GIUDICI, Gaetano
Nacque a Milano il 17 genn. 1766 da Carlo Maria e da Giuseppa Lomeni. Cresciuto in un ambiente familiare benestante e aperto ai contatti con il mondo degli artisti e dei letterati (il padre, originario di Viggiù, era scultore, architetto e pittore assai apprezzato), fece studi di retorica, logica e metafisica nel seminario milanese dimostrandosi assai vivace e dotato di buone capacità sia dialettiche sia oratorie. La sua vera formazione avvenne però nel seminario generale di Pavia, che era stato aperto nel 1786 per volontà di Giuseppe II per concentrare in un solo luogo e rendere così più uniforme l'educazione dei chierici di tutta la Lombardia: obiettivo, questo, funzionale al vasto progetto di riforma ecclesiastica dell'imperatore e sostenuto a Pavia dall'insegnamento di un corpo docente in cui spiccavano molti giansenisti. Il G., per esempio, fu allievo di P. Tamburini, G. Zola e V. Palmieri e ne ricevette una forte impronta di tipo regalistico e anticuriale che sviluppò ulteriormente nelle discussioni con i colleghi di corso, seguendo con attenzione le vicende del vescovo di Pistoia e Prato, Scipione de' Ricci, e appassionandosi alla sua polemica contro Roma. A questo periodo risalgono pure alcune amicizie destinate a durare, come quella con G. Prina, il ministro italico delle finanze che sarà linciato nel 1814, e soprattutto con L. Tosi, futuro vescovo di Pavia.
Laureatosi il 9 giugno 1789 in diritto canonico e in teologia con due tesi sulle indulgenze e sulle modalità della comunione, quello stesso anno il G. era nominato ripetitore di storia ecclesiastica e diritto canonico nel seminario pavese, pochi mesi prima della morte di Giuseppe II. Le notizie della Rivoluzione francese inducevano il successore di questo, Leopoldo II, a mutare politica: la prima conseguenza per il G. fu che, chiuso il seminario e rientrata la spinta riformatrice, egli dovette far ritorno a Milano dove il 17 dic. 1791 ricevette l'ordinazione sacerdotale e un posto di catechista nella parrocchia di S. Maria del Carmine.
Fresco di studi teologici e di letture, prese subito dopo a intervenire nell'acceso dibattito aperto che gli elementi più fedeli al magistero papale avevano scatenato contro il giansenismo e i suoi progetti di riforma interna della Chiesa: anzitutto, con il suo Esame e confutazione di un libro che ha per titolo: "Notizie storiche sulla persona e sul libro della frequente comunione di Antonio Arnaldo...", pubblicato anonimo nel tomo III (1792) della Biblioteca ecclesiastica di Pavia, difese la traduzione milanese del libro De la fréquente communion (1789) di A. Arnauld, presa di mira dai filoromani per le tesi rigoristiche; venne subito dopo il discorso Nelle solenni esequie dell'ill.mo e rev.mo monsignore d. Gian Maria Bossi oblato proposto parroco della regia imperiale basilica di S. Ambrogio..., Milano 1792, commemorazione di un sacerdote giansenista al G. molto caro e spesso in urto con la curia milanese, ma anche auspicio non rinunciatario di un clima di maggiore concordia all'interno della Chiesa. Era questo il messaggio che più gli premeva offrire, sembrandogli che l'idea giansenistica di un cattolicesimo più rigoroso e anche più vicino al dettato del Vangelo non dovesse produrre spaccature fra i ministri della religione ma favorire l'educazione dei fedeli a una devozione meno esteriore.
Forse per questa ritrosia a polemizzare il G. non parve essere entusiasta della richiesta che gli fece il Tamburini di scrivere il seguito delle sue Lettere teologico-politiche (1793) improntate a un'accesa discussione con il curialista N. Spedalieri, e quando dovette comunque piegarsi lo fece firmando con uno pseudonimo il tomo III e IV del trattato tamburiniano (Lettere teologico-politiche sulla situazione presente delle cose ecclesiastiche continuate dall'abate Agostino del Monte vicentino, Milano 1794): si profilava qui quella particolare concezione del rapporto tra poteri civili e poteri religiosi che, già adombrata nelle simpatie per il giuseppinismo e preannunziata nel 1790 con un opuscolo, edito a Milano, di Riflessioni sul carattere e sull'origine delle pubbliche potestà contro il sistema di un anonimo francese..., avrebbe in seguito innervato di sé tutta l'attività politica e amministrativa del Giudici.
