GENOVESE, Gaetano
Figlio di Nicola e Maria Giuseppa Gaiano, nacque nel 1795 a Eboli, presso Salerno. Di famiglia agiata, fu avviato agli studi d'architettura e fu allievo di Paolo Santacroce presso il R. Istituto di belle arti. Nel 1816, allorché il governo istituì il pensionato artistico a Roma, vi si iscrisse, a proprie spese, come allievo e frequentò con Pietro Valente, Francesco Saponieri e Nicola D'Apuzzo.
Tornato a Napoli, nel 1822 partecipò al concorso per l'insegnamento del disegno architettonico al Reale Istituto di belle arti, bandito in seguito alla morte del Santacroce; il G. venne giudicato a pari merito con Saponieri, che gli fu preferito avendo insegnato ad interim quella disciplina.
Sebbene la sua attività sia documentata solo a partire dalla metà degli anni Venti, il G. ebbe modo di farsi apprezzare sin dagli inizi del decennio dal momento che risale all'11 genn. 1824 la sua nomina ad architetto della Real Casa: dapprima come aiutante, quindi come primo architetto. La stima che riscosse nell'ambiente di corte gli valse fama e prestigio, tanto che nel 1825 la R. Accademia di belle arti lo annoverò tra i suoi soci corrispondenti e il R. Istituto di belle arti lo nominò professore ordinario.
Nel 1826 lavorò a due fabbriche patrizie della prestigiosa via Toledo: realizzò interventi di restauro - oggi non più valutabili - in palazzo Berio (opera di Luigi Vanvitelli) e in palazzo Buono (oggi totalmente trasformato quale sede della Rinascente), i cui lavori vennero conclusi nel 1828.
L'opera più impegnativa e complessa del G. riguarda la reggia napoletana. Ferdinando II, dopo un primo sommario restauro generale del palazzo compiuto appena salito al trono (1830) e in seguito all'esteso incendio del 1837, volle procedere a un grandioso rifacimento della sede reale, che appariva come il risultato di una serie di casuali interventi di ampliamento della primitiva residenza vicereale, incompiuta opera di Domenico Fontana (1600-02).
L'idea di un'organica sistemazione della reggia secondo un piano generale di ampliamento (specie sui fronti sud ed est) era già stata formulata da A. Niccolini nel decennio francese (disegni al Museo nazionale di S. Martino). Il G. fu certamente influenzato dal progetto niccoliniano, per la soluzione volumetrica adottata, mentre risultò particolarmente attento al linguaggio di Fontana, riproponendo scansioni desunte dalla presenza seicentesca. Dopo numerosi studi (compiuti anche sulla base del progetto di Fontana e discussi con il sovrano), conferì al palazzo un aspetto unitario, sia operando la riconfigurazione volumetrica dell'impianto monumentale, sia adottando importanti soluzioni morfologiche nei cortili, nelle gallerie di disimpegno degli appartamenti, nei collegamenti verticali. La grande ala meridionale a masse degradanti verso il mare, con il giardino pensile affacciato sul golfo, si collega in testata alla facciata di Fontana e si estende a "C" sul fronte verso Castel Nuovo (est), riammagliandosi così alle preesistenze (peraltro rispettate nelle presenze figurative pittoriche) e fornendo (in antitesi a Fontana, che aveva concepito tre corti parallele) due diversi cortili (delle Carrozze e del Belvedere) aderenti alla nuova organizzazione funzionale.
L'intervento del G. fu più consistente nel braccio settecentesco (appartamenti della regina madre) devastato dall'incendio; notevole è altresì l'apporto nell'appartamento da festa, con la grande sala da ballo decorata da stucchi di danzatrici. Il piano nobile divenne appartamento di etichetta mentre la residenza reale fu trasferita al piano sovrastante, ove il G. adottò un repertorio più ricco, derivato dalla tradizione di C. Percier e P.-F.-L. Fontaine, introdotto a Napoli durante il decennio murattiano attraverso é.-C. Le Compte e Niccolini.
Rientra nelle opere condotte dal G. per la reggia napoletana lo splendido scalone, che - dopo alcuni contrasti sul sistema di copertura - fu terminato soltanto nel 1858, con il contributo tecnico del colonnello del genio F.S. Ferrari e la direzione dei lavori di F. Gavaudan, anch'egli architetto della Real Casa. Per lo scalone, che riconfigurava quello compiuto nel 1651 da F.A. Picchiatti, nel 1840 il G. presentò un modello (Napoli, palazzo reale) corredato da pregevoli disegni (Napoli, Museo naz. di S. Martino); entro il vasto invaso rettangolare, concluso da una slanciata volta a padiglione decorata da candidi stucchi tratti dai rilievi di antichità romane, si svolgono, dopo un invito a cascata, due ampi rampanti simmetrici piegati ad angolo retto e definiti da balaustre marmoree a transenna: le pareti brevi accolgono statue allegoriche entro nicchie, mentre totalmente traforate sono quelle lunghe; come nel resto della fabbrica anche qui statue e rilievi vennero affidati ai maggiori scultori presenti nella capitale, tra cui G. e A. Calì, G. De Crescenzo, S. Citarelli, S. Irdi, F. Liberti, T. Angelini, T. Arnaud, A. Solari.
