MILANESI, Gaetano
– Nacque a Siena il 9 sett. 1813 da Anton Maria, ricco mercante di panni, e da Francesca Fantacci (Lisini, p. 182). Dopo una laurea in giurisprudenza conseguita nel 1834, insieme con il fratello minore Carlo decise di seguire i propri veri interessi, dedicandosi alla ricerca storica. Studiò le raccolte manoscritte della locale Biblioteca comunale, di cui divenne apprendista (dal 1838) e aiuto bibliotecario (1843).
Lavorando accanto alla Pinacoteca e all’Istituto d’arte – sorti qualche anno prima per volontà dell’erudito L. De Angelis – il M. si trovò immerso in un fervente clima culturale, tra la vecchia erudizione cittadina (il cui più noto rappresentante era senz’altro E. Romagnoli) e le nuove istanze dell’ambiente artistico senese: risalgono a quegli anni l’avvio della duratura amicizia con L. Mussini e la conoscenza di C. Pini, custode dell’Istituto d’arte e allora impegnato nel riordinamento e nello studio dei dipinti della Pinacoteca, al cui catalogo, edito nel 1842, collaborò il Milanesi. Nel 1837 e con la mediazione del prussiano G. Gaye (Barocchi, 1979, p. 707) – che in quegli anni andava preparando l’edizione in tre volumi del Carteggio inedito d’artisti (1839-40) – il M. entrò in contatto con il circolo culturale del Gabinetto di G.P. Vieusseux e dell’entourage già gravitante intorno all’Antologia, la rivista voluta dallo stesso Vieusseux nel 1821 e soppressa nel 1833, intenta a riscoprire i valori romantici e risorgimentali della tradizione italiana e toscana in particolare attraverso un rigoroso recupero delle fonti secondo il nuovo modello storiografico tedesco.
Grazie alle importanti sollecitazioni derivate dalle frequentazioni senesi e fiorentine (nel 1842 fu anche segretario dell’altra rivista fondata da Vieusseux, l’Archivio storico italiano, per la quale si occupò della storia politica e artistica di Siena: Lisini, pp. 185, 189), in questi anni il M. affinò i suoi interessi e le sue tecniche di ricerca, indirizzandosi verso la raccolta e lo studio di documenti sulla produzione artistica locale. Risalgono a quel momento un primo progetto di una storia dell’arte senese e una prima compilazione di una silloge fondata sui documenti dell’Archivio di Stato di Siena, come risulta dalle carte del M. oggi nella Biblioteca comunale di Siena.
Il M. cominciò dunque a godere fama di erudito di storia dell’arte locale e ad avere voce in capitolo per alcune vicende artistiche. Nel 1844 rese pubblico, con l’ingegnere G. Pini, un programma ufficiale, inviato al magistrato civico, per realizzare una copia della fonte Gaia in piazza del Campo (Programma per rifare la fonte Gaia di Siena, Siena 1844) che avrebbe dovuto sostituire l’originale, da restaurare con finanziamento a sottoscrizione pubblica.
Le ragioni, di natura conservativa, facevano leva sull’amor patrio di una città che nei suoi monumenti principali avrebbe dovuto trovare il proprio orgoglio. Solo nel 1858 fu costituito un comitato per il reperimento dei fondi, e in quello stesso anno fu affidato a T. Sarrocchi l’incarico di eseguire la copia, inaugurata il 24 genn. 1869 e protetta dalla cancellata in ferro, già ideata dal M. e realizzata da P. Franci. Ancora nel 1855, in occasione del ritrovamento degli affreschi lorenzettiani in S. Francesco, il M. si sarebbe fatto portavoce di un altro restauro con il coinvolgimento della cittadinanza nel Monitore toscano (Gli avanzi delle pitture di Ambrogio Lorenzetti in S. Francesco del 27 genn. 1855): l’intervento, finanziato con il denaro di alcuni facoltosi cittadini, fu affidato a F. Brogi e due anni dopo gli affreschi furono staccati a massello e trasportati in altro ambiente della chiesa (Mostra di opere d’arte restaurate).
Con il fratello Carlo, C. Pini e il domenicano V. Marchese, il M. fondò nel 1845 la Società degli amatori delle belle arti con l’intento di fornire materiali per la storia dell’arte. Il disegno d’insieme, una Raccolta artistica in più volumi (Firenze 1846-70), prevedeva la pubblicazione di fonti antiche e testi moderni stranieri tradotti in lingua italiana: si cominciò con un Manuale storico dell’arte greca (1846) e con il progetto, mai portato a termine, di una traduzione delle Italienische Forschungen di C.F. von Rumohr, e con quello, da subito in cantiere, di un’edizione annotata delle Vite di G. Vasari, pubblicata tra il 1846 e il 1855.
