PILATI, Gaetano
PILATI, Gaetano. – Nacque il 29 agosto 1881 nel podere Tomba, nel Comune di San Lazzaro di Savena (Bologna). Figlio primogenito dei coloni Pietro Pilati e Adele Bugamelli, Gaetano ebbe due fratelli, Alfonso (1887) e Alfredo (1889), e una sorella, Maria (1899).
Impegnato fin da piccolo nei lavori della famiglia mezzadrile, frequentò i primi tre anni della scuola elementare di San Ruffillo. Curioso e autodidatta, si formò leggendo riviste acquistate dal padre (che aveva frequentato solo tre mesi di scuola; la madre nemmeno quelli) e libri – soprattutto manuali Hoepli – forse presi in prestito alla biblioteca della Società di mutuo soccorso (SMS) La Fraternità o alla biblioteca circolante della Lega bolognese per l’istruzione del popolo. Con intraprendenza e capacità artigianale, ideò nuovi strumenti per razionalizzare i lavori al telaio e nei campi (in particolare, una leva per il sistema frenante dei carri), e costruì uno strumento musicale che ebbe modo di usare in un’orchestra del paese. Attivo nelle veglie e nelle feste contadine, scrisse e recitò zirudèle; alcuni manoscritti di questi componimenti umoristici, generalmente strutturati in quartine di versi ottonari con rima baciata, sono conservati nell’archivio di famiglia, presso la Fondazione Turati. Nel 1902-1903 fece il servizio di leva, da dove tornò come caporale.
Fu in quel contesto locale che avviò una relazione con la futura moglie Amedea Landi, figlia dei mezzadri di un podere confinante. Il forte conflitto tra i genitori dei due giovani – forse dovuto a problemi irrisolti riguardanti i lavori comuni che coinvolgevano i poderi della zona – ostacolò il rapporto; a lungo, la madre di Pilati si rifiutò di incontrare Amedea.
Nel 1907 Pilati e Amedea Landi lasciarono i poderi bolognesi e si trasferirono a Firenze in cerca di fortuna, svincolandosi dal controllo delle vecchie generazioni ed emancipandosi dal lavoro della terra. Fu una scelta di rottura che, per certi versi, anticipò percorsi di vita che si sarebbero diffusi massicciamente nel mondo mezzadrile mezzo secolo dopo. A Firenze si sposarono (1908) e nel luglio 1909 nacque il loro unico figlio, Bruno.
Con un senso di libertà testimoniato dalle lettere ai fratelli – invitati a seguirlo in città, nonché a «combattere le paure e le superstizioni dei contadini» –, il giovane Pilati praticò vari mestieri, prima di essere assunto come manovale dalla ditta edile Donnini, impegnata in appalti importanti (come la caserma sul Lungarno Pecori Giraldi), mentre Amedea faceva la stiratrice. Con notevoli sacrifici, la coppia riuscì a comprare un piccolo appartamento fuori dal centro storico e nel 1910 fondò – assieme a un compaesano – una propria ditta edile autonoma, dotata persino di un magazzino in via Aretina, nella zona sud-est di Firenze.
Facendo leva sui mestieri appresi in campagna e poi in città (manovale, falegname, fabbro, cementista, carpentiere) e mettendo forse a frutto le letture giovanili, Pilati dette slancio alla ditta, inventò e mise all’opera nuove soluzioni per l’uso del cemento armato e dei prefabbricati per l’edilizia, e soprattutto brevettò il ‘solaio Pilati’, applicato in numerose costruzioni di Firenze e, in particolare, per case popolari costruite con profitto, garbo e spirito solidale. Nel 1914 la ditta era cresciuta notevolmente, con la partecipazione dei fratelli, giunti a Firenze con la sorella (impiegata come domestica e poi magazziniera in uno scatolificio) e con la collaborazione di altre imprese di Firenze e Arezzo.
Nel frattempo, Pilati era entrato in contatto col mondo socialista e sindacale. Già presente alle iniziative fiorentine del 1° maggio 1908, conobbe l’attività delle leghe operaie e si associò alla SMS Andrea del Sarto, con sede nel quartiere operaio di San Salvi. Nel 1910 si iscrisse al Partito socialista italiano (PSI).
Organizzatore della famiglia, del lavoro, dell’associazionismo socialista e cooperativo, oramai noto per il suo attivismo e l’impegno militante, nel 1913 Pilati venne eletto presidente dell’Andrea del Sarto, carica che mantenne fino all’esproprio fascista dell’ottobre 1922. Risanò il bilancio della SMS e negli anni seguenti la finanziò personalmente in modo cospicuo. Dagli appunti conservati nell’Archivio Pilati risulta che nel luglio 1921 – dopo otto anni di presidenza, con la guerra alle spalle e lo squadrismo dilagante – Pilati aveva un credito di 63.000 lire verso la SMS.