Partendo dal pessimismo agostiniano sull'uomo, il G. disegnava infatti il profilo di una società tenuta insieme dall'autorità del sovrano, autorità che, per essere di origine divina, era morale oltre che politica, riceveva luce direttamente da Dio e in caso di malgoverno non prevedeva altra forma di opposizione che la resistenza passiva. Prese così le distanze dai giansenisti francesi e condannata la loro adesione ai principî della sovranità popolare, il G. ne assolveva tuttavia l'accettazione della costituzione civile del clero e del giuramento di fedeltà a essa, dettata a suo dire dalla realistica necessità di non confinare la fede ai margini della modernità tagliandola definitivamente fuori dal vivo delle lotte politiche. Su tale tesi tornò di lì a poco per respingere ancora una volta, avvalendosi di un nuovo pseudonimo, l'equazione del giacobinismo col giansenismo riproposta in termini molto aspri nel 1794 dall'ex gesuita G.V. Bolgeni, cui il G. replicò - ribadendo la lealtà dei giansenisti al sovrano - con una prima Lettera di Agatopisto Filarco all'autore delle Lettere teologico-politiche sulla situazione presente delle cose ecclesiastiche, subito seguita da una Lettera seconda di Agatopisto Filarco... ossia Conversazione sul nuovo libro dell'abate Bolgeni intitolato "Problema se i giansenisti siano giacobini...", edite l'una e l'altra a Milano nel 1794 (per l'attribuzione al G. si veda Zingale, p. 70 n. 31).
Più concretamente politico fu l'impegno svolto dal G. nel triennio della Repubblica Cisalpina. Quello tra il 1796 e il 1799 fu per lui un periodo di intensissima attività, ispirato a una sostanziale fiducia nell'opera stabilizzatrice di Napoleone Bonaparte e punteggiato di assidue presenze nella pubblicistica e nelle istituzioni. Coerente con i propositi da poco attribuiti ai teologi francesi e da lui dimostrati validi, il G. impersonò tra tutte le varie anime del cattolicesimo del tempo quella che, rifiutando le prese di posizione intransigenti, praticò sempre con il mondo laico in fermento un dialogo inteso a conservare o a riportare l'ordine minacciato dalla demagogia e dal settarismo. Accettò dunque la repubblica, la fine dei privilegi aristocratici e la limitazione di quelli della Chiesa; discusse gli aspetti ecclesiastici della nuova legislazione trovando equo il principio della libertà di culto perché ispirato a tolleranza verso le altre confessioni e perché l'egemonia numerica del cattolicesimo non poteva tradursi in un diritto costituzionale, mentre andava eventualmente fatta valere attraverso il dibattito sulle leggi (Discorso sopra l'art. 355 della Costituzione cisalpina risguardante il culto, Milano anno I della Repubblica Cisalpina [1797]; sembra che proprio il tema della tolleranza accostasse il G. alla massoneria); condannò l'istituzione del divorzio, "un abuso che altera lo stato naturale del matrimonio" (Memoria sul divorziodel cittadino Gaetano Giudici, ibid. anno VI repubblicano [1797]), opponendo alla teoria contrattualistica del matrimonio l'altra che ne faceva un fattore di bene pubblico e di crescita ordinata della popolazione, una "convenzione dettata dalla natura, e liberamente formata da due persone" (tesi che gli procurò una critica da parte di M. Gioia nella Teoria civile e penale del divorzio), ma non lanciò anatemi né considerò gli aspetti dottrinali della questione, fermandosi a quelli pratici e di costume forse perché rappresentavano il terreno più adatto per misurarsi con un mondo ormai avviato alla secolarizzazione; con un atto di coraggio terminò dicendo che toccava ai cattolici fare dell'indissolubilità una scelta da veri credenti e non un'imposizione dall'alto.
È quest'ultimo un dato comune a quasi tutti gli interventi del G. nel primo anno della Cisalpina, tra i quali vanno ricordate ancora le collaborazioni al Giornale dei patrioti d'Italia di M.A. Galdi e al Giornale popolare della Società di pubblica istruzione (1797), in quest'ultimo caso attraverso un'apposita rubrica periodica dal titolo "Emendazione dei pregiudizi e riforma degli abusi" in cui si scorgeva l'altra faccia del G., attenta alla formazione morale e religiosa del cittadino e all'eliminazione di ogni stortura ma senza ricorrere al "soverchio dispotismo" dei tempi di Giuseppe II (Nutini, p. 910). In una continua tensione con l'estremismo dei settori più radicali, che in vecchiaia avrebbe ricordato come momento di massima confusione delle coscienze, il G. cercò sempre di sostenere l'idea della compatibilità della fede con la ragione e con le istituzioni repubblicane.