L’impresa vasariana non costituiva una novità in sé. Edizioni più e meno recenti (l’ultima del 1832, curata da G. Montani e G. Masselli) delle opere di Vasari erano ben conosciute agli studiosi. Ciò che contraddistinse questo progetto dai precedenti fu il presupposto di una ferma volontà di uscire da un’impasse apologetica dello scrittore aretino e di sottoporlo, se necessario, a revisione puntuale e documentata, così come si stava già facendo in area tedesca. Il M. aveva il compito di revisore generale dell’intera opera e l’incarico, dunque, di correggere e integrare i commenti dei suoi colleghi. In prima persona scrisse però il commentario alla vita di Simone Martini (II, pp. 100-108), di Giuliano da Maiano (IV, pp. 8-12), di Antonio e Piero del Pollaiolo (V, pp. 104-109), di Filippo Lippi (V, pp. 255-263), di Pinturicchio (V, pp. 282-298), di Raffaello (VIII, pp. 87-95), di Guillaume de Marcillat (VIII, pp. 108-114), di Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma (IX, pp. 159-199), di Michelangelo (XIII, pp. 512-524). Sua è anche la Tavola alfabetica delle Vite degli artefici (XIII), corredata delle date di nascita e morte degli artisti derivate dai documenti, ma anche dell’indice dei nomi e delle cose notabili citate. Il lavoro divenne subito un punto di riferimento importante. Il M. non smise mai di ricercare nelle carte d’archivio correggendo, chiosando le notizie vasariane e rendendo man mano note le novità. Nel 1873, nel volume miscellaneo Sulla storia dell’arte toscana edito a Siena, egli ripubblicò, oltre ai commentari in parte rivisti, alcuni scritti degli anni Sessanta, comparsi per lo più nel Giornale storico degli archivi toscani (Le vite di alcuni artefici fiorentini scritte da Giorgio Vasari, corrette ed accresciute coll’aiuto de’ documenti, IV, [1860], pp. 177-210). Questi e altri materiali sarebbero poi confluiti nella monumentale edizione delle Opere del Vasari del 1878-85.
Parallelamente il M. portava avanti il suo progetto di una storia dell’arte senese ridiscussa attraverso la rigorosa presentazione di documenti: a partire dal 1854 pubblicò a Siena in tre tomi i Documenti per la storia dell’arte senese (I, secc. XIII-XIV, 1854; II, sec. XV, 1854; III, sec. XVI, 1856).
Preceduta dalla pubblicazione dei Brevi dell’arte dei pittori, degli orafi e dei lapicidi, la silloge documentaria è fittamente annotata, e affronta alcuni nodi critici fondamentali della storia dell’arte senese: le vicende relative alla fabbrica della cattedrale, ai lavori del pavimento del duomo, agli affreschi della Libreria Piccolomini. Con questa impresa il M. rivendicava la necessità ineluttabile, per la ricerca storica, del rigore filologico e prendeva con ciò le distanze, dichiarandolo nell’avvertimento, da un certo tipo di erudizione, affrettata e superficiale: quella che a Siena era stata rappresentata da Romagnoli. Di lui e della sua «Biografia degli artisti senesi», «che si ha tuttavia in penna» a causa della morte (1838), ne riconosceva l’importanza, ma «se vuolsi ricercare in essa, ordine, critica, lingua e stile, è forza di confessare, che di queste qualità pate grande difetto» (p. VI). Il M. aveva già avuto modo di lavorare e rivedere gli scritti dell’erudito senese. Nel 1840 aveva aggiornato e corretto i Cenni storico artistici di Siena e suoi suburbi del 1836, e nel 1862, in occasione del X Congresso degli scienziati italiani a Siena, vi aveva affiancato il Discorso sulla storia artistica senese, un viatico alla storia dell’arte locale, aggiornato e affidabile, basato sul prezioso materiale documentario raccolto negli anni, nel quale il M. tratta positivisticamente dell’arte senese nel suo complesso, dalle arti maggiori a quelle cosiddette minori.