La prima guerra mondiale e la mobilitazione totale spezzarono la storia dei Pilati e della loro impresa. I tre fratelli partirono per il fronte; l’attività della ditta fu sospesa; Amedea e Bruno lasciarono la città e si trasferirono nel povero e pietroso podere della sorella di Amedea, che viveva con il marito e nove figli.
Socialista mobilitato al fronte come sergente di fanteria, ma evidentemente poco fiducioso verso gli strumenti bellici forniti dall’esercito, Pilati si premunì fabbricando una speciale corazza a scaglie mobili di acciaio che poteva indossare sotto la divisa. Le poche lettere dal fronte rimaste, dai toni cupi, non mostrano entusiasmo per la guerra, ma molta concretezza e spirito pratico, con una costante attenzione alla gestione delle risorse familiari e all’educazione del figlio. Negli anni di trincea e durante gli assalti si distinse per coraggio e inventiva, tanto da essere promosso sul campo aiutante di battaglia per la conquista di una trincea nemica (11 febbraio 1917). Premiato con un distintivo «per militari arditi» (17 aprile 1917), ottenne una medaglia d’argento al valor militare (25 luglio 1918).
Perse l’avambraccio sinistro per lo scoppio di una granata, ma non la vita – forse grazie alla corazza. Ricoverato all’Istituto Rizzoli di Bologna, apprese tecniche per la costruzione di protesi e per il reinserimento sociale degli invalidi. Ideò e brevettò arti artificiali e protesi meccaniche di vario tipo; partecipò a concorsi nazionali ‘per i mutilati’ e vinse premi banditi da Comitati regionali per la mobilitazione industriale (gennaio 1918).
Tornato, come i fratelli, dal fronte, Pilati rilanciò l’impresa familiare e, come prima del conflitto, continuò a combinare l’impegno professionale con la militanza politica, che intensificò notevolmente tra 1919 e 1920.
Socialista massimalista, mutilato ed eroe di guerra, Pilati divenne uno dei principali protagonisti del movimento degli ex combattenti, incarnando la demistificazione della mitologia reducista sostenuta dalle componenti interventiste, nazionaliste e fasciste che miravano al controllo del combattentismo e delle sue associazioni. Dirigente locale e nazionale della Lega proletaria mutilati invalidi reduci orfani e vedove di guerra (LP mirov), costituita nell’autunno 1918, al primo congresso nazionale della LP mirov (giugno-luglio 1919) fu eletto segretario generale organizzativo delle 510 sezioni e degli oltre 200.000 iscritti (poi raddoppiati, stando ai dati forniti dalla stampa socialista). Nel violento dopoguerra, emerse come una figura che poteva competere con mutilati di orientamento antisocialista, tipo il fiorentino Carlo Delcroix, come mostrano anche i suoi articoli pubblicati su Spartacus, l’organo della Lega.
Organizzatore dei moti contro il caroviveri dell’estate 1919 – tanto da fare dell’Andrea del Sarto un luogo di raccolta e distribuzione a prezzi controllati delle merci requisite e poi rimborsate ai commercianti con ‘prezzi equi’ – e dello sciopero generale internazionale per la difesa della Russia sovietica e dell’Ungheria consiliare (luglio), fu eletto deputato alle prime elezioni a suffragio universale maschile, raggiungendo la terza posizione nelle preferenze ai socialisti per la circoscrizione di Firenze-Pistoia. Alla Camera divenne membro della Commissione permanente esercito e marina, e di quella per le pensioni di guerra. Nel maggio 1920, con Giacomo Matteotti e Augusto Santini presentò il progetto di legge Per l’elettorato amministrativo; ma tra gli interventi parlamentari va soprattutto ricordato quello dell’8 luglio 1920 sui Provvedimenti a favore delle vittime della guerra. Scelto come segretario generale della LP mirov, con le elezioni amministrative di novembre divenne anche consigliere comunale a Firenze. È da ricordare il suo intervento alla seduta consiliare del 28 giugno 1921 quando, in occasione del «commosso saluto» rivolto dal blocco di maggioranza alle salme dei caduti in guerra, che in quei giorni venivano traslate a Firenze, il mutilato Pilati riuscì a far inserire all’ordine del giorno un altrettanto commosso saluto al bambino annegato nell’Arno nel vano tentativo di salvare un amico, il cui eroismo «eguaglia, se non supera» – dichiarò Pilati – quello dei caduti nei campi di battaglia.
Al XVII congresso di partito (Livorno, gennaio 1921) si oppose alla scissione comunista e si schierò con i massimalisti unitari, cercando di garantire l’unità della LP mirov a guida socialista. Il tentativo non riuscì e, qualche mese dopo le elezioni politiche di maggio – quando non fu rieletto alla Camera – al III congresso nazionale della Lega si dimise dalla direzione (settembre 1921).
Fu il periodo più duro per il socialismo fiorentino e toscano, dopo la ‘battaglia’ di febbraio-marzo; proprio in quella difficile fase Pilati venne nominato segretario provinciale del Partito. Gestì le trattative per il patto di pacificazione dell’estate 1921 e a ottobre fu eletto nel Consiglio nazionale del PSI, su posizioni vicine a Pietro Nenni e Arturo Vella.
