nol togliessi da sua figlia Gaia". Le varie congetture proposte dai commentatori per spiegare il secondo soprannome del "buon Gherardo" e l'accenno alla C. risentono tutte, per la povertà delle notizie verificabili in sede di critica storica fornite dalle fonti a noi note, delle chiose degli antichi commentatori della Divina Commedia, attestati su due distinte e contrapposte posizioni: l'una elogiativa (Anonimo Fiorentino, Francesco da Buti, Giovanni da Serravalle, Cristoforo Landino), l'altra del tutto negativa nei confronti della Caminese. Secondo Iacopo della Lana - il più antico commentatore in volgare del poema di Dante -, Gaia "fo donna de tale regemento circa le delectazioni amorose, ch'era notorio lo suo nome per tutta Italia". Tale notizia è stata ripresa da Andrea Lancia, mentre Benvenuto da Imola, nel suo Comentum certo posteriore al 1375, la presenta come donna licenziosissima, e dopo aver detto della C. tutto il male che poteva ("Ista enim erat famosissima in tota Lombardia, ita quod ubique dicebatur de ea: Mulier quidem vere gaia et vana; et, ut breviter dicam, tarvisina tota amorosa; quae dicebat domino Rizardo fratri suo: procura tantum mihi iuvenes procos amorosos, et ego procurabo tibi puellas formosas"), afferma di sapere sul conto di lei molte altre cose, che il pudore vietava di dire: fornendo in tal modo quel paradigma interpretativo, già accolto dal Rajna (pp. 349s.), al quale oggi si ritorna, ritenendo questa tesi "più probabile e poeticamente... più efficace" (Sapegno), per lo scioglimento delle difficoltà testuali. Non è mancata, d'altro canto, neppure l'ipotesi di un eventuale rapporto di conoscenza diretta fra Dante e la C., adducendo come precedente di amori profani di Dante l'oscura allusione di Bonagiunta Orbicciani a una Gentucca nel canto XXIV del Purgatorio (Monterumici), anche se questa, come ebbe a scrivere il Sapegno, è "pura illazione di interpreti antichi e moderni, alla quale il testo di Dante non porge alcun fondamento sicuro". Eppure, sin dal 1904ilPicotti aveva avanzato una sua elegante ipotesi interpretativa, che appare maggiormente conforme sia al tono generale del canto, sia agli usi lessicali medioevali, sia alla mentalità e alla cultura di Dante: dopo aver ricordato il padre della C. come "buono" (e "buono" ha, nel lessico dell'Alighieri, un significato ben preciso: cfr. F. Anceschi, in Encicl. dantesca, I, Roma 1970, pp. 723 s., sub voce)Dante avrebbe trovato nel nome della figlia un secondo appellativo atto a caratterizzare la "virtù" di Gherardo. Quando impose alla propria figliuola il poetico nome di Gaia, Gherardo aveva certo in mente, data la sua familiarità con la poesia trobadorica, il significato dell'aggettivo "gay" caratteristico del provenzale: e ad esso appunto intende riferirsi Dante per indicare, nel signore di Treviso, il "valore" e la "cortesia", due virtù cui già altra volta (Vita Nova, VIII, 10, vv. 14-15; Inferno, XVI, v. 67)aveva congiunto l'epiteto di "gaio". Secondo il Picotti, cioè, Dante ha inteso significare con i due epiteti che l'antico valore di uomini - principi e popoli - scomparso dalla Marca "che Tagliamento e Adice richiude", è rimasto in Gherardo da Camino, che è dunque e "buono" e "gaio":ma la sua "bontà" è "capacità", "virtù di governo" (Inferno, I, v. 71; Purgatorio, IX, v. 137; ibid., XVIII, v. 119:vedi Anceschi, Encicl. dantesca, I, p. 681, sub voce), mentre la sua "gaiezza" è "gentilezza lieta" con tono leggiadro del linguaggio cortese, è "cortesia cavalleresca" (VitaNova, VIII, 4, 14).Sono appunto le due virtù della buona età antica, della quale Gherardo è un superstite; quelle due "virtù, che Iacopo Rusticucci domandava così angosciosamente se fossero partite dalla sua Firenze (Inf., XVI, 67) , valore e cortesia"(Picotti, p. 89).
La C. è stata considerata, da alcuni suoi biografi e commentatori danteschi, la prima o una delle prime poetesse in volgare: tale notizia risale a Giovanni Bertoldi da Serravalle che nella Traslatio et comentum totius libri Dantis Aldigherii (Prati 1891, p. 613) affermò che Gaia "scivit bene loqui rythmatice in vulgari" e fu ampliata dal Federici (p. 157) secondo cui la C. sarebbe stata fra le prime poetesse in provenzale. Ma questa notizia, non suffragata da alcun documento, è probabilmente puro frutto di fantasia, nato dal ricordo di quella vivace vita letteraria che aveva avuto il suo centro nella colta corte caminese.
Fonti e Bibl.: Treviso, Bibl. com., ms. n. 578, ff. 39-42; Ibid., Raccolta Scoti, IV, nn. 33, pp. 48 ss.; 313, p. 45; Arch. di Stato di Venezia, Lett. di Collegio 1308-1310, c. 48; Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis Aldigherii Comœdiam..., a cura di I. F. Lacaita, III, Florentiae 1887, pp. 450 s.; Annales Veronenses de Romano, a cura di C. Cipolla, in Mon. storici pubbl. dalla R. Deputaz. veneta di storia patria, s. 3, II, 1, Venezia 1890, p. 439; P. Raina, G. da C., in Arch. stor. ital., s. 5, IX (1892), pp. 284-296; A. Marchesan, L'Univ. di Treviso nei secc. XIII e XIV, Treviso 1892, p. 107; Id., G. da C. nei doc. trevisani,in Dante e nei commentatori della "Divina Commedia", Treviso 1904, pp. 133-158, e passim (rec. di P. Rajna, in Bull. della Soc. dantesca, n. s., XI [1904], pp. 349-359, e di R. Renier, in Giorn. stor. della lett. ital., XLIII [1904], pp. 411-13); G. B. Picotti, G. da C., in Giorn. dantesco, XII (1904), pp. 81-90; Id., I Caminesi…, Livorno 1905, pp. 74-167; L. Coletti, L'arte in Dante e nel Medio Evo, Treviso 1904, p. 87; A. Monterumici, Dante e G. da C., in Nuovoarchivio veneto, s. 3, XLII (1921), pp. 158-161; M. Barbi, Studi danteschi, XV (1931), p. 198; N. Sapegno, in Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di N. Sapegno, II, Firenze 1956, pp. 187 s.; V. Presta, in Enciclopedia dantesca, I, Roma 1970, sub voce, p. 775; P. Litta, Le famiglie celebri italiane: Camino, tav. II, Milano 1919. Per i commentatori antichi di Dante si rinvia, data l'ampiezza con cui vi sono riportati i passi relativi, all'apparato critico di G. Biagi, L. Passerini, E. Rostagno, al Purgatorio, Torino 1931, pp. 326 ss. Per Gaia poetessa cfr. G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., Venezia 1795, IV, p. 382, n. (a) e, per la scarsa validità del commento del Serravalle, V, p. 445, n. (a); U. Foscolo, Discorso sul testo della Commedia di Dante, in Opere, Firenze [1923], pp. 213-16.