Negli anni Cinquanta il M. era ormai noto come erudito studioso ed esperto in questioni artistiche, antiche e contemporanee. La temperie culturale propria dell’ambiente legato all’Istituto di belle arti di Siena e la frequentazione di Mussini, Sarrocchi, G. Dupré e C. Guasti fecero sì che il M. fosse partecipe e protagonista del dibattito sul purismo e la pittura di storia. I parentali di Platone celebrati da Lorenzo il Magnifico (Torino, Galleria civica d’arte moderna), esposto da Mussini nel 1852 all’Accademia di Firenze, fu studiato con il M., che prestò all’amico, con il fratello Carlo, le proprie conoscenze per la definizione del soggetto del dipinto, ispirato alla biografia del Magnifico scritta dall’inglese W. Roscoe, in versione italiana già dalla fine del Settecento.
La risonanza ottenuta dall’opera, ma soprattutto le critiche provenienti da chi avversava il purismo, portarono i fratelli Milanesi, Guasti e Pini, su sollecitazione anche di Mussini, a scrivere un testo (Del purismo. A proposito delle natalizie e dei parentali di Platone celebrati nella villa di Careggi da Lorenzo il Magnifico …) che vide la luce nel settembre di quello stesso 1852 nel Monitore toscano (nn. 247-248; anche come volumetto autonomo) e che definisce, di fatto, le posizioni teoriche del purismo toscano, così come fu declinato da Mussini e dai suoi sostenitori, in contrapposizione a quello romano, di ispirazione nazarena, fissato dieci anni prima nell’opuscoletto di A. Bianchini (Del purismo nelle arti): non solo imitativo, ma tale per cui la forma, nella semplicità primitiva, dovesse saper restituire ed evocare con immediatezza l’idea, costruita con sapienza ed erudizione impeccabili. Nell’ambito di un interesse purista per la pittura «primitiva», si giustifica l’attenzione del M. per la tecnica esecutiva, cui si deve collegare anche il progetto dei fratelli Milanesi di pubblicare celebri trattati di tecniche artistiche: Carlo dava alla luce nel 1857 I trattati dell’oreficeria e della scultura di Benvenuto Cellini; nel 1859 entrambi curarono la pubblicazione, a Firenze, del Trattato sulla pittura di Cennino Cennini, significativamente dedicato a Mussini. L’opera aveva avuto un’editio princeps solo con la stampa romana curata da G. Tambroni nel 1821, peraltro condotta su una versione incompleta. I Milanesi resero disponibile una copia più antica del Trattato (Biblioteca Laurenziana, 1437) collazionata con un esemplare cinquecentesco della Riccardiana (Schlosser Magnino), e affiancarono al testo una biografia dell’autore e soprattutto un glossario tecnico – «tavola delle voci attenenti all’arte» (pp. 145-195) – perché, come si legge nella prefazione, possa «essere cresciuto grandemente il tesoro della lingua in quella parte, scarsissima ne’ vocabolari, che spetta ai vocaboli propri della pittura» (p. XXIX).
Nel 1855 fu aperto a Firenze l’Archivio di Stato e il M. ne divenne secondo (1858) e poi unico direttore (1861). Il ruolo e il luogo gli consentirono non solo di entrare in contatto con i maggiori esperti d’arte italiani (G.B. Cavalcaselle per citare il più importante) e stranieri (da D. Colnaghi a H. Layard e E. Müntz), ma di raccogliere e pubblicare documenti e studi relativi alla storia artistica senese e fiorentina.
