RAPISARDI, Gaetano
RAPISARDI, Gaetano. – Nacque a Siracusa il 6 ottobre 1893 da Giuseppe e da Giulia Sganduzza. Adolescente frequentò i corsi di disegno, pittura e plastica presso la regia scuola d’arte (1908-12) della città natale. Nel 1915 vinse una borsa di studio che gli permise di trasferirsi a Firenze per studiare architettura presso l’Accademia di belle arti.
La prestigiosa istituzione era allora animata da artisti e intellettuali attivi e instancabili, come Raffaello Brizzi, progettista di solida tradizione accademica e titolare della cattedra di architettura, che sarebbe stato, in ambito toscano, uno dei maggiori promotori del riassetto delle strutture didattiche preposte alla formazione dell’architetto.
Nel 1917 Rapisardi, chiamato alle armi, fu costretto a interrompere gli studi; al fronte si distinse per l’intrepido coraggio e venne insignito della croce al merito di guerra. Nel 1919, terminato il primo conflitto mondiale, si diplomò con lode e a settembre venne inviato in viaggio di studio a Ravenna dal ministero della Pubblica Istruzione.
A distanza di decenni, la suggestione delle costruzioni tardoantiche, come la chiesa di S. Vitale, si sarebbe rivelata essenziale allo sviluppo della sua poetica: l’abbacinante policromia delle superfici, la diafana configurazione dell’invaso spaziale e l’austera definizione dell’involucro architettonico avrebbero connotato gli impianti cultuali della maturità.
Durante il cursus accademico Rapisardi aveva stretto un profondo legame affettivo con la figlia di Gino Coppedè, anche lei studentessa di architettura a Firenze; così, declinata l’offerta di impiego presso la soprintendenza ai Monumenti di Siracusa, nel 1920 preferì trasferirsi a Roma, per lavorare nello studio di colui che sarebbe poi diventato suo suocero.
La familiarità e la stima reciproca con l’eclettico ideatore di visionarie compagini architettoniche e urbane non influirono sulla definizione della sua ricerca artistica; animato da autonomia di giudizio, improntò sempre il suo atteggiamento progettuale a criteri di logica articolazione e classica solidità.
Nello stesso periodo venne incaricato supplente dell’insegnamento di disegno presso la scuola normale Erminia Fuà Fusinato (Roma, Archivio Capitolino, Ripartizione VI, Istruzione pubblica (1871-1934), busta 161, fascicolo 352): fu l’inizio dell’interesse per la teoria della geometria descrittiva, che continuò a coltivare nel corso dei decenni, e l’avvio di un magistero didattico che lo avrebbe portato alla cattedra di disegno dal vero presso la facoltà di architettura dell’Università di Roma (a.a. 1943-44).
A partire dagli anni Venti riversò in forma crescente tempo ed energie nella partecipazione ai concorsi nazionali: nel 1922 partecipò con il fratello Ernesto (Siracusa, 14 febbraio 1897-16 settembre 1972), anch’egli architetto, a quello per il monumento ai caduti di Messina (primo premio) e a quello per la sistemazione di un’area presso la Balduina a Roma (secondo premio ex aequo).
Nel 1924 si aggiudicò con Arturo Dazzi il concorso per la fontana da erigersi in piazza Indipendenza a Roma; nel 1925 vinse quello per il manicomio provinciale di Bari, in collaborazione con il fratello e con Domenico Sandri; e, sempre con il fratello, l’anno successivo partecipò a quello per una scuola in piazza d’Armi, a Roma.
Con Ernesto, Rapisardi mantenne per tutta la vita un saldo rapporto affettivo e professionale: la collaborazione tra i due fu così stretta e intensa che divennero quasi i dioscuri delle vicende architettoniche nazionali.