Lo fece anche quando, con la creazione del Corpo legislativo (9 luglio 1797), fu chiamato a far parte, con la qualifica di legale, del Consiglio degli iuniori ai cui lavori poté presenziare attivamente - per esempio con un discorso in data 1° dic. 1797 che bocciava il diritto di stola e chiedeva il sostentamento del clero per opera dei privati - dal giorno dell'inaugurazione (24 nov. 1797) fino al 6 febbr. 1798, allorché la sua nomina fu annullata a stretta maggioranza. Aveva intanto dato alla luce altri due scritti, Elogio della religione cristiana (Milano 1797) e La ragione e la religione considerate nel loro rapporto colla morale dell'uomo (ibid. 1798).
Il G. tornò alla vita pubblica nel 1802 quando, con la creazione della Repubblica Italiana, fu nominato membro dell'Economato generale e subito dopo chiamato a prestare servizio come assessore (poi segretario generale) al ministero del Culto in stretta collaborazione col ministro G. Bovara. Stimato dal vicepresidente F. Melzi d'Eril, il G. operò in una compagine statale tornata al confessionalismo (e dunque nella situazione, un tempo deprecata, di protezione garantita alla Chiesa), ma anche imperniata su una ripresa dell'antico giurisdizionalismo di stampo giuseppino che si mantenne in vita anche dopo il concordato napoleonico. Come esperto della materia, il G., oltre a essere consulente del Melzi nella compilazione del decreto organico d'applicazione delle norme concordatarie (1804), ispirò molte delle scelte di politica ecclesiastica anche del successivo Regno Italico, cercando di temperarne gli effetti senza tuttavia mettere in discussione il principio del controllo governativo. Nel 1805 ebbe mano nel decreto di soppressione degli ordini religiosi e alla morte del Bovara (1812) ne prese il posto come ministro e lo mantenne fino al luglio del 1814 quando i ministeri furono soppressi e i loro poteri conferiti alla reggenza. Molto più funzionario che religioso (Melzi lo chiamava indifferentemente "citoyen" o "ex abate" o "chevalier", dopo che nel 1806 tale titolo gli era stato attribuito con la decorazione della Corona di ferro), il G. si era però mantenuto in contatto con i giansenisti, nel 1805 aveva conosciuto a Parigi l'abate H. Grégoire, era entrato in rapporto con E. Degola: sulla stessa linea di fedeltà al passato, anni dopo, nel 1818, suggerì alle autorità austriache di ristampare l'opera completa del Tamburini senza tenere conto del parere della curia milanese che aveva chiesto la proibizione degli scritti condannati da Roma e tra il 1819 e il 1823 fece il possibile per ottenere che nelle diocesi vacanti venissero nominati vescovi di formazione giansenista (tra gli altri il Tosi, assegnato nel 1823 alla diocesi di Pavia).
Caduto l'Impero napoleonico, il G. era infatti entrato nell'amministrazione austriaca in un posto di spicco, quello di consigliere, con uno stipendio assai alto (cfr. Berengo, p. 376) e con competenze che alle questioni ecclesiastiche del passato avevano aggiunto quelle della censura. Più che per le relazioni e i rapporti che anno dopo anno dovette redigere sia in materia di sorveglianza delle pubblicazioni sia in tema di vocazioni ecclesiastiche e di riorganizzazione del clero (importante una sua relazione del 12 genn. 1818 in cui offriva un quadro statistico che delineava una forte immigrazione di sacerdoti dalle diocesi corse e toscane), tale collocazione gli servì per porsi al centro di un giro di intellettuali - il giro dei cattolici liberali - che ne rinverdirono la fama di uomo libero e spiritualmente sereno. Non pubblicò più nulla, ma si compiacque assai dell'amicizia di T. Grossi, C. Cantù e C. Porta, quest'ultima nata nel 1812 e sviluppatasi nel 1816 con le conversazioni nella cosiddetta cameretta portiana, e più ancora della grande confidenza in cui lo ebbe A. Manzoni. Aveva conosciuto lo scrittore nel 1810 e da allora lo frequentò assiduamente, tanto da assisterlo nel ritorno al cattolicesimo della moglie Enrichetta, da avere il privilegio di leggere tra i primi alcuni degli Inni sacri, da dargli consigli - non seguiti perché ritenuti troppo moraleggianti - su alcuni passaggi del Conte di Carmagnola, infine da indurlo, stando alla testimonianza di S. Stampa, a conservare un episodio dei Promessi sposi che lo scrittore avrebbe voluto sopprimere.