Del 1859 è l’articolo Della vera età di Guido pittore senese e della celebre sua tavola in San Domenico di Siena (in Giornale degli archivi toscani, III, pp. 3-16), che ponendo al 1221 la datazione della Maestà di Guido da Siena in S. Domenico gettava una pesante ipoteca sulla spinosa questione critica, di origine settecentesca, intorno al primato delle due scuole, la fiorentina e la senese. Ancora nel Giornale compariva nel 1860 (IV, pp. 63-75) un saggio in cui si presentavano Documenti riguardanti le statue di marmo e di bronzo fatte per le porte di San Giovanni di Firenze da Andrea del Monte San Savino e da Gio. Francesco Rustici; mentre più tardi nelle pagine della Nuova Antologia (settembre 1870, pp. 116-130) il M. presentava i risultati delle sue ricerche sulla tavola della Vergine in Orsanmichele, attribuita in via definitiva a Bernardo Daddi (Della tavola di Nostra Donna nel tabernacolo d’Or San Michele e del suo vero autore). Il vaglio quotidiano dell’archivio toscano arricchì la messe documentaria che sarebbe confluita nelle pubblicazioni a venire e sarebbe rimasta anche inedita, tra le sue numerose carte senesi. Del 1881 è una corrispondenza tra la Direzione generale di antichità e belle arti e la Direzione dei musei e gallerie fiorentine «circa documenti trovati nell’Archivio di Stato di Firenze dal prof. Gaetano Milanesi», nell’ambito del monumentale progetto ministeriale di raccogliere documenti inediti per la stesura di una storia dei musei (L’Archivio della Direzione generale …, p. 355). Il lavoro d’archivio avrebbe dato luogo, tra il 1869 e il 1876, anche a una curiosa e interessante pubblicazione, condotta con l’aiuto di Pini: La scrittura di artisti italiani (secoli XIV-XVII) nella quale, in tre volumi in folio, si riproducevano attraverso il nuovo mezzo fotografico autografi di artisti più e meno noti con l’intento di renderne disponibile la grafia e di giovare, dunque, agli studi documentari sull’arte italiana. La riproduzione è accompagnata da notizie sull’artista (più o meno articolate; in un solo caso scritte da altri: Giovanni di Gherardo da Prato, I, a cura di C. Guasti), quasi sempre dalla trascrizione del documento, sempre dal riferimento archivistico e dall’eventuale testo moderno che ne aveva pubblicato una versione.
Nel 1860 fu istituita, come organismo di natura consultiva operante sul territorio, la Commissione per la vigilanza e la conservazione degli oggetti d’arte in Toscana, con sede a Firenze. Dal 1863 al 1865 il M. ne fu segretario, e quando, sulla scorta della creazione di tali organismi in tutte le province italiane, divenne Commissione consultiva di belle arti per le province di Firenze e Arezzo (1866, poi dal 1877 Commissione conservatrice dei monumenti e oggetti d’arte e d’antichità per la provincia di Firenze), egli ne fu membro autorevole fino alla morte, affiancando a questo incarico, dalla fine di novembre del 1889 alla fine di settembre del 1891, quello di archeologo nel consiglio tecnico del Commissariato per le antichità e belle arti della Toscana, istituito nel gennaio 1889 (Bencivenni - Dalla Negra - Grifoni, I e II).
L’attività del M. nella Commissione conservatrice fu soprattutto di supporto storico-critico. Documentate anche dalla corrispondenza e dalle carte del M. sono alcune questioni fiorentine che tale istituzione si trovò ad affrontare. Nel 1865 fu creata un’apposita commissione incaricata di studiare i danni, provocati da restauri inadeguati, subiti dai mosaici del battistero fiorentino (Pesenti, p. 167 n. 4): la relazione storico-critica, presente nel lascito Milanesi, è da attribuirsi in buona parte alla sua mano. L’anno successivo, e nell’ambito del clima di ripristino del «Medioevo fiorentino», si aprì la vicenda legata all’ipotesi di rimozione degli altari vasariani dalla chiesa di S. Croce, nel 1868 quella della sistemazione degli avelli di S. Maria Novella e dal 1879 il caso del restauro della chiesa di S. Trinita e delle sue importanti opere di pittura (gli affreschi del Ghirlandaio in primis), tra istanze di ripristino integrale «in stile» e proposte di un intervento conservativo di tipo ruskiniano, rispettoso dello scorrere del tempo sui manufatti artistici. Al centro pure di una interessante querelle, fu la questione relativa alla facciata di S. Maria del Fiore, inaugurata nel maggio 1887. Il M. prese parte attiva alla questione, e in alcuni articoli nella Nazione (Del concorso alla facciata di Santa Maria del Fiore, 12, 15, 20, 23 e 25 genn. 1863), firmati insieme con il fratello Carlo e con Pini, sostenne la tesi del modello tricuspidato.
Il M. ebbe un ruolo fondamentale anche nelle decisioni relative alle opere degli Uffizi. Fece parte di una commissione incaricata dal ministero (28 apr. 1881) «per la migliore conservazione delle opere della Galleria, del Museo Nazionale e del Museo di S. Marco», ma anche di controllare le proposte di acquisto e le richieste di esportazione, nonché il compito di inventariare l’immenso patrimonio giacente nei depositi e di vagliare i trasferimenti in galleria di opere ritenute degne. Il M. fu responsabile delle ricerche storiche ed estensore della relazione finale, datata 19 maggio 1882, nella quale si individuavano quattro categorie di dipinti: degni della galleria; inferiori, anche per la loro conservazione; interessanti per la storia e i costumi; privi di merito artistico e storico. Per avvalorare le eventuali scelte, furono realizzate mostre (una per mese, della durata di 15 giorni) che, dall’ottobre del 1880 al giugno 1881, presentarono al pubblico quasi 6000 pezzi. Grazie anche alle ricognizioni del M., in particolare per la pittura dei secoli XIII e XIV, la Galleria fu arricchita di opere importanti, tra cui tre croci di scuola bizantina, i due trittici di Lorenzo Monaco e Bernardo Daddi, le allegorie del Pollaiolo (Antonio Benci; per la vicenda si veda Barocchi, 1999, pp. 300-302).