Seppur trapiantato a Roma, non abbandonò mai il legame con la Sicilia, alla quale continuò a riservare attenzioni: nel 1925 si impegnò nei lavori di ricostruzione di Messina, progettando gli isolati 102 e 313, e l’anno seguente cominciò a lavorare, inizialmente con Francesco Fichera, al pantheon dei caduti siracusani, la cui vicenda si protrasse per oltre un decennio.
Ancora nel 1925 tentò il XVII concorso del Pensionato artistico nazionale in Roma presentando il progetto per un «teatro all’aperto sul mare»; lo vinse due anni più tardi con il progetto, di «grande equilibrio e di vera organicità» (Piccinato, 1927-1928, p. 271), per «una biblioteca in un giardino pubblico per una città di centomila abitanti».
La chiarezza dell’impianto distributivo e la compostezza aulica dell’impaginato prospettico, con il gigantesco finestrone della sala di lettura delineato da succinte cornici su un basamento di marmi venati, dimostravano l’assoluto controllo della grande dimensione.
Grazie al fratello Ernesto, che già lavorava nello studio di Marcello Piacentini, Rapisardi era entrato in contatto con l’accademico d’Italia che, avendone intuito le doti progettuali e le capacità operative, lo chiamò presto a collaborare con lui.
Nel 1925, con il progetto di ampliamento e sopraelevazione dell’edificio di Eleonora Sala Fabris in piazza di Spagna 29, redatto nello studio di Piacentini, Rapisardi ebbe l’occasione di operare all’interno del tessuto consolidato del rione barocco di Roma.
Ammodernò questo brano di architettura minore e lo adeguò alle esigenze di una committenza alto-borghese ricorrendo alle nuove tecnologie costruttive, quale quella del calcestruzzo armato, e con consumata abilità recuperò i sofisticati strumenti che da secoli contribuivano a conferire decoro alle facciate, come gli incisivi marcapiani e gli stucchi di memoria settecentesca (Roma, Archivio Capitolino, Ripartizione V, Lavori pubblici, Ispettorato edilizio, prot. 961/1929, catena 1289).
Nonostante l’accortezza con la quale intervenne nel cuore dell’Urbe, i lavori suscitarono critiche e denunce sui quotidiani dell’epoca, che gridarono allo scandalo per l’intervento condotto a ridosso della scalinata del De Sanctis e della casa di Keats e Shelley (cfr. Un grattacielo in piazza di Spagna. Il pretore sospende i lavori, in Il Tevere, 3 dicembre 1926, p. 4).
Nel 1927 si aggiudicò la menzione d’onore di seconda classe al concorso per il palazzo della Società delle Nazioni di Ginevra, al quale prese parte collaborando nello studio di Piacentini, che partecipava alla gara con Angiolo Mazzoni Del Grande.
Alla fine degli anni Venti progettò per una ricca clientela alto-borghese il villino Carducci, dislocato all’interno di villa Pepoli, in un’area carica di vestigia antiche come le terme di Caracalla e la chiesa di S. Balbina; concepì un saldo impianto palladiano, adatto alle moderne esigenze di un’agiata famiglia, dove gli elementi della tradizione figurativa classica erano restituiti in forma abbreviata, secondo l’indirizzo progettuale proprio della scuola romana.
Il progetto, approvato il 2 aprile 1929 dalla commissione presieduta da Antonio Muñoz, era stato respinto nella precedente riunione del 5 febbraio presieduta da Gustavo Giovannoni, contrario a ogni forma di evoluzione e in aperto contrasto con Piacentini sulla necessità di ampliare gli indirizzi della ricerca architettonica (Roma, Archivio Capitolino, Ripartizione V, Lavori pubblici, Ispettorato edilizio, prot. 17751/1930, catena 1519).
Negli stessi anni Rapisardi continuò a occuparsi delle vicende architettoniche siciliane: nel 1929 prese parte al concorso per la ricostruzione della Palazzata di Messina, per la quale in precedenza aveva presentato alcuni studi al podestà, e nel 1930 a quello per il regio istituto tecnico e il regio liceo scientifico di Siracusa.