Incerto sulla pubblicazione della seconda parte delle Osservazioni sulla morale cattolica, il Manzoni, cedendo alle insistenze del G., ne affidò una copia riservata a lui "solo solo", che poi la trascrisse sconvolgendo l'ordine dei capitoli. Tra un autografo e una copia, il G. avrebbe comunque messo insieme una "preziosa collezione di cose manzoniane" (Manzoni, Tutte le opere, I, p. 850), poi in parte dispersa, in parte finita alla Biblioteca Braidense di Milano.
Nel 1848, all'indomani dell'insurrezione milanese, il G. fu prima mantenuto dal governo provvisorio lombardo nel Consiglio di Stato, quindi collocato a riposo con l'intero stipendio. Morì a Milano il 5 genn. 1851.
Fonti e Bibl.: Del G. si conosce attraverso le ricerche degli storici soprattutto il primo periodo della vita, mentre resta abbastanza in ombra la parte che va dal ritorno degli Austriaci a Milano fino alla morte. Un lavoro complessivo di partenza è quello coevo di A. Mauri edito successivamente da A. Ottolini, Notizie inedite di Achille Mauri intorno alla vita e agli scritti dell'abate G. G., in Arch. stor. lombardo, LVI (1930), pp. 68-127, ricco di notizie ma assai rapido sul periodo posteriore al 1814, a integrare il quale sono utili alcune raccolte di fonti: Assemblee della Repubblica Cisalpina, a cura di C. Montalcini - A. Alberti, I, Bologna 1917, pp. 166, 183-192; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I-III, Firenze 1941-42, ad indicem; Carteggi di F. Melzi d'Eril duca di Lodi, a cura di C. Zaghi, I, VII-IX, Milano 1958-66, ad indicem. Diverse le interpretazioni storiografiche del G. giansenista: C. Caristia, Riflessi politici del giansenismo italiano, Napoli 1965, ad indicem; A. Tarchetti, G. G., "abate giansenista e massone": scritti politico-religiosi del triennio giacobino, in Arch. stor. lombardo, CI (1975), pp. 321-345; A. Zingale, G. G. (1766-1851) un giansenista lombardo tra riforme e rivoluzione, Roma 1978; A. Tarchetti, L'esperienza politico-religiosa di G. G., "cristiano illuminato", in Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, a cura di M. Rosa, Roma 1981, pp. 239-266 (ad indicem per gli altri contributi); più in generale G. Cattani, Il giansenismo e la legislazione ecclesiastica della Cisalpina, in Nuova Riv. storica, XV (1931), pp. 105, 123; S. Nutini, La Società di pubblica istruzione di Milano, in Studi storici, XXX (1989), p. 910; D. Menozzi, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino 1993, p. 32; M. Rosa, Il giansenismo, in Storia dell'Italia religiosa, II, L'età moderna, Roma-Bari 1994, p. 265; F. Margiotta Broglio, Società civile e società religiosa, in L'Italia nell'età napoleonica(Atti del LVIII Congresso di storia del Risorgimento italiano), Milano 1996, Roma 1997, p. 132; L. Guerci, Istruire nelle verità repub-blicane. La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione (1796-1799), Bologna 1999, ad indicem; M. Rosa, Settecento religioso. Politica della ragione e religione nel cuore, Venezia 1999, p. 183. Sul periodo austriaco e sul rapporto del G. con i letterati milanesi: A. Manzoni, Opere, III, a cura di M. Barbi - F. Ghisalberti, Milano 1950, p. 623; Id., Tutte le opere, I, Poesie e tragedie, a cura di F. Ghisalberti, Milano 1957, ad indicem; III, Opere morali e filosofiche, a cura dello stesso, ibid. 1963, ad indicem; VII, Lettere, 1-3, a cura di C. Arieti, ibid. 1970, ad indicem; Le lettere di C. Porta e degli amici della Cameretta, a cura di D. Isella, Milano-Napoli 1967, ad indicem; E. Rota, Il riso di Carlo Porta e il giansenismo, in Poesie milanesi di C. Porta, a cura di G. Decio - L.M. Cappelli, Milano 1933, pp. CXXXI-CXXXIV; P. Bondioli, Manzoni e gli "Amici della Verità" dalle carte inedite di Luigi Tosi, Milano 1936, ad indicem; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, ad indicem; X. Toscani, Il clero lombardo dall'Ancien régime alla Restaurazione, Bologna 1979, ad indicem; Id., Secolarizzazione e frontiere sacerdotali. Il clero lombardo nell'Ottocento, Bologna 1982, ad indicem; G. Formenti, L'ufficio di censura di Milano durante la Restaurazione, in Storia in Lombardia, X (1991), p. 25. Vedi, infine, Storia di Milano (per la consultazione cfr. Indice, Milano 1966, ad nomen) e Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX, sub voce.