Nel 1865 cadevano le celebrazioni per il sesto centenario della nascita di Dante Alighieri. Erano gli anni di Firenze capitale, e la città e lo Stato italiano, che in esse vedeva un forte momento di unificazione nazionale, promossero una serie di importanti iniziative. Su istanza del ministero della Pubblica Istruzione, e nell’ambito di una commissione appositamente incaricata, il M. fu intensamente impegnato nella questione relativa al vero ritratto del sommo poeta posto nella cappella della Maddalena nel palazzo del Bargello, che la tradizione voleva eseguito dal vero da Giotto.
Le ricerche diedero vita inizialmente a una Lettera al ministro della Pubblica Istruzione sul più autentico ritratto di Dante, comparsa nel Giornale del Centenario di Dante (20 luglio 1864), nella quale si avanzavano due ipotesi: che il ritratto del palazzo del Podestà fosse successivo a un altro, in miniatura, conservato nel codice Riccardiano, 1040; e soprattutto che non fosse stato dipinto da Giotto. Lo scritto aprì subito una polemica, testimoniata dagli interventi di altri eruditi comparsi nel medesimo Giornale, tra cui due lettere di Cavalcaselle: polemica alla quale il M. rispose con uno scritto, Dei ritratti antichi di Dante, destinato alla diffusione popolare e a comparire nel volume miscellaneo Ricordo al popolo pel VI Centenario di Dante (Firenze 1865), e in particolare con una seconda, ampia memoria della Commissione ministeriale edita in due numeri del Giornale del Centenario (10 e 20 febbr. 1865, nn. 37-38, ma pubblicata anche come volumetto), Del ritratto di Dante nella cappella del Podestà in Firenze, sottoscritta dal M. e da L. Passerini. Il M. – che in passato si era già occupato di Dante curando l’edizione settecentesca di A.M. Salvini del Commento di Giovanni Boccaccio sopra la Commedia (Firenze 1863) emendata dagli errori grazie al confronto con gli altri codici fiorentini – sarebbe tornato ancora a scrivere sulle questioni dantesche nel 1869 nell’Archivio storico italiano (Documento inedito e sconosciuto che riguarda Dante Alighieri, s. 3, t. 9, parte 2ª, pp. 3-9).
Nell’ambito dei rapporti intrattenuti con il ministero della Pubblica Istruzione, nel 1866 al M. fu chiesto dal ministro D. Berti di redigere una storia della miniatura italiana. L’incarico, che il M. volle condividere con Pini e che non fu mai portato a termine, comportava un assegno di ricerca di 800 lire annue per quattro anni.
Risaliva almeno a una quindicina di anni prima l’interesse del M. per questo campo dell’arte, già esplorato altrove, in Europa, fin dal secolo precedente, ma che in Italia non aveva avuto ancora specifica attenzione. Nel VI volume dell’edizione vasariana (1850) compare infatti un commentario, ristampato quello stesso anno come libretto autonomo (Nuove indagini con documenti inediti per servire alla storia della miniatura italiana, Firenze), sulla miniatura quattrocentesca nell’Italia centrale, di cui si tracciava il profilo storico, se ne descrivevano esemplari prodotti tra il 1440 e il 1529 secondo uno spoglio condotto su alcune biblioteche in particolare fiorentine e senesi, e si offriva un regesto dei documenti d’archivio. Fin da questo scritto si gettavano, dunque, le premesse per un lavoro più ampio sulla miniatura, «gentilissima fra tutte le arti» ma allo stesso tempo «delicata» (p. 322): imprescindibile si dichiarava la necessità di procedere a un sistematico intervento di conservazione ma in particolare a un’adeguata conoscenza dei codici sparsi nelle chiese e biblioteche d’Italia attraverso un più che mai opportuno lavoro di catalogazione. Un’istanza, questa, che il nuovo Stato unitario non poteva non condividere, e come G.B. Cavalcaselle e G. Morelli nel 1861, anche Pini e il M. percorsero le strade che portavano a tesori da censire, e si avvalsero dell’aiuto di bibliotecari, studiosi, informatori e corrispondenti: A. Rossi a Perugia, G. Amati a Roma, L.N. Cittadella a Ferrara, W. Braghirolli a Mantova, G. Valentinelli a Venezia, G. D’Adda a Milano, L. Tanfani Centofanti a Pisa. Nel 1871 usciva sulla Nuova Antologia, a firma del M., l’articolo Della miniatura in Italia. Proemio (febbraio 1871, pp. 467-473), che doveva appunto costituire il proemio dell’opera mai portata a termine: nel lascito del M. presso la Biblioteca comunale di Siena se ne conserva un abbozzo, insieme con una grande quantità di materiali confluiti in parte tanto nel commentario (III, pp. 231-235) di Bartolomeo della Gatta (Pietro Dei), comprensivo di una breve biografia con i principali lavori del miniatore fiorentino A. Attavanti; quanto nel progetto, mai realizzato, di una mostra di codici fiorentini rinascimentali da allestirsi nel convento di S. Marco: un’esposizione a fini conoscitivi e per sollecitare i necessari interventi conservativi.