A conclusione del biennio, Rapisardi espose i lavori redatti, e nel settembre del 1930 venne inviato in Germania dal ministero dell’Educazione nazionale. L’esperienza autentica e diretta della nuova architettura mitteleuropea, svincolata dal classicismo accademico, risultò determinante per l’ideazione dei moderni palazzi di civili abitazioni e per la progettazione delle vaste fabbriche, dove Rapisardi raggiunse una perfetta sintesi tra classico e contemporaneo.
Nel 1932 ricevette da Piacentini l’incarico di progettare gli edifici per le facoltà di lettere e filosofia e per quelle di giurisprudenza e scienze politiche.
L’accademico d’Italia, autore del piano generale della nuova Università di Roma, stava chiamando a coadiuvarlo nell’impresa giovani professionisti da ogni parte d’Italia, secondo una precisa strategia tesa ad annientare i movimenti contestatori che minacciavano il suo primato nelle questioni architettoniche nazionali. Fu così che volle al suo fianco quello che era forse il suo miglior collaboratore.
Ricorrendo alla consulenza del personale accademico e facendo riferimento alle analoghe esperienze maturate in ambito mitteleuropeo (non ultimo il Bauhaus di Dessau), Rapisardi mise a punto una coppia di complessi organismi funzionali, innervati da una cristallina razionalità distributiva. I due fabbricati rinserrarono ai lati il solenne fronte del rettorato piacentiniano, con una coppia di blocchi edilizi che negli inediti e vasti loggiati (potenti scavi di masse, definiti da un imponente setto angolare) echeggiavano, alle estremità dell’articolato complesso architettonico, il salto di scala costituito dal colossale pronao di accesso al cuore dell’istituzione accademica.
Il motivo del sostegno d’angolo fu un ricorso compositivo frequentemente adottato da Rapisardi, che lo ripropose proprio negli stessi anni nella costruzione della casa Bonanno-Ceccarelli, incastonata all’interno della cortina di edifici che andavano formando il moderno lungotevere Marzio: un immobile improntato al più puro stile razionalista, dove era assente qualsiasi richiamo al linguaggio classico dell’architettura: tagli netti, sbalzi orizzontali di solette, ampie superfici vetrate.
Nel 1934 Rapisardi progettò per conto della SERA (Società Edile Romana Anonima) una grande casa signorile in piazza Istria a Roma. L’originaria proposta, articolata in un dittico di corpi di fabbrica che trovavano la propria labile sutura in un elevatissimo portale d’ingresso a inquadrare il verde della pineta retrostante, concretava un gusto autentico per la dimensione metropolitana: verticalismo di volumi, meccanica sovrapposizione di livelli, disposizione isotropa di bucature (Roma, Archivio Capitolino, Archivio fotografico, Edifici, strade, piazze, album 73, foto
2280-2283). L’edificio realizzato recuperava invece il carattere chiuso e massiccio del classico palazzo romano, ma ne alterava la configurazione, sostituendo ai rapporti geometrici la reiterazione seriale.
L’ossessiva ripetizione delle bucature era riscattata dalla pila di balconi sovrastante l’ampio varco d’ingresso, aperto verso la piazza, e da quella delle terrazze circolari che segnavano in verticale l’ingresso posteriore, quale ideale cerniera in corrispondenza dell’incrocio viario.
Adottando questa strategia progettuale Rapisardi realizzò negli stessi anni la grande casa De Zanetti, in via Filippo Civinini, nei pressi di piazza Euclide (proprio laddove Brasini stava innalzando la sua chiesa nelle forme del barocco tardoantico): un blocco compatto dallo sviluppo oblungo segnato alle estremità della facciata principale dallo scavo di una doppia pila di logge sovrapposte che trovava il proprio corrispettivo, lungo il fronte posteriore, nelle due colonne di balconi.
