CENNI, Gaetano
Nacque il 1° maggio 1698 a Spignana di San Marcello Pistoiese da Carlo. Fu avviato agli studi umanistico-letterari, insieme con il fratello Matteo Rinaldo, presso il seminario di Pistoia, dove divenne, giovanissimo, maestro di lettere umane. Vi rimase per tre anni, durante i quali ricevette l'ordinazione sacerdotale, finché, nel 1724, il padre Malachia Inguimbert, che era stato rettore del seminario di Pistoia e che nel frattempo si era stabilito a Roma, lo invitò a raggiungerlo, procurandogli il posto di bibliotecario del cardinale L. Belluga y Moncada. Il C. accettò e, dal 1725 fino alla morte, non si mosse mai da Roma, nonostante gli insistenti inviti dei concittadini perché rientrasse a Pistoia.
In onore del Belluga tradusse dallo spagnolo in latino la difesa del primato della Chiesa di Toledo di Nicasio Sevillano: Primatus Hispaniarum vindicatus, sive Defensio Primatus Ecclesiae Toletanae adversus Memoriale Ecclesiae Hispalensis, Romae 1729. Inizia così l'attività di studioso e di scrittore di storia ecclesiastica, soprattutto relativamente alle origini della Chiesa e di editore di fonti. Successivamente lavorò nel gruppo di eruditi che collaborarono con Giuseppe Bianchini per portare a compimento la nuova edizione, intrapresa da Francesco Bianchini, di Anastasii bibliothecarii De vitis Romanorum Pontificum (Liber pontificalis). Nell'ultimo volume, che uscì presso Salvioni nel 1735, il C. stese la cronologia cesareo-pontificia e le note cronologiche. Nel 1735 curò l'edizione del Concilium Lateranense Stephani III a DCCLXIX nunc primum in lucem editum ex antiquissimo codice Veronensi ..., Romae 1735: si trattava della pubblicazione di un manoscritto trascritto a Verona dal padre Giuseppe Bianchini, a cui egli premise una lunga dissertazione illustrativa dell'antica disciplina ecclesiastica.
Nel 1738 fu ascritto da Clemente XII fra i beneficiati della basilica vaticana e l'anno successivo, tornato allo studio dell'antica Chiesa spagnola, pubblicò il De antiquitate Ecclesiae Hispanae Dissertationes in duos tomos distributae. Iis praemittitur Codex Veterum Canonum Ecclesiae Hispanae ex genuina Conciliorum, et Decretalium Epistolarum collectione S. Isidori Hispalensis, quo illustratur antiquitas Ecclesiae praesertim Occidentalis, Romae 1739-41, in cui illustrava lo stato della Chiesa spagnola dal I al VII secolo.
Contro la terza dissertazione del II tomo scrisse il benedettino Gabriele M. Scarmaglia, che con le sue Vindiciae antiquitatumMonasticarum Hispaniae adversus C. C., operaet studio D. Gabrielis Mariae Scarmallii Abbatis SS. Florae, et Lucillae Ordinis S. Benedicti Congregationis Cassinensis, Arretii 1753, volle confutare la tesi del C. secondo il quale l'Ordine di S. Benedetto non esisteva in Spagna prima del sec. IX. Il C. gli rispose, molto poleticamente, sul Giornaledel letterati (1752-53).
Infatti, dal 1745 il C., ormai noto studioso di storia e diritto della Chiesa, ascritto a tutto le accademie pontificie, individuato dall'ambiente curiale come l'erudito più adatto a confutare le critiche rivolte alla storia ecclesiastica di stampo baronigno, e quindi, indirettamente, a Roma, assunse, dapprima insieme con monsignor M. Giacomelli, poi, dal 1751 circa, da solo, la direzione e pressoché tutto il peso della redazione del Giornalede' letterati, nuovo titolo delle Notizieletterarie, oltramontane (1742-44), pubblicato a Roma dai fratelli Pagliarini. Il C. contribuì al passaggio del periodico dalla impostazione scientifico-erudita e acritica impressale dal precedente direttore e redattore Ridolfino Venuti, ad una fase d'intervento culturale più vivace e spesso polemico, e garantì la sua presenza fino all'ultimo volume (Giornale de' letterati per gli anni MDCCLVIII, e MDCCLIX, Roma 1766; non fino al 1754 come invece ha sostenuto L. Felici, p. 6). Rimase però sostanzialmente estraneo alle polemiche teologiche filogianseniste avviate dal giornale nella sua ultima fase.
Al C. si devono, nei tomi del 1746, del 1747 e del 1750 del Giornale (le due recensioni dell'annata 1745, infatti, non sono sue), lunghe e puntigliose critiche, anonime, agli Annali d'Italia di L. A. Muratori: tali recensioni - dapprima favorevoli, pur con qualche riserva sullo stile "troppo volgare", successivamente sempre più aspre - presentano un particolare interesse in quanto sono testimonianze delle critiche e delle accuse mosse da parte curiale alla storiografia muratoriana. Ponendosi quale continuatore dell'opera di Giusto Fontanini, il C. si oppone al tentativo di sostituire alla concezione teologico-provvidenzialistica e profetica della storia di cui massimo rappresentante era stato il Baronio, una storiografia secolarizzata, secondo la quale anche nell'azione dei pontefici andavano ricercate le motivazioni politiche.
Considerando gli Annali, "dall'unico punto di vista della difesa dei diritti della S. Sede", nelle annate 1746-47, in cui riferisce dei primi otto volumi, il C. respinge risolutamente i fondamenti del "nuovo sistema del sig. Muratori", e cioè la valutazione positiva della barbarie gotica e longobarda e la svalutazione dei Franchi; l'interpretazione delle donazioni fatte dai principi alla Chiesa non come trasferimento di sovranità a favore della S. Sede, ma solo quale dominio utile o subordinato; il giudizio spregiudicato e tutto terreno della politica temporale dei papi; l'interpretazione scientifica dei fenomeni naturali, quali la peste o le comete, che ne respinge il significato divino; l'abbandono del Baronio e l'interesse per la storiografia "civile" gallicana e anche protestante. Preoccupato anzitutto di giustificare storicamente l'antico diretto dominio del pontefice sugli Stati della Chiesa, sostiene col Baronio, e contro il Muratori, che il papa era signore di Roma e del ducato romano "per ispontanea dedizione de' popoli" ribellatisi ai Greci iconoclasti, prima che avvenissero le donazioni dei re franchi; controbatte la tesi che gli imperatori d'Occidente fossero i successori dei Greci per poter contestare che gli imperatori carolingi e poi quelli tedeschi avessero mai avuto l'alto dominio su Roma come quelli d'Oriente, e affermare che la loro stessa autorità consisteva nella incoronazione papale; infine nega il preteso diritto imperiale di conferma dell'elezione papale che ritiene invece una concessione, o privilegio, accordato dai pontefici ad alcuni imperatori, oppure una, usurpazione. Parallelamente alla puntigliosa confutazione dei nodi fondamentali della storiografia muratoriana, il C. non risparmia neppure le accuse metodologiche di falso, di scorretta citazione dei, testi, di "servile schiavitù" al partito imperiale, di stile volgare e "furbesco".
A queste critiche il Muratori rispose nella "conclusione" posta al termine dell'ultimo volume degli Annali, uscito nel 1749, in cui respingeva le accuse di parzialità verso il partito imperiale, e ribadiva tutte le sue tesi che riteneva storicamente provate. A sua volta accusava l'"anonimo giornalista" di volere "che si adulterasse o si bruciasse parte della storia" per toglierne elementi non favorevoli a Roma (Annali, ed. 1964, p. 1496).
Il C., benché nel frattempo il Muratori fosse morto, continuò la polemica, riprendendo nell'annata del 1750 (pubblicata nel 1751) del Giornale le recensioni degli ultimi tre volumi degli Annali con accresciuta durezza. Denunciava il libro come "disutile agli eruditi... e dannoso al volgo", ribadiva il giudizio che esso fosse tra i "libri più fatali al principato romano" e responsabile di aver stimolato la pubblicazione di libri di "eretici" tedeschi contro di esso. Per dimostrarlo, nella stessa annata, recensiva il libro di Chr. W. F. Walch recentemente pubblicato a Lipsia: Censura Diplomatis, quod Ludovicus PiusImp. Aug. Paschali I Pontifici Rom. concessisse fertur. Summo viro L. A. Muratorio inscripta..., definendolo appunto "un parto generato dagli Annali", i,quali avrebbero offerto ai "settarj" argomenti contro il Papato, ed erano essi stessi "un Musaico, d'opinioni de' nemici della S. Sede". Concludeva l'articolo ricordando di aver ubbidito "a chi c'impose di disingannare almen l'Italia, e ci hanno stimolato a temperar la penna per riferir la continuazione [degli Annali]; benché l'Annalista sia trapassato...", facendo così intendere che le sue confutazioni rispondevano a precise pressioni e direttive di alte cariche curiali. Ciò pare confermato dalla somiglianza che è stata notata (M. Monaco, pp. 12-13) fra i rilievi del C. e quelli fatti al XII volume degli Annali dal card. Neri Corsini, all'incirca stessa epoca. E proprio delle accuse di eresia del C. si servirono l'inquisitore di Spagna e gli avversari romani per tentare la messa all'Indice delle opere muratoriane, iniziative da cui le salvò l'intervento di papa Benedetto XIV. Il C. riconosceva tuttavia al Muratori in questi ultimi volumi una maggiore moderazione e una sincera venerazione per la potestà spirituale del papa, ma non un eguale rispetto per la sua potestà temporale. Concludeva infine il suo esame asserendo di non essere stato mosso da alcuna "passione", ma solo dalla volontà di denunciare "le autorità di Scritton tradotte da Muratori infedelmente per provare il falso; i documenti supposti spacciati per veri; i Privilegj Pontificj convertiti in Imperiali; e tante altre arguzie per imporre agl'imperiti".
La polemica nei confronti della storiografia muratoriana, nei suoi contenuti, nel metodo e nello stile, è d'altra parte sempre presente in molte delle numerose altre recensioni di opere di storia e di erudizione ecclesiastica, di antiquaria e di diplomatica che il C. redasse per il Giornale dal '47 al '59.
Tra le opere recensite sicuramente da lui sono: gli Italicae Historiae Scriptores ex Bibliotheca Vaticana, Romae 1751-53, di G. Assemani, i cui nuovi documenti, capaci di correggere gli errori del Muratori, contrappone alle fonti di questo; la Dissertazione 69 delle Dissertazioni sopra le Antichità Italiane, opera postuma del Muratori; le Vitae, et res gestae Pontificum Romanorum, Romae 1751, di M. Guarnacci; il volume Delle osservazioni sopra di un libro intitolato Dell'origine, e del commercio delle monete...,Roma 1752, di Simone M. De Magistris, un libro di critiche all'opera di G. R. Carli sulla moneta, condivise dal C. perché il Carli, "troppo confidando" nel Muratori, ne avrebbe ripetuto gli errori relativamente alla storia della Zecca pontificia; la Demonstratio Historiae Ecclesiasticae Quadripartitae, opera postuma di Francesco Bianchini (1752-54), portata a compimento dal nipote Giuseppe Bianchini (questa recensione venne anche pubblicata a parte dal C. col titolo di Breve dichiarazione delle sei Tavole incise in rame da A. F. Barbazza Romano, che rappresentano la Storia ecclesiastica del primo, e secondo secolo, ideate dal celebre Monsig. F. Bianchini, e perfezionate dal R. P. D. G. Bianchini dell'Oratorio suo nipote..., Roma 1753); l'Istoria delle guerre avvenute in Europa... per la successione alla Monarchia delle Spagne…, I-VI, Roma 1728-55 di F. M. Ottieri; la Historia Principum Langobardorum di C.Pellegrino, nell'edizione a cura di F. M. Pratillo, I-V, Napoli 1749-54; il Del Regno de' Longobardi in Italia..., Venezia 1753, di Bernardino Zanetti. Soprattutto le ultime tre opere storiche citate gli offrirono lo spunto per lunghi articoli di polemica antimuratoriana, polemica che, con toni forse meno violenti e irosi, si chiudeva nelle ultime annate del Giornale con altre due recensioni: nell'annata 1756-57 (ma Roma 1758) quella delle Memorie della vita di mons. G. Fontanini, Venezia 1755, che era opera del nipote Domenico Fontanini, il quale riproponeva l'antica rivalità tra i due studiosi; poi, quella della Vita del Proposto L. A. Muratori, Venezia 1756, che era stata curata dal nipote Gian Francesco Soli-Muratori (1758-59 [ma 1760], pp. 111-139, 252-262). In quest'ultima il C. negava al Muratori ogni competenza nel campo specifico della storia ecclesiastica, criticava l'eclettismo e la frettolosità delle sue pubblicazioni dalle quali non appariva un accurato studio delle fonti, e insinuava malevolmente il dubbio che tale vasta e rapida produzione, relativa a tante e diverse materie, non fosse frutto di lui solo, ma di molti collaboratori "i quali non sembra, che si dovessero defraudar della meritata lode"; respingeva infine il radicalismo del riformismo muratoriano in campo devozionale, non condividendo le critiche mosse al voto sanguinario, pericolose per il "popolo ignorante", né quelle contro l'eccessivo numero delle feste di precetto che ostacolavano i lavori agricoli, affermando che la vendetta divina, intervenendo con fenomeni naturali disastrosi, avrebbe potuto facilmente rendere inutilizzabili i giorni lavorativi guadagnati defraudando i santi.
Contemporaneamente alla cura del Giornale il C. continuò nella sua attività di studioso e di editore delle antiche fonti della storia ecclesiastica seguendo l'impostazione culturale comunicatagli da F. Bianchini, che appunto, secondo quanto egli stesso ricordava, l'aveva avviato a tali studi. Nel 1747-52 uscì a Roma l'edizione, in tre volumi, con note e illustrazioni, del Bullarium Basilicae Vaticanae, da Leone I a Benedetto XIV, per il quale si servì della collaborazione di F. L. Dionisi e A. Martinetti. Curò poi la seconda edizione della dissertazione di G. A. Orsi, già apparsa a Roma nel 1742, Della originedel Dominio, e della Sovranità de' RomaniPontefici sopra gli Stati loro temporalmentesoggetti… accresciuta d'alcune note, e dell'esame del Diploma di Lodovico Pio dall'Ab. G. Cenni, Roma 1754 (una terza ed., eguale alla precedente, vide la luce sempre a Roma nel 1788). In essa, all'opera dell'Orsi, pure scritta per confutare il Muratori, il C. aggiungeva delle note e l'analisi e la difesa dell'autenticità interna ed esterna del diploma di Lodovico il Pio descrivente i possedimenti pontifici, ricavandole da quanto aveva già scritto in proposito nel 1751 sul Giornale, in polemica ancora una volta col Muratori che aveva giudicato falso il diploma, ma attenendosi, adesso, ad uno stile misurato e meno risentito. Inizia così una fase in cui il C., assunto ormai definitivamente il ruolo di difensore ad oltranza della politica e dei diritti temporali della S. Sede e di sostenitore ed esponente di una storiografa rigidamente confessionale, proseguì nella polemica antimuratoriana lungo tutta la sua ulteriore produzione, ma insieme venne smorzando i toni della sua critica di ogni acredine, rendendoli più misurati. Ciò apparve nel 1755, quando uscì, commissionatagli probabilmente da alti personaggi della Curia, come egli stesso fa intendere, una seconda edizione delle Dissertazioni sopra le Antichità italiane del Muratori in sei volumi corredati di prefazioni e note "opportune" per correggerne gli "errori", ristampata a Monaco (ma Roma) nel 1765, e ancora a Roma nel 1790-92 e a Milano nel 1836-37. Vi sosteneva, tra frasi elogiative e nel dichiarato rispetto per il "letterato pieno di studio", che l'opera postuma testimoniava che il Muratori rimase fino all'ultimo fedele alle "opinioni false contro al Dominio temporale della S. Sede" abbracciate in gioventù "per favorire altro Principe" (I, p. XII), nonostante esse fossero state smascherate dagli scritti del Fontanini e dell'Orsi.
La fatica più rilevante furono però i Monumenta Dominationis Pontificiae, sive Codex Carolinus iuxta autographum Vindobonense, Epistula Leonis III Carolo Augusto, Diplomata Ludovici, Otthonis et Henrici, Chartula Comitissae Mathildae, et Codex Rudolphinus ineditus, Romae 1760-61 (due volumi).
L'opera era dedicata al cardinale D. Passionei, che gli aveva aperto la sua ricca biblioteca, e gli aveva affidato la cura della edizione critica del codice detto Carolino - in quanto conteneva novantanove lettere di pontefici ai re carolingi - conservato nella Biblioteca imperiale di Vienna, di cui il cardinale possedeva tre trascrizioni con diverse lezioni. Nel primo volume il codice viene appunto illustrato nelle prefazioni alle epistole e nelle note; nel secondo volume sono raccolti diversi diplomi, anch'essi corredati da commenti e note, che dovevano dimostrare, mediante la loro inequivocabile autenticità, gli ampliamenti del dominio pontificio operati dalle donazioni imperiali, sempre a confutazione delle tesi muratoriane. È soprattutto il diploma di Lodovico il Pio, già contestato - a torto - dal Muratori al Fontanini come non autentico, - a costituire il centro della polemica, in quanto secondo il C. - che già lo aveva esaminato, difendendone la veridicità, insieme con quelli di Ottone I e di Enrico I, sul Giornale del 1751 - non si trattava di un diploma di donazione, come riteneva il Muratori, né implicava una precedente richiesta dei papi di approvazione imperiale della loro elezione, bensì costituiva la conferma e la sanzione da parte imperiale dei domini pontifici precedentemente ottenuti o per spontanea dedizione delle popolazioni o per vera e propria donazione. Infine, ultima tra le sue opere edite fu, secondo il Colti, il De Praestantia Basilicae Vaticanae.
Il C. morì a Roma nel 1762 (secondo il Renazzi nel 1763).
Nello stesso anno apparve una edizione degli Annali muratoriani, curati da G. Catalani, Monaco (ma Roma) 1762, già apparsi a Roma nel 1752-54, in cui nelle prefazioni il curatore si valeva ampiamente delle osservazioni e delle censure del "dottissimo giornalista romano". Uscirono postume, a c. del nipote Giov. Bartolomeo Colti, le Dissertazioni sopra varj punti interessanti d'istoria ecclesiastica pontificia, e canonica dell'abate G. C., I-II,Pistoia 1778-79. Rimase inedito, a detta del nipote, un Canon, seu Codex Canonum Romanae Ecclesiae tribus Dissertationibus expositus.
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