Nel 1875 Firenze ebbe modo di magnificare ulteriormente il proprio mito, celebrando uno dei suoi più significativi geni: Michelangelo. In occasione del quarto centenario della nascita, si diede vita a importanti manifestazioni accompagnate, come di consueto, da ricerche storiche e documentarie: il M. pubblicò Le lettere di Michelangelo Buonarroti, pubblicate con i ricordi ed i contratti artistici (Firenze 1875), edizione approntata su richiesta del comitato fiorentino per le celebrazioni del centenario.
Se anche nella prefazione egli si definiva «non artista, né dell’arte intendente» (p. V), il suo metodo di pubblicazione dei documenti risulta ormai molto sicuro: cita sempre le fonti, esegue controlli incrociati tra gli originali e quanto già pubblicato, spiega nel dettaglio in che modo si è inteso riprodurre i testi, filologicamente ma senza rasentare la pedanteria, per rendere più leggibile il materiale. L’occasione del centenario fece produrre al M. anche un testo sulle Esequie del divin Michelangelo Buonarroti (Firenze 1875) con la prefazione di G. Piccini; e un saggio sui ritratti di Michelangelo comparso nel volume, analogo a quello dantesco, Ricordo al popolo italiano (1875, n. 77).
Il M. si era già occupato da vicino di Michelangelo. Aveva riveduto la Guida alla Galleria Buonarroti di A. Fabbrichesi (1865), e ne aveva scritto la lettera proemiale; aveva anche steso il testo dell’epigrafe posta intorno alla porta esterna di casa Buonarroti. Era stato inoltre coinvolto in prima persona nella questione, sorta già dal 1846, intorno all’ipotesi del trasporto del David dalla piazza della Signoria all’Accademia e di una sua sostituzione con una copia in bronzo. Nel 1866 nella Gazzetta del popolo di Firenze rivendicava la propria contrarietà in ragione di istanze prettamente estetiche: la mancanza di luce adeguata, uno spazio angusto che ne avrebbe impedito la visione così come era stata concepita dal suo geniale autore, il contesto non originale e, d’altro canto, il terribile esito provocato dall’inserimento di una massa scura (il bronzo) in un luogo e tra esemplari che ne avrebbero sofferto (Del traslocamento del David di Michelangelo, 28 febbraio). Mentre ancora se ne discuteva, nel 1873 il David veniva spostato nella sua nuova sede. A quello stesso 1873 risale anche una relazione della commissione ministeriale incaricata di valutare l’acquisto, poi senza esito, di una cera ritenuta un bozzetto di una Deposizione dalla Croce di Michelangelo: il M. fu relatore del testo redatto per l’occasione (Documenti relativi al bozzetto in cera della Pietà di Michelangelo che ne provano l’autenticità, posseduto dal cav. Ottavio Gigli, Firenze).
Il M. fu sempre più considerato un’autorità su Michelangelo. Nel giugno del 1881 Charles Heath Wilson – che aveva conosciuto il M. a Firenze e forse già a Siena nel 1842 e che nella sua monografia del 1876 su Michelangelo lo citava nei ringraziamenti – lo contattò dall’Inghilterra per un parere attributivo; e nel 1890 risulta che il M. lavorasse al progetto per un’edizione francese delle lettere di Michelangelo, intrattenendo rapporti con Parigi attraverso Müntz (Les correspondants de Michel-Ange, traduzione di A. Le Pileur, Paris 1890).