Questi edifici di civile abitazione costituivano l’apice dell’indirizzo progettuale promosso da Piacentini, teso al superamento del mero fatto architettonico in favore dell’edilizia cittadina, disadorna e spersonalizzata; l’inedita e ipertrofica crescita degli organismi urbani rendeva ormai ozioso e risibile il lavoro di cesello sul singolo elemento e reclamava invece una maggiore sintesi: in luogo delle sofisticate modanature e dei pregiati stucchi scultorei, semplici articolazioni di masse, appena incise da pochi segni. E in questo Rapisardi si dimostrò più piacentiniano di Piacentini: l’allievo aveva quindi superato il maestro.
Nel corso degli anni Trenta continuò senza sosta a partecipare ai concorsi nazionali; nel 1933 ottenne una menzione d’onore ex aequo con Francesco Leoni a quello per il palazzo postale del quartiere Appio.
Nel 1934 prese parte al concorso per il palazzo del Littorio di Siracusa (dove si aggiudicò il primo premio, ma l’edificio non venne realizzato) e a quello per il palazzo del Littorio e della Mostra della rivoluzione fascista a Roma, dove venne ammesso alla selezione di secondo grado e fu poi segnalato a titolo di lode.
Lungo via dell’Impero prefigurò una colossale parete stereotomica, perfettamente rispondente, come richiesto dal bando, «alla grandezza e alla potenza impresse dal Fascismo al rinnovamento della vita nazionale, nella continuità della tradizione di Roma» (Concorso, 1934, p. 4).
Rapisardi dette prova ancora una volta di un’insuperabile abilità a dominare la grande dimensione: articolò in settori distinti l’estesa piastra verticale (ideale prolungamento del muro augusteo) tramite poche e incisive cesure e scavò il piano terra creando un profondo portico d’accesso ad alleggerire la possente massa. Definì inoltre le battute di avvio e di arresto del lungo sviluppo del corpo di fabbrica mettendo a punto una soluzione compositiva destinata a essere ripresa a distanza di un decennio da Luigi Moretti e a diventare un modello della ricerca architettonica contemporanea internazionale: l’incisione del fianco del corpo di fabbrica a creare una profonda ombra, in perfetta corrispondenza con l’articolazione planimetrica, impostata su un lungo corridoio di distribuzione.
Nella seconda metà degli anni Trenta Rapisardi esplorò a lungo il tema del palazzo di giustizia, vincendo i concorsi per le sedi di Pisa (1935) e di Palermo (1937); in entrambi i casi i lavori vennero appaltati e si protrassero per decenni fino alla seconda metà degli anni Cinquanta. In queste opere raggiunse un inedito e potentissimo sintetismo figurativo; configurò il primo palazzo come un blocco compatto di pietra, traforato lungo l’attico e scavato in profondità in corrispondenza del magniloquente atrio d’ingresso; articolò il secondo in giochi di potenti masse, ossessivamente segnate da incisioni e leggeri scavi verticali.
Nello stesso periodo realizzò alcuni fabbricati di edilizia strettamente utilitaria, dove riversò, rielaborandoli in forma del tutto autonoma, i canoni delle Moderne Bauformen di cui aveva avuto esperienza diretta in Germania: lo stabilimento della società aerostatica Avorio in via della Vasca Navale 84, a Roma (1936); la stazione marittima di Brindisi (1936-40); le officine della società OMI (Ottica Meccanica Italiana), ora SARA (Società per Azioni Rilevamenti Aerofotogrammetrici) Nistri, in via Vito Volterra 62, a Roma (1937-38).
Nel 1937 ebbe l’incarico di erigere il pantheon dei caduti siracusani, nel quale volle realizzare un tempio-ossario trasfigurando in forme modernissime il tema classico del martyrium.