In quei primi anni Venti, l’uomo che «aveva cominciato la vita dalla cazzuola» – come avrebbe scritto Gaetano Salvemini qualche anno dopo – era ormai alla guida di una robusta impresa edile, conosciuta per il celebre ‘solaio Pilati’ e l’immissione sul mercato di nuovi tipi di lastre per i tetti, vespai isolanti, blocchi forati per le pareti. La ditta costruì vari rioni con edifici popolari dotati di soluzioni antisismiche e antincendio all’avanguardia; divenne appaltatrice e punto di riferimento importante per cooperative di produzione attive nel settore. La Società italiana brevetti edilizi Pilati (SIBEP), vincitrice di medaglie d’oro a concorsi ed esposizioni industriali, nel 1924 poteva vantare numerosi brevetti e una robusta rete con sette concessionari che, assieme a tre subconcessionari, copriva l’Italia centrale e buona parte del Regno. Nell’anno dell’omicidio Matteotti (1924), la SIBEP offriva lavoro e copertura a numerosi antifascisti. Pilati entrò in contatto, attraverso Ernesto Rossi, con gli intellettuali della rivista clandestina Non mollare; divenne forse il principale diffusore del periodico antifascista, garantendone l’affissione notturna sui muri e la distribuzione tra gli operai del territorio fiorentino (distribuiva 1500 copie a numero).
Anche per questo, Pilati fu uno dei principali obiettivi della ‘notte di S. Bartolomeo’ – la ‘strage’ rievocata anche da Vasco Pratolini, poi oggetto di film e documentari –, quando tra il 3 e il 4 ottobre 1925 fu aggredito in camera da letto da una squadra di fascisti fiorentini. Nella colluttazione si difese con vigore e cercò di proteggere la moglie, ma morì per le ferite il 7 ottobre, dopo giorni di agonia e dopo aver dichiarato a un brigadiere – stando alla testimonianza di Amedea – «gli austriaci mi mutilarono, gli italiani mi hanno ucciso». Per evitare manifestazioni pubbliche, le autorità fecero trasportare la salma al cimitero in sordina.
Il processo contro tre imputati accusati dell’omicidio fu celebrato nel maggio 1927 a Chieti. Sfidando le minacce, la vedova riconobbe e additò i sicari, che però vennero assolti (nel 1952, la Corte d’assise di Macerata avrebbe individuato sette persone coinvolte nell’omicidio, ma non gli autori del delitto). Per quel gesto, nel 1993 Amedea ha ricevuto una medaglia al valor civile.
Alla memoria di Pilati sono state dedicate alcune vie e istituti scolastici, si sono realizzati documentari e mostre, e per molti anni si sono tenute commemorazioni in ricorrenza dell’anniversario dell’aggressione.
Fonti e Bibl.: Oltre a fonti e testi indicati da G. Isola, P. G., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma 1978, pp. 152-155, si vedano le 9 buste conservate a Firenze, Fondazione di studi storici Filippo Turati, Archivio Gaetano, Amedea e Bruno Pilati. Cfr. anche gli Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, XXV legislatura; la serie di opuscoli della SIBEP, Moderne applicazioni del cemento armato, Firenze 1924; il numero unico Commemorando le stragi di Firenze, 3 ottobre 1936; l’opuscolo di U. Castelnuovo Tedesco, In memoria di G. P. e Gustavo Console nel ventennale della uccisione, Firenze 1945; le opere di G. Salvemini, Scritti sul fascismo, I-III, Milano 1966-1974, ad indicem. Cfr. soprattutto G. Bonsaver, Vita e omicidio di G. P. 1881-1925. Contadino, poeta, socialista, soldato, inventore e costruttore, Firenze 2010, e in particolare l’introduzione di M. Degl’Innocenti (pp. 13-23).
Cfr. inoltre: P. Costantini, G. P.: vita di un socialista, Firenze 1978; P. Ballardin, La SMS Andrea del Sarto in San Salvi 1897-1950, Firenze 1982; L. Tomassini, Associazionismo operaio a Firenze fra ’800 e ’900, Firenze 1984; Il socialismo in Firenze e provincia (1871-1961), a cura di S. Caretti - M. Degl’Innocenti, Pisa 1987; G. Isola, Guerra al regno della guerra! Storia della Lega proletaria mutilati invalidi reduci orfani e vedove di guerra (1918-1924), Firenze 1990; M. Cozzi - G. Carapelli, Edilizia in Toscana nel primo Novecento, Firenze 1993; R. Bianchi, Bocci-Bocci. I tumulti annonari nella Toscana del 1919, Firenze 2001; Id., Massoneria, società e politica tra Grande Guerra e fascismo, in La massoneria a Firenze. Dall’età dei Lumi al secondo Novecento, a cura di F. Conti, Bologna 2006, pp. 337-416.