La continua attività di ricerca del M. e i risultati di quanto emergeva, anno dopo anno, dai lavori di altri studiosi crearono le premesse perché il M., già fin dai primi anni Sessanta, pensasse a una nuova edizione delle Vite di Vasari: idea che trovò una prima concretizzazione nell’uscita di una nuova e riveduta stampa nel 1868, ma che sarebbe convogliata nella monumentale pubblicazione delle Opere dello scrittore aretino, cui il M. attese, questa volta solo (il fratello Carlo era morto nel 1867 e Pini si trovò impedito da altre questioni), tra il 1878 e il 1885.
Oltre a un’edizione riveduta delle Vite (tomi I-VII), in quest’ultima impresa vasariana si mettevano a disposizione degli studi anche i Ragionamenti – gli immaginari dialoghi sull’arte tra Vasari e Francesco de’ Medici circa le pitture realizzate per le nuove stanze di palazzo Vecchio – e l’epistolario (VIII), cui venivano aggiunte circa cinquanta lettere inedite. In entrambi i casi nelle note iniziali il M. illustrò brevemente la storia editoriale dei testi, dichiarando la fonte alla quale egli si era direttamente richiamato. Circa i Ragionamenti – che avevano avuto una prima edizione postuma nel 1588 a cura del nipote Giorgio il Giovane e quattro tra il 1762 e il 1832-38, data della stampa di Passigli con le note di Masselli – il M. utilizzava il manoscritto conservato nell’Archivio delle Gallerie degli Uffizi. Nell’avvertenza delle Lettere edite ed inedite il M. dichiarava di essersi servito del codice Riccardiano 2354, in parte pubblicato già nel Settecento, nonché delle lettere edite nel Carteggio di Gaye ma emendate dagli errori grazie al confronto con gli originali. Le lettere erano presentate in ordine cronologico e con brevi annotazioni.
Nel 1887 si collocano gli interventi del M. in occasione del quinto centenario della nascita di Donatello. Nell’ambito di tali celebrazioni, e della usuale produzione di scritti eruditi intorno alla figura dell’artista, il M. contribuì alla pubblicazione curata da V. Paganori di un Album delle principali opere di Donatello, descrivendo le trenta tavole in fototipia di cui si componeva; e soprattutto mise a punto un Catalogo delle opere di Donatello e bibliografia degli autori che ne hanno scritto (Firenze 1887).
Il catalogo si divide in tre parti: la prima è dedicata alle «opere di data certa o presunta» (pp. 5-20), e si presenta sotto forma di regesto, in cui risultano sempre dichiarate le fonti delle notizie; la seconda include le «opere di cui non è potuto stabilire l’anno» (pp. 21-24), pur essendo sicuramente ascrivibili all’artista; la terza prende in esame le «opere dubbie o falsamente attribuitegli» (pp. 25-29), cioè «senza sufficienti ragioni storiche od artistiche» (p. 4). Il catalogo è chiuso da una sezione dedicata ai disegni (p. 31) ed è seguito da una bibliografia redatta da A. Gelli e lasciata incompiuta a causa della morte; il M. si curò di riorganizzarla, rivederla e pubblicarla in maniera ragionata. È suddivisa infatti in due gruppi, uno biografico («vite, memorie, ricordi biografici») mentre l’altro raccoglie gli «autori antichi e moderni che parlano di lui».
Nel 1889 – anno in cui il M. divenne soprintendente agli Archivi toscani (Archivio storico italiano, s. 5, t. 3, p. 303) – si hanno le prime attestazioni della volontà di dedicarsi a quella che sarebbe stata l’ultima sua impresa, incompiuta: il progetto di una storia della fabbrica medicea di maiolica di Cafaggiolo. Il materiale, caotico e disomogeneo, raccolto con l’intento di trattare degli aspetti storici e di quelli tecnici dell’arte ceramica, sarebbe stato pubblicato postumo da G. Guasti, cui la moglie del M., alla sua morte, aveva affidato gli appunti (Di Cafaggiolo e d’altre fabbriche di ceramica in Toscana, secondo studi e documenti in parte raccolti dal comm. Gaetano Milanesi, Firenze 1902).
Il M. morì a Siena l’11 marzo 1895.