Fu l’avvio dell’indagine sugli impianti centrici, che avrebbe continuato ad analizzare nel secondo dopoguerra, quando avrebbe dedicato attenzione ed energie alla progettazione di edifici ecclesiastici.
Anche durante il secondo conflitto mondiale, nel quale perse l’unico figlio, non interruppe l’attività professionale.
Nel 1939 prese parte ai concorsi per la sede dell’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) lungo corso Sempione a Milano; per il ministero dell’Africa italiana, nell’area compresa tra la passeggiata archeologia e viale Aventino (ora occupata dalla sede della FAO, Food and Agriculture Organization); per il ministero degli Affari esteri, lungo via Imperiale; e l’anno successivo a quello per il palazzo imperiale di Addis Abeba.
In queste opere, magniloquenti e celebrative, Rapisardi travalicava lo storicismo eclettico per risalire alle origini del fare architettonico; tralasciando l’ipertrofia figurativa dell’eclettismo, magnificava le forme arcane ed eterne dell’arco e del trilite.
Ancora nel 1939 avviò la costruzione dell’istituto dei ciechi con la chiesa di S. Alessio.
Nel 1940 progettò il monumento a Costanzo Ciano, un mausoleo sulle colline di Monteburrone, presso Livorno, dominato da un gigantesco faro e dalla statua del gerarca (la cui esecuzione scultorea affidò ad Arturo Dazzi).
Nell’immediato dopoguerra, crollato il regime e mutate le condizioni economiche della nazione, si trovò nell’impellente necessità di cercare nuovi interlocutori e una diversa tipologia di clientela. Fu così che avviò una vasta attività al servizio delle istituzioni ecclesiastiche e religiose, portando a termine un consistente nucleo di opere, dispiegato lungo tutta la penisola italiana, come l’ampliamento del santuario della Madonna Paolina presso S. Giovenale, nel Reatino (1945), la chiesa della Gran Madre di Dio a Fano (1948), la chiesa di S. Rocco a Castelforte (Latina), nel 1949.
In questi lavori, dalle dimensioni piuttosto contenute se non addirittura minime, Rapisardi mise in atto un modo nuovo di fare architettura: forme semplici a concretare archetipi.
Nel 1952 vinse il concorso per la costruzione della grande chiesa di S. Giovanni Bosco, all’interno del popoloso quartiere Tuscolano, a Roma. Trasfigurando l’immagine dell’ecclesia massima della Cristianità in forme astratte, sospese in una dimensione atemporale, concepì un organismo architettonico tripartito: un gigantesco blocco di base a sorreggere un alto tamburo traforato oltre il quale spiccava la cupola con la sua lanterna. All’interno mise a punto una soluzione strutturale e figurativa di assoluta novità: in luogo dei tradizionali piloni d’imposta, posò il volume del tamburo su un solettone di calcestruzzo armato.
Le chiese di S. Nicola (1953) e di S. Rufino (1958) a Mondragone, il progetto di concorso per il santuario della Madonna delle Lacrime a Siracusa (1955) e la cattedrale di S. Sebastiano a Massa (1963-69) furono occasioni per sviluppare e declinare in forme diverse la soluzione messa a punto per la grande chiesa dei salesiani.
A metà degli anni Cinquanta venne incaricato dal Comune di Roma di studiare anche la sistemazione dell’area antistante alla mole del Don Bosco; recuperando un impianto urbano rinascimentale, provvide a delimitare la vastissima piazza con una serie di edifici porticati, dall’impaginato prospettico modernissimo che recuperava la lezione di Auguste Perret a Le Havre. Rallentata l’attività professionale, negli ultimi decenni si dedicò a ripetuti viaggi lungo tutta la penisola.
Morì a Roma il 5 dicembre 1988, nella propria dimora in via Marmorata 149.