Nella reggia si deve infine al G. anche la sistemazione dei giardini reali, ove l'elegante cancellata in ferro accolse nel 1846 i celebri cavalli di bronzo, donati a Ferdinando II dallo zar Nicola I di Russia; nonché il rifacimento della cappella reale che venne ampliata - rispetto alla preesistenza seicentesca (già restaurata nel 1815) - aggiungendo alla navata due cappelle intercomunicanti su ciascun lato.
La capacità di procedere a manutenzioni e adeguamenti di immobili (sin dal 1839 curò gli stabili della Reale Società borbonica, accrescendone il reddito) valse al G. la fiducia di talune istituzioni religiose: mentre attendeva alle opere per la reggia, alcuni importanti monasteri napoletani si rivolsero per restauri al G., che frattanto, dal maggio del 1840, alla morte di S. Gasse, era divenuto membro del Consiglio edilizio (l'anno seguente fu nominato architetto commissario). Nel 1841 rinforzò le coperture della chiesa delle nobili clarisse di S. Chiara, rinnovando incavallature lignee e lamine di piombo del tetto (nel 1858 fu chiamato ad aggiungere due organi sugli archi ai lati dell'ingresso principale, destinati ai frati); nel 1842, per le benedettine della chiesa di S. Maria di Monteverginella, adottò nuovi ornati in luogo di quelli di D.A. Vaccaro modificando totalmente il carattere dell'interno. Anche per la chiesa di Donnaromita il G. fu chiamato, nel 1844, a riparare il tetto cadente, operazione abilmente condotta in maniera da salvare i dipinti cinquecenteschi (opera di Teodoro il Fiammingo) del prezioso cassettonato ligneo.
Intorno al 1842 e negli anni seguenti il G. lavorò anche a decorazioni per la villa oggi Pignatelli a Chiaia, che nel 1841, dopo la morte (1837) del primo proprietario, Ferdinando Acton, era stata venduta a Carlo Mayer von Rotschild: se Acton si era avvalso sin dal 1826 dell'opera di P. Valente, il nuovo proprietario si rivolse inizialmente a un non meglio noto architetto di Parigi (Sasso, p. 206), che decorò l'interno con stoffe e dorature, quindi si affidò al G., al quale sono attribuite la sala rossa e la biblioteca (Molajoli). Un ulteriore riconoscimento ufficiale gli giunse nel 1843, allorché venne nominato ispettore "nella parte di disegno architettonico" della Scuola di applicazione di ponti e strade (Sasso, pp. 248 s.). Nello stesso anno il G. sistemò su piedistalli da lui stesso disegnati le quattro bussole inviate nel 1841 dal costruttore parigino Henry-Prudence Gambey al Gabinetto reale e collocate sulla terrazza del giardino reale verso Castel Nuovo.
Mentre il G. attendeva al palazzo reale di Napoli, Ferdinando II volle che egli, in qualità di architetto di corte, affrontasse anche il problema del completamento degli appartamenti reali nella reggia di Caserta, lasciati incompiuti da Luigi e da Carlo Vanvitelli.
Mentre alcune sale avevano già ricevuto un'elegante veste neoclassica a opera di Antonio de Simone e Pietro Bianchi, al G. fu affidata la sala del trono, per la quale si conservano disegni autografi presso il Museo nazionale di S. Martino, datati tra il 1844 e il 1846. Oltre a questa sfarzosa ornamentazione, ove l'ostentata ricchezza di motivi introduce il gusto dell'eclettismo proprio della seconda metà del secolo, il G. risolse brillantemente il desiderio del re di una "sedia volante" nella residenza casertana, e nel 1845, con la collaborazione dell'architetto C. Gargiulo, realizzò una sorta di ascensore in legno mosso da un sistema di ruote dentate azionate a braccia.
Ancora, va ascritto al G. il restauro della sede della Zecca napoletana, fondata da Roberto d'Angiò, e ampliata in età vicereale (1681), con facciata dalle membrature in piperno. Nominato direttore dei lavori il 6 maggio 1846, il G. aggiunse un terzo piano a imitazione di quelli sottostanti, concluso da cornicione classico, inserendo il giglio borbonico nei capitelli corinzi della cappella posta nel cortile.
Agli episodi già ricordati va aggiunta - nella fase estrema degli anni Quaranta, seppure con talune labilità cronologiche - la produzione per la committenza privata: si ricordano l'appartamento e la scala "di candidi stucchi e marmi" (Sasso, pp. 254 s.) per il signor Persico nel palazzo Satriano alla riviera di Chiaia, con accesso dal vico omonimo; nonché - assai più impegnativa - la decorazione dei saloni al piano nobile del palazzo Corigliano di Sangro, dei duchi di Vietri, in piazza S. Domenico Maggiore: imponente fabbrica rinascimentale, oggetto di rifacimenti dopo il terremoto del 1688 e poi nel primo trentennio del Settecento.
Nel 1850 e nell'anno seguente il G. - coadiuvato dall'ingegner B. López-Suárez - restaurò il palazzo Orsini di Gravina, edificio rinascimentale che, dopo gli interventi del 1762-82 da parte di M. Gioffredo, nel 1840 aveva subito gravi trasformazioni e sopraelevazioni a opera dell'architetto N. D'Apuzzo, che, per il conte G.C. Ricciardi, aveva adibito l'edificio a case d'affitto.
Nel 1851 il G. divenne membro della Commissione di antichità e belle arti, carica che mantenne per tutta la vita, nonché, dall'agosto del 1852, direttore degli scavi di Pompei e - dal febbraio dell'anno seguente - socio corrispondente dell'Accademia ercolanese; al G. si deve il metodo di indagine stratigrafica negli scavi archeologici, che rivela un altro aspetto della sua personalità. Nel 1852 ricevette dal sovrano l'incarico della direzione dei lavori del Camposanto, opera dei suoi predecessori F. Maresca, L. Malesci e C. Cuciniello.
Egli affrontò il problema del completamento della chiesa cimiteriale, per la quale elaborò studi e modelli (disegni presso l'Archivio storico comunale) con proposte del novembre 1858, settembre 1862 e giugno 1864. La caduta della dinastia borbonica incise sulle decisioni da assumere, accrescendo l'incertezza già palese al tempo di Ferdinando II: nel 1871 la facciata principale della chiesa non era stata ancora eseguita.
Nell'agosto del 1856 il G. fu nominato architetto delle chiese e congregazioni di S. Maria Vertecoeli e del Pianto, della S. Croce al Mercato e dei Ss. Apostoli; al G. si deve, inoltre, la costruzione della cappella sepolcrale per la famiglia de Angelis nel cimitero, ove adottò "vaghe forme di greco stile" (Sasso, p. 255).
Nonostante qualche intervento nel settore del restauro, per esempio il disegno per il pavimento marmoreo della chiesa di S. Maria di Piedigrotta (1853), in questi anni il G. fu soprattutto impegnato come architetto commissario del Municipio di Napoli, con incarichi prevalentemente urbanistici.
Di notevole rilievo è il progetto - non realizzato - del traforo di collegamento tra Montesanto e Chiaia attraverso la collina di S. Martino e S. Elmo, che rientrava nei programmi di viabilità di Ferdinando II per risolvere il collegamento di aree urbane a ridosso delle colline. Con il G. vennero incaricati, nel 1855, Nicola Laurenzana e Domenico Fiscone; essi proposero un tunnel per unire la Sanità a Chiaia, attraverso la collina tufacea. Queste opere - concepite prevalentemente in chiave tecnicistica - rimasero sulla carta, rientrando nel dibattito urbanistico dell'estrema fase borbonica, destinate a venire riprese dopo il 1860, allorché furono varate disposizioni legislative per la regolamentazione dei lavori pubblici.
È di estremo interesse l'esteso progetto di bonifica dell'area a valle della via S. Maria di Costantinopoli, ove edifici di abitazione sostituirono le vicereali "fosse del grano" e dove si ubicò la sede dell'Accademia di belle arti (opera di E. Alvino). Il progetto, elaborato nel 1854 dal G. insieme con L. Catalani, prevedeva due strade che dal largo del Mercatello giungessero al Museo borbonico (Museo archeologico nazionale).
In sede di realizzazione, dopo l'Unità d'Italia, ci si limitò a compiere quella che corrisponde all'attuale via Pessina, prolungamento di via Toledo, rinunziando all'altra, pressappoco parallela, sulla quale doveva sorgere il nuovo palazzo municipale. Nel fronte verso il museo il G. riproponeva i consueti motivi accademici, prevedendo altresì una nicchia per la statua equestre di Ferdinando II, con palese richiamo all'idea di L. Vanvitelli per il vicino foro Carolino: in questo contesto si deve al G. l'invasiva creazione dell'attico con l'orologio (1858) al di sopra del nicchione vanvitelliano. Del vasto progetto, che vide il contributo di altri architetti con diverse varianti, si conservano numerosi disegni nell'Archivio storico comunale.
In collaborazione con l'architetto F.P. Capaldo, il G. propose un progetto, rimasto sulla carta, che prevedeva interventi nel pubblico passeggio di Chiaia. Pure evidenziando i pregi paesistici della villa reale (oggi comunale), nella sua relazione illustrativa (Sull'ampliamento della contrada di Chiaja mercé di un nuovo progetto riguardante la villa reale, Napoli 1858) il G. ne propose lo spostamento verso il mare, con una inaccettabile colmata che avrebbe consentito la lottizzazione del giardino vanvitelliano. Tra la nuova villa e le case era prevista una strada parallela alla Riviera, da intitolarsi a Ferdinando II; cui era dedicata anche una vasta piazza all'altezza del palazzo Torella di Siracusa.
Il G., che aveva ricevuto nel 1857 l'alta onorificenza di cavaliere di gran croce dell'Ordine di Francesco I, morì a Napoli nel 1875.
Appare evidente che la svolta unitaria dovette porlo in posizione marginale di fronte all'affermarsi degli altri architetti che impersonarono a Napoli la stagione dell'eclettismo.
Il G. fu autore di interventi importanti, sebbene, come notò Sasso, non progettò mai, né costruì, un edificio per intero. La sua figura appare quella di un raffinato decoratore, esigente nel controllo della qualità esecutiva degli stucchi, che riscatta l'assenza di particolari capacità inventive con l'attento studio dei rapporti dimensionali delle quadrature e dei partiti architettonici. Gli va nel contempo riconosciuto il costante impegno nello studio dei problemi di riuso o di recupero in chiave di mediazione tra tematiche classicistiche tardorinascimentali e motivi tipici della cultura neoclassica ispirati palesemente ai modelli antichi e a Vitruvio, pur senza esplicite citazioni né scritti teorici. Se è vero che "la sua fantasia appare prigioniera e come irrigidita nelle minuzie lineari del formulario classicistico" (Venditti, p. 347), dobbiamo riconoscere che egli fu prestigioso professionista, dotato di indubbie qualità nell'affrontare i problemi del progetto alle diverse scale, da quella urbana del fronte sud del palazzo reale di Napoli, a quella decorativa degli stucchi, negli aulici saloni che segnano il fasto di un'epoca.
Fonti e Bibl.: Necrologia dell'arch. G. G., in Atti della R. Accademia di archeologia, lettere e belle arti, VII (1876), App., pp. 41 s.; G. Gaudiosi, Ritratto del defunto cavalier G. G. (necrologia), in Atti del Collegio degli ingegneri ed architetti di Napoli, III (1878), pp. 60-63; M. Ruggiero, Discorso intorno alle presenti condizioni dell'architettura in Italia, in Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti (Napoli), I (1832), pp. 146-157; L. Catalani, I palazzi di Napoli, Napoli 1845, p. 46; G. Quattromani, Napoli dal 1763 al 1852, in La Sirena, VII (1853), p. 45; C.N. Sasso, Storia dei monumenti di Napoli e degli architetti che li edificavano, II, Napoli 1856, pp. 244-302; G.B. Chiarini, in C. Celano, Notizia del bello, dell'antico e del curioso della città di Napoli… (1692), Napoli 1856-60, III, p. 441; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la litérature contemporaine du royaume des Deux-Siciles, Genève 1859, p. 243; G. Chierici, La reggia di Caserta, Roma 1937, p. 55 e passim; F. De Filippis, La reggia di Napoli, Napoli 1942, passim; B. Molajoli, Il Museo principe Diego Aragona Pignatelli Cortes, Napoli 1960, p. 24 n. 8; A. Venditti, Architettura neoclassica a Napoli, Napoli 1961, pp. 344-360 e passim; R. Di Stefano, Storia architettura e urbanistica (l'Ottocento), in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, pp. 670, 672, 680 s., 683-685, 704, 716, 721; Il palazzo reale di Napoli, Napoli 1987, pp. 50, 52, 55, 59, 98, 100; G. Doria, I palazzi di Napoli, Napoli 1992, p. 92; A. Buccaro, Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario, Napoli 1992, pp. 24, 162, 203 e passim; C. Lenza, Monumento e tipo nell'architettura neoclassica, Napoli 1997, pp. 18 s., 37, 83 s. e passim; Civiltà dell'Ottocento. Architettura e urbanistica (catal.), Napoli 1997, pp. 75-84, 103, 125, 135-156 e passim; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 398.