Due giorni dopo il Consiglio comunale si riunì per stabilire le onoranze da tributare al Milanesi. La giunta decise di far eseguire un busto in marmo da collocarsi in palazzo pubblico: l’incarico fu affidato ad A. Prunai che lo terminò nel 1896.
Durante la sua lunga attività, il M. fu un prolifico scrittore, anche se non tutto vide la luce a stampa. Oltre a quanto citato, si devono ricordare alcune edizioni di opere fiorentine, in gran parte riviste alla luce dei documenti: le Lettere di Giambattista Busini a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze (Firenze 1861), carteggio che egli dava nuovamente alle stampe emendato dagli errori delle edizioni precedenti grazie al confronto con gli originali conservati nelle biblioteche e negli archivi fiorentini e accresciuto di materiale inedito; il Memoriale di molte statue e pitture della città di Firenze di F. Albertini, ripubblicato con C. Guasti e il fratello Carlo nel 1863 in occasione delle nozze dell’amico Mussini con Luisa Piaggio sull’unico esemplare noto dell’unica edizione a stampa (1510) di A. Tubini; le Operette istoriche edite ed inedite di Antonio Manetti (Firenze 1887) in cui il M. ripubblicava, per la prima volta riunite e con l’attribuzione a Manetti, la Novella del grasso legnaiolo e la Vita di Filippo di ser Brunellesco, cui aggiunse gli Uomini singolari in Firenze dal 1400 innanzi, cioè il volgarizzamento del De civitatis Florentiae famosis civibus di F. Villani, e le Notizie di Guido Cavalcanti. Poeta.
Si devono inoltre citare alcuni interventi legati alla questione del rapporto tra connoisseurship e ricerca documentaria, ribadito costantemente dal M. in più occasioni: il saggio Dell’erudizione e della critica nella storia delle Belle arti, prima in Nuova Antologia, marzo 1866, 1, poi in Sulla storia dell’arte toscana, cit., pp. 7 s.; l’articolata e ampia recensione della New History of painting in Italy di J.A. Crowe e Cavalcaselle, ancora nella Nuova Antologia, nel 1868 (gennaio, pp. 144-157). A ciò si deve affiancare un’opera più prettamente legata al campo dell’expertise e al mercato antiquario: il Catalogue de tableaux, meubles et objets d’art formant la galerie de M. Toscanelli (Florence 1887, impresa di vendite Giulio Sambon, Milano).
Fonti e Bibl.: Il più ampio profilo biografico del M. si deve a P. Petroli, G. M. Erudizione e storia dell’arte in Italia nell’Ottocento. Profilo e carteggio artistico, Siena 2004, che pubblica il carteggio relativo alle questioni artistiche conservato tra le carte del M., presso la Biblioteca comunale di Siena; a questo studio si fa qui riferimento, dove non altrimenti indicato. Si veda inoltre A. Lisini, Necrologio di G. M., in Bullettino senese di storia patria, II (1895), pp. 182-187 (con un lungo e dettagliato elenco delle pubblicazioni: pp. 187-196); J. Schlosser Magnino, La letteratura artistica (1924), Firenze 1990, p. 92; P. Barocchi, Gli scritti d’arte della Antologia di G.P. Vieusseux 1821-1833, Firenze 1979, VI, p. 707; Mostra di opere d’arte restaurate nelle province di Siena e Grosseto, Genova 1981, p. 55, scheda 17; M. Bencivenni - R. Dalla Negra - P. Grifoni, Monumenti e istituzioni, I, La nascita del servizio di tutela dei monumenti in Italia. 1860-1880, Firenze 1987, ad ind.; II, Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia. 1880-1915, ibid. 1992, ad ind.; L’Archivio della Direzione generale delle antichità e belle arti (1860-1890), a cura di M. Musacchio, Roma 1994, p. 355; C. Sisi - E. Spalletti, La cultura artistica a Siena nell’Ottocento, Siena 1994, ad ind.; S. Pesenti, La tutela dei monumenti a Firenze. Le «Commissioni conservatrici» (1860-1891), Milano 1996, ad ind.; P. Barocchi, Firenze 1880-1903: cultura figurativa e conservazione, in Storia dell’arte e politica culturale intorno al 1900. Atti del Convegno …, Firenze … 1997, a cura di M. Seidel, Venezia 1999, pp. 297-311; Nel segno di Ingres. Luigi Mussini e l’Accademia in Europa nell’Ottocento (catal., Siena), a cura di C. Sisi - E. Spalletti, Cinisello Balsamo 2007, pp. 144-147 e passim.
M.G. Sarti