CASTELNUOVO, Gaetano Cottone principe di
Nacque a Palermo il 14 ag. 1714 da Carlo e da Anna Maria Morso e Fardella. Esponente della più alta aristocrazia isolana (fu investito del titolo di principe di Castelnuovo il 21 genn. 1764), accrebbe il prestigio del casato legandosi in seconde nozze con donna Lucrezia Cedronio, figlia del marchese della Rocca di Evandro di Napoli. Gli furono perciò conferiti molti onorifici incarichi. Così fu fra l'altro governatore della Compagnia dei bianchi di Palermo nel 1765, quando questa conservava ancora, fra i suoi numerosi privilegi, quello grandissimo di liberare ogni anno un condannato a morte, cerimonia che si svolgeva con grande sfarzo e pompa il venerdì santo con l'intervento delle maggiori autorità.
Nel 1777 divenne governatore del Monte di pietà, quando già si cominciavano ad avvertire anche in Sicilia i propositi del governo di Napoli di un maggiore controllo sugli enti morali (nel 1781 avvenne l'estensione all'isola della riforma, già in atto nella terraferma, con cui lo Stato si era avocato il diritto di conferire alle congregazioni ed agli enti morali la personalità giuridica con i relativi diritti, per togliere così tali istituzioni da ogni ingerenza e dipendenza dalla Chiesa).
In questa direzione di rafforzamento dell'autorità centrale dello Stato secondo i canoni dell'assolutismo illuminato si era posto il C. allorché, con patente del 16 nov. 1774, era stato nominato "Vicario e Visitatore generale dei regi caricatori", cioè dei grandi magazzini pubblici esistenti presso i principali porti dell'isola, dove i baroni depositavano durante il raccolto, pronte per l'imbarco, le loro derrate, per venderle nella stagione in cui dal governo veniva aperta la "tratta", cioè la esportazione. Suo compito era appunto quello di visitare e riferire sull'andamento di quei pubblici depositi e sugli eventuali provvedimenti che avrebbe ritenuto opportuno adottare, per eliminare ogni abuso che vi si sarebbe potuto commettere a danno anche dell'erario.
Il C. nelle sue "visite" non si limitò allora, agendo contro la prepotenza dei baroni, a far rispettare i regolamenti, ma per tutti e cinque i regi caricatori esistenti nell'isola (Terranova, Licata, Girgenti, Sciacca, Termini) propose anche delle riforme che valessero non solo ad eliminare le frodi e le malversazioni che aveva visto commettere dagli ufficiali preposti all'amministrazione, ma a togliere anche gli abusi e i privilegi baronali che con il tempo vi si erano introdotti. Egli, fedele esecutore degli ordini del re, in quella mansione avrebbe voluto essere l'interprete anche delle intenzioni e dei propositi che da tempo animavano il ministro Tanucci nella sua opera di rinnovamento dei due regni. Con quei progetti di riforme, come gli scriveva, egli intendeva soprattutto "assicurare alla Regia Corte il vantaggio delle crescenze", e suggerire "i mezzi opportuni onde in futuro si impediscano i danni notabili che ai Reali interessi hanno cagionati le furtive estrazioni". A questo scopo avrebbe voluto un maggiore controllo anche sugli "scari" baronali, cioè sui magazzini privati, per meglio controllare e impedire il contrabbando nella stagione in cui era vietata l'esportazione (Memoria del 13 ag. 1783).
Dove il C., seguendo le tendenze accentratrici del governo di Napoli, maggiormente manifesta il nuovo spirito chegli intendeva introduwe in quel ramo tanto importante e vitale per l'economia isolana, è nei provvedimenti relativi all'amministrazione, in parte presi nel corso stesso delle sue "visite", in parte proposti all'approvazione del governo al termine della sua incombenza. Tra questi ultimi il C. attribuiva particolare importanza al progetto di "ricompra a favore della Real Corte di tutti gli impieghi degli ufficiali dei caricatori e principalmente quelli di vice portulano" (relaz. del 5 giugno 1775).
Le proposte del C. incontrarono il forte risentimento e la reazione del ceto baronale che, toccato nei suoi interessi e nella sua albagia, in tutti i modi si adoperò presso il governo centrale per impedirle, per cui esse non ebbero mai esecuzione malgrado lo zelante "visitatore generale" con reiterate istanze per molti anni ne rilevasse l'urgenza. Capitò insonuna a lui quello che, poco tempo dopo, succedette al viceré Caracciolo, il quale invano si adoperò per introdurre nell'isola quelle riforme che in fatto di gestione pubblica aveva visto con successo applicate altrove. Sicché, neppure sotto quel viceré i progetti del C. ebbero il risultato ch'egli sperava.
Fra le altre cariche pubbliche di cui il C. fu investito vanno ricordate quella di rettore del Grande Ospedale di Palermo nel 1769 e quella di senatore nella medesima città nel 1779-80. Morì a Palermo il 20 ott. 1803.
Fonti e Bibl.: Arch. di St. di Palermo, Real Segreteria, Incartamenti, busta 3017 (dispacci vari, in particolare doc. 7 febbr. 1777); busta 3045 (doc. s genn. 1775; lett. 22 apr. 1775; lett. 8 giugno 1776; relaz. del C. del 5 giugno 1775; memoria del C. del 13 ag. 1783); buste 3070 e 3080 (docum. relativi al commercio dei grani); F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dalla loro orig. ai nostri giorni, II, Palermo 1924, p. 402; F. Brancato, II commercio dei grani nel Settecento in Sicilia, in Archivio storico siciliano, s. 3, I (1946), pp. 247-74; Id., Il Caracciolo e il suo tentativo di riforme in Sicilia, Palermo 1946, pp. 65-67; Id., Il commercio dei grani e una proposta di riforme dei "caricatori" e della "tratta" nel Settec. in Sicilia, in Nuovi Quad. del Merid., X (1972), 38, pp. 129-152; Un progetto di riforma dei "Caricatori", a cura di F. Brancato, ibid., pp. 231-235 (Memoria del C. del 13 ag. 1783); S. Di Matteo-F. Pillitteri, Storia dei Monti di Pietà in Sicilia, Palermo 1973, pp. 99 s.