CAETANI, Gaetano Francesco
Nacque il 6 marzo 1656 da Filippo (II), duca di Sermoneta, e da Topazia Gaetani dei marchesi di Sortino a Palermo, dove il padre si era rifugiato da Roma in seguito all'uccisione del conte Beroaldi e di un servo provocata, sembra, da motivi di rivalità amorosa. I Caetani, peraltro, si ristabiliranno a Sermoneta nel 1663 per grazia di Alessandro VII presso cui lo stesso C., appena settenne, in compagnia del cardinal Portocarrero si era presentato a supplicare la revoca della sentenza capitale e della confisca dei beni inflitte al padre. Nel 1680 egli contrasse le nozze con la pronipote di Urbano VIII e figlia di Maffeo Barberini, Costanza. Ma questo avvenimento ben poco contribuì a rimettere in sesto il patrimonio della sua famiglia e tanto meno a riportare equilibrio alla sua vita indocile e disordinata. Nel 1702, rinnegando decisamente ogni sentimento filospagnolo, il C. fu parte attiva nella congiura capeggiata da Gaetano Gambacorta, principe della Macchia, contro Filippo V, che la casa d'Austria intendeva rovesciare dal trono del Regno di Napoli.
Il C., principe di Caserta e perciò uno dei principali baroni del Regno, fu volentieri preso in considerazione dai ministri asburgici per le ripetute offerte di disponibilità all'imperatore (scrisse che si offeriva desideroso di manifestare in opere di profitto la sua propensione e attacco all'augustissimo imperatore e Ottieri, p. 169) e per la forza militare che avrebbe potuto prestare all'occorrenza. Egli, infatti, preso contatto con il barone Francesco di Chassinet, mandato a Roma da Vienna per seguire da vicino lo sviluppo della situazione, decise di mettere a punto un corpo di milizie assoldate con ingente spesa tra la popolazione del suo feudo e nello Stato della Chiesa. A Sermoneta, narra ancora l'Ottieri (p. 202), "aveva adunato grosse truppe di banditi e di sgherri": un piccolo ma temibile esercito di circa mille uomini che fu spedito alla volta di Napoli in aiuto dei congiurati nel settembre 1702.
Ma gli avvenimenti volsero in favore della parte spagnola, cosicché il C. fu condannato da Filippo V alla pena capitale e alla confisca di Caserta, e dal papa venne privato di Sermoneta e messo al bando. Sembra che papa Clemente XI manifestasse qualche intenzione più minacciosa, e cioè la distruzione della rocca sermonetana, che, tuttavia, salvo qualche limitato danno provocato dai quattrocento soldati velletrani e sezzesi mandati nell'ottobre 1702 a occupare la cittadina, non subì danno alcuno. Il C. abbandonò precipitosamente Roma: raccomandati i suoi interessi alla casa Barberini e a due sperimentati ministri, presi accordi con l'ambasciatore cesareo, al quale venne dato in custodia il grande palazzo al Corso (passato poi nel 1713 ai Ruspoli), partì alla volta di Vienna conducendo seco il figlio Michelangelo, il fisico Ferdinando Colavacchi e un piccolo seguito di fedeli sermonetani. Nella capitale austriaca trovò larga protezione nell'imperatore che, peraltro, non alleviava le ragioni di sconforto che assillavano continuamente il C., tra cui principalmente le scarse disponibilità finanziarie.
Le lettere scritte in questo periodo al suo "maggiordomo" di Roma, Antonio Cancellieri, ridondano di lamentele in questo senso: "li denari mi sono feniti et adesso per mangiare impegnamo l'argenti né qui troviamo uno che ci vogli prestare denari" (Archivio Caetani, Fondo generale, 7 ott. 1702, n. 1068). Ma a queste lamentele non mancano risposte indignate del cognato cardinal Francesco Barberini, che esprime più volte al C. riprovazione per il dispendioso tenore di vita di cui il patrimonio domestico stava facendo le spese. Nel 1709il C. scrive mostrando di essere in attesa del decreto che autorizzi il desiderato ritorno a Roma e la reintegrazione nei suoi domini: "sto aspettando come il messia degli ebrei la mia reintegrazione che per anche mons. Albani con tutto me l'assicura come anche S. M. non la veggo ancora" (ibid., 9 nov. 1709, n. 75539).
Due anni dopo, finalmente il C. poté lasciare il suo esilio e tornare a Roma con Carlotta di Rappach, sua nuova moglie (era rimasto vedovo nel 1687). Ma ben presto tutti i suoi beni passarono nelle mani del figlio Michelangelo: il 7 ott. 1711 infatti egli rinunziò allo Stato in suo favore e si ritirò a Caserta, dove morì nel novembre del 1716.
Di lui il canonico sermonetano Pietro Pantanelli dette un giudizio severo, e forse non del tutto equanime: "cavaliere di spirito e tacciato da sanguinario, ma non dotto nell'esercizio cavalleresco come il duca Filippo suo padre: effeminato e protettore di gente cattiva, onde i suoi stati eran divenuti una sentina d'omicidi, e rifugio di mali uomini" (II, p. 117).
Fonti e Bibl.: Un nutrito numero di lettere autografe del C. sono conservate nel Fondo generale dell'Archivio Caetani, ma riguardano soltanto il breve periodo dell'esilio viennese. Un breve profilo in P. E. Visconti, Città e famiglie nobili e celebri dello Stato pontificio, Roma 1847, III, pp.62-65, ove è dato rilievo alla sua partecipazione alla congiura contro Filippo V, con dati desunti da F. M. Ottieri, Istoria delle guerre avvenute in Europa…, Roma 1725, II, 5, p. 169; su tale argomento vedi ora G. Galasso, Napoli nel viceregno spagnolo 1696-1707, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1972, pp. 199-225. Accenni al governo del C. in P.Pantanelli, Notizie istoriche … appartenenti alla terra di Sormoneta, Roma 1911, II, pp. 115, 117 e passim (il posto avutodal duca nella congiura di Macchia è diffusamente narrato alle pp. 103-105). Qualche altra notizia biografica in G. Caetani, Caietanorum genealogia, Perugia 1920, p. 83.