Altre opere e progetti. Casa di abitazione Murialdi, via Appia Nuova 166, Roma (1920); concorso per la Cassa di risparmio, Fano (Pesaro, 1925); villino Sacerdoti, via Pompeo Magno 10, Roma (1926); concorso per il palazzo di Giustizia, Campobasso (1929-36); concorso per la casa del fascio, Milano (1936); concorso per la sede della Cassa nazionale malattie addetti al commercio in Roma (1937, terzo premio ex aequo); progetto per la nuova piazza con sistemazione del tempio di Apollo e accesso alla via del Littorio, Siracusa (1938); progetto di sistemazione dei nuovi uffici municipali in via della Minerva, Siracusa (1939); convento e chiostro dei SS. Cosma e Damiano al foro Romano, sede della curia generalizia del terzo ordine regolare di s. Francesco, Roma (1943-47); asilo delle suore sacramentine di Bergamo presso S. Ippolito, Roma (1945); concorso per il completamento della stazione Termini, Roma (1947); concorso per la chiesa parrocchiale di S. Giovanni al Gatano, Pisa (1947); chiesa di S. Francesco, Cisterna di Latina (1950); chiesa parrocchiale con annessa casa canonica, Vicoli (Pescara, 1953); seminario dei frati minori, Frascati (Roma, 1953); progetto per la chiesa di S. Francesco di Paola, Fano (1957); edificio della Cassa di risparmio in piazza Archimede, Siracusa (1957); edificio per l’ampliamento degli uffici comunali in piazza Archimede, Siracusa (1958); progetto di ponte sulla darsena, Siracusa (1960); progetto per il santuario della Libertà, Carano (1971).
Fonti e Bibl.: L. Piccinato, Il Pensionato Artistico 1927, in Architettura e Arti Decorative, VII (1927-1928), 1, fasc. 6, pp. 271-281; P. Marconi, Il Concorso Nazionale per il progetto della nuova Palazzata di Messina, ibid., X (1931), 1, fasc. 12, pp. 583-614; Concorso per il palazzo del Littorio, in Architettura, XIII (1934), numero speciale, pp. 52-54; G. Rapisardi, Edificio della Facoltà di Lettere e Filosofia, ibid., XIV (1935), numero speciale: La Città Universitaria di Roma, pp. 55-59; Id., Facoltà di Giurisprudenza e di Scienze Politiche, ibid., pp. 60-64; A. Pica, Nuova architettura italiana, Milano 1936, pp. 21 s., 132 s.; Id., Architettura moderna in Italia, Milano 1941, pp. 80, 129 s., 390 s.; A. Pilla, La Basilica di San Giovanni Bosco in Roma, Torino 1969; 50 anni di professione (catal.), a cura di R. Bizzotto - L. Chiumenti - A. Muntoni, Roma 1983, ad vocem; E. Ippoliti - M. Unali, La chiesa e la piazza di S. Giovanni Bosco al Tuscolano, in Dossier di Urbanistica e Cultura del territorio, 1990, n. 10, pp. 58-81; A. Piccione, G. R., in I Siracusani, II (1997), 9, pp. 36-39; S. Mornati, R., G. 1893/1988, in Dizionario dell’architettura del XX secolo, V, a cura di C. Olmo, Torino 2001, ad vocem; F. Scaroni, Cronaca e storia di un rimosso cantiere di regime: il Mausoleo di Costanzo Ciano a Livorno, estratto da Quaderni dell’Istituto di storia dell’architettura, n.s., 2003, n. 42, Roma 2005, pp. 89-96; E. Ippoliti, L’altra modernità: alcuni disegni di G. R. per Siracusa, in Ikhnos, 2007, pp. 91-122; Ead., Dal dibattito nazionale sulle riviste alla cronaca locale: i Monumenti ai Caduti di Messina e Siracusa. G. R. e la pratica professionale (1922-1937), in L’altra modernità nella cultura architettonica del XX secolo. Dibattito internazionale e realtà locali, a cura di M.L. Neri, Roma 2011, pp